Moira Stocchi: impressioni dopo sette mesi in Kosovo

All'inizio è stata dura per la giovane in Servizio civile al campo Caritas. Ma anche la vacanza a casa, a Castel Ritaldi, le ha riservato degli imprevisti...

‘Sì, lo rifarei; ripartirei per il Kosovo’. Con queste parole la giovane Moira Stocchi ha raccontato i suoi primi sette mesi nel campo Caritas che le diocesi dell’Umbria hanno in Kosovo. Moira, 23 anni, della parrocchia di Castel Ritaldi, ci ha fatto visita in redazione, nelle tre settimane di ‘vacanza’ dal suo Servizio civile con la Caritas. Come prima cosa non abbiamo chiesto alla ragazza un bilancio del tempo trascorso in terra kosovara, come prassi vorrebbe, ma qual è stato l’impatto con l’Italia dopo un periodo trascorso in una terra povera e martoriata da numerosi conflitti. E lei, con il sorriso sulle labbra e con onestà, ha detto che è stato difficile, soprattutto la prima settimana. ‘Per quanto sia stato duro adattarmi in Kosovo – ha affermato – il ritorno a casa è stato molto più tosto. E questo perché in quella terra si vive in una realtà complicata, dove è alta la povertà con la quale devi confrontarti tutti i giorni, tutti i minuti. Torni a casa e vorresti raccontare le emozioni vissute, pretendi che gli altri ti capiscano, e ciò non accade. Sono tornata di domenica mattina. Ero entusiasta di vedere i miei genitori, i familiari, gli amici. Tutti ti cercano, ti aspettano, e un po’ ti senti anche soffocare. Molte cose sono rimaste com’erano, altre no. Si fa difficoltà a rientrare nella vita delle persone, nella realtà che ti circonda dopo sette mesi: non solo io, ma anche i miei amici hanno fatto in questo periodo il loro pezzo di strada. Poi, la sera mi sono sentita molto disorientata. Andavo alla ricerca di qualcosa che non c’era’. In Kosovo la giornata tipo di Moira ‘ e delle altre persone che vivono al campo – inizia alle 6; alle 6.30 c’è la preghiera delle lodi mattutine; poi, la colazione, durante la quale c’è il cosiddetto buongiorno: si tratta di un libro portato a turno dai ragazzi italiani presenti; sul testo vengono fatte delle riflessioni e ci si estrapolano dei pensieri, che saranno la bussola per l’intero giorno. Alle 8 inizia il lavoro. Vengono accompagnati a scuola i bambini, seguiti i poveri e i malati, fatti i lavori domestici. Tutto come in una nostra famiglia. Con la differenza che quella di là dal mare è di 40 componenti. Con un po’ di commozione in volto, la ragazza ci parla dei molteplici momenti belli vissuti in questi primi sette mesi. ‘Mi viene in mente – racconta – l’organizzazione del pranzo di Natale per i poveri; il grande lavoro per realizzarlo: dalla preparazione dei cibi all’allestimento della sala. Poi, come dimenticare l’arrivo della gente, dei tanti poveri, dei tanti volti sofferenti, allietati dalla gioia del condividere insieme il Natale. È un ricordo che rimarrà sempre nel mio cuore’. Ma come in tutte le esperienze forti che una persona vive, anche per Moira ci sono stati momenti difficili, di sconforto. ‘Parecchie volte, soprattutto all’inizio, ho detto: mollo tutto e torno a casa. Ho lottato, ho chiesto aiuto, ho pregato; con la forza del Signore e delle persone che mi stavano accanto sono andata avanti. L’esperienza del Kosovo ti prende tutta e io all’inizio avvertivo il bisogno di staccare. Ma è impossibile. Poi, ho trovato il mio equilibrio e ora le cosa vanno bene’. Dalle cronache estere degli ultimi mesi abbiamo appreso del voto del Kosovo per ottenere l’indipendenza. Anche in quel periodo delicato, la missione è andata avanti. ‘Tutto sommato – ricorda Moira – sono stati giorni tranquilli, anche se le Forze dell’ordine ci consigliavano di non andare in giro. Quando visitavamo le famiglie e chiedevamo cosa pensassero della situazione, ci sentivamo dire: speriamo che qualcosa cambi; siamo pieni di speranza per il futuro’. Moria rientrerà in Kosovo tra una decina di giorni; vi rimarrà fino ad ottobre; continuerà ad occuparsi dei bambini (scuola, compiti, gioco ecc.) e delle persone malate (visite mediche, iter ospedaliero ecc.).

AUTORE: Francesco Carlini