“Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno i primi”

( Domenica XXV Domenica del Tempo ordinario – anno A – La parabola della vigna)

“I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” dice il Signore tramite il profeta Isaia al popolo invitato a convertirsi fin tanto che c’è ancora tempo, ma un tempo che deve essere ben investito. E la logica del tempo insieme alla illogicità (umanamente parlando) dell’agire di Dio costituiscono la trama del messaggio di questa 25ma Domenica del Tempo Ordinario: a tutti è data l’opportunità di aderire alla fede e tutti, indipendentemente dal momento dell’adesione, usufruiscono degli stessi ‘meriti’. Il brano evangelico riporta la prima delle tre parabole così dette della ‘vigna’. Basata sulla tecnica del ‘rovesciamento’ è infatti introdotta dalla certezza che “molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi” e conclusa dalla stessa espressione appunto “rovesciata”, “così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”.

L’occasione di questo insegnamento che Gesù elargisce ai suoi uditori è il viaggio verso Gerusalemme e quindi la premura di proporre la serenità dei rapporti tra i primi chiamati (giudei) e gli ultimi “chiamati” (pagani). Gesù presenta l’immagine della “vigna”, immagine molto cara al linguaggio veterotestamentario e rabbinico in quanto rappresenta la comunità israelitica, e parla di un “padrone di casa” che ha molto a cuore la sua “vigna” tanto da uscire “presto” al mattino “per assumere operai per la sua “vigna”. Subito accorda con gli operai “un denaro al giorno” che, rapportato al tempo di Gesù, è decisamente una buona paga, e li invia nella “vigna”. Poi il padrone di casa esce verso le 9 e trova in piazza dei “disoccupati” e li invia nella “vigna” promettendo loro non “un denaro”, ma “quello che è giusto”. Di nuovo il padrone di casa esce verso mezzogiorno e ancora verso le tre e “fece altrettanto”. Infine esce verso le 5 pomeridiane e trova altri“disoccupati” e invia anche loro nella “vigna” non facendo menzione alcuna della paga. Riflettiamo su alcuni aspetti. I momenti in cui il padrone di casa esce sono: l’alba, le 9, le 12, le 15 e circa le 17 e infine “venuta la sera”, cioè al tramonto. Se si eccettuano le 17 (l’ora undicesima), tutti gli altri orari sono corrispondenti ai turni di preghiera nel Tempio e, l’insieme del tempo lavorativo, dall’alba (ore 6) al tramonto (ore 18) costituiscono le 12 ore lavorative necessarie per l’attività agricola. Ancora.

Gli assunti a lavorare nella vigna sono “disoccupati”, letteralmente in greco argoi (da ergon che vuol dire “opera” + alfa privativa), cioè “senza opere”, “inoperosi”. I due elementi degli orari e della inoperosità sono intrinsecamente legati alla Parola (Torah) con la quale si pregava per turnazione nel Tempio. L’inattività è causata quindi da un ascolto della Parola che non è stato ancora proposto a tutti. Ma continuiamo a leggere il testo. Entra in scena infatti una terza persona, il “fattore” che deve prendere in mano la situazione regolando i conti, ma dietro le direttive del padrone di casa: “chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Già in questa direttiva c’è dell’assurdo perché sarebbe più giusto cominciare dai primi visto che è dalla mattina presto che stanno fuori casa a lavorare e sotto il sole! Invece la paga comincia ad essere consegnata proprio a partire dagli ultimi. In più sopraggiunge la constatazione dei “primi” di essere pagati per “ultimo” e per di più allo stesso modo degli “ultimi”, per un denaro! I “primi” mormorano contro il padrone di casa e il verbo mormorare, espresso all’imperfetto come a significare un’azione continua, è lo stesso utilizzato dai Vangeli (Lc 5,30) e messo in bocca ai farisei che criticavano il comportamento di accoglienza di Gesù nei riguardi dei pubblicani e dei peccatori.

Il padrone della vigna remunera gli operai con un denaro sia a quelli cui aveva promesso un denaro, che a quelli cui aveva garantito il “giusto”, sia a quelli cui non aveva specificato la paga. A colui che parla a nome dei “primi”, Gesù si rivolge con il titolo di “amico”, come a dimostrare una certa familiarità, e lo esorta a non essere invidioso (letteralmente “guardar male”) perché Lui è buono. Gesù si sta rivolgendo a coloro che già godono dei benefici della Torah, i “primi”, ma Lui vede la Sua “vigna” non più solo costituita da israeliti, ma anche da quanti si apriranno alla nuova logica del Vangelo pur provenendo dal paganesimo. Ad entrambi deve essere destinata la stessa opportunità di ascoltare la Parola del Vangelo e di ricavarne profitto spirituale e culturale. La parabola è perciò un invito a godere della gioia divina quando qualcuno accoglie il Vangelo seppur all’“ultimo”. Nello stesso tempo è un appello ad imitare questo padrone della vigna che non si dà pace e che fino all’“ultimo” va in cerca di quanti sono disponibili ad accoglierLo e ad entrare nella logica della “vigna” che non è fatta di prime e di ultime ore, ma che riguarda l’infinito che pur tuttavia va “guadagnato” in questo tempo che ci è messo a disposizione.

AUTORE: Giuseppina Bruscolotti