Noi, assetati della speranza di amore

L'enciclica 'Spe salvi' di Benedetto XVI porta avanti il discorso intrapreso con la 'Deus caritas est'

Spe salvi facti sumus: ‘Nella speranza siamo stati salvati’. Si apre con questa citazione della Lettera ai Romani di san Paolo (8,24) la seconda enciclica di Benedetto XVI. Sul testo abbiamo rivolto alcune domande a mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e teologo di fama internazionale. Dopo la carità, la speranza: a quasi due anni dall’enciclica ‘Deus caritas est’, quale filo rosso che unisce i due documenti? ‘Il cuore dell’uomo ha bisogno di amare e di essere amato per vivere e per affrontare la morte: è un bisogno non solo personale, ma anche collettivo. Dagli scenari del tempo, come da quelli del cuore, si leva una grande attesa di amore: ad essa ha inteso corrispondere l’enciclica Deus caritas est. Si tratta di un’attesa; e tutte le esperienze che le corrispondono restano comunque segnate dalla fragilità della vita, dalla caducità delle opere e dei giorni degli abitatori del tempo. Ecco perché il bisogno di amore si lega indissolubilmente alla speranza: l’attesa di un bene futuro, arduo, ma possibile a conseguirsi. In questo senso, la penuria più grande dell’epoca moderna e post-moderna non è forse tanto quella di amore, perché l’amore viene perfino inflazionato nelle tante forme, anche sbagliate, in cui è offerto. La vera penuria è quella della speranza di un possibile – impossibile amore che vinca l’ingiustizia e risani le ferite dell’anima. Benedetto XVI coglie sin dall’inizio della sua enciclica questo bisogno: ‘Il presente – dice -, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino’ (Spe salvi, n. 1). Solo se c’è in te una grande speranza potrai dare senso alla vita ed amare al di là di ogni misura di stanchezza’. Quale il significato profondo per i cristiani dell’espressione: ‘Nella speranza siamo stati salvati’? ‘È il Papa stesso a spiegarlo nell’enciclica: ‘Nella speranza siamo stati salvati, dice san Paolo ai Romani e anche a noi (Rm 8,24). La redenzione, la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente’ (n. 1). L’opera del Dio fedele nell’amore inizia in noi con la creazione e con la redenzione, ma il suo compimento sarà nella gloria: nel presente, è la salvezza nella speranza, iniziata ma non ancora definitivamente compiuta, la nostra gioia e la nostra forza’. Il Papa traccia un vero e proprio identikit della speranza cristiana. Quali le sue principali caratteristiche? ‘La parola del Papa è chiarissima: ‘Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore’ (n. 26). La speranza, fondata nelle sole possibilità dell’uomo, prima o poi delude. Solo la speranza che ci viene donata, quella che viene a noi dall’Altro che ci ama, è la speranza cristiana. ‘In questo senso – dice il Papa – è vero che chi non conosce Dio, pur potendo avere molteplici speranze, in fondo è senza speranza, senza la grande speranza che sorregge tutta la vita (cfr Ef 2,12). La vera, grande speranza dell’uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio, il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora sino alla fine, fino al pieno compimento’ (n. 27). Qui la forza dell’argomentazione non è solo speculativa, ma anche storico-pratica: è la lettura dei processi storici della modernità a convincerci come le sole forze umane non possano fondare una vera speranza. L’emancipazione senza dono dall’alto, senza orizzonte ultimo, in una parola senza redenzione, è alienazione e non libertà, violenza e non pace, morte e sopraffazione e non giustizia’. ‘Spe salvi’ è quindi, per la Chiesa italiana, uno stimolo ulteriore a camminare nelle linee tracciate dal Convegno di Verona, anch’esso dedicato al tema della speranza? ‘Certo. C’è una profonda continuità fra quanto il Papa ha detto a Verona, circa il sì di Dio pronunciato in Cristo come sorgente e contenuto della speranza che abbiamo da dare al mondo, e quanto afferma nell’enciclica. In questo senso, si coglie ancor meglio quanto grande sia il potenziale pastorale di questo testo. Esso ci invita a riflettere su un contenuto centrale, di cui il nostro tempo e la nostra società complessa hanno più che mai bisogno: la speranza’. L’enciclica è stata pubblicata in occasione della festa di sant’Andrea, patrono della Chiesa di Costantinopoli. Un caso? ‘No, la data del 30 novembre certamente è espressiva: anzitutto, in positivo per la vicinanza alla devozione che i cristiani d’Oriente hanno per questo apostolo. Il Papa conferma anche così la sua attenzione ecumenica, convinta e perseverante. Poi, come per ogni apostolo, la figura di Andrea ci richiama il compito di portare a tutti la buona novella. E la speranza è il Vangelo di cui il mondo, uscito dalla crisi dei totalitarismi e delle ideologie, e malato del debolismo rinunciatario di una certa post-modernità, ha più che mai bisogno. Infine, il riferimento all’apostolo evidenzia come la speranza non sia virtù individualistica, ma sia generata in noi dalla comunione con Cristo e con la Chiesa e si estenda ad abbracciare non solo il destino personale, ma l’intera avventura umana e il cammino concreto della comunità degli uomini e della Chiesa nel tempo’.

AUTORE: Vincenzo Corrado