L’insegnamento vivo di san Benedetto al mondo di oggi

Nella Regola è prescritto all'abate di non domandare, a chi vuole entrare in monastero, da dove venga; ma dove voglia andare. È la convinzione che tutti gli uomini hanno pari dignità davanti a Di

Norcia in festa l’11 luglio ha celebrato ancora una volta san Benedetto. Autorità, ambasciatori, rappresentanti delle istituzioni e un gran accorrere di popolo hanno gremito la piazza e la basilica. Soprattutto, la celebrazione era presieduta dall’arcivescovo Chiaretti, metropolita di Perugia e presidente della nostra Conferenza episcopale umbra. L’Arcivescovo ha espresso, con la sua stessa presenza e con le sue da tutti apprezzate parole, la partecipazione dell’intera Chiesa umbra. Ha ricordato un tema che gli è caro: Benedetto e Francesco d’Assisi sono i colossi della nostra regione, plauditi, celebrati e, speriamo, imitati nel mondo intero. Il messaggio, ancor vivo, dei nostri Santi è uno dei contributi significativi che l’Umbria può dare all’Europa. Siamo una regione piccola di territorio, ma grande per la capacità di far comprendere, con la sua cultura e le sue peculiarità, il senso delle cose: perché si vive, perché si muore. Mi pare che valga la pena rammentare almeno tre ragioni, squisitamente benedettine, che sono di straordinaria efficacia anche nel dibattito culturale del nostro tempo. Al 58’capitolo della Regula monachorum è detto all’abate di non domandare, a chi vuole entrare nel monastero, da dove venga, ma piuttosto di chiedergli dove voglia andare: quale sia il suo progetto di vita. È il fondamento dell’inclusione sociale, che si fonda sulla convinzione che tutti gli uomini hanno pari dignità davanti a Dio, dovunque siano nati e qualunque sia stata la loro esperienza pregressa, anche se lacunosa o sbagliata. La comunità monastica, ma anche ogni comunità civile, sociale, politica, trova maggior vantaggio a dar fiducia alla gente che a discriminarla. Ciò che conta è chiarire bene con ogni nuovo arrivato ‘ qualunque sia il contesto in cui vuole inserirsi ‘ quali siano le sue intenzioni per il futuro e quali le regole del vivere nella realtà che lo accoglie. Quando l’Europa era nella barbarie, Benedetto e i suoi monaci ci insegnarono a rapportarci vicendevolmente sulla pari dignità di ogni persona umana. La stima fiorisce dal progetto di vita praticato, che ci fa significativi per gli altri, oltre che ricchi di umanità in noi stessi. Ricordare san Benedetto ogni anno, nell’intenzione del servo di Dio Paolo VI che volle il padre dei monaci d’Occidente ‘patrono principale di tutta l’Europa’, è come un appuntamento di verifica, un crocevia in cui a ciascuno è data l’occasione propizia per scrutare se stesso. La Chiesa non ha paura di misurarsi con l’uomo, purché ciascuno sia pronto a cercare il senso delle cose e della vita. Nessuna modernità è di per sé peggiore delle vicende del passato. Con ogni cultura è possibile un dialogo costruttivo. Lo insegnava già san Paolo all’aeropago di Atene; lo ha ripetuto Papa Benedetto, rammentando il costruttivo rapporto della Chiesa dei primi secoli con la cultura greco-romana. Quando si afferma la romanitas di san Benedetto, si dice che al Patriarca di Norcia fu possibile fare suoi molti valori anche della cultura pagana. Certamente non fu possibile accogliere tutto. Allora come ora, è necessario fare scelte. Gregorio Magno ricorda che sulla porta della chiesa benedettina pendeva un capisterio ‘ un ‘capistìo’ direbbero ancor oggi gli spoletini ‘ a segno che il discernimento è virtù fondamentale per ottenere la sapienza del cuore. Le radici cristiane dell’Europa sono care ai Pontefici romani del nostro tempo e a Papa Benedetto XVI che, più volte, ci ha spiegato perché del Patriarca nursino volle prendere il nome. La Chiesa, in epoca tardo antica, non ebbe paura a misurarsi con la ‘cosidetta barbarie’. L’espressione è di Giovanni Paolo II nel suo viaggio a Norcia, come ricordava mons. Chiaretti. La medesima Chiesa di Cristo non si sgomenta di fronte alle barbarie che si presentano nel nostro tempo. Ricordare san Benedetto nella sua patria ci induce a rammentare la bellissima e pur difficile esperienza cristiana che fu del Patriarca e dei suoi monaci. La fede condivisa, la giornata scandita dai ritmi della natura ci fa recuperare l’altissimo valore del tempo, che a nessuno è lecito sprecare. Il lavoro alternato alla preghiera, la fraternità e la condivisione delle cose, il rispetto e la stima vicendevole, ma soprattutto la scelta decisa di nulla anteporre all’amore di Cristo, ci fa riscoprire, nella realtà quotidiana, il fascino del cristianesimo. Molti secoli dopo, Pascal scriveva che vivere da cristiani è già di per sé un premio. Anche questo fa parte dell’identità collettiva umbra. La nostra generazione si lascia tentare dalla malia di cambiare continuamente i punti di riferimento. Siamo un po’ vittime di una sorta di ‘zapping’ spirituale. Molti credono che giovi vivere alla giornata, lasciarsi sballottare da ogni vento di dottrina, come disse san Paolo. Il Vangelo è la fonte della Regola benedettina e la meditazione della Parola di Dio è il sostegno per praticarla. Dai monaci vogliamo tornare a imparare che non basta leggere, se non ci impegnamo a capire; che la preghiera nasce dalla conoscenza e il cambiamento progressivo della vita ne è il frutto più cospicuo. Concretezza tutta umbra è il valore recuperato da san Benedetto nei confronti della quotidiana fatica del lavoro. L’opus in casa benedettina non fu mai ascetica fine a se stessa. Il lavoro per il Patriarca nursino è lo strumento che assicura il necessario per vivere, ma è anche il contributo di ciascuno per cambiare il mondo, per sconfiggere il male.Con la vita santa i monaci recuperarono la dimensione del paternità e del farsi carico gli uni degli altri, che è ancora tesoro prezioso della nostra regione solidale. Celebrare san Benedetto è misurarsi con identità irrinunciabili, con quella somma di positività che fanno l’Umbria così com’è: un lembo prezioso d’Europa, visitato ogni anno da milioni di persone che cercano, presso di noi, quell’oro preziosissimo che è il senso della vita.

AUTORE: ' Riccardo Fontana