Le opere di Bellini nella chiesa di Sant’Ercolano a Perugia

Aroldo Bellini, di origine perugina, venne chiamato a realizzare alcune delle più grandi imprese scultoree del Ventennio

C’è il ‘lanciatore di peso’, il ‘discobolo’ e il ‘giovane lottatore’, e poi il ‘calciatore’, il ‘giocatore di hockey’ e il ‘tuffatore’. Sono solo alcuni dei grandi colossi marmorei che ornano lo Stadio dei marmi di Roma. Chi non l’ha visti almeno una volta? Ben diciassette delle sessanta statue, di cui quattro in bronzo, vennero realizzate da Aroldo Bellini, scultore perugino, tra il 1931 e il 1936, nell’ambito della grande stagione artistica promossa dal fascismo. Opere gigantesche che dimostrano senza ombra di dubbio la grande arte di un enfant prodige del suo tempo. Non tutti però forse sanno che l’artista lasciò esempi delle sue capacità artistiche anche nella città natale, dove nacque nel 1902: due bassorilievi in marmo e il bronzo del soldato morente nella chiesa di Sant’Ercolano, la statua della Madonna col Bambino collocata sulla facciata del duomo di Perugia, il monumento a Luisa Spagnoli nel cimitero monumentale della città. Tutte opere compiute tra il 1927 e il 1940. Occasione per ripercorrere la carriera artistica dello scultore perugino, l’incontro che si è svolto nei giorni scorsi presso la sede della Fondazione dell’Accademia d’arte di Perugia, che ha avuto come relatori Marco Nicoletti, storico dell’arte, e Stefano Bottini, fotografo, che ha fornito l’apparato iconografico. Conseguiti i diplomi in Scultura e architettura presso l’Accademia d’arte, il giovanissimo Bellini abbandona la provincia e trova nella Roma mussoliniana la scena ove rappresentare in maniera grandiosa il proprio talento. Nel decennio tra gli anni ’30 e ’40 del secolo scorso Bellini, cogliendo a pieno la coniugazione di Classicismo e Razionalismo attuata dalla nuova architettura aulica del regime – il Foro Mussolini, l’Esposizione universale di Roma (E42) – realizza le famose sculture degli atleti. Nel corso dell’incontro è stato dimostrato come, muovendo dall’arte arcaica e giungendo all’arte oggettuale moderna, sull’esempio di Arturo Martini, Bellini offre misura del proprio talento in studi di possenti realismi atletici, differentemente espressi a seconda dell’ambiente di destinazione. Ne è venuto fuori un suggestivo romanzo di un artista che lavorò con capacità e convinzione alla riscoperta della bellezza assoluta del corpo umano, nel pieno di quel fenomeno sociale e artistico definito come ‘ritorno all’ordine’, cioè il ridestato interesse italiano per l’arte antica che iniziò dalle ricerche di Giorgio De Chirico e di Carlo Carrà. Un vero e proprio ritorno al canone che fu vissuto in Europa e in Italia attraverso la riesumazione della tradizione artistica scultorea. Ma l’opera che, se non fosse rimasta incompiuta, l’avrebbe certamente reso ancor più famoso fu il cosiddetto ‘Colosso littorio’: un bronzo monumentale, spettacolare, alto 86 metri e iniziato per l’Arengo nazionale, a Roma, progettato nel 1936 da Luigi Moretti, e che avrebbe dovuto rappresentare la Statua dell’Italia fascista. Innalzato su un piedistallo di pietra alto 20 metri, all’interno del quale si sarebbero ricavati grandi luminosi saloni, in modo da poter degnamente ospitare la Mostra permanente della Rivoluzione fascista, più alto della torre di Pisa e più imponente della cupola di San Pietro, il Colosso littorio sarebbe dovuto sorgere come una gigantesca statua con le fattezze di Mussolini, destinata a dominare tutta Roma dalla vetta di monte Mario. L’iniziativa non ebbe però successo e la fusione del colosso venne interrotta, insieme con l’intero progetto, nel 1938, per ragioni finanziarie. Altre opere vennero in seguito realizzate dall’artista per le esposizioni internazionali a Bucarest, a New York e a Roma. Aroldo Bellini morì nella capitale nel 1984.

AUTORE: M. A.