Maestro di vita oltre il monastero

Il 24 ottobre 1964, Paolo VI proclamava san Benedetto da Norcia “principale Patrono di tutta l’Europa”. Di quell’atto ci interessa cogliere, dopo quaranta anni, la dimensione profetica, che è ancora più evidente, dopo i mutamenti istituzionali avvenuti nello scenario internazionale. Nell’opera del Patriarca umbro ci piace sottolineare almeno tre principali elementi: il contributo alla ricerca della libertà della persona, la mediazione culturale, l’edificazione della città dell’uomo sul modello della città di Dio. La ricerca della libertà della personaIn questo tempo di forti transizioni culturali giova ricordare che libertà è decidere che cosa fare; non, invece, fare quel che si vuole. È arcaico ritenere che la differenza tra il fare e il voler fare sia una questione strettamente filosofica; o almeno un empirico elemento volontaristico. Il nostro tempo, infatti, dell’arte di influenzare i comportamenti di massa ne ha fatto una scienza. San Benedetto ci insegna a puntare sulla persona. Affermare la libertà come divino esercizio della dignità dell’uomo è pratica sempre meno raccomandata nel nostro tempo, ma sempre più necessaria. Il Patriarca di Norcia insegna ai suoi monaci, ma anche a ciascuno di noi, che darsi una regola è sublime esercizio di libertà: è come il fiume che, per correre veloce, ha bisogno degli argini: altrimenti si impaluda e va poco lontano. La Regula Monachorum è un manuale di libertà: meglio, un metodo per acquisire la libertà, per diventare signori di se stessi. Sarebbe utile riflettere che, come nelle scienze positive dall’esperienza si risale alla legge, qualcosa del genere avviene anche nello spirito. Se molti nei secoli, praticando la regola benedettina, si sono distinti per essere uomini liberi e forti, forse darsi una regola di vita potrebbe essere anche oggi la strada per recuperare il senso della vita. La nostra storia pare non tanto segnata dal pensiero debole, quanto dall’incertezza dei riferimenti e dal relativismo dei giudizi assurto a principio fondante, a pensiero comune. Il Patronato di san Benedetto riafferma le radici cristiane dell’Europa: è come una sorta di brindisi alla libertà della persona e alla dignità dell’uomo, che sono i frutti più prelibati del pensare europeo attraverso i secoli. La mediazione culturaleMi ha sempre colpito nei pennacchi della cupola della basilica di San Benedetto a Norcia la raffigurazione della nota vicenda di Benedetto che fa recuparare al “goto” il falcetto; che è come dire, in questo tempo di globalizzazione, la rivalorizzazione del lavoro altrui: al di là della lingua, della cultura, dell’etnia di chi lavora. In fondo si sta dicendo assai poche volte che san Benedetto da Norcia, applicando i principi del Vangelo, ha inventato una struttura comunitaria dove barbari e romani non solo convissero insieme, ma sperimentarono la vicendevole fraternità. Di qualcosa del genere abbiamo bisogno anche oggi. I padri antichi dell’Umbria impararono a considerare eroi da imitare, dopo i Martiri, oscuri personaggi che si erano impegnati ad eccellere appunto nella pacifica convivenza. Mi è facile ricordare, tra i nostri, san Beroto, san Cenere, accanto all’abate Eleuterio e al monaco Santolo. Che la pratica quotidiana della pace valga quanto il martirio mi sembra intuizione davvero profetica, di cui questo tempo ha particolarmente bisogno. È l’antica convinzione cristiana che ogni diversità è ricchezza, dono dello Spirito santo per il bene comune; ogni divisione è opera del Maligno. La comunità benedettina a nessuno che si presenta al monastero chiede da dove venga; ma a tutti propone una meta dove andare – la Gerusalemme del Cielo – che si raggiunge soltanto praticando la carità sulla terra. Questa è una delle forti identità dell’Umbria, che ha viaggiato per l’Europa intera, rendendo possibile convivenze di etnie diverse, assai spesso persino nemiche. L’edificazione della città dell’uomoChe il monastero sia palestra dello spirito è certo antica esperienza ascetica. Che invece sia un microcosmo dove sperimentare e apprendere le virtù necessarie per edificare il mondo più grande è consapevolezza specifica benedettina. Questo millennio, al cadere delle Torri Gemelle, ha recuperato d’improvviso la paura, che credeva di avere esorcizzato con dogmatica fiducia nella scienza. San Benedetto insegna ai suoi monaci che occorre pregare ogni giorno per recuperare da Dio il coraggio di operare con le nostre mani e la nostra intelligenza, per porre rimedio ai mali del mondo. Tra preghiera e azione non vi è antinomia: l’una dimensione è funzionale all’altra. Forse non è umbro il preferire la concretezza alle vane parole di chi si astiene dal cercare i rimedi a quello che ci affligge? Rivendichiamo questa dimensione come squisitamente benedettina, ma anche come umbra: forse sarebbe interessante approfondire gli studi per sapere se fu l’Umbria a insegnarla a san Benedetto, o i monaci a insegnarla agli umbri. Ci è facile ricordare da noi i gesti antichi dei monaci: canalizzare le paludi del fiume Sordo assicurò a Norcia foraggi freschi anche d’inverno, nelle “marcite” della valle di Santa Scolastica. Furono i monaci a scavare un percorso parallelo al Clitunno, per liberare gli uomini dalla fatica di fare a mano la molitura delle olive. Ai figli di san Benedetto si devono i rudimenti della medicina medievale, nella coltivazione delle erbe officinali. Ma soprattutto a loro l’Umbria deve la scuola: ossia il gusto di inventare un laboratorio dove anche i figli dei poveri potessero recuperare il senso delle cose: imparare a leggere, scrivere e pensare. In quegli antichi sciptoria nacque quel volgare umbro che è tra le fonti della lingua italiana. Comunicare e far comunicare, dialogo e pace; ma anche la cultura di dare un senso alla fatica e la speranza al futuro sono alcuni maturi frutti nati in monastero e percepiti ancor oggi come caratteri essenziali della nostra cultura. Degli attuali novantadue comuni della regione Umbria ben cinquantasei conobbero sul loro territorio istituzioni benedettine. Riconoscere san Benedetto patrono d’Europa è identificare e riproporre quello spirito principale che ha edificato la nostra convivenza: è dire, con semplicità e fierezza, che l’Umbria, pur piccola regione nel contesto del Continente, è una sorta di morula fecondata da cui è nata una parte irrinunciabile della nostra identità Europea.