L’impegno per la comunicazione

Parola di vescovo

Il 5 giugno celebriamo la 45a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, dal tema: “Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale”. Benedetto XVI nel suo messaggio ci ricorda come “la rivoluzione industriale produsse un profondo cambiamento nella società attraverso le novità introdotte nel ciclo produttivo e nella vita dei lavoratori, così oggi la profonda trasformazione in atto nel campo delle comunicazioni guida il flusso di grandi mutamenti culturali e sociali. Le nuove tecnologie non stanno cambiando solo il modo di comunicare, ma la comunicazione in se stessa, per cui si può affermare che si è di fronte ad una vasta trasformazione culturale”. L’impressione del cristiano che s’inoltra sulle arterie della comunicazione può essere ben illustrata da un’icona biblica folgorante, quella della fionda del giovane Davide e dell’armatura monumentale del gigante Golia. In realtà, anche nel nostro caso, l’efficacia non si misura obbligatoriamente sulla base della pura e semplice tecnica e sul potenziale estrinseco. Tuttavia, come fa Davide, è indispensabile scendere sullo stesso terreno e iniziare il confronto. Per condurlo a termine è necessaria una strategia. Proprio per la sua complessità, per i rischi che comporta, per le potenzialità che contiene, il mondo della comunicazione richiede in chi lo accosta un grado sufficiente di conoscenza. Entrare nel mondo della comunicazione conoscendolo e adattandosi ai suoi canoni espressivi non significa, però, dismettere la propria identità. E questo vale anche per i nuovi mezzi della comunicazione. Ci ricorda il Papa che “comunicare il Vangelo attraverso i nuovi media significa non solo inserire contenuti dichiaratamente religiosi sulle piattaforme dei diversi mezzi, ma anche testimoniare con coerenza, nel proprio profilo digitale e nel modo di comunicare, scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non si parla in forma esplicita”. Per attuare ciò è necessario avere un’attrezzatura culturale, è importante capire i meccanismi della comunicazione, è indispensabile ascoltare nel senso pieno del termine. Fortunatamente esistono programmi televisivi e radiofonici, articoli di giornali cartacei e online di qualità, anche se bisogna riconoscere che ormai i mezzi di comunicazione hanno di molto guastato il palato morale, estetico e umano dei loro fruitori. Ecco, la comunità ecclesiale deve puntare proprio a quella resipiscenza di fondo, a quel cuore di intelligenza e di umanità che permane nell’ascoltatore, nel lettore e nell’internauta per offrire il suo messaggio. Pastori e fedeli devono puntare verso un ulteriore impegno personale ed ecclesiale nella comunicazione. Troppo spesso i mass media comunicano a folle di persone ciò che devono mangiare e indossare, le mode e i modi della vita. Manca una voce che indichi la rotta, il senso della vita, che interpelli sui cosiddetti valori ultimi. “Noi credenti – afferma papa Benedetto XVI -, testimoniando le nostre più profonde convinzioni, offriamo un prezioso contributo affinché il Web non diventi uno strumento che riduce le persone a categorie, che cerca di manipolarle emotivamente o che permette a chi è potente di monopolizzare le opinioni altrui”. Mi piace concludere questo scritto con una piccola appendice: la parola autentica e incisiva nasce dal silenzio, ossia dalla riflessione e dall’interiorità, dalla preghiera e dalla meditazione. In mezzo al brusio incessante della comunicazione informatica, alla chiacchiera e al vaniloquio televisivo e giornalistico, al rumore assordante della pubblicità, il cristiano deve sempre saper ritagliare uno spazio di silenzio che sia la somma di parole profonde e non mero silenzio, cioè assenza di suono. Il Dio dell’Horeb si svela a Elia non nelle folgori, nel vento tempestoso e nel terremoto bensì in una voce di silenzio sottile (cf 1Re 19,12). Anche la sapienza greca pitagorica ammoniva che “il sapiente non rompe il silenzio se non per dire qualcosa di più importante del silenzio”. È solo per questa via che sboccia la parola sapiente. Solo così si compie la scelta di campo sottesa a un famoso detto rabbinico: “Lo stupido dice quello che sa; il sapiente sa quello che dice”.

AUTORE: Renato Boccardo