‘Libro e moschetto, fascista (o, meglio, fasista) perfetto’. L’ennesimo slogan del poro Benito. Che ne sfornava in quantità industriali. Poi, quelli che riteneva ‘venuti meglio’, li lanciava dal primo balcone disponibile, e osservava a lungo il volo di quei suoi piccioni viaggiatori, mascella tesa, petto in fuori, mani arrovesciate sui fianchi. ‘E il cranio robusto // oscillando accennava // di saper che ognuno // di quegli alati latori // del suo almo pensiero // un po’ migliore reso avrebbe il mondo’. Poesia, linguaggio della commozione. Anche io la uso, a volte, prima di colazione.Il moschetto. Oggi, in Libano, al posto del moschetto i nostri soldati dispongono di orribili aggeggi dalla capacità distruttiva enormemente superiore a quella degli schioppetti di allora, poco più che sambuchi caricati a stoppa, ribattezzati ‘moschetti’ dall’ipertrofico orgoglio nazionale; ma, contrariamente ad allora, i militari italiani di oggi hanno ferma speranza di non usare mai i mostri di tecnologia della morte che hanno in mano. Il libro. I ‘militari fasisti’, il libro sul quale si erano formati, all’atto della partenza per il fronte, l’avevano riposto in soffitta da tempo. E avevano fatto bene, anche perché quel libro tentava di accreditarci come ‘colonizzatori buoni’, giustificando così anche gli abomini compiuti da noi esponenti della ‘civiltà cristiana’: in Tripolitania, ad esempio, soprattutto da Graziani, ma anche da Badoglio, nelle decine di campi di concentramento disseminati ovunque, che stiparono circa 100.000 ‘nemici’: una metà ci lasciarorono la pelle. Il libro, i nostri soldati oggi il libro ce l’hanno con sé, nello zaino, ma è tutt’altra cosa. Sono due piccoli volumi di lingua e cultura araba, realizzati dalla Scuola di lingua estere dell’esercito, operante a Perugia. E dentro lo zaino c’è anche un Cd, per imparare elementi della lingua araba e conoscere gli elementi primi di quella cultura. Frasi del gergo militare, modi di dire utili per farsi capire dalla gente comune, riprodotti in italiano, arabo, inglese e francese. ‘Non basteranno i militari – hanno affermato Flavio Lotti e Grazia Bellini, coordinatori nazionali della Tavola della pace. – In Libano quello che serve è innanzitutto personale civile in congruo numero e con appropriata competenza: monitori dei diritti umani, specialisti nel settore dello sviluppo e dell’assistenza umanitaria, personale esperto in comunicazione e dialogo interculturale. L’intera missione Unifil deve tener conto dei bisogni fondamentali delle popolazioni che sono afflitte da violenza e da insicurezza. Serve dunque personale civile impegnato in un continuo processo di comunicazione, consultazione e dialogo con le autorità di governo locale, i gruppi e le organizzazioni della società civile, sindacali, religiose, i media locali’. Che sia la volta buona? La creazione del Cpce, ‘Corpo di pace civile europeo’, è allo allo studio di fattibilità. Dovrà mediare, rafforzare la fiducia tra le parti belligeranti, curare l’aiuto umanitario, la reintegrazione degli ex combattenti, il sostegno agli sfollati, ai rifugiati e ad altri gruppi vulnerabili, cooperare alla ricostruzione e alla stabilizzazione delle strutture economiche, monitorare i diritti umani, favorire la creazione e lo sviluppo delle istituzioni democratiche, educare alla pace e al dialogo interculturale. Che sia la volta buona?
Libro e Moschetto
AUTORE:
Angelo M. Fanucci