La trappola del ‘genere’

La questione del 'genere' entra nel dibattito al Senato. Lo stesso dibattito che si è avuto in Umbria sulla proposta di legge regionale approvata in Consiglio comunale

Il voto del 6 dicembre sul pacchetto sicurezza in Senato apre il dibattito sulla questione del ‘genere’, concetto che potrebbe venire introdotto in Umbria se dovesse passare in Consiglio regionale la proposta di legge ‘Serlupini’ votata dal Consiglio comunale di Perugia (si veda il dibattito su La Voce in questo ultimo mese). Su di essa il mondo cattolico, rappresentato nel Forum delle famiglie, ha espresso ferma e dura contrarietà. La norma contestata, introdotta all’interno del maxiemendamento al decreto sulla sicurezza, per il quale il Governo aveva posto il voto di fiducia, prevede una condanna fino a 3 anni di carcere per chi incita a commettere o commette ‘atti di discriminazione’ in base alla ‘tendenza sessuale’. I promotori hanno fatto appello all’art. 13 del Trattato di Amsterdam, in base al quale gli Stati sono liberi di ‘prendere provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali’. Un riferimento contrastato da larga parte del mondo cattolico, che vi vede un sotterfugio per evitare una discussione sul tema. Tra i senatori della maggioranza, Paola Binetti ha votato no al maxiemendamento, motivandolo come una scelta di coscienza contro ‘una norma inaccettabile’. Dure le reazioni. Maria Luisa Di Pietro, docente di Bioetica e presidente dell’associazione ‘Scienza e vita’, bolla la decisione del Senato come una scelta che ‘sorprende e preoccupa’ per essere stato ‘utilizzato un mezzo che nulla aveva a che fare con la materia’. Tuttavia, nota la Di Pietro, quanto successo è sintomo ‘di una situazione culturale che si sta instaurando nel Paese: una cultura del ‘genere’ dove non c’è più differenza tra maschile e femminile, ed essere uomo o donna non è più un fatto di natura’. Le conseguenze di una tale scelta, prosegue, ‘sono già presenti in altri Paesi, e possono verificarsi anche da noi’, mostrando la loro ‘pericolosità’ allorquando ‘ricadono su istituzioni come il matrimonio, la famiglia o l’educazione. I diritti sono della persona – conclude – ed essa va tutelata sempre e comunque in quanto tale; è pertanto una forzatura introdurre il concetto di genere’. Francesco D’Agostino, presidente dell’Unione giuristi cattolici stigmatizza, come ‘per la prima volta la legge introdurrebbe il concetto di ‘identità di genere’, ideologico e senza fondamento scientifico, cristallizzando in modo problematico una definizione che è aperta, ambigua, ancora in discussione in un dibattito culturale ampio e articolato’. Il genere, precisa il giurista, ‘è una categoria nuova, nata negli ultimi vent’anni nell’ambito di un dibattito antropologico, con la pretesa di separare la sessualità biologica dalla sessualità psicologica, per definire un’identità sessuale intermedia’. Una definizione ancora ‘anomala e problematica’, poiché ‘si riferisce a una posizione antinaturalistica’. Il riconoscimento del reato di omofobia, inteso come discriminazione delle persone in base alla tendenza sessuale, potrebbe ‘aprire la porta ad altri riconoscimenti del tutto ideologici’ commenta il teologo moralista Marco Doldi. ‘Il gender è un’ideologia che con leggerezza dimentica la natura della persona, chiamata a realizzare se stessa anche nella dimensione sessuale. Questa non è un fatto individuale ma personale, perché permette all’uomo e alla donna di esprimersi nell’accoglienza reciproca e nell’apertura al dono della vita. Si può legittimamente pensare – aggiunge – che, in questo momento storico, l’emendamento al decreto della sicurezza potrebbe ingenerare in qualcuno l’idea che non discriminare le persone omosessuali significhi concedere loro diritti propri di altri. In questo caso, la condanna del reato dell’omofobia aprirebbe le porte all’equiparazione delle convivenze omosessuali al matrimonio tra un uomo e una donna (in tutte le diverse forme finora ipotizzate: Pacs, Dico, Cus) e, di conseguenza, all’adozione di bambini. Questi fatti chiedono, ancora una volta, un impegno di seria riflessione da parte di chi governa il Paese. Si deve accuratamente valutare se esistano fenomeni tali da introdurre una norma che sembra almeno precipitosa. Fatti di violenza contro le persone omosessuali non possono essere perseguiti in modo analogo a quelli compiuti nei confronti di ogni cittadino? Inoltre, come si riconosce a tutti la libertà di comportamento, nei limiti che non violi la tranquillità e la pace, si deve altrettanto garantire la libertà di opinione, che, come sua esigenza minima, ha quella di pensare diversamente e di poter esprimere il proprio pensiero’.