Mons. Tuzia: “verrò a scoprire i vostri tesori profondi”

s.e. rev.ma benedetto tuzia vescovo di orvieto-todiLa curiosità è naturale nei confronti di un nuovo Vescovo che giunge alla guida della diocesi. Ci sono due interpretazioni della parola “intervista”: la prima si sofferma sul vedersi reciproco, dialogare con una persona; la seconda sull’intravedere, vedere la persona in profondità, scrutarne i sentimenti, le idee. Con mons. Benedetto Tuzia sono presenti entrambi gli atteggiamenti, ma poteva bastare la prima domanda: “Chi è Gesù Cristo per lei?”. È quello che conta, il Vescovo viene ad annunciarci solamente una cosa: Gesù Cristo è il Salvatore della vita. Tutto il resto è commento.

Non la consideri una domanda scontata, ma chi è Gesù Cristo per lei?

“Non la ritengo sicuramente una banalità, la trovo come un invito a leggere la propria vita. Cosa è accaduto in me è l’incontro con Lui fin dall’adolescenza. Gesù mi ha fatto sentire sempre più forte l’invito a seguirlo, la proposta di mettere la vita a servizio, di uscire da me per realizzare con Lui il grande ideale della vita”.

Annunciare il Vangelo in un mondo che cambia. Non la spaventa?

“No. Prima di tutto perché il cambiamento fa parte della vita. E il Vangelo è la bella proposta che risponde al desiderio profondo dell’uomo, che rende quindi l’esistenza entusiasmante e piena di significato. Per questo non mi spaventa”.

Lascia una grande metropoli, una Chiesa molto complessa ma anche assai vivace, per una piccola realtà carica di storia che guarda troppo al passato e poco al futuro…

“Il mio servizio pastorale come parroco e poi come vescovo ausiliare a Roma, certamente, mi ha fatto sperimentare in modo concreto l’universalità della Chiesa, allargare l’orizzonte. Una piccola realtà aiuta ad andare in profondità, a scoprire le ricchezze nascoste, ad entrare nelle pieghe della vita concreta. Riserverà – spero – sorprese belle! L’augurio è che per me e per la Chiesa che sono chiamato a servire si apra una stagione feconda”.

Conosce il detto umbrus lentus, cioè restio al cambiamento… oppure prudente. Qual è la sua interpretazione?

“Non sono in condizione di conoscere profondamente le persone che hanno questa cultura. Ritengo grande saggezza sapere che i tempi di assimilazione di ogni vero cambiamento sono lunghi e richiedono pazienza”.

Abbiamo circa 100 mila battezzati, in 93 parrocchie, con oltre 150 luoghi di aggregazione umana. Un problema pastorale o una risorsa?

“Oggi abbiamo luoghi di aggregazione, luoghi di passaggio veloci. I luoghi sono offerte, è per noi una chance importante riuscire a collocarci e saper seminare in essi. Occorre essere attenti a tali luoghi, che possono costituire ottime occasioni per collocare lì la grazia del Vangelo”.

In ogni comunità è forte l’identità di appartenenza. Condivide il motto: “identità in comunione”?

“Sono due aspetti, due dimensioni che devono vivere in armonia. Guai a vivere identità separate, a non vivere la propria identità in comunione. Occorre una pluralità, un mosaico di volti in comunione in ogni ambito, ecclesiale, civile e culturale… con identità aperte che si lascino arricchire dall’incontro”.

La famiglia anche da noi è in una situazione di sofferenza…

“Mah! Intanto dobbiamo cercare di ritenere e vivere la famiglia come una risorsa, sia dell’umanità che della Chiesa. Oggi purtroppo è investita da venti gelidi. Per noi l’impegno di aiutarla, sostenerla, proteggerla, promuoverla, investendo risorse umani e pastorali. Non è tutto bianco o tutto nero, luce o tenebre, ma si ha una risultanza grigia. Siamo consapevoli della presenza nella storia del bene, della grazia, ma anche della fragilità e dei limiti. Per questo è necessario promuovere il bene che c’è, aiutarlo a crescere. Il cristiano è un ottimista, e lo è naturalmente perché sa che Qualcuno prima, oltre e molto più di noi, sta lavorando”.

Trasmettere la fede alle nuove generazioni: è possibile?

“I ragazzi e i giovani sono sintonizzati con Cristo e con la sua proposta. Hanno grandi ideali, ed è naturale che siano sintonizzati con Chi ti propone cose grandi, anche se le interferenze sono molte e forti. Aiutiamoli, allora, a mantenere vivi i doni profondi, naturali che Dio ha messo nel loro cuore, aiutiamoli a mettere al centro il credere. I giovani hanno bisogno di riferimenti… Certo che è possibile aiutarli. Come? Dobbiamo accoglierli, parlare, dialogare con loro, sintonizzarci noi con loro, captare le loro attese”.

La crisi “morde” anche da noi, che fare?

“Non dobbiamo ristagnare nel pessimismo ma alimentare la speranza e compiere gesti, azioni di solidarietà”.

Mons. Giovanni Marra le lascia una porta da aprire, il Giubileo eucaristico: un bella sfida per un nuovo Vescovo.

“La sfida più impegnativa è aprire la porta del cuore, quella di ogni persona. L’eucaristia non è solo segno, essa efficacemente fa di noi quello riceviamo, quello che celebriamo. Ci trasforma in ciò che riceviamo! L’apertura del cuore è allora indispensabile per accogliere il Dono e lasciarsi trasformare, partecipi del Suo progetto”.

Sa che abbiamo cinque monasteri di clausura ma le congregazioni di vita attiva sono in grande affanno. La donna è poco valorizzata nella Chiesa?

“Credo che occorra recuperare il messaggio di Giovanni Paolo II, che ci ha aiutato a scoprire il profilo femminile e mariano della Chiesa. Riguardo alla vita attiva in affanno, alla mancanza di vocazioni femminili, possiamo dire che probabilmente è in affanno la nostra fede prima ancora che i nostri impegni”.

Per quanto concerne le vocazioni al sacerdozio, qualcosa si muove, ma lei guiderà una Chiesa con sempre meno preti…

“Dobbiamo crescere in qualità, in santità di vita. Le vocazioni al sacerdozio non sono solamente una questione numerica. Perché i giovani si innamorino del progetto di Dio e rispondano alla Sua chiamata, è importante la nostra testimonianza. È la testimonianza che dobbiamo dare!”.

I laici devono impegnarsi in politica o nell’ambito ecclesiale?

“Non sono due ambiti in contrasto o in alternativa. C’è un impegno di natura spirituale nel contesto ecclesiale e nella propria famiglia. La luce che risplende nella Chiesa e in casa non si può trattenere, ed ha i suoi effetti benefici anche all’esterno, a seconda di dove ognuno si colloca in ambito sociale”.

Anche in diocesi, vivere in comunione è difficile.

“È difficile, ma non possiamo puntare solamente sul nostro sforzo. La comunione è anzitutto dono di Dio. Siamo creati ad immagine della Trinità, e l’amore è già seminato nei nostri cuori. Certo, poi diventa nostro compito realizzare la comunione già impressa in noi, alimentandola con i doni che Dio ci mette a disposizione. Tutto ciò dà credibilità a quello che noi facciamo, non bastano le parole. Serve la verifica della vita”.