È un nuovo Sessantotto? No

di Pier Giorgio Lignani

In Francia l’annuncio di una modesta sovrattassa su alcuni tipi di carburante – pensata per incentivare i motori meno inquinanti – ha scatenato una rivolta popolare così turbolenta che il Governo, alla fine, ha creduto meglio fare un passo indietro. Una protesta, nota bene, non classificabile sotto una precisa etichetta politica.

Negli stessi giorni alcune elezioni locali in una regione della Spagna hanno premiato un movimento di protesta.

Episodi del genere, sia pure in forme molto diverse, si stanno verificando in tutta Europa, con il caso eclatante dell’Italia, dove hanno preso il potere due movimenti apparentemente diversi in tutto ma accomunati dall’essere “antisistema” (qualunque cosa voglia dire questa parola).

C’è un filo conduttore? Forse sì; ed è molto diverso da quello che, a partire dal Sessantotto (cinquant’anni fa!), legava i movimenti giovanili di tutta Europa in una rivolta che anche allora appariva “antisistema”. La differenza sta in questo: negli anni 1968 e seguenti – anni che un protagonista ha definito “formidabili” e che io valuterei assai più criticamente – il movimento si proponeva, sia pur confusamente, di aprire le porte a un mondo nuovo e a una società nuova.

Oggi sembra che, altrettanto confusamente, i movimenti (meglio parlarne al plurale) siano ispirati alla nostalgia per un mondo passato, meno tecnologico (smartphone a parte), meno europeista, meno globalista, meno interculturale, meno aperto al dialogo.

Il movimento iniziato nel 1968 puntava alla cancellazione di tutti i confini, e raggiunse il suo vertice simbolico ma anche pratico nel 1989 con l’abbattimento del muro di Berlino; i movimenti di oggi si esaltano all’idea di “difendere i confini nazionali”, ripristinare le separazioni, recuperare le identità culturali in pericolo.

Lungi da me stabilire assiomaticamente l’equazione per cui andare avanti è il Bene e tornare indietro è il Male. Però, se difendere i confini e i valori tradizionali è il modo nobile per dire che non si vuole condividere il proprio benessere con i poveri del mondo, come cristiani non ci siamo.