L’apocalisse è speranza

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Giuseppe Chiaretti I Domenica di Avvento - anno C

Ci mettiamo insieme in ascolto della Parola di Dio per l’intero anno liturgico, così come è stato fatto con la sicura guida di mons. Oscar Battaglia, l’esperto che, con un esposizione semplice e profonda, ha educato preti e laici dell’Umbria all’amore e alla penetrazione spirituale della Parola. Per questo suo prezioso ennesimo servizio gli siamo tutti grati.

1. È la Chiesa che ogni anno, variando quanto basta per consentirci un ascolto il più possibile ampio e organico della Parola di Dio, sia Antico che Nuovo Testamento, ci prende per mano e ci offre una considerazione semplice e globale del mistero di Cristo nella Chiesa. È questo il cosidetto anno liturgico che, come grande respiro pedagogico della nostra fede, costituisce la trama del nostro pregare e della nostra penetrazione di quel Mistero, dal quale dipende il senso della vita e la nostra salvezza. La scansione dell’anno, com’è a tutti noto, parte dalla scaturigine segreta del mistero di Cristo nelle profondità d’amore del mistero di Dio e della sua paterna volontà di darci un liberatore, un salvatore, un unto di Spirito santo, e cioè il Cristo atteso da sempre.

Egli ci guida alla conoscenza plenaria del Vero, del Bello, del Buono, del Giusto, del Santo; ci libera cioè dal dramma sempre assillante del male, ci dona libertà, consolazione, pace. Da sempre gli uomini aspettano che “le nubi piovano il Giusto”, come cantiamo in questa stagione di attesa, di Avvento, di scrutazione dei segni del tempo. È un’attesa permanente, un “avvento” costante, perché il bisogno è persistente e noi siamo incapaci, da soli e con le sole nostre forze, di liberarci dall’enorme tragedia del male, della menzogna, della violenza, dell’ingiustizia, dell’arroganza, dello scandalo…

2. La Chiesa, che è la grande pedagoga della Parola di Dio, fa terminare l’anno liturgico con la visione cosmica e apocalittica della fine del mondo, per ricordarci il limite di tutti noi e per aprirci l’orizzonte di grazia verso il quale stiamo camminando (effettivamente con la morte verrà per ciascuno di noi la fine del tempo mondano…); ma ci fa anche cominciare il nuovo anno liturgico con questa prospettiva come sottofondo, ricordando l’ammonimento della Bibbia: Memorare novissima tua et non peccabis, cioè: “In tutte le tue opere ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato” (Sir 7,36).

Il Giusto atteso da secoli è già venuto, e noi lo riconosciamo in Gesù Cristo, Parola eternamente detta da Dio ed entrata nella nostra storia con la mediazione della vergine Maria. Ricorderemo a Natale questo evento storico, vaticinato dal profeta Geremia come “germoglio di giustizia”, per impegnarci ancora una volta a “rendere saldi e irreprensibili nella santità i nostri cuori”, come raccomandava Paolo alla giovane comunità cristiana di Tessalonica. Nel brano del Vangelo di Luca torna, come già avvenuto nell’ultima domenica dopo Pentecoste (due domeniche fa), la prospettiva escatologica nei consueti termini apocalittici dei profeti.

È un’insistenza non solo di natura etica, per invitarci ancora una volta a non sciupare il tempo ma anzi a densificarlo con scelte che, come dice Paolo, piacciono a Dio, a cominciare dall’amore vicendevole. Ma è insistenza di natura soprattutto cristologica, perché nello sfacelo generale rifulga il Vincitore, che incede “con potenza e gloria grande”. È su di lui, il Vivente, il “figlio dell’uomo”che cercheremo di meglio conoscere nel proseguimento delle riflessioni, che s’incentra la nostra speranza. È con questa prospettiva di speranza, nonostante gli stessi acconti di apocalissi che siamo capaci di costruire con le nostre mani (guerre, disastri ambientali, ingiustizie a danno dei poveri, violenze e prevaricazioni di ogni genere…), che si apre l’anno liturgico. Cristo è per tutti, e non solo per i credenti in Lui, segno di speranza e di novità di vita, anche se c’è chi si diverte – in nome della libertà – a espungerlo per ora nel suo segno distintivo più eloquente (un semplice crocifisso) dalle scuole, per espungerlo domani dalle coscienze e dalla vita. E tuttavia valga sempre il monito di un saggio laico: “Non possiamo non dirci cristiani” (B. Croce).

3. Sia perciò la speranza a farci compagnia nelle nostre riflessioni e nella vita liturgica, ben sapendo che Dio non delude le attese del suo popolo, e al momento opportuno si farà vindice della verità così come l’ha rivelata Gesù: “ Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17). È importante quindi coltivare in questo tempo di Avvento uno spirito di attesa fatto di umiltà, di sobrietà, di disponibilità, di mitezza.

AUTORE: Giuseppe Chiaretti