Mai

Mai, a mia conoscenza, è stata portata avanti dalla Santa Sede e con l’impegno in prima persona dal Papa, un’attività religiosa, diplomatica e di comunicazione sociale tanto intensa e per tanto lungo tempo, con toni crescenti come nella presente occasione. E mai era comparso sulla prima pagina dell’Osservatore romano, quotidiano della Santa Sede, un giornale così misurato e compassato nei toni e nella grafica, uno strillo che occupa tutto il centro della pagina che dice MAI, con sopra e sotto “Mai gli uni contro gli altri” e “Mai al terrorismo e alla logica della guerra” . Questa parola, “mai”, ripetuta tre volte richiama l’incontro di Assisi del 24 gennaio 2002, quando dai capi delle religioni del mondo si levò a Dio una preghiera per la pace e si prese il triplice impegno: “Mai più violenza, mai più guerra, mai più terrorismo”. Tutto ciò viene ripreso e riproposto con l’invito alla preghiera e al digiuno all’inizio della quaresima fatto dal Papa domenica scorsa. All’idea del digiuno, che nel mercoledì delle ceneri è normale tradizione cattolica, quest’anno viene correlata l’idea e l’intenzione della pace. Non è un’aggiunta estranea, essendo connaturale alla prassi del digiuno nei tempi prescritti (quaresima per i cristiani, ramadan per i musulmani) la cessazione o la tregua della belligeranza (Si ricordi la conversione collettiva dei cittadini di Ninive che fecero penitenza e si vestirono di sacco, grandi e i piccoli, e fecero digiuno persino gli animali – Libro di Giona). La valenza di testimonianza pubblica e civile del messaggio del Papa per il 5 marzo è stata percepita oltre i confini della cattolicità da religiosi di altra fede e da laici che hanno dichiarato di partecipare al digiuno. Questo avvicinamento in nome della pace, unito alle recenti manifestazioni in cui i cattolici si sono ritrovati a fianco di gruppi di ispirazione lontana da quella cristiana, ha suscitato qualche malumore e sospetto di strumentalizzazione, e persino delle ironie provinciali di qualche addetto stampa di partito che giudica l’attivismo dei cattolici partigiano e fuori luogo. Ma a parte la piccineria di certe polemiche locali ci si deve domandare seriamente perché questa vastità e intensità di impegno dei cattolici per la pace. Solo per obbedienza disciplinare al Papa? O perché convinti delle sue ragioni, quelle espresse e, magari, intuendo che ve ne sono altre non sufficientemente espresse? Non c’è forse la preoccupazione di Giovanni Paolo II per una “nuova evangelizzazione”, quella che parte dal “gloria a Dio e pace agli uomini” dei pastori di Betlemme, che segna il passaggio a quella “cosa nuova” e diversa di cui parlavano i profeti biblici e che Gesù è venuto a realizzare nella storia? Domande impegnative, ma vanno a contrasto con quanto ha scritto recentemente Galli della Loggia, quando affermava in un articolo del Corriere, se ho ben compreso, che tutto sommato l’America è disposta alla guerra perché ha fede nel Dio degli eserciti, mentre l’Europa non è disposta alla guerra perché è secolarizzata e non crede più a niente. Secondo tale prospettiva la pace sarebbe appannaggio dei non credenti, riproponendo la vecchia teoria delle religioni come artefici di violenza e di guerra, le guerre di religione. I cristiani non possono accettare questa opinione o comunque non possono accettare che ciò debba avvenire. Sarebbe una sconfitta per il Vangelo di colui che ha detto “amate i vostri nemici” e rende vana la croce di Cristo. Per i cattolici, all’inizio del terzo millennio, si tratta di ripensare il rapporto tra Chiesa e mondo, tra Vangelo e storia, tra religione e società, alla luce delle acquisizioni e esperienze realizzate da quarant’anni a questa parte. Il Papa, definito “custode dell’umanità”, può essere anche considerato una guida disarmata e malferma, in grado di spingere popoli alla preghiera e di ispirare vie diverse, non violente, per raggiungere la giustizia e quindi la pace.

AUTORE: Elio Bromuri