di Card. Gualtiero Bassetti
Norcia e Aleppo sono due simboli viventi dei tempi odierni. Due città che distano migliaia di chilometri una dall’altra, ubicate in due continenti diversi, colpite da due calamità totalmente differenti. La prima è stata percossa da un terremoto devastante che ha colpito duramente le popolazioni del centro Italia, e che ha raso al suolo le chiese e il patrimonio artistico nursino.
La statua di san Benedetto nel centro della piazza di Norcia sembra raccogliere le lacrime di una città ferita al cuore e lo strazio di una cattedrale distrutta. La seconda invece è stata trafitta da una guerra fratricida che ha prodotto migliaia di morti tra i civili e che ha abbattuto case, strade e palazzi. Gli uomini, le donne e i bambini in fuga su quelle lunghe colonne di pullman verdi lungo le vie di Aleppo sono soltanto una parte di quei milioni di persone che sono già fuggiti, nei mesi scorsi, dalla Siria.
Queste due città così apparentemente differenti e lontane sono legate insieme da un destino comune. Che non è soltanto la vicinanza del dolore, ma è qualcosa di più profondo che ci annuncia il significato autentico del Natale. Qual è il destino comune che lega Norcia e Aleppo? Per prima cosa è la presenza dell’ humanitas . Tutte le città, di tutto il mondo e di tutte le epoche, come Betlemme e Gerusalemme ai tempi di Gesù, e come Norcia e Aleppo del 2016, non sono soltanto dei “cumuli occasionali di pietra” ma, come diceva Giorgio La Pira, sono “un luogo dell’anima”.
Le città hanno una “vita propria” e un’identità profonda. Le città sono vive, e tutti gli elementi che le compongono sono “organicamente collegati” perché c’è una “pasta unica”, un “lievito unico” e, in definitiva, sono una “casa comune”. Le città sono le case e gli angoli dei palazzi, gli ospedali e le chiese, le persone e la loro intima storia.
Il secondo elemento che le tiene assieme è senza dubbio l’eredità cristiana. Il Medio Oriente è la regione della prima evangelizzazione. In Siria predicò san Paolo e ovunque, prima della guerra, vi erano non solo i luoghi della memoria di questa presenza, ma i luoghi vivi di una comunità cristiana antichissima che si è trasmessa di generazione in generazione superando scismi, eresie e persecuzioni.
Aleppo, prima della tragedia della guerra, era una delle più importanti città cristiane del mondo arabo insieme a Beirut e Il Cairo. Norcia, invece, dando i natali a san Benedetto, è il simbolo della seconda evangelizzazione, quella europea. Chiunque ha avuto modo di vedere una cartina dell’Europa in età medievale in cui fossero riprodotti tutti i monasteri benedettini (oltre a quelli francescani ovviamente) può farsi un’idea di cosa abbia rappresentato l’eredità dell’ora et labora: un reticolo impressionante di luoghi di preghiera; un intreccio vastissimo di opere e predicazione; una base solidissima su cui costruire il Continente europeo.
Il terzo elemento che accomuna le due città è il comune destino, esistenziale e non solo fisico, di avere famiglie di migranti. Moltissime le famiglie siriane che sono fuggite dal proprio Paese e hanno trovato riparo in Italia. Alcune anche in Umbria. E sono moltissime anche le famiglie di Norcia che hanno lasciato la propria città e hanno trovato ricovero a Perugia, a Corciano o in alcuni Comuni del Trasimeno.
Lasciare la propria casa significa vivere, indubbiamente, una situazione dolorosissima. Significa essere strappati a forza dai propri affetti e da un consolidato e identitario stile di vita. Essere “migranti” significa, in altre parole, essere poveri. E la povertà non è solo un dolore indicibile per chi la vive, ma è anche uno scandalo inesprimibile per la nostra società che come il Titanic sembra viaggiare forte, ipocrita e gaudente nel suo viaggio di inaugurazione.
Eppure, mai come oggi, proprio in questi giorni che precedono il Natale, a Norcia così come ad Aleppo, non bisogna perdere la speranza per nessun motivo. Perché, come ha scritto magnificamente Charles Péguy, la Speranza è una bambina “irriducibile”.
Rispetto alla Fede che è una sposa fedele e alla Carità che è una madre, la Speranza sembra, in prima battuta, che non valga nulla. E invece, afferma Péguy, è esattamente il contrario: proprio la Speranza “che è venuta al mondo il giorno di Natale, portando le altre, traverserà i mondi”.