Non la vendetta ma l’amore

Commento alla Parola della Domenica

AltareBibbiaLa Parola di Dio di questa VI sesta domenica del tempo ordinario è piuttosto esigente: qualora pensassimo di non farcela ad applicarla, abbandoniamoci totalmente all’infinta misericordia di Dio. L’invito infatti che ci viene rivolto dal libro del Levitico è: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”. E continuando la lettura, si apprende che la santità si raggiunge attraverso atteggiamenti quale – anche e soprattutto – lo sradicamento dell’odio e della vendetta dal cuore. Gesù riprende gli insegnamenti della legge di Mosè e, dopo aver esposto le prime quattro questioni (la scorsa domenica), conclude la prima parte del Discorso della montagna affrontando la legge del “taglione” e l’amore per il prossimo. La legge del taglione, la cui più antica testimonianza pervenuta è quella del Codice di Hammurabi (XVIII secolo a.C.), prescriveva che la punizione doveva corrispondere in modo proporzionale al torto subìto: occhio per occhio, dente per dente. Serviva a dare un limite alla violenza ‘punitiva’. Gesù però rifiuta la logica della vendetta e inaugura una nuova fase nelle relazioni tra esseri umani. Forse per ulteriore chiarezza, fa l’esempio dello schiaffo, specificando che colpisce “la guancia destra”: si tratta cioè di un manrovescio inferto con il dorso della mano destra, un colpo traditore oltre che doloroso. Lo stesso vale per l’esempio della tunica che viene tolta ingiustamente: si deve reagire concedendo “anche il mantello”. Lo schiaffo e la tunica sono elementi che caratterizzano la Passione, a cui Gesù non si è sottratto, abbattendo definitivamente la legge della vendetta a favore della legge dell’amore. E l’amore è lo stile di vita a cui Gesù vuole condurre i suoi uditori. Anche se già nell’Antico Testamento (Es 23,4-5) c’è un cenno all’amore per il nemico, di fatto è Gesù che per primo lo insegna e testimonia in maniera inequivocabile. Dopo Gesù è la Didachè (II secolo d.C.) a proporre la pratica del digiuno a favore dei persecutori e la benedizione per i nemici (1,3). E fin qui tutto fila liscio… ma la Parola di Dio sembra presentare una contraddizione là dove, attraverso san Paolo, afferma: “Fratelli, non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio che siete voi”. Da questo monito risulterebbe che Dio è vendicativo!

 

Analizziamo il contenuto per cercare di comprendere. Paolo si esprime con la seconda persona plurale “voi”, riferendosi alla comunità dei Corinzi. Usa una terminologia precisa definendo la comunità (“voi”) “tempio di Dio” e affermando che in esso “abita lo Spirito di Dio”. Non a caso l’Apostolo rivolge questo insegnamento ai Corinzi, che potrebbero aver pensato ai molteplici templi pagani, per esempio quello di Apollo. Ma specificando “Spirito di Dio” dimorante in un tempio, Paolo non intende il politeismo quanto invece lo Spirito del Dio di Israele presente nel tempio di Gerusalemme. Nel momento in cui Paolo scriveva ai Corinzi, il Tempio non era stato ancora distrutto ed era in piena attività. Per gli ebrei e per Paolo (prima della conversione) era il luogo della presenza di Dio. Ora Paolo fa un gigantesco passo in avanti: lo Spirito di Dio ora è presente nella comunità. Lo Spirito non è più contenuto in un edificio sacro: è presente nel singolo credente (1Cor 6,19) e nella comunità raccolta in nome di Cristo (1Cor 3,16). Se la Chiesa è la dimora di Dio, coloro che operassero per la sua distruzione oltraggerebbero Dio stesso, compirebbero un sacrilegio. C’è quindi un rovesciamento di situazione, perché non è Dio a essere vendicativo quanto lo stesso operatore di male (distruttore / divisore) a mettersi contro la presenza di Dio. L’uso del verbo “distruggere” al futuro, in riferimento a Dio, ha un sapore del tutto escatologico. L’esegesi scritturistica informa che l’ira da parte di Dio nella Bibbia è citata circa 1.000 volte, perlopiù quando il Suo popolo pecca di idolatria oppure quando la Sua “eredità” (ancora il popolo) è minacciata. Alcuni brani biblici ‘violenti’ sono eliminati dalla liturgia forse per non destare scandalo, ma questa è una vera e propria “mutilazione della Bibbia” (Enzo Bianchi). Il linguaggio forte della Scrittura ci fa invece evidenziare quanto Dio ami il suo popolo, la sua Chiesa. “Dio è geloso” (Es 20,5). Coloro che peccano contro la comunità, peccano contro Dio, e quindi fanno del male a se stessi. La comunità dei fedeli è sacra! Si comprende quindi il motivo per cui Paolo, in modo accorato, rivolge ai suoi lettori un appello a non ricercare vantaggi personali a discapito della fraternità, a rinnegare rivendicazioni pretestuose e pericolose per l’unità al fine di costruire saldamente sul fondamento del Vangelo. Ritorna perciò il comandamento dell’“amore per il nemico” attraverso l’abbattimento del rancore, e nello stesso tempo è chiesto il rispetto assoluto per la comunità del Signore, realtà che rende visibile la presenza di Dio. Che facciamo, dunque? Ricominciamo ogni giorno a vivere secondo questa logica dell’amore. Il tutto per la stessa motivazione da cui siamo partiti, la purezza della vita, la santità: “perché santo è il tempio di Dio, che siete voi”.

 

AUTORE: Giuseppina Bruscolotti