Le “rughe pastorali” della Chiesa

Parola di Vescovo

Prima dell’ordinazione episcopale ho sempre guardato la Chiesa con l’occhio del figlio che riposa tranquillo e sereno nelle braccia di sua madre. Adesso, da vescovo, ho scoperto nella Chiesa la Sposa: i sentimenti sono profondamente diversi! Quando si guarda il volto della propria madre le rughe si notano, ma non si osservano, perché ne modellano la bellezza; quando invece si ammira il volto della sposa, le rughe si notano, si osservano e si contano! Le “rughe pastorali” che segnano il volto della Chiesa non ne diminuiscono la bellezza, ma ne velano lo splendore. Provo a indicarle con pudore e audacia, senza la pretesa di uscire dai confini della mia diocesi! Più che un “alveare laborioso”, che vive l’avventura dello sciame senza consumare l’esperienza dello scisma, ho la sensazione che le nostre comunità cristiane siano “formicai frenetici”, in cui ciascuno tira diritto per la propria strada. Più che una “casa-famiglia”, aperta al soffio impetuoso e gagliardo dello Spirito, talvolta affiora in me l’idea che la Chiesa particolare venga concepita come un “condominio” di parrocchie, di associazioni e di movimenti, che si trattano con rispetto ma si guardano con sospetto. Più che una “fucina missionaria”, talora ho l’impressione che le nostre comunità cristiane siano “officine pastorali”, che di fronte all’incalzare della secolarizzazione si limitano a garantire alcuni servizi di manutenzione ordinaria, assicurando qualche intervento di emergenza. Più che un “ovile”, spesso affiora in me il dubbio che la Chiesa particolare abbia tutte le caratteristiche di un “recinto”, dove ci si sente protetti: forse anche ristretti, e tuttavia al riparo dalla sfida di aprire il cantiere dell’atrio dei Gentili, costruendo un ponte tra sagrestia e sagrato. Più che un “chiostro” dove risuona l’eco della Parola di Dio, che dà voce alla profezia, talora ho la percezione che le nostre comunità cristiane corrano il rischio di essere un “cortile”, in cui si avverte il chiasso del “letargo spirituale” e il silenzio del lungo “inverno vocazionale”. Per quanto le “rughe pastorali” della Chiesa possano essere marcate, esse non riescono a cancellare la dolcezza dei suoi lineamenti materni e la bellezza del suo volto di Sposa. “Un pastore – ammonisce Dietrich Bonhoeffer nelle pagine di Vita comune – non deve lamentarsi della sua comunità, tanto meno davanti agli uomini, ma neppure davanti a Dio; essa non gli è affidata perché se ne faccia accusatore davanti a Dio e agli uomini. Chi perde la fiducia nella comunità cristiana in cui si trova, e si lamenta di essa, prima di tutto esamini se stesso, e si chieda se Dio non voglia semplicemente distruggere il suo ideale; se è così, ringrazi Dio di averlo posto in questa posizione di disagio”. Più che un atto di accusa, il mio disagio vuole essere un appello a “tenere viva la speranza” e, soprattutto, a “camminare in cordata”, ben sapendo, da una parte, che la “concordia è il cemento dell’unità”, e, dall’altra, che un vero rinnovamento della Chiesa non si ottiene con il cambiamento delle strutture, ma con un sincero spirito sinodale di “conversione missionaria della pastorale”.

AUTORE: † Gualtiero Sigismondi