Legge sulla ‘sussidiarietà’. La Regione preferisce agire in proprio

Consiglio regionale: la discussione passa in aula

La prima Commissione permanente ha licenziato il testo di legge sulla sussidiarietà, che ora passa all’esame del Consiglio regionale dell’Umbria. Su tale testo il 5 dicembre dello scorso anno vi era stato l’incontro consultivo pubblico a cui avevo partecipato quale direttore dell’Ufficio regionale per i problemi sociali e il lavoro della Conferenza episcopale umbra. In tale occasione avevo espresso l’opinione che la proposta di legge rappresentava un’occasione importante di riflessione e di dibattito, in quanto la pratica applicazione del principio di sussidiarietà, specialmente di quella orizzontale, non appartiene ancora alla tradizione politico – amministrativa della nostra regione. L’esperienza di governo, infatti, è più attestata su modalità dirigiste, e le istituzioni locali preferiscono gestire direttamente, anche per ripartire poltrone, consulenze e posti di lavoro. Il che comporta maggiori costi e non poche inefficienze, specialmente nel campo dei servizi socio-assistenziali, sanitari ed educativi. Allo stesso tempo manifestai alcune perplessità espresse nel seguente quesito: perché si propone una legge specifica sulla sussidiarietà quando tale principio è espressamente sancito dalla legislazione europea (Trattato di Maastricht e successivo Trattato di Amsterdam), da quella italiana (le riforme amministrative e costituzionali realizzate dal 1993 al 2001, in particolare la legge costituzionale n’3 del 2001 e la legge quadro 328 del 2000 sulle politiche sociali tutta incentrata sulla sussidiarietà, il ruolo delle comunità locali e l’integrazione tra pubblico e privato) e quella regionale (art. 16 e 17 dello Statuto regionale)? Esaminato il testo di legge licenziato dalla Commissione consiliare e le modifiche apportate, le mie perplessità rimangono e si rafforzano. Il nuovo testo non aggiunge nulla a quanto già previsto dalle normative vigenti in tema di autorizzazione, di accreditamento, di valutazione dei progetti presentati dal Terzo settore. Nessuna novità neanche rispetto alla promozione della cittadinanza sociale: la legge 328/2000 era già tutta basata su tale diritto, tanto che i vecchi servizi sociali dei Comuni hanno assunto la nuova denominazione di Uffici di cittadinanza. È stato poi cassato il riferimento ai servizi a supporto dello sviluppo economico, ignorando il ruolo delle imprese di promozione sociale disciplinate da una recente legge nazionale. C’è invece un’indicazione al ribasso: i rapporti tra le istituzioni e i soggetti civili sono orientati alla sola logica di collaborazione e di co-progettazione territoriale. Molto riduttivo, se si pensa che l’attuale legislazione (legge 328/2000, Piano sociale regionale, Piano sanitario regionale) disegna un quadro di riferimento che, se vi fosse la volontà politica, consentirebbe di muoversi nella direzione di un’autentica sussidiarietà verticale e orizzontale. Per esempio, l’art. 19, comma 3 della legge 328 prevede che, per !a definizione dei Piani di zona, siano stipulati veri e propri Accordi di programma tra i soggetti istituzionali e quelli sociali degli ambiti territoriali di appartenenza. Per costruire i Piani attuativi locali (Pal) delle Asl e delle Aziende ospedaliere è previsto il coinvolgimento delle famiglie e delle organizzazioni sociali, tramite i Comitati consultivi degli utenti, previsti dal Piano sanitario regionale. Ma tutto questo è rimasto sulla carta. L’auspicio, pertanto, è che in sede di discussione in aula consiliare il testo sulla sussidiarietà sia rafforzato nella logica di un vero e proprio impegno politico a realizzare in Umbria quanto previsto dalle leggi vigenti ed ancora non attuato.

AUTORE: Pasquale Caracciolo