Guai ai ricchi sfruttatori!

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XXV Domenica del tempo ordinario - anno C

La liturgia di questa 25a domenica del tempo ordinario si apre si apre con una pesante invettiva del profeta Amos, che interpella direttamente gli sfruttatori dei poveri: “Ascoltate questo, voi che calpestate il povero…” (Am 8,4). Amos visse e operò nel secolo VIII a.C. nel regno del Nord, formatosi dopo la divisione del regno che fu di Davide e Salomone. Si era in un periodo di buona prosperità politica ed economica, in cui la ricchezza – come accade anche ai nostri tempi – era concentrata nelle mani di quei pochi che non si facevano scrupolo di calpestare chiunque fosse loro di intralcio.

Con espressioni fortemente icastiche, il profeta li presenta come una sorta di associazione a delinquere, mentre progettano i loro crimini nei giorni di festa: “Quando sarà passato… il sabato, perché si possa smerciare il frumento… usando bilance false, per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali?” (Am 8,5-6). Anche altri profeti bollarono l’illusione di chi immaginava che si potesse essere contemporaneamente religiosi e sfruttatori dei più deboli. Questo testo, che descrive la realtà sociale di alcuni millenni or sono, appare incredibilmente attuale. L’oracolo si conclude con una parola terribile, raccolta dalla bocca del Signore: “Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere” (Am 8,7).

Il tema delle ricchezze ingiustamente accumulate percorre anche il brano evangelico, che raggiunge il culmine nelle ultime righe. Gesù afferma: “Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”. Il testo greco, tradotto letteralmente, scrive: “Non potete servire Dio e Mamona”. Mamona era una divinità fenicia, che presiedeva all’accumulo di ricchezze, e a cui si prestava volentieri culto nella speranza di essere esauditi. Gli ascoltatori di Gesù capivano benissimo il significato di quelle parole, che valgono anche per noi.

Il servizio a Dio è alternativo al servizio alle ricchezze, vero idolo di ogni tempo. L’idolatria non è un’antica realtà, culturalmente superata, ma ci riguarda tutti da vicino. I nomi delle antiche divinità sono stati sostituiti da nomi più attuali: tra essi primeggia il dio Denaro. Idolo che promette sicurezza in cambio della servitù: penetra nelle strutture culturali, innerva la mentalità e costringe a fare ciò che uno non vorrebbe. È un ingannatore, non mantiene mai ciò che promette; rende schiavi, facendo leva sulle nostre paure inconsce: il domani, la vecchiaia, la malattia… Le ricchezze non sono necessariamente un idolo; lo diventano quando anziché usarle con libertà, per il bene comune, divengono un padrone implacabile. Siamo dunque chiamati a scegliere: Mamona o il Dio di Gesù Cristo.

La prima parte della lettura evangelica riporta una parabola piuttosto divertente, che ha a che fare appunto con le ricchezze. Il personaggio che apre il racconto è un uomo ricco, notevolmente ricco, tanto da aver bisogno di un amministratore. L’uomo ricco un giorno scoprì un grosso buco nel bilancio; convocò l’amministratore, gli chiese di vedere il libro dei conti e gli annunciò il licenziamento. Per l’amministratore fu un colpo: che fare? Dove andare ad abitare? Era troppo anziano per lavorare nei campi, mendicare sarebbe stata una vergogna.

Mentre radunava le carte, gli venne l’idea vincente: praticare uno sconto ragguardevole a tutti debitori del suo padrone; dopo lo sfratto, qualcuno di loro lo avrebbe certamente accolto in casa propria. Detto, fatto. Truccò le carte, senza probabilmente danneggiare il padrone, perché in realtà rinunciava a una parte della sua “liquidazione”. A sorpresa, qui la parabola dice che il padrone non solo non si risentì, ma addirittura ammirò la sagacia del suo ex amministratore, riconoscendo che era stato veramente intelligente. Qualcuno equivoca sempre, pensando che qui venga approvato il “falso in bilancio”. È chiaro che non è questo il senso. L’ammirazione del padrone è per la scaltrezza dell’amministratore disonesto, non certo per la cattiva amministrazione.

La parabola si conclude con il rammarico di Gesù, che rileva come i figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Il che equivale a dire: magari coloro che ricercano il Signore si impegnassero con la stessa sagacia di quelli che cercano di fare soldi! Seguono due pratiche applicazioni della parabola. La prima è l’invito a farsi furbi: restituite ai poveri le ricchezze disonestamente acquistate, vi preparerete così un posto sicuro nel Regno. La seconda raccomanda l’onestà anche nelle faccende minime; chi infatti è infedele nelle cose di poco conto, lo è anche in quelle importanti.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi