Mentre al Lyrik esplodeva la gioia e la vitalità dei giovani, un migliaio, venuti per prepararsi ai GrEst a casa Leonori a Santa Maria degli Angeli, si teneva il convegno con la presentazione dell’indagine Ipsos sugli oratori umbri e l’intevento di don Giordano Goccini incaricato di pastorale giovanile della diocesi di Reggio Emilia.
Don Giordano è intervenuto dopo i saluti del cardinale Gualtiero Bassetti, dell’arcivescovo Renato Boccardo e dell’assessore regionale Luca Barberini. Interventi che hanno sottolineato il clima di positiva collaborazione tra Regione e Conferenza episcopale umbra. Tema ripreso anche dal responsabile del coordinamento degli oratori umbri, don Riccardo Pascolini, che nell’introdurre gli interventi ha aggiunto dati e motivazioni dell’impegno decennale della Conferenza episcopale umbra su questo fronte.
“Quello che non mi va è questo clima in cui va tutto bene a tutti” ha detto don Goccini perché, ha aggiunto, “ogni volta che ho fatto oratorio sul serio ho avuto qualcuno contro”. Così è iniziato l’intervento che ha suscitato tra i presenti, parroci, laici e religiosi, responsabili degli oratori una forte attenzione e apprezzamento.
La provocazione iniziale era indirizzata a richiamare l’attenzione sulla questione centrale: “dobbiamo sempre chiederci cosa stiamo facendo, un oratorio che coglie le sfide del futuro su cosa lo fondiamo? Non certo sul riconoscimento di amministratori, sul fatto che abbiamo bisogno di strutture” ha detto don Giordano. E, prendendo spunto dal titolo del libro, tratto da una frase di don Bosco “Oratorio strada che avvia alla vita”, ha spiegato cossa vuol dire fare oratorio, anche con esempi della sua esperienza di parroco di un quartiere di periferia.
Ha cominciato dalla parola “Vita” per dire come “i nostri giovani non hanno più paura dell’inferno e dell’aldilà, come poteva essere per noi o per i nostri padri”. I nostri ragazzi “sono spaventati che questa vista sia un inferno a causa di questa ‘dittatura dell’autorealizzazione’ per cui i ragazzi devono almeno emergere un po’ sugli altri. Mia nonna e mio padre non ne avevano bisogno”. “Il tema della vita -ha aggiunto – deve entrare negli oratori altrimenti facciamo il baby parking. Noi dobbiamo avviare alla vita. Non si può metter su casa nell’oratorio”. “Nel l’oratorio dovrebbe esserci una scritta fondamentale: vattene! La parola più generativa nella Bibbia. Dio dice ad Abramo: vattene… dalla tua terra, dalla casa di tua padre. O noi educhiamo i giovani alla partenza o cosa facciamo? Vorremmo che andassero nei banchi in chiesa ma restano inesorabilmente vuoti. È un vattene un po’ più ampio. È il tema della chiamata a far qualcos’altro”.
Don Giordano ha proseguito con immagini vive e spiazzanti per ribadire che “l’oratorio deve essere uno spazio di vocazione, e proprio perché ingaggia i ragazzi in un protagonismo progressivo è luogo di chiamata, non solo perché devono spostare sedie ma perché vediamo in loro delle potenzialità. L’oratorio è luogo dove ti chiedo di crescere, di andare avanti”. “Nel mio oratorio – ha aggiunto – facciamo lavorare i ragazzi nel piccolo orto, in cucina, in una piccola falegnameria. Oggi i ragazzi hanno bisogno di fare qualcosa con le mani, hanno bisogno di poter dire ‘questo l’ho fatto io’”.
L’altro valore dell’oratorio, che stride con una società competitiva, è che “nell’oratorio l’ineludibile risposta alla felicità diventa una risposta corale, conviviale. In una società che mi chiede di essere qualcosa più di te i ragazzi possono vivere qualcosa di solidale, una vita che diventa impresa collettiva, possono sperimentare lo stile di una vita conviviale”.
E in questa logica, ha concluso, “l’oratorio diventa anche profezia nei confronti di una politica che si è incartata su se stessa”.