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“Comunicazione della fede e nuovi linguaggi”

La comunità della diocesi di Città di Castello si sta preparando all’Assemblea ecclesiale che si terrà nei giorni 22-23 ottobre prossimi nella chiesa della Madonna del Latte secondo il consueto orario, dalle 18.30 alle ore 22.30. Il tema scelto per l’Assemblea di quest’anno è “Comunicazione della fede e nuovi linguaggi” e sarà presentato da don Tonino Lasconi, parroco a Fabriano, esperto di comunicazione della fede, soprattutto agli adolescenti ai quali ha dedicato numerose pubblicazioni. L’Assemblea ecclesiale diocesana rappresenta un appuntamento molto importante per tutta la comunità diocesana perché, se così si può dire, segna l’inizio di un nuovo anno pastorale. “Comunicazione della fede e nuovi linguaggi”, il tema che sarà affrontato nella prossima Assemblea, vuole unire la Chiesa di Città di Castello a quella italiana che si è proposta, in linea con quanto detto dal papa Giovanni Paolo II, di riflettere e di proporre a tutte le persone una nuova evangelizzazione, nuova non tanto nei contenuti, quanto nei “metodi, nel linguaggio e nell’ardore”. A tal proposito durante l’Assemblea non si potrà prescindere dal far riferimento alla Novo Millennio Ineunte e agli orientamenti pastorali della Cei per il prossimo decennio. L’Assemblea di quest’anno sarà anche l’occasione per preparare il prossimo Convegno ecclesiale regionale che si terrà ad Assisi nei giorni 17-18 novembre e avrà come tema “Per una nuova comunicazione delle fede. Le chiese dell’Umbria si interrogano ed interpellano i giovani”. Nel ribadire l’importanza di questo appuntamento diocesano, vorrei rivolgere un particolare invito a partecipare a tutti gli operatori pastorali, specialmente a coloro che svolgono il servizio di formatori, educatori, animatori di gruppi di catechesi sia per i ragazzi, ma anche per gli adulti.

La Chiesa diocesana a confronto in una grande assemblea

Sono arrivati in trecento dai luoghi più vari e dispersi della diocesi, in un incerto pomeriggio di fine settembre, disinvolti e tranquilli, e, come scolari coscienti e composti, si sono assisi nell’ampia aula quattrocentesca di un monumentale palazzo in attesa del maestro. Così è iniziato in Orvieto nella sede abituale dei congressi, il giorno 29 scorso, l’annunciato sulla carta Convegno ecclesiale “Io sono con voi” ed ora stabilmente impresso nella pagina interna del cuore per il vivo convincimento della sua presenza. La Chiesa lo sa che tutta la sua sicurezza dipende da questo di Lui “esserci”, nel quale c’è anche il nostro “esserci”, se veramente Gli apparteniamo. Ecclesia e Cristo si identificano da sempre, come l’anima e il corpo. Perciò il primo atto è stato quello di evocare la sua reale presenza attraverso l’innalzamento o l’intronizzazione – termine un po’ scaduto , ma significativo- di un’ immagine che realisticamente lo richiamasse, più che per debito di devozione, di convinzione dichiarata che senza di Lui anche una massa considerevole di gente non è né viva né forte; un’immagine che lo esprimesse in un momento dinamico, una penetrante figura di uomo che porta la croce, di Salvatore in rischio, impegnato in una fatica e in una sofferenza epocale; un’immagine, di fatto, sottratta dal chiuso sacro recinto di un convento di suore e legato alla devozione di un vecchio prodigio, per farne l’insegna, l’icone, onde trarne la forza e la direzione di una rinascita e di una volontà di ripresa. Lui solo è il maestro, il quale non cessa di parlare alla Chiesa che Lo ascolta. “Ripartire quindi da Cristo, dopo esserselo bene impresso addosso: il Cristo non umanizzato dagli uomini e dalla storia, ma quello umanizzato da Dio”. In un mondo assuefatto a processi di riadattamento e di riciclaggio, perché incapace di creare, la sete di novità equivale a ricerca di autenticità: è possibile comunicare ancora la fede – si sono domandati i Pastori dell’Umbria e d’Italia – nell’era della globalizzazione, di internet e della società multireligiosa solo lasciandosi interpellare dalle novità dei tempi ? La risposta data dai giovani è positiva: quindi le nostre Chiese hanno ancora risorse e vitalità da spendere. A questo scopo un Convegno ecclesiale non si risolveva più in un evento di pastorale specifica, ma “in un fatto di Chiesa, che non solo in ascolto ma in studio e confronto davanti a Cristo sostava, consapevole ormai che solo da Lui è necessario ripartire. Il Vescovo, in apertura, con poche decise battute, ha orientato la coralità del concerto: “il compito di portare Cristo nel mondo è divenuto più difficile. Una volta la tradizione era d’aiuto, oggi invece è più fatica a mantenerla. Bisogna quindi in un certo senso rigenerare la fede alla sua fonte per comunicarla ad un mondo, troppo distratto e chiuso, in continua evoluzione nella ricerca di novità solo appaganti. E così aprire in esso, tra le maglie ristrette dalla voluttà di vivere, varchi possibili per aiutare gli uomini che non hanno più tempo, a ritrovare spazio per Cristo, unico Salvatore dell’uomo e del suo destino”. L’attimo riservato alla preghiera, all’alitare dello Spirito, era già scontato. Immediatamente l’auditorium diveniva Cenacolo. Era l’ora in cui una guida doveva prendere per mano l’uditorio e condurlo a contatto di una esperienza dal vivo del Cristo, per “ripartire da Lui”: la scelta è stata semplicemente felice: don Gualtiero Sigismondi ha lodevolmente assolto il suo compito. L’itinerario era già segnato dal documento pontificio Novo millennio ineunte: la vicenda dei discepoli di Emmaus, così come raccontata in quell’ incantevole pagina del Vangelo di Luca (Lc. 24,13-35): ognuno ha ascoltato senza battere ciglio, ma non si sono domandati gli uditori, come i disorientati e tristi discepoli chi fosse lo strano viandante che si era loro associato e conosceva così bene le cose.Lo sapevano già; nondimen o come è successo ai primi, non si sono affatto sottratti alla stessa sensazione dell’ardore del cuore. Siamo sicuri che ognuno, alla fin fine, Lo ha invitato ad entrare. Nell’immediato successivo dibattito se n’è avuta la prova. E così più tardi e nel giorno seguente, quando è toccato ai coniugi Pagnottelli di Viterbo di indicare “la scelta di seguire Cristo nella famiglia” e al padre Pietro Messa “l’altra scelta di seguire Cristo nel sacerdozio e nella vita religiosa”. Relazioni e testimonianze e interventi che dovranno essere riletti e meditati, riferiti ed analizzati ampiamente negli atti del Convegno, perché diventino autentico concerto di vita e fermento d’azione. Ma quella pagina del Vangelo, messa lì come pietra di fondamento, ha continuato sicuramente a fomentare l’ardore anche nei cuori più restii e più chiusi. Per nostro conto, l’abbiamo risentita viva e palpitante, e con tonalità più elevate di autentica ispirazione, nella Veglia notturna di preghiera, a sera alta, tra le mura di un monastero francescano di clarisse, nella chiesa del Buon Gesù. Dove voci, accenti, e sospiri e suppliche, uscivano da labbra e petti, soprattutto di giovani, scaricando quell’ansia di un mondo e di un’epoca d’affanno, che le vane pretese di facili moderni sociologi non riescono minimamente a penetrare, nel largo respiro di un clima misticamente acceso di intima e profonda confidenza, a tu per tu, concessa dalla bontà di un grande signore, il Signore Gesù. Ma dove finalmente ci è riapparsa con estrema potenza e lampante evidenza, lo dobbiamo pur dire, è stata in quella mirabile assemblea eucaristica, che nel vano monumentale del Duomo si è stampata a caratteri di fuoco- fuoco dei cuori e fuoco dello Spirito -, dove veramente il cenacolo ha assunto dimensioni di grande portata; in quella massiccia concelebrazione della liturgia domenicale vespertina, a chiusura del convegno ma ad inizio di un’era nuova, quasi edizione plenaria di una Chiesa ancora prepotentemente viva, dove, ad un certo punto dell’ intero concento, a coronamento di tutto, si è levato un assolo sublime, alla chiamata del Vescovo: Eccomi ! vengo . Si, lo voglio!. Un giovane infatti si è staccato definitivamente dalla massa e si è apprestato all’altare. Il rag. Andrea Rossi di Baschi aveva maturato la sua scelta, aveva definitivamente abbandonato il mondo per seguire Cristo, come diacono, a servizio dei poveri nella Chiesa di Dio.Era questo il meglio e forse il successo più immediato e convincente di un Convegno ecclesiale ben riuscito.

L’Eremo di Sant’Ambrogio ritorna ad essere centro di spiritualità

Dopo oltre due secoli torna ad essere centro di profonda spiritualità l’Eremo di Sant’Ambrogio, il caratteristico e suggestivo romitorio innalzato all’inizio della “Gola del bottaccione”, su una balza del monte Foce. Costruito o restaurato nel 1331, quando il vescovo eugubino Pietro Gabrielli vi radunò tutti gli eremiti sparsi nel territorio di Gubbio, ha una storia ricca. Nel 1342 sempre il vescovo Gabrielli diede agli eremiti la regola di Sant’Agostino, mentre nel 1419 con bolla di Papa Martino V venne unificato a quello di San Salvatore di Bologna e vi si trasferirono i Canonici regolari; nel 1445, infine, Papa Calisto III unisce la Canonica di San Secondo a Sant’Ambrogio. Al suo interno sono conservate le spoglie incorrotte del beato Arcangelo Canetoli (1460-1513) ed i resti mortali del beato Francesco Nanni (morto intorno al l409) e del celebre giureconsulto Agostino Steuco (1496-1549), prelato di grande cultura e profonda spiritualità, segretario del Concilio di Trento. L’Eremo di Sant’Ambrogio, nonostante la sua importanza spirituale ed artistica, ha conosciuto negli ultimi tempi il rischio di crolli pericolosi. Preziosa per il suo recupero l’ attività del “Comitato per la valorizzazione della Gola del Bottaccione” che si è fatto carico di una preziosa opera di sensibilizzazione e di denuncia (famosa la mostra fotografica ospitata anche all’interno della Chiesa di Sant’Ambrogio) oltre alle iniziative di enti ed istituzioni che hanno favorito il recupero pieno del monumento sotto il profilo edilizio. Gubbio e la cultura hanno acquisito una testimonianza di notevole importanza. Quel romitorio così bello e severo si appresta ora a tornare ad essere centro di vita spirituale. E’ imminente infatti il trasferimento da Cortina d’Ampezzo di una comunità di frati Minori francescani che hanno scelto la vita eremitica per gran parte della settimana, pur dichiarandosi a disposizione dei fedeli, secondo un programma prestabilito, e di quelle che potranno essere le esigenze della diocesi. Fa da battistrada padre Francesco Ferrari, già a Gubbio da qualche giorno, impegnato a predisporre un minimo di organizzazione, pur in un contesto di vita improntata a criteri spartani ed alla più assoluta povertà. Riprendendo a vivere in termini autonomi, l’Eremo di Sant’Ambrogio sottolinea alcune difficoltà nell’essere raggiunto con mezzi motorizzati, strumenti ed ausili oggi indispensabili. E’ allo studio, ma il pronunciamento finale spetta alle Istituzioni ed agli altri organismi competenti per settore, un progetto che prevede un leggero allargamento dell’ultimo tratto della strada che sale verso l’Eremo in maniera che possa essere “avvicinato” anche dai mezzi motorizzati, per favorire la soluzione dei problemi di tutti i giorni.

Educare i giovani nella fede: le loro esperienze in un questionario

Nel mese di ottobre ogni anno la diocesi dà il via all’attività pastorale convocando l’assemblea diocesana che è collegata con la festa della Chiesa diocesana. Quest’anno i vescovi umbri hanno indetto un convegno ecclesiale regionale per il novembre 2001 sul tema di grande attualità: come comunicare la fede ai giovani d’oggi e in preparazione a questo convegno ogni diocesi è invitata a ripensare l’argomento all’interno di sé.

Pertanto, l’assemblea diocesana che si terrà sabato 20 ottobre presso la Pro Civitate Christiana rifletterà su “i giovani e la fede”, dopo che nelle parrocchie sono state proposte, in forme diverse, alcune linee di approfondimento ai consigli e agli operatori pastorali e, soprattutto, ai giovani stessi. Abbiamo posto alcune domande al Vicario generale mons. Orlando Gori circa la preparazione e lo svolgimento dell’assemblea diocesana.In che modo sono stati coinvolti i giovani in un argomento che li riguarda? “I giovani sono stati interpellati sulla base di un questionario in modo da poter manifestare il loro interesse o disinteresse riguardo alla fede e in particolare riguardo a Cristo e alla Chiesa. Tramite le parrocchie, singole o associate in unità pastorali, i giovani vicini e lontani alla Chiesa sono stati invitati ad esprimersi in modo confidenziale raccontando le loro esperienze e facendo anche proposte educative in ordine alla fede. Questo materiale verrà comunicato all’assemblea per trarne qualche utile indicazione”.

Lei parlava anche di adulti consultati circa i giovani: cioè? “Sempre a livello di parrocchie, gli operatori pastorali e gli animatori della pastorale giovanile, sono stati invitati a offrire un contributo di riflessione su uno a scelta di questi tre argomenti: giovani e spiritualità; giovani e vocazione; giovani e fidanzamento. In tal modo potranno contribuire a formulare dei suggerimenti in ordine a un itinerario educativo dei giovani stessi”. Un simile itinerario sarà anche l’obiettivo del convegno regionale? “Effettivamente si vanno cercando delle linee educative generali che valgano per tutte le nostre diocesi; poi ogni Chiesa particolare adatterà e integrerà il percorso informativo secondo le esigenze proprie. E’ necessario che in tutto questo processo i giovani siano, insieme agli altri, protagonisti, dicano la loro, esprimano disponibilità e richieste. Perciò, soprattutto i più responsabili devono partecipare all’assemblea e in seguito al convegno”.

Perché la scelta dell’argomento giovani e perché l’assemblea è di un solo giorno? “Argomento giovani: perché è di estrema attualità e perché i giovani rappresentano la priorità pastorale indicata nei documenti del Papa e dei Vescovi e, in particolare, nell’ultima lettera pastorale del nostro Vescovo. Perché un giorno solo e non due o tre: perché all’assemblea seguirà in novembre il convegno regionale sempre in Assisi e su argomento analogo”.

Palio San Michele: la bella vittoria del Rione San Rocco

E’ il rione S. Rocco che si è aggiudicato la 39a edizione della festa del Palio di S. Michele Arcangelo ottenendo in totale 162 punti. Il secondo posto è andato al rione Portella, con 156 punti, al terzo si è classificato Moncioveta, ottenendone 114 e in ultima posizione il rione S. Angelo con 96 punti. Il rione vincitore, S. Rocco, guidato dal suo capitano Paris Lupattelli, è alla sua nona vittoria. Nella serata di venerdì 28 settembre nel corso della quale è stato assegnato il Palio, dopo che i quattro rioni si erano sfidati nell’ultima delle prove, si è svolta la Lizza. Comunque, ora, cerchiamo di andare per ordine. Nelle serate di venerdì 21 settembre, sabato 22, domenica 23 e lunedì 24, i Rioni hanno portato in piazza la loro Sfilata; ogni sera è stata presente una giuria, composta da sette membri, che hanno espresso il loro giudizio. La Sfilata è stata valutata secondo due criteri: la “Messa in scena” e la “Scenografia”. E’ stata vinta dal rione Portella che ha totalizzato 120 punti, al secondo posto S. Rocco con 66 punti, Moncioveta 54 e S. Angelo 24. I Giochi si sono effettuati mercoledì 26, il rione vincitore è stato S. Angelo con 60 punti, secondo S. Rocco che ha totalizzato 36 punti, poi Moncioveta con 24 e infine Portella con 12. La prova più attesa, la Lizza, come dicevamo, si è svolta venerdì 28. La vittoria è andata a S. Rocco, con 60 punti, seguito da Moncioveta con 36, poi Portella 24 e per ultimo S. Angelo con 12. A differenza delle scorse sere, si è notato un maggior numero di persone, indiscutibile la presenza dei giovani che si è fatta sentire soprattutto in quest’ultima sera, perché emozionati per l’esito finale. Il Presidente dell’ente Palio ha ringraziato tutti i quattro capitani dei Rioni e tutti coloro che hanno partecipato per la realizzazione della festa. Certamente non sono stati graditi determinati comportamenti adottati da alcune persone che, durante i giochi, hanno incrinato lo spirito festoso che si respirava sia in piazza, sia all’interno di ogni taverna. Nel giorno 29 settembre, festa di S. Michele Arcangelo, il rione vincitore S. Rocco ha portato in processione il Palio e la statua del Santo, come da tradizione. Nella processione i Rioni hanno seguito l’ordine di classifica.

Novità e rassicurazioni per i due ospedali del comprensorio

L’autunno sembra promettere bene per i due ospedali del Comprensorio-Valnerina: a Cascia è quasi pronto il nuovo reparto riabilitativo; a Norcia sono pervenute autorevoli rassicurazioni regionali e dell’Asl n.3 per garantire un ospedale di comunità e di qualità. Proprio in questi giorni sono stati portati a termine i lavori di ristrutturazione di tutto il secondo piano del nosocomio “S.Rita” con il completo rifacimento degli interni. Sono state realizzate camere a quattro letti con servizi igienici ed una grande sala da attrezzare a palestra per fini riabilitativi. Si sta in qualche modo superando la precedente genericità dei servizi ospedalieri per ripartire con un nuovo indirizzo specialistico, appunto quello riabilitativo. Qualcuno ha malignato (ricordando la promessa fatta qualche tempo fa di realizzare una sala dialisi e poi svanita con i venti di tramontana) che tutto è pronto, ma manca ancora l’organico e ,soprattutto, le attrezzature idonee. A Norcia, dopo le vibrate rimostranze del sindaco per la situazione di stallo in cui versava il nosocomio locale, sono giunte da parte della Regione Umbria e della Direzione Asl n.3 le precisazioni attese. Il comunicato stampa, firmato dall’assessore regionale alla Sanità, parla di ‘prospettiva di organizzazione e potenziamento della struttura ospedaliera della cittadina’. E ancora: “Le rassicurazioni dell’Assessore hanno tuttavia riguardato anche il futuro ‘meno prossimo’ del presidio ospedaliero, la cui piena ed efficiente operatività dovrà essere uno dei punti fermi del prossimo Piano sanitario regionale. Tutto questo secondo una nuova concezione di ospedale, che unisca la concretezza e l’efficienza operativa all’umanizzazione dei rapporti col paziente. Che deve tener conto, quindi, della necessità di assicurare la piena efficienza del pronto soccorso (viste le distanze con altre strutture ospedaliere), delle difficoltà che incontrerebbero i pazienti (e i loro familiari) se costretti a degenze fuori del proprio territorio di residenza, dei benefici che il paziente potrebbe ricevere permettendo ai medici di base di offrire il proprio contributo in caso di ospedalizzazione. Sull’attività diagnostica e chirurgica bisogna invece considerare la necessità di assicurare al paziente, a prescindere dalla sua residenza, l’ausilio delle tecniche e delle strumentazioni più avanzate. Sarà quindi di fondamentale importanza definire esattamente i campi di azione sui quali potrà essere assicurata la necessaria efficienza del servizio, evitando il ripiegamento su soluzioni parziali o che non assicurano la giusta efficienza al servizio”. In precedenza c’era stata una comunicazione dell’Asl n.3 agli Amministratori e ai cittadini di Norcia con la quale si puntualizzava l’impegno dell’Azienda a rendere l’ attuale struttura sanitaria un vero e proprio ospedale di comunità con dotazione di posti letto al di sopra di quelli esistenti. Nello stesso tempo si ricordava come siano già in atto il potenziamento di alcune specifiche prestazioni e la piena fruizione di una serie di servizi medici di grande utilità. Vengono, poi, elencate tutte le migliorie che sono state approntate in questi anni di gestione centralizzata. Il dato più evidente è l’aumento del personale medico, passato dalle 139 unità del 1997 alle attuali 161. Da tre anni funziona nei territori di Cascia e Norcia il 118, il servizio di emergenza sanitario, con ottimi risultati per l’ immediatezza e per efficienza. Sono, poi, stati apprestati altri servizi territoriali, garantendo attraverso figure professionali la qualità della vita dei pazienti, come l’istituzione di un Consultorio familiare, l’attivazione dello screening per la prevenzione dei tumori della cervice uterina e della mammella (esame gratuito a tutte le donne dai 25 ai 64 anni), l’attivazione dell’assistenza domiciliare integrata terapeutica (prestazioni ed assistenza ai pazienti non autosufficienti). C’è, quindi, da annoverare l’attivazione dei servizi di day hospital e day surgery, di cui hanno usufruito nel primo semestre ben 90 pazienti a monte di 460 ricoveri. Presto entreranno in funzione l’apparecchio della Tac (tomografia assiale computerizzata) e quello dell’ecocolordoppler, strumento diagnostico di recente acquisto, per minuziosi esami cardiologici. Ci sono, quindi, tutte le condizioni per un salto di qualità nell’ospedale di Norcia e tutta la buona volontà della Direzione Asl n.3 a renderlo efficiente e rispondente alle esigenze della popolazione.

Palazzo Mauri e palazzo Callicola: arrivati fondi per il restauro

Venti miliardi in più. Questa è la somma su cui può contare l’Amministrazione comunale nel prossimo bilancio del 2002. Com’è noto, Spoleto è inserita nell’Obiettivo due della Comunità europea; grazie a questo, a suo tempo, fu richiesto quel finanziamento che oggi, forse non credendoci più, ci è stato invece finalmente concesso. Di conseguenza, in fretta e furia è stato convocato il Consiglio comunale chiamato ad approvare la variazione di bilancio in entrata e, nello stesso tempo, le altre necessarie variazioni in uscita per disporre del finanziamento Cee che obbliga l’Amministrazione comunale ad una compartecipazione delle spese per la realizzazione delle opere, in questo caso, di circa 500 milioni. Tutto bene, dunque. Ci sono, insomma, le risorse per finanziare e completare i lavori di restauro e consolidamento di due gioielli spoletini: palazzo Mauri e palazzo Collicola. Le condizioni in cui versano queste belle residenze, in modo particolare la prima, o non ne consentono l’utilizzo o ne limitano in qualche modo la funzionalità. Per palazzo Collicola, che dovrebbe diventare il centro nevralgico di tutto il sistema museale cittadino, si può quindi vedere – a breve – il raggiungimento di un traguardo ambizioso e atteso da tanti anni. Per la sede della Biblioteca comunale, oggi purtroppo confinata in spazi assurdi e non funzionali, si può fattivamente sperare nel suo ritorno nella prestigiosa sede storica di palazzo Mauri. Certamente i tempi non saranno brevi né sono da escludere difficoltà di vario genere; ma ad ogni modo, quello che conta è partire, e al più presto. Il problema finanziario, che da anni ha afflitto le varie amministrazioni succedutesi al governo della nostra città, in questo momento non dovrebbe essere più tale. Alla consistente boccata d’ossigeno della Comunità europea sono, infatti, da aggiungere disponibilità economiche per oltre quindici miliardi provenienti dai fondi del terremoto e da un finanziamento del Cipe. Auspichiamo che ora, una volta definiti e completati i progetti, si possa marciare spediti e senza indugio per ridurre al minimo i tempi d’attesa all’utenza locale, e anche di fuori città, che ha tanta voglia di tornare a varcare il celebre portone di palazzo Mauri.

Sotto la ridipintura scoperta una più antica Assunzione della Vergine

E’ stata una autentica sorpresa. Di più: è stata una vera e propria scoperta. Una scoperta che ha restituito a Terni ed all’arte una nobile pagina pittorica. Il fatto. Nell’abside della cattedrale ternana si trova un vasto affresco raffigurante l’Assunzione della Vergine. Versava in condizioni un po’ precarie per cui la Fondazione della Cassa di risparmio di Terni e Narni ne ha patrocinato il restauro sotto il controllo della Soprintendenza ai beni culturali dell’Umbria con il coordinamento della dott.ssa Margherita Romano. L’affresco, in realtà, era già stato sottoposto a quello che si riteneva un restauro, nel 1784, da un non meglio identificato Angelo Papi. Nel corso dei lavori attuali, però, ci si è accorti che quello che si riteneva un restauro settecentesco era, in effetti, una ridipintura imitativa del soggetto sottostante. Si è quindi provveduto ad effettuare saggi di rimozione della pittura di “restauro” e si è scoperto che, al di sotto dello strato ridipinto, si trovava, ancora in buone condizioni, l’affresco originario. Rimossa la ridipintura di Angelo Papi, è apparso un affresco raffigurante sempre l’Assunzione della Vergine, ma di ben più rilevante importanza e valore artistico. In sostanza si è “scoperto”, in tutti i sensi, un dipinto nuovo, inedito, di notevole fattura. L’affresco ricopre gran parte della curva dell’abside ed ha un coronamento a lunetta. Presenta, nella parte sottostante, il sacello vuoto della Vergine ricoperto di petali di fiori, con attorno gli apostoli. Nella zona in alto, invece, è raffigurata la Vergine che si libra verso il cielo sopra una nube, tra angeli e putti musicanti. Il soggetto, lo ripetiamo, è quello che si è visto sino a pochi mesi fa nella cattedrale ternana; ma ora non è più quello ridipinto dal Papi, bensì quello originario che per i ternani costituirà una autentica scoperta. A seguito dei lavori di restauro può essere attribuita una diversa datazione dell’affresco, già considerato della prima metà del Seicento. Ora non appare azzardato riferirlo ad un artista manierista e quindi collocabile alla fine del Cinquecento in un periodo, cioè, non lontano a quello in cui fu ristrutturata la zona presbiteriale con la collocazione dell’imponente coro ligneo, realizzato nel 1559 dal siciliano Domenico Corsi. I lavori si sono conclusi in questi giorni. Sono stati lunghi e delicati. Una pagina d’arte e di fede è stata, così, restituita alla città. Per Terni e per la tutela del suo patrimonio artistico è un segnale incoraggiante.

San Francesco: uomo della pace e del dialogo con la missione di “riparare” la casa di Dio

Sotto la spinta di sciagure naturali o progettate dall’uomo capita di avvertire l’esigenza di dare una sterzata alla propria vita e più incalzante si fa il desiderio di una collettività che muti le proprie regole e gli usuali orientamenti.

Collegando tale breve premessa alla festività di S. Francesco patrono d’Italia, viene da chiedersi se il rituale religioso e civile debba svolgersi secondo una tradizione che, pur con qualche nuovo innesto, si mostra incorruttibile.

Così dichiara padre Vincenzo Coli, custode del Sacro Convento: “Celebrare in questo scorcio di storia S. Francesco significa valorizzare il dialogo tra i componenti della famiglia umana e mettere le basi per una concreta solidarietà. Occorre vivere come lui la virtù teologale della speranza con atteggiamenti improntati, nonostante tutto, alla fiducia.

Lo schema delle annuali celebrazioni nella sua essenzialità è ancora valido: la cerimonia del transito nella basilica di S. Maria degli Angeli serve a riscoprire la morte come una sorella, mentre le funzioni del 4 ottobre nella basilica di S. Francesco esaltano il ricco che si fa povero e si mette a disposizione dei diseredati. Possono essere introdotte anche variazioni, a patto che la festa mantenga il suo carattere popolare. La presenza di rappresentanze religiose e civili ben si adatta alla funzione specifica di colui che a pieno titolo è stato designato quale patrono d’Italia.

Il tema della “memoria” del Santo sta a cuore a padre Enzo Fortunato attuale portavoce del Sacro Convento: “Siamo chiamati a custodire e a trasmettere con la nostra vita il messaggio francescano restituendo centralità al dono della pace incarnata, dono che gran parte dell’umanità desidera a prescindere dalle posizioni politiche e dagli atteggiamenti religiosi. Sarebbe auspicabile che le celebrazioni riacquistassero il ruolo di festività nazionale, come richiesto da alcuni laici di Assisi, volontà meritoria che le famiglie francescane devono sostenere, fermo restando che la decisione risolutiva spetta alle istituzioni nazionali”.

Sulla necessità di tenere vivo il patrimonio umano di S. Francesco insiste anche padre Pasquale Magro, direttore della biblioteca del Sacro Convento: “Francesco è un punto-luce che continua con il suo carisma a galvanizzare la società civile e religiosa. Di fronte al fenomeno della frammentazione che può determinare effetti drammatici, s’impone l’impegno di ricostruire la convivibilità tra popoli e religioni che trae alimento anche da una economia di comunione, ovvero da una mensa comune dove ognuno disponga della sua parte”.

Su tale discorso si innestano le parole di padre Egidio Monzani, direttore della rivista San Francesco Patrono d’Italia: “Due episodi mi sorprendono in questo lasso di tempo: Francesco che va alla corte del sultano e riesce a stabilire con lui un rapporto di stima; Francesco che ammansisce il lupo di Gubbio trattandolo come una creatura sofferente di fame: due episodi che svelano l’attualità del Santo, talvolta ridotto ad una statuina. La festa indetta in suo onore ogni anno potrebbe assumere una più spiccata impronta politica, non certo partitica, evidenziando più nettamente il valore del “Patronato”.

La regione che offre l’olio per la lampada votiva potrebbe confrontare le proprie problematiche ed esprimere le potenzialità di una eventuale presenza francescana. Anche padre Gianni Califano rettore della basilica di S. Maria degli Angeli, valuta che il contatto con altra regione dovrebbe oltrepassare la valenza simbolica per animarsi ben oltre la singola occasione: presupposto per creare una interconnessione tra le varie parti della nazione.

Sarebbe opportuno che gli italiani conoscessero in termini più approfonditi la figura di Francesco e il suo messaggio, certamente veicolati anche dalle annuali celebrazioni, il cui aspetto liturgico va sempre più crescendo; ma necessitano strumenti costanti tali da superare l’incidenza della singola festa; che poi questa riprenda il carattere di festività nazionale è fatto secondario.”

San Francesco, il Sultano e l’Italia

Quest’anno è stata la Sardegna a portare l’olio per la lampada. Sono venuti in cinquemila guidati dalle autorità regionali, dal presidente Mario Floris, da ottanta sindaci e altre autorità, e dai vescovi dell’isola dei quali è presidente mons. Ottorino Pietro Alberti, arcivescovo di Cagliari che è stato arcivescovo di Spoleto – Norcia per quattordici anni (1973 – 1987). Per lui questa visita ha rappresentato un felice ritorno in una terra amata ed è un felice ritorno anche per noi che conosciamo la sua tenace opera per la ristrutturazione e il rilancio de La Voce come settimanale cattolico dell’Umbria. L’omaggio della Sardegna, e il legame di fraternità con la nostra regione trova in mons. Alberti un interprete efficace per la doppia appartenenza ideale che in lui abita. In questi giorni, tuttavia, non solo dagli abitanti della Sardegna, ma, si può dire, da ogni parte del mondo è sentito in modo particolare, più intenso e vivo, il legame con l’Umbria, Assisi e san Francesco. Ne è testimonianza l’ampia prevista partecipazione alla marcia Perugia-Assisi del 14 prossimo e soprattutto i frequenti riferimenti alla figura di san Francesco in occasione dell’attuale dibattito sui rapporti tra mondo occidentale cristiano e mondo musulmano. E’ stato più volte, ed a proposito, ricordato l’esempio di san Francesco che nel lontano 1216, epoca di crociate, cercò un contatto con questo mondo andando a visitare e a evangelizzare il Sultano Melek al Kamel in Egitto, che produsse una vicendevole rispettosa amicizia ed è stato anche ricordato il precetto dato ai frati di recarsi nei territori dei musulmani, ma senza predicare in attesa che venga il giorno indicato dal Signore e di non provocare contese. Un atteggiamento che può essere considerato per i cristiani un esempio di comportamento che spazza via tante opinioni confuse. Non sarà male ricordare, tuttavia, soprattutto ai laici pacifisti ed ecologisti, ammiratori di Francesco, che in questo uomo di Dio, oltre a tale dimensione di apertura agli altri, che lo portava a dialogare anche con gli animali e con tutte le creature, era presente anche la dimensione del missionario e dell’apostolo, di colui che si sentì chiamato a ricostruire la Chiesa che andava in rovina: “Francesco, va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina”. Tutti ricorderanno l’immagine giottesca del sogno di papa Innocenzo III che vede Francesco mentre sorregge la basilica di San Giovanni in Laterano. Troppe volte la virtù della tolleranza, la ricerca di dialogo, comprensione e apertura agli altri non sono commisurate con altrettanta attenzione e preoccupazione per la tutela e la rigenerazione del proprio patrimonio di valori ideale, della ricca tradizione spirituale e religiosa del popolo dei battezzati. Spesso nei dibattiti ci si scontra tra chi spinge all’estremo l’uno o l’altro dei poli del problema esasperando i toni e guardando solo in una direzione, quando, invece, i due punti di vista devono considerarsi complementari: si sostengono a vicenda e crescono insieme nella conoscenza. Presi da soli e assolutizzati, come si usa in questi giorni nella pubblicistica tendono all’autodistruzione o alla distruzione dell’altro: indifferentismo (con le sue componenti di relativismo e di ichilismo) e fanatismo (con le sue componeti di intolleranza e di violenza). Il vero dialogo si fa avendo come punto di partenza il rispetto di se stessi e la consapevolezza di essere nel posto giusto rispetto alla verità pur nel pieno rispetto della verità professata dagli altri in buona fede. San Francesco è invocato come Patrono principale d’Italia ed è riconosciuto da tutti come tale. Ci si augura che a tutti giunga anche la luce che viene dalla sua storia di uomo e di cristiano. Ne ha bisogno l’umanità in questo momento, ed anche il nostro Paese che fatica a tenersi unito e si logora ogni giorno tra furbizie ed egoismi, trovando enormi difficoltà sia a dialogare che a costruire.

A Perugia da tutto il mondo per parlare di diritti umani

Globalizzare i diritti umani, la democrazia e la solidarietà, rafforzare la società civile mondiale, costruire la nuova Europa sulla pace. Intorno a questi obiettivi, ambiziosi e forti, si riunirà nei prossimi giorni la quarta Assemblea dell’Onu dei Popoli. Un’originale occasione d’incontro della società civile mondiale impegnata a promuovere tutti i diritti umani per tutti e a costruire un “altro” mondo, libero dalla guerra e dall’oppressione, dalla povertà e dallo sfruttamento. L’Assemblea è stata ideata e promossa dalla Tavola della Pace e dal Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace: organismi ai quali aderiscono centinaia di associazioni e istituzioni locali. Le prime tre edizioni si sono svolte nel 1995, nel 1997 e nel 1999. Le tre Assemblee si sono sempre concluse con la marcia per la pace Perugia-Assisi con la partecipazione di centinaia di migliaia di persone. Grazie al progetto “Ospita una persona: incontra un popolo” (in base al quale decine di enti locali e Regioni italiane hanno permesso l’arrivo di centinaia di personalità di tutto il mondo), in occasione delle Assemblee dell’Onu dei Popoli e della marcia Perugia-Assisi sono state organizzate in tutta Italia centinaia di incontri e dibattiti promuovendo l’impegno per la pace e la solidarietà. Anche quest’anno sono oltre duecentocinquanta le personalità e i rappresentanti di gruppi, associazioni, movimenti e organizzazioni non governative di tutto il mondo che parteciperanno ai tre giorni di incontri a Perugia. L’inizio dell’Assemblea è fissato per giovedì 11 ottobre alle ore 15. Ci sarà la presentazione degli obiettivi dell’incontro internazionale. Poi spazio subito ai grandi temi sul tappeto: la globalizzazione dal basso, il ruolo dell’Europa nel mondo di oggi, la globalizzazione e il bene pubblico globale, la democrazia internazionale. Argomenti che saranno trattati anche venerdì e sabato prossimi, accanto ai dibattiti sul ruolo degli enti locali e delle Regioni nell’Era della globalizzazione, sulla riforma dell’Onu e la “global governance”, sulle istituzioni e politiche europee per lo sviluppo e la giustizia nel mondo. L’Assemblea si chiuderà con una sessione plenaria (sabato, ore 15/19) su “Costruire la società civile globale: valori, proposte e azioni comuni”. Tutti gli incontri dell’Assemblea dell’Onu dei Popoli si svolgeranno a Perugia presso il Palazzo dei Priori in corso Vannucci e nelle immediate vicinanze. Per informazioni si può contattare la Tavola della Pace, nella sede di via della Viola 1 a Perugia, al recapito telefonico 075.5736890, al fax 075.5739337, all’indirizzo e-mail mpace@krenet.it o su Internet all’indirizzo Web www.tavoladellapace.it.

Veglia per la pace con mons.Sabbah patriarca latino di Gerusalemme

Una grande veglia di preghiera per raccogliere insieme i cattolici umbri e invocare una soluzione pacifica dei conflitti che dividono gli Stati e le popolazioni del mondo. L’iniziativa è dei vescovi umbri ed è autonoma rispetto al calendario di manifestazioni promosse dalla Tavola della Pace, che si svolgeranno in Umbria fra l’11 e il 14 ottobre prossimi. L’espressione del Papa “Pregate perchè si trovino le vie della giustizia e della pace” è lo slogan attorno al quale la Conferenza episcopale umbra intende coinvolgere i fedeli delle otto diocesi della regione. La veglia si svolgerà sabato 13 ottobre, dalle ore 21 alle 22, presso la cattedrale di San Lorenzo a Perugia. La celebrazione sarà presieduta dall’arcivescovo di Perugia, mons. Giuseppe Chiaretti, che è anche presidente della Commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo. Il vescovo di Assisi, mons. Sergio Goretti, presidente della Conferenza episcopale umbra, farà un intervento introduttivo alla serata di preghiera e di riflessione sui temi del dialogo e della pace come alternativa ai conflitti fra gli uomini. Argomenti riportati in primo piano dagli attacchi terroristici che hanno colpito gli Stati Uniti e dalle reazioni su scala mondiale che ora quei gesti stanno provocando. Alla celebrazione di sabato prossimo hanno dato la propria adesione tutti i vescovi delle diocesi umbre. Sarà presente anche Michel Sabbah, patriarca latino di Gerusalemme, che ha annunciato la propria partecipazione anche alle tre giornate dell’Assemblea dell’Onu dei Popoli. Proprio alla vigilia della marcia della pace che collegherà Perugia ad Assisi, la Chiesa umbra ha voluto dare un segnale forte di interesse verso i temi della giustizia e della pace. Un terreno sul quale la Chiesa non improvvisa nulla, ma – al contrario – da sempre ha una sua “linea” ben precisa. Riconosciuta anche da esponenti politici come Bertinotti, che di recente ha citato le parole di Isaia “la pace è frutto della giustizia”.

Nell/etere regionale in onda poche idee e tante televendite

Un quadro complessivo di livello abbastanza modesto, ma con buone prospettive di crescita e di sviluppo. Così il presidente del Comitato regionale per le comunicazioni, Enrico Viola, descrive la situazione delle emittenti radiotelevisive dell/Umbria, analizzata da una ricerca presentata a Gubbio in occasione del recente Forum internazionale dell/informazione. Lo studio è stato realizzato da un gruppo di sociologi coordinato da Rolando Marini, docente universitario ed esperto di media locali e comunicazione. L/indagine sulle radio e le televisioni regionali è stata compiuta fra novembre 2000 e febbraio di quest/anno, attraverso un/analisi dei palinsesti. Per quanto riguarda le emittenti radiofoniche, la gran parte inserisce in programmazione quasi esclusivamente spazi di genere #$misto#$, con musica e intrattenimento che coprono circa il 74 per cento del palinsesto. L/informazione quotidiana e periodica occupa meno di un/decimo degli spazi, lo sport il 2,1 per cento, la religione il 5,5. Quest/ultimo dato è dovuto, in particolare, alla programmazione delle radio comunitarie di diocesi, parrocchie o comunità religiose, collegate per lo più al circuito satellitare radiofonico BluSat2000. Le televisioni umbre, invece, sono state classificate dalla ricerca in due gruppi con profili diversi. Le emittenti a diffusione regionale sono molto più commerciali e danno ampi spazi a televendite e astrologia-cartomanzia. Quelle con bacini di copertura comprensoriale o subprovinciale sono di taglio più localistico, con poche televendite, ma più autoproduzioni su sport, informazione periodica e quotidiana. Le medie regionali, comunque, indicano che quasi un/quarto dei palinsesti tv sono occupati da #$spazi a programmazione variabile#$, come collegamenti a circuiti nazionali, via satellite o tramite produzioni su nastro. L/informazione quotidiana e periodica copre il 16 per cento dei programmi, lo sport il 9,1, le pagine di testo e di grafica utilizzate quando i programmi sono fermi occupano il 17,6, le televendite, l/astrologia e la cartomanzia oltre il 14 per cento. Programmi a luci rosse e linee sexy (uno per cento) hanno più spazio delle rubriche religiose (confinate allo 0,8 per cento). Per tutte le emittenti, sia radiofoniche sia televisive, i problemi più rilevanti – secondo la ricerca – sarebbero due: i bassi livelli di audience da una parte, l/occasionalità e la scarsa assiduità del pubblico dall/altra. Questo anche perchè, nella maggior parte dei casi, i palinsesti non sono concepiti e organizzati strategicamente per fidelizzare i #$teleradioutenti#$. Secondo i ricercatori, ciò dipende da un/impostazione – specie per le tv – poco aderente alle logiche di marketing, in quanto sostenuta da intuizioni più che da informazioni puntuali sugli ascolti. Per non parlare dell/organizzazione del lavoro nei settori tecnico e redazionale, spesso affidati al volontariato o a giovani che intendono compiere l/apprendistato professionale #$sul campo#$ con collaborazioni di vario tipo. Intervista a Morrione direttore di Rai News 24A Gubbio tre giorni di riflessione su un argomento che si intreccia con le analisi sulle nuove tecnologie e sulle moderne organizzazioni redazionali e produttive. #$Da parte nostra mettiamo in onda tutto; diamo le fonti, cerchiamo di approfondire le zone oscure, di dare informazione maggiori di quelle che normalmente i telegiornali generalisti danno nei loro appuntamenti#$. A parlare è Roberto Morrione, direttore di Rai News 24, il canale satellitare che trasmette informazione per tutto l/arco della giornata. Le tecnologie, inutile dirlo, sono le più avanzate tra quelle messe in campo nel settore televisivo. #$E/ una vera e propria integrazione tra Internet e televisione – spiega Morrione – che ci consente di andare in zone, in genere, non praticate, non conosciute oltre che di affiancare alle agenzie internazionali (che restano comunque una fonte importantissima) le culture locali, il dialogo rispetto alla guerra… Per esempio, poter avere /Al Jazeera/ – la Cnn araba – è un valore integrativo molto importante (anche perché è fatta benissimo, veramente come le migliori tv statunitensi e occidentali, con tante idee, una straordinaria grafica; viene data la parola anche agli americani, con grande stile, oltre che a Bin Laden… Con tutti quei proclami alla guerra sono forse un po/ / order line/, ma il loro è un pubblico e una cultura araba…#$. Molti hanno parlato di oscurare questa emittente, perché troppo faziosa e di parte, oltre che portavoce dei messaggi dei terroristi. Cosa ne pensa?#$La censura è sempre e comunque un elemento negativo. Quel tipo di messaggio a cui ci riferiamo va accompagnato da una visione critica. Io, ad esempio, ho in redazione dei giornalisti arabi con i quali facciamo /Rai-Med/, una trasmissione che va in tutto il Mediterraneo e quando è /uscito fuori/ il primo messaggio di Bin Laden, quello nella grotta, ho subito messo uno di questi giornalisti in studio a spiegare cosa significava e a /decriptare/ il messaggio#$. Come si fa un/informazione di qualità?#$Non si fa con pochi mezzi professionali oltre che materiali; ha bisogno di esperienza edi qualità professionale, ma anche di uomini che si sono fatti le ossa sul marciapiede#$. A cosa servono le nuove tecnologie allora?#$Servono a migliorare l/informazione. Hanno un valore se non servono solo a fare dei soldi, ma quando permettono alla gente di ragionare, di unire i problemi, di trovare un filo critico costante. L/innovazione dev/essere non solo di processo (e quindi delle tecnologie, con il digitale o l/integrazione web/tv), ma anche di prodotto, per tenere sempre questo filo critico vivo, che è il vero valore dell/innovazione multimediale#$. Yves Gilson: l/informazione locale deve vincere la sfida della qualitàMass media e la nuova Europa nata negli ultimi anni. Una rapporto che non si gioca soltanto in chiave di globalizzazione dell/informazione, ma anche nel rispetto delle singole identità nazionali e addirittura locali. Il Forum dell/informazione di Gubbio ha dedicato una tavola rotonda al tema #$Globale ma non troppo – il fenomeno europeo dell/informazione locale#$, con la partecipazione di Yves Gilson, direttore dei programmi della European Journalism Centre di Maastricht, che per cinque anni ha avuto la gestione dei seminari di formazione per giornalisti sponsorizzati dalla Unione Europea. Gilson ha richiamato l/attenzione sul concetto di #$glocal#$, fusione dei termini /globale/ e /locale/ a significare la possibile fusione delle due dimensioni: l/informazione può venire da un livello locale ed essere aperta verso il globale e viceversa#$. #$C/è un calo nelle vendite dei giornali perché la gente trova l/informazione altrove – ha osservato Gilson parlando dei #$media locali e regionali che devono far fronte al problema della qualità dell/informazione#$. #$La situazione è diversa in ogni Paese europeo. In Italia non siete molto fortunati – commenta – avete delle scuole di giornalismo ma non dei centri di formazione permanente come ce ne sono in Francia, Danimarca, Svezia, Olanda, Portogallo#$. Gilson ha toccato anche il tasto dolente dell/informazione riguardante l/Europa #$un/idea lontana, irrealista finché i giornalisti non vedono il Parlamento europeo o il Consiglio dei Ministri, o non camminano nelle strade di Bruxelles#$. Non é solo provincialismo italiano, #$è un problema di localismo generalizzato in Europa. Si guarda solo il proprio, il piccolo#$. Gilson ammette che l/Europa è noiosa come soggetto ma se ne può parlare, spiega, #$quando c/è un articolo su un argomento interessato da regolamentazione comunitaria o sul quale si sono stati casi in altre regioni d/Europa.Allora senza averne l/aria si porta in pagina la prospettiva europea e si comprende che non siamo soli ad avere quel problema. E/ questo che vorrei si capisse#$.

Ma è proprio guerra?

In un articolo apparso su Il Corriere della sera di martedì scorso a firma di Giovanni Sartori si leggeva: #$Rassegnamoci, è una guerra#$. Constatazione amara e tragica. E/ inutile nascondersi dietro le parole e concludeva con un appello a combattere a difesa dei valori etico politici occidentali offesi dal nemico. Non tutti sono d/accordo e preferiscono parlare di risposta ad una aggressione, di rappresaglia, di azione di polizia internazionale. Ma ammesso che sia guerra molte e diversificate sono le posizioni di fronte a questa situazione comunque la si voglia chiamare. Chi è a favore, chi è contro, chi non vede l/ora di partecipare mandando mezzi e truppe, chi bestemmia le religioni ritenendole la causa del conflitto, chi ha paura e lo dice e chi non lo dice ma nutre brutti presentimenti, chi prega in silenzio o celebra liturgie propiziatorie, che è preoccupato per le vittime innocenti, e chi pensa, come ha fatto Andreotti nella discussione al senato che anche i soldati sono esseri umani, chi teme per la brutta figura che farà la superpotenza americana, come a suo tempo l/ha fatta la superpotenza sovietica in Afghanistan, chi prevede l/acuirsi della contrapposizione tra mondo islamico e mondo cristiano, tra oriente e occidente, tra nord e sud del mondo, tra poveri e ricchi e così via, fino alla totale confusione di pareri e orientamenti. La televisione non cessa di mettere a confronto gli uni contro gli altri nella soddisfazione dei conduttori che così facendo rendono più attraente lo spettacolo e più alto l/ascolto delle loro trasmissioni. Si passa poi a discutere sugli abiti di copertura delle donne musulmane di alcuni paesi e proviamo lo stupore di sentire una Alessandra Mussolini schierata a favore della civiltà musulmana e così comprensiva da paragonare le donne afgane alle suore e il maschilismo dei mullah a quello dei preti. Intanto cadono le bombe e giustizia non è fatta. Gli assassini si sono già autopuniti con il suicidio facendo intendere che nessun altro deve considerarsi colpevole. Ciò fa buon gioco a coloro che non sono convinti che Osama Bin Laden sia il colpevole della tragedia americana e di quello che segue. La donna somala apparsa a Porta a Porta non ha potuto dire altro che il generico essere contro ogni tipo di terrorismo e violenza, facendo sottintendere che lei non è per niente convinta che vi siano prove certe contro Bin Laden. In questo contesto di opinioni e contrapposizioni la maggioranza delle persone è disorientata, come mostrano alcuni sondaggi che denunciano il rischio di confondere le vittime con gli aggressori, quando in nome della pace si vuole imporre il dovere di subire il torto senza ristabilire la giustizia e impedire operazioni terroristiche e, d/altra parte, l/altro rischio di considerare gli innocenti colpiti (per sbaglio!) un sacrificio necessario per garantire la vittoria. Noi ci permettiamo di dire sommessamente che al di sopra anche della pace c/è la giustizia (#$Opera della giustizia è la pace#$, Isaia.) che può e deve essere ricercata e realizzata da coloro, persone e organismi politici internazionali, che sono investiti di autorità per esercitare la legittima difesa a favore di coloro che sono ingiustamente aggrediti e ricostituire l/ordine distrutto. Ricordiamo però anche che la ricerca ostinata e assoluta della giustizia può cadere nell/eccesso di severità e riversarsi in un danno maggiore. Se vale nei rapporti privati il detto #$summum jus summa iniuria#$ (la estrema applicazione della legge può diventare una estrema ingiuria), ciò vale anche e soprattutto dove sono in gioco migliaia di vite umane. Per questo ci sembra di dover ripetere con Card. Camillo Ruini: #$che il tempo delle armi sia breve#$, e potremmo ricorrere ai continui appelli del vecchio e accorato Papa che ha sperato, durante l/anno del Giubileo e continua a sperare forse più di quanto gli è concesso dall/eccesso di odio che dilaga nel mondo. In questi giorni molti ricordano l/incontro delle religioni per la pace avvenuto ad Assisi il 27 ottobre del 1986. Riempiamoci gli occhi di quell/icona straordinaria e teniamo alto lo #$spirito di Assisi#$. E/ l/unico modo che abbiamo per tirarci fuori dalla confusione delle idee, dallo stordimento e dalla paura.

Le Chiese dell/Umbria insieme si interrogano e interpellano i giovani

Uno dei problemi più gravi che la Chiesa in tutti i Paesi del mondo deve affrontare è la trasmissione della fede alle nuove generazioni. Un tempo ciò avveniva e quasi per necessità nello stesso modo con cui si trasmettevano la lingua, i costumi e le norme fondamentali del vivere. Oggi questo non avviene più per l/avvento della secolarizzazione della società. Gran parte delle attività pastorali quindi tendono ad orientarsi nella direzione della #$comunicazione del vangelo in un mondo che cambia#$, come è titolato il documento della Cei per il programma pastorale dei prossimi dieci anni. Il Convegno delle Chiese umbre sta tutto dentro questo quadro e vuol cercare delle piste praticabili da parte della azione pastorale. Sono proprio i vescovi, i primi depositari del ministero pastorale, a chiedere all/intera comunità, nella varietà dei suoi membri, di prendere consapevolezza della propria identità cristiana, di ciò che lo Spirito dice in questo tempo alle Chiese, e di volgere uno sguardo al futuro della fede in Umbria. Per questo interpellano soprattutto i giovani, che sono stati chiamati dal Papa durante il Giubileo #$sentinelle del mattino#$ e come tali possono indicare con sguardo lucido gli scenari in cui si svolgerà li futuro della Chiesa. Dal Convegno si attendono suggerimenti, esigenze, indicazioni dalle quali trarre orientamenti e prospettive di metodo, di linguaggio e di strumenti per una trasmissione efficace del messaggio evangelico nella nostra regione. L/ impostazione comunitaria del Convegno, oltre ad essere un segno della fraternità delle otto diocesi umbre indica anche la difficoltà per ognuna di esse singolarmente presa di affrontare temi che hanno carattere che si può dire epocale. Tale, infatti, è il tema del futuro del cristianesimo in una società pluralistica e tale ancor più appare dopo il tragico 11 settembre segnato da una inquietante matrice pseudoreligiosa. I vescovi hanno messo in evidenza anche l/aspetto della regionalità che assume un peso sempre più decisivo per la società umbra e che richiede pertanto anche da un punto di vista pratico e di relazioni sociali, un/azione unitaria concordata. Alle diocesi che sono in piena fase di preparazione mons. Bottaccioli, vescovo di Gubbio, presidente del Comitato organizzatore del Convegno, ha inviato una lettera nella quale ricorda che #$il convegno è voluto dai nostri vescovi per ripartire insieme come diocesi umbre per un/azione pastorale su orientamenti comuni: un/azione unitaria resa più urgente dalla nuova fisionomia che acquista la Regione#$.

#$Scelte innovative e coraggiose#$ ma anche aumento del prelievo fiscale

agli della spesa colpiranno anche gli stipendi dei politici. E/ la novità di rilievo del Dap, il documento annuale di programmazione, previsto per il triennio 2002-2004, illustrato dalla Giunta regionale. Questa proposta, se attuata, sarebbe storica considerando l/insensibilità della classe dirigente di fronte a questo tipo di provvedimenti, sempre accantonati in passato perchè #$frutto di retorica e qualunquismo#$. Quindi ci dovrebbe essere – è necessaria cautela quando una proposta deve superare il voto in aula – una riduzione del 10 per cento per le retribuzioni di consiglieri e assessori regionali e per gli stipendi di coloro (dirigenti e presidenti di enti regionali) che hanno il compenso rapportato a quelli dei consiglieri regionali. La presidente della Regione, Maria Rita Lorenzetti, ha sottolineato che #$lo schema di /Dap/ approvato dalla Giunta regionale contiene scelte innovative e coraggiose che hanno come obiettivo quello della valorizzazione delle qualità complessive della nostra regione#$. Nel dettaglio la finanziaria regionale porterà ad un aumento dello 0,2 per cento (da 0,9 a 1,1) dell/aliquota Irpef per i cittadini con il risultato di ricavare quasi 25 miliardi di nuove entrate. Un cittadino con un reddito di 60 milioni annui pagherà circa 120mila all/anno. Questa soluzione è stata scelta perché si è fatto ricorso #$allo strumento fiscale più equo per recuperare risorse che permetteranno di realizzare un pacchetto di investimenti di grande qualità e non per pagare i debiti della sanità o di altri settori, come avviene per molte altre Regioni#$, ha detto la Lorenzetti. Non ci sarà invece l/aumento della tassa regionale sul metano. Il Dap sarà ora trasmesso alle parti sociali e al Consiglio delle autonomie, con l/obiettivo di coinvolgere i vari soggetti per un loro contributo. Poi sarà definitivamente adottato dalla Giunta che lo trasmetterà al Consiglio regionale. Complessivamente il Dap si pone l/obiettivo di ridurre, nel triennio, le spese di funzionamento dell/ente di una percentuale oscillante tra il 7 e l/8 per cento, diminuire del 4 per cento le spese di settore finanziate con risorse proprie, incrementare le entrate extratributarie derivanti dalla valorizzazione del patrimonio regionale. L/entrata aggiuntiva di 25 miliardi consentirà alla Regione – altrimenti impossibilitata per il pesante onere della spesa sanitaria che copre circa duemila miliardi del bilancio regionale – di rafforzare la qualità sociale, la qualità del sistema produttivo e delle politiche del lavoro, con particolare riguardo alla condizione giovanile. Al tempo stesso la Regione semplificherà il proprio sistema tributario, abolendo una serie di tasse di concessione regionale (per case di cura, stabilimenti termali, alberghi, campeggi, commercio su aree pubbliche), per circa 2 miliardi. #$Per rafforzare la crescita dell/Umbria – ha spiegato la presidente Lorenzetti – c/è la stringente necessità di selezionare e concentrare risorse e investimenti sui punti di crisi, tradizionali, e quelli che la situazione economica internazionale ha fatto crescere nelle ultime settimane (turismo, tessile, ceramica artistica e meccanica), le voci principali che compongono la capacità di esportazione dell/economia regionale//.

Interpellarsi, un augurio

Le Chiese umbre si apprestano a interpellare i giovani e a lasciarsi interpellare da loro. Assisi, 15/17 novembre 2001. Auguri. Interpellare i giovani, lasciarsi interpellare da loro. Splendido. Nel Concilio Ecumenico Vaticano II, la Chiesa cattolica del XX secolo maturò la convinzione che il suo diritto/dovere di insegnare a tutti le verità di fondo della vita poteva avere ancora spazio solo ad un patto: di essere disposta ad imparare da tutti. Il dialogo. I laicisti incitrulliti dalla malevolenza truccata da tolleranza dissero che era solo un éscamotage per rimanere a galla.I minimalisti dissero che quella era una posizione puramente pragmatica, nel contesto di un concilio che era stato solo pastorale, non teologico (come se fosse possibile separare i due termini). In realtà la Chiesa che impara da tutti è la più elementare proiezione della sua fede nel Dio di Gesù di Nazareth: se il #$Papà#$ del Figlio di Maria è davvero il Dio di tutti, uno dei compiti fondamentali della sua Chiesa è imparare tutti. Su questo sfondo ognuno di noi augura oggi alle Chiese umbre quello che ritiene di maggior significato in questo suo interpellare i giovani e lasciarsi interpellare da loro. Anche alla fioca luce di questa sonnolenta abat jour fiorisce l/augurio. Coerente con quello che il suo ebdomadario ha imparato a sua volta, o ritiene di aver imparato, da trenta anni di vita condivisa con gente in grave difficoltà; nel momento in cui l/avventurato lettore sgranocchia queste righe sono esattamente anni trenta e giorni venticinque da quando mi sedetti per la prima volta ad una tavola ai bordi della quale i volti erano quasi tutti variamente segnati da rughe profonde, tracciate da quel grande e doloroso fenomeno che chiamano #$emarginazione#$. Che i poveri vivano sempre più nel cuore della Chiesa. Da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II il cantus firmus che fa da sottofondo ininterrotto al Magistero è sempre lo stesso: che i poveri vivano sempre più nel cuore della Chiesa. In loro assenza le sue #$interpellanze#$ ai giovani e ai meno giovani cadono nel vuoto con l/insostenibile leggerezza delle interpellanze parlamentari.

Interpellarsi, un augurio

Le Chiese umbre si apprestano a interpellare i giovani e a lasciarsi interpellare da loro. Assisi, 15/17 novembre 2001. Auguri. Interpellare i giovani, lasciarsi interpellare da loro. Splendido. Nel Concilio Ecumenico Vaticano II, la Chiesa cattolica del XX secolo maturò la convinzione che il suo diritto/dovere di insegnare a tutti le verità di fondo della vita poteva avere ancora spazio solo ad un patto: di essere disposta ad imparare da tutti. Il dialogo. I laicisti incitrulliti dalla malevolenza truccata da tolleranza dissero che era solo un éscamotage per rimanere a galla.I minimalisti dissero che quella era una posizione puramente pragmatica, nel contesto di un concilio che era stato solo pastorale, non teologico (come se fosse possibile separare i due termini). In realtà la Chiesa che impara da tutti è la più elementare proiezione della sua fede nel Dio di Gesù di Nazareth: se il #$Papà#$ del Figlio di Maria è davvero il Dio di tutti, uno dei compiti fondamentali della sua Chiesa è imparare tutti. Su questo sfondo ognuno di noi augura oggi alle Chiese umbre quello che ritiene di maggior significato in questo suo interpellare i giovani e lasciarsi interpellare da loro. Anche alla fioca luce di questa sonnolenta abat jour fiorisce l/augurio. Coerente con quello che il suo ebdomadario ha imparato a sua volta, o ritiene di aver imparato, da trenta anni di vita condivisa con gente in grave difficoltà; nel momento in cui l/avventurato lettore sgranocchia queste righe sono esattamente anni trenta e giorni venticinque da quando mi sedetti per la prima volta ad una tavola ai bordi della quale i volti erano quasi tutti variamente segnati da rughe profonde, tracciate da quel grande e doloroso fenomeno che chiamano #$emarginazione#$. Che i poveri vivano sempre più nel cuore della Chiesa. Da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II il cantus firmus che fa da sottofondo ininterrotto al Magistero è sempre lo stesso: che i poveri vivano sempre più nel cuore della Chiesa. In loro assenza le sue #$interpellanze#$ ai giovani e ai meno giovani cadono nel vuoto con l/insostenibile leggerezza delle interpellanze parlamentari.

“Fate della Parola di Dio il vostro pane quotidiano”

“Io sono il Buon Pastore: conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me!” così mons. Chiaretti è stato accolto dai giovani; tanti altri sono stati i “Benvenuto” durante i 3 giorni a Castiglione del Lago. Lo aspettavamo come colui che viene a conoscerci e ad aiutarci e così è andata: nei vari incontri, più o meno affollati, ci siamo presentati come una comunità composta da persone consapevoli dei propri limiti ed errori, che comunque cercano di servire Dio, aperte ad altre che si impegnino insieme a loro in un nuovo spirito di comunione. Abbiamo cercato di dare il meglio in maniera oggettiva: l/obiettivo non era quello di dimostrare che va tutto bene o fare bella figura, ma era giusto che il vescovo vedesse quello che ruota effettivamente in parrocchia e…quello che non ruota! E/ stato un programma ricco, intenso e organizzato nei minimi dettagli da diverse èquipe che hanno collaborato alla preparazione da almeno due mesi insieme al parroco don Idilio Pasquoni. L’obiettivo è stato quello di cooperare attraverso la convocazione di tutte le realtà e di tutte le persone alle quali abbiamo consegnato porta a porta sia la lettera del vescovo “Verrò a farvi visita”, che il programma delle 3 giornate.

La Visita pastorale è iniziata ufficialmente il 14 ottobre con l’amministrazione della Cresima a circa 40 ragazzi ai quali è stato rinnovato l’invito a proseguire, anzi a “ri-iniziare” il cammino cristiano, insieme agli adulti e alle famiglie, colonne portanti della Chiesa. A pranzo lo attendevano la comunità neocatecumenale e quella del Rinnovamento nello Spirito. Nel pomeriggio, c’è stato subito l’incontro con la città, comprese le istituzioni, con interventi esplicativi e canori (schola cantorum, minicorale e coro parrocchiale). In questo incontro ci siamo presentati: sono intervenuti il vice sindaco per l’Amministrazione comunale, i rappresentanti delle altre istituzioni civili e militari presenti in città e le associazioni di volontariato Avis-Aido, Confraternita della Misericordia.

Intanto si stavano preparando in Chiesa i frati di S.Maria degli Angeli, venuti appositamente per organizzare /festeggiare l’ordinazione a diacono di fra Andrea dall’Amico, castiglionese doc, che aveva pensato bene di approfittare della visita pastorale per questa sua e nostra grande occasione. Alle 17.30 l/assemblea si è quindi spostata in parrocchia dove è cominciata la Messa che ha visto presenti anche don Fabio e don Gian Luca. Lo scenario era questo: il vescovo, gli ex-parroci della nostra comunità, l’attuale parroco, il “prossimo” diacono e la gente che rappresenta il futuro, insomma la Chiesa di ieri e di oggi che, insieme al pastore, guardano verso il domani. Il Vescovo ha parlato del servizio nella sua omelia. “La mia vita è servizio, – ha commentato fra Andrea – rendetemi servitore altrimenti la mia esistenza non ha senso”. Il rinfresco alla Casa del Giovane è stato la conclusione della prima giornata. “Tour de force”: questa l’espressione utilizzata da don Idilio per esprimere le giornate che attendevano il vescovo….ed è stato veramente così.

Nel pomeriggio di lunedì ha visitato l’ospedale e alcuni nostri anziani, le nostre fondamenta (da qui il nome “gruppo radice” che abbraccia il mondo della sofferenza). Il pomeriggio è terminato con l’incontro con la Giunta comunale e, dopo un brevissimo riposo, la cena con i giovani. Eravamo 22. Il clima era di tipo familiare, la stessa tavola “rotonda” con colori vivaci, esprimeva calore. Il Vescovo ci ha raccontato alcune vicende che lo hanno colpito durante la visita in Malawi ed in particolare alcuni giovani che sfoggiavano “il loro essere cristiani” con fervore. Ci ha ricordato l’esperienza dei salesiani e di don Milani ribadendo l’importanza dei laboratori della fede e degli oratori, di cui avevamo già parlato durante l’incontro a Montemorcino post-GMG2000. Ci ha rinnovato l’invito del Papa ad essere il sale della terra e a pregare per riuscire, con l’aiuto di Dio, a testimoniare la fede con coerenza senza mai perdere la nostra identità. Il tempo è volato. Poi era in programma l’incontro con le realtà parrocchiali. Questo momento è stato caratterizzato da domande riguardo ai temi fondamentali: famiglia e giovani. Il Vescovo ha invitato a fare della Parola di Dio il nostro pane quotidiano, in vista anche della “nuova evangelizzazione”, attraverso anche degli incontri formativi organizzati a livello diocesano. Ha parlato di unità e della necessità di un Consiglio pastorale zonale che coordini una zona, oltre la parrocchia!Il martedì mattina lo aspettavano le scuole elementari poi medie ed infine gli istituti superiori. È stato un gesto molto significativo, quest’ultimo, visto l’allontanamento dei giovani dopo la cresima, come se questa fosse il punto di arrivo e invece no, come ha detto il Vescovo, è il trampolino di lancio.

Un segno importante del pastore anche verso quei giovani che rifiutano una Chiesa che in realtà non conoscono o comunque si soffermano alla Chiesa delle istituzioni o alla Chiesa “umana”, che appunto per questo può sbagliare. A pranzo, questa volta, lo attendevano alcuni rappresentanti delle realtà parrocchiali. Nel pomeriggio la visita alle strutture Caritas e alle due chiesine Madonna del Vitellino e Madonna del Soccorso, dove lo hanno accolto i bambini con canti gioiosi e doni, gli adulti e gli anziani. Ha ribadito l’importanza della Sacra Famiglia che veglia sulle nostre case, come modello da imitare nel cammino verso la santità e ai bambini ha detto che non c’è un’età per essere santi, riferendosi a 6 Santi fanciulli. In questi incontri il Vescovo ci ha fatto capire quanto sia fondamentale che le due chiesine e le loro realtà convergano verso l/unità della parrocchia.Dopo cena si è tenuto l’incontro conclusivo. Mentre i nostri gruppi di volontariato hanno fatto presente la loro esigenza di darsi una “ringiovanita”, i giovani preferiscono puntare su chi verrà dopo di loro, i ragazzi! Da qui si è passati al problema dei fidanzati e delle giovani coppie. È necessaria una preparazione al matrimonio più compatta e continuativa che faccia intendere che la famiglia metta Dio al primo posto, prosegua il cammino iniziato con i corsi per fidanzati e si possa aprire al servizio all’interno della comunità parrocchiale.

Dopo il dibattito, c’è stato il momento delle testimonianze in particolar modo dei ministri laici presenti. Anche don Idilio è intervenuto facendoci rivivere la sua storia e i suoi 5 anni qui, a Castiglione del Lago, nei quali ha cercato di conoscere le famiglie, entrando il più possibile in ogni casa e promuovere l/impegno dei laici in parrocchia e verso la zona. Il Vescovo ci ha ricordato l’esigenza di laici che si impegnino, attraverso una valida formazione, perché, ora più che mai ognuno di noi deve rispolverare il termine “prossimo”, a volte frainteso o riadattato alle nostre esigenze. Il cristiano è colui che serve Cristo che si manifesta attraverso chi ci “viene sbattuto accanto” e non chi “ci mettiamo accanto”. Da qui, il chiaro riferimento alla situazione mondiale che stiamo vivendo. Un bambino ha chiesto al Vescovo qual è il suo desiderio: “Divenire santo!” ha risposto, continuando “e portare alla santità questa diocesi che mi è stata affidata dal Santo Padre”.

Ci siamo veramente sentiti in comunione con il nostro Pastore che è veramente venuto per servirci dandoci la sua benedizione insieme a dei consigli indispensabili per continuare. Alla fine tutti ci siamo uniti nella gratitudine a lui, che si esprime bene nelle parole della presentatrice della serata: “grazie per l’energia!!”. Anche lui ci ha ringraziati per tutta l’accoglienza ricevuta, di avergli donato speranza e insomma di avergli fatto cominciare bene questa lunga marcia verso le zone della diocesi. Erano ormai le 23.30 circa del 16/10, la visita pastorale qui a Castiglione del Lago si concludeva per proseguire nella prossima zona pastorale. Ci vorranno circa 4 anni, almeno così si auspica il vescovo, per completarla. Noi gli stiamo vicini con la preghiera. Nel piccolo rinfresco in cui ci siamo salutati, lui ci ha guardati e ci ha detto “In gamba!”. Grazie, è una promessa!

#$Confido nella vostra onestà perché si evitino irregolarità#$

Dopo lunga gestazione, dovuta anche alla dolorosa scomparsa dell/ex presidente sen. prof. Romolo Tiberi, oltre a motivi interni ed esterni di ordine burocratico, con Decreto del 4/9/2001, il Ministro degli Interni ha nominato il nuovo Consiglio per l/Opera del Duomo, che risulta così composto. Di nomina ministeriale: dott. Fabio Ciolfi, già funzionario della Cassa di risparmio di Orvieto, dott. Attilio Attioli, medico chirurgo presso l/Ospedale di Orvieto, dott. Aldo Mattioni, medico chirurgo dentista, presidente del Comitato di presidenza dell/Assemblea dei soci della Fondazione della Cro di Orvieto, arch.prof. Renato Bonelli, professore emerito di Architettura presso la Università de La Sapienza di Roma, ten col. Renzo Marziantonio, comandante del presidio aeronautico di Orvieto. Di nomina vescovile: dott. Massimo Bracaccia, medico chirurgo presso l/Ospedale di Orvieto, dott. Marcello Guidi, ambasciatore a riposo. Il vescovo, di Orvieto-Todi, mons. Decio Lucio Grandoni ha fatto pervenire ai suddetti nominati la seguente lettera aperta, che riportiamo per intero.#$Ai membri del Consiglio di amministrazione dell/Opera del Duomo#$ #$Dopo 7 mesi dalla scadenza del vecchio Consiglio di amministrazione dell/Opera del Duomo di Orvieto, il Ministro degli Interni ha finalmente nominato i cinque membri di sua competenza e l/Ente ha ora la sua Amministrazione. A tutti porgo il mio cordiale saluto e augurio di buon lavoro. Dato però lo stretto rapporto che esiste (pur nella reciproca indipendenza) tra il Vescovo, il Capitolo cattedrale, la parrocchia di S. Maria della Stella e l/Opera del Duomo, non posso non fare loro presenti alcune difficoltà. Su richiesta del Prefetto di Terni avevo proposto, nello scorso marzo, cinque nomi per la nomina dei cinque consiglieri da parte del ministero degli Interni. Fino al presente le mie proposte sono state sempre totalmente accolte. Questa volta dei cinque nomi da me proposti tre sono stati scartati. E/ così uscito un ingegnere, un avvocato ed un ragioniere esperto di tecnica bancaria e di finanza. Al loro posto sono stati nominati due medici ed un professore universitario emerito. Appare subito evidente che, dal punto di vista delle competenze, il nuovo Consiglio appare assai meno efficiente di quello che io avevo proposto. In questa lunga attesa si è insinuata la supposizione (che io ritengo certezza) che qualche partito del centro-destra abbia preso l/iniziativa di imporre la nomina di alcuni consiglieri. Debbo quindi lamentare subito una interferenza partitica, che mai c/è stata nel passato da parte di nessuna forza politica. Ma non basta. Si è scritto sulla stampa che il tutto sarebbe stato fatto per garantire la nomina di una determinata persona a direttore del Museo dell/Opera del Duomo. Si parla addirittura di richiamo alla disciplina di partito. A questo proposito faccio loro presente che il compianto presidente prof. sen. Romolo Tiberi, d/intesa con tutti i membri del precedente Consiglio, aveva ipotizzato la nomina di una importante personalità culturale a direttore onorario del Museo, evitando l/ingente onere che deriverebbe all/Opera dalla nomina di un funzionario a tale incarico. Ma la cosa è ancora più grave, perché appare evidente che la scelta di un eventuale direttore del Museo avrebbe carattere politico. Leggo infatti su La Nazione del 17 ottobre: Il futuro presidente dell/Opera del Duomo dovrà compiere tra i suoi primi atti quello di nominare il responsabile del futuro Museo, che sorgerà nella omonima piazza Duomo. Ruota intorno a questo elemento la vera corsa alle poltrone che si è scatenata per il rinnovo dell/Ente. In lizza ci sono già alcuni nomi. Il direttore del Museo dovrà raccordarsi con il Ministero per far partire quanto prima l/ambizioso progetto, il cui costo complessivo supera i due miliardi. In ambienti vicini al centro-destra si fa notare che la nomina di un esperto vicino al Governo possa rappresentare un importante viatico per eliminare quegli intoppi burocratici che si sono verificati nel corso degli ultimi mesi, quando il progetto del grande museo si è di fatto congelato#$. Sono sbalordito! E purtroppo il tutto potrebbe essere vero! Ora spetta a loro assumersi questa grave responsabilità e confido nella loro onestà perché non avvengano cose irregolari. Desidero anche rendere Loro noto che questi sono i problemi più gravi ed urgenti del nostro Duomo: la sistemazione dell/altare per permettere un regolare svolgimento delle celebrazioni liturgiche; la soluzione del problema del riscaldamento del Duomo, non più rinviabile; l/isolamento della Cappella del Ss.mo Sacramento perché ci sia uno spazio adibito esclusivamente alla preghiera ed alla adorazione. Si dovrà anche spostare l/antico reliquiario del S. Corporale perché la cappella non sia una specie di museo: si potrà riporre nel suo luogo originario (senza più spostarlo per la Processione del #$Corpus Domini#$) o trasferirlo in altra zona. Confido che vorranno dedicare la Loro attenzione a questi tre problemi. Voglio sperare che gli ottimi rapporti con tutte le amministrazioni che si sono succedute nei quasi 27 anni del mio Episcopato non vengano compromessi nel futuro. Rinnovo i più cordiali saluti#$. Orvieto, 23 ottobre 2001

Famiglia, giovani e carità nell/agenda della visita pastorale

Una visita pastorale che vuole concentrarsi in particolare su tre aspetti della vita della Chiesa eugubina e umbertidese: la famiglia, i giovani e la carità. Riprende da questo fine settimana l/itinerario del Vescovo nelle parrocchie delle cinque zone pastorali diocesane, dopo la prima fase di incontro e di confronto con le comunità della via Flaminia, nella scorsa Quaresima. Da domenica 28 ottobre, monsignor Pietro Bottaccioli riparte con le sette parrocchie della zona cittadina, a cominciare da quella di Madonna del Prato, dove incontrerà i sacerdoti, i religiosi e i laici impegnati nei vari incarichi e servizi pastorali. #$Delle esperienze vissute – spiega il Vescovo nella lettera con cui ha indetto la visita pastorale – pressochè unanime è stato il riconoscimento di un certo movimento della pastorale di zona, che ha portato sacerdoti e laici a lavorare insieme per le missioni popolari, per l/organizzazione dei pellegrinaggi, per la celebrazione interparrocchiale della Santa Cresima con tappe di cammino comune dei ragazzi delle diverse parrocchie#$. Nell/annunciare l/iniziativa, monsignor Bottaccioli aveva considerato come #$fondamentale e urgente#$ la scelta prioritaria della famiglia. Un tema che è stato centrale anche per la recente Assemblea ecclesiale diocesana. Per questo, il Vescovo porterà personalmente nelle parrocchie della diocesi i risultati dell/annuale appuntamento che riunisce tutti i consacrati e gli operatori pastorali. Ma, oltre alla famiglia, c/è anche un altro aspetto che sta particolarmente a cuore al Vescovo di Gubbio: quello della pastorale giovanile. Il pensiero di monsignor Bottaccioli va alla Giornata mondiale della gioventù che lo scorso anno ha richiamato a Roma milioni di giovani da tutto il mondo. #$Il Giubileo – commenta il Vescovo – ci ha mostrato una pastorale giovanile in crescita nel numero e nella qualità. Anche in questo processo positivo ha avuto un/importanza decisiva il taglio spirituale e caritativo che le è stato dato. Penso agli appuntamenti costanti – aggiunge Bottaccioli riferendosi alla diocesi – dei ritiri e degli esercizi spirituali e all/impegno generoso con cui i nostri giovani hanno imparato a rispondere alle varie domande delle vecchie e nuove povertà#$. In questo senso, con la visita pastorale, il Vescovo intende dare forza a tutte le realtà di pastorale giovanile che sono in crescita, accompagnando ogni impegno a radicarle nella contemplazione e nella preghiera. Nelle motivazioni di questa terza visita pastorale non manca, infine, un richiamo alla carità. Se il Papa ha voluto che il Giubileo lasciasse un simbolo della carità giubilare nell/edificazione di una casa per disabili a Roma, anche la diocesi eugubina vuol fare la sua parte su un terreno assai impegnativo. #$Questo segno ci incoraggia – afferma il Vescovo – nel portare avanti con generosità la nostra Casa della Caritas, già voluta come segno del Giubileo celebrato nella nostra diocesi#$.

Cosa ci dicono i giovani? Cosa fare per i giovani?

I giovani sono stati i protagonisti dell/Assemblea diocesana tenutasi presso la Pro Civitate Christiana di Assisi il 20 ottobre. Protagonisti perché molti di loro vi hanno partecipato e perché su di loro si è concentrata l/attenzione degli operatori pastorali. Nella sala gremita di S. Giovanni ha aperto i lavori il Vescovo diocesano che ha presieduto il canto dei vespri e ha dato il saluto ai partecipanti spiegando l/argomento dell/Assemblea #$I giovani e la fede#$ in preparazione al Convegno ecclesiale regionale che si terrà nel prossimo novembre su un tema analogo. Questo spiega anche il motivo per cui l/Assemblea si tiene quest/anno in un unico giorno: perché nuovamente gli operatori si ritroveranno insieme ai giovani umbri. La prima parte dell/Assemblea è stata costituita dall/ascolto dei giovani. Mons. Orlando Gori, Vicario generale, ha svolto la relazione: #$I giovani raccontano e interpellano#$, facendo il resoconto delle risposte date dai giovani della diocesi a un questionario sulla fede, Gesù Cristo, la Chiesa e le attività formative che riguardano la gioventù. Le risposte molto articolate di circa 320 giovani – in generale vicini alla chiesa – hanno offerto elementi utili per capire la sensibilità, le opinioni, le preferenze e le linee di tendenza dei nostri giovani. Questo approccio manifesta l/apprezzamento motivato della fede, il fascino esercitato da Gesù, l/amore per la Chiesa pur in mezzo a critiche e riserve, nonché l/interesse per le iniziative pastorali attuate e suggerite. C/è sete di spiritualità, di aggregazione fraterna, di servizio e di speranza. Nella seconda relazione don Maurizio Saba, responsabile diocesano della pastorale giovanile, ha esposto le tappe principali della pastorale giovanile e, alla luce dei documenti della Chiesa, ha fornito indicazioni operative e illustrato il programma delle varie attività formative proposte dalla diocesi: iniziative di approfondimento della Parola, di ritiri, campi scuola, opere di volontariato e simili. Un vasto campo di impegno per le comunità e per gli educatori, oltre che per i giovani. Nei gruppi di studio sono stati approfonditi gli argomenti, ma soprattutto sono stati dati con spirito creativo, numerosi e preziosi suggerimenti per un cammino cristiano. Il Vescovo nelle conclusioni ha sintetizzato le domande-guida dell/Assemblea: cosa ci dicono i giovani? Cosa fare per i giovani? e ha invitato tutti a crescere nella spiritualità, a porsi con affetto accanto ai giovani, a guidare i giovani a vivere da cristiani nel pluralismo religioso, a valorizzare l/ora di religione nella scuola, a curare intensamente, attraverso i corsi la preparazione al matrimonio. Il canto di compieta e l/agape fraterna hanno concluso nella preghiera e nella fraternità la importante e fruttuosa convocazione diocesana.

La formazione e l/educazione cristiana dei giovani e degli adulti

Nella serata di lunedì 15 ottobre presso la sala #$Claudia#$ del Centro S. Michele di Bastia Umbra, si è tenuta l/elezione dei nuovi membri del Consiglio direttivo. Alla presenza del parroco, don Francesco Fongo e dell/assemblea dei soci, sono state votate nove persone e sono le seguenti: Rocco D/Ambrosi, Sergio Vantaggi, Federico Bacchi, Donatella Farinelli, Valentina Gorietti, Ombretta Sonno, Marisa Bartolini, Santi Di Garbo e Ivo Fongo, di cui i primi sette risultano eletti. Il Consiglio direttivo uscente, con il presidente Stefano Cetra, ha svolto un buon lavoro, sia nell/organizzare un/attività consolidata come l/oratorio, settimanale ed estivo, sia nell/effettuare esperienze nuove come #$Compitiamo#$. Quest/ultima ha riscosso larghi consensi tra i bambini, i genitori e gli stessi educatori. Non possiamo dimenticare, la festa del Centro, che di consueto si svolge a giugno, la quale coinvolge giovani e adulti, costituendo un momento di aggregazione e di socializzazione per tutta la comunità. Sono stati organizzati eventi culturali, come mostre di acquerelli, di quadri, serate di poesie e di musica. Altre situazioni divertenti sono state le gite, quella sulla neve e degli animatori. In diverse occasioni, il Centro ha fatto da supporto logistico ad altre associazioni culturali e di volontariato del territorio. Uno dei primi obiettivi che il nuovo Direttivo si porrà, sarà quello di tracciare il percorso educativo del Centro, il quale, ricordiamo, è un circolo Anspi (associazione nazionale S. Paolo Italia). Questo è collegato tramite il Comitato Regionale Umbro a tutti gli oratori parrocchiali italiani, che aderiscono a questa associazione, fondata a Brescia nel 1968. In secondo luogo il Direttivo dovrà decidere sulle iniziative che si vorranno realizzare, insieme ai soci del Centro. Tuttora, è composto in totale da 400 soci, di cui 100 con facoltà di voto passivo e attivo. La formazione, l/educazione umana e cristiana di ragazzi, giovani e adulti, l/organizzazione del tempo libero, in particolare la diffusione dei valori dello sport, del turismo, della musica, del teatro, dei linguaggi mass mediali, del volontariato, sono le linee generali su cui il Centro dovrà muoversi, rivolgendosi a tutte le fasce di età, all/interno di una visione cristiana. Tutte le suddette attività costituiscono un momento di crescita educativa, culturale, finalizzata alla maturazione della persona e alla crescita integrale del cittadino.

Finalmente per le classi dell/obbligo un/unica sede

L/apertura del primo anno scolastico del nuovo millennio (il riferimento alla straordinaria coincidenza è spontaneo) è stata particolarmente solenne per gli alunni delle scuole elementari e medie di Cascia. E non poteva essere diversa, dal momento che per la prima volta tutte le classi dei corsi dell/obbligo possono essere ospitati in un/unica sede, dopo un lungo e travagliato periodo durante il quale le autorità scolastiche e comunali hanno dovuto far fronte alla necessità di reperire locali idonei all/alta opera educativa della scuola. L/Amministrazione comunale, di concerto con la direzione dell/Istituto comprensivo, ha voluto organizzare una cerimonia in grande stile, perché questo traguardo è stato atteso e voluto da tanto tempo. Sono state convocate molte autorità e personalità, fra le quali il Provveditore agli studi dott. S. Miccichè, l/assessore provinciale alla Cultura dott.ssa M. R. Bruscolotti, il sen. P. Castellani. L/invito è stato esteso anche agli ex Capi d/Istituto, e a quanti, docenti e personale non insegnante, hanno prestato la loro opera a favore della popolazione scolastica di Cascia. Alle ore 10.30 il sindaco Gino Emili, visibilmente soddisfatto, ha rivolto parole di saluto e di ringraziamento, facendo un fugace cenno alle difficoltà che hanno accompagnato tutta la vicenda, che gli adulti conoscono e che #$è meglio risparmiare ai più giovani#$. Anche il Provveditore ha espresso il suo compiacimento per l/importante realizzazione, ricordando pure che il polo scolastico di Cascia è stato arricchito con una sezione staccata di liceo scientifico. L/Assessore provinciale, evidenziando le competenze della Provincia nell/organizzazione dell/istruzione superiore, ha sottolineato l/importanza che la scuola riveste nella formazione culturale dei ragazzi e nel prepararli ad essere bravi cittadini. Il capo dell/Istituto comprensivo, prof.ssa M. Franca Bologni, ha dato risalto alle migliori condizioni per la gestione dell/attività scolastica. Poi il Sindaco ha consegnato ad una suora, rappresentante il monastero di S. Rita, una targa in segno di riconoscenza verso le monache agostiniane che da sempre hanno dato una mano alle amministrazioni comunali mettendo a disposizione dei locali idonei per un corso delle elementari e per una sezione della scuola media. Il priore degli agostiniani di Cascia, padre Luciano De Michieli, ha impartito la benedizione ai presenti ed al nuovo edificio, offrendo come dono un quadro di S. Rita. A conclusione della cerimonia non poteva mancare l/atto simbolico più significativo, cioè il taglio del nastro tricolore da parte del Sindaco e del Provveditore, il cui ingresso attraverso la porta principale, insieme alle altre personalità e agli alunni, è stato accompagnato dalle note dell/Inno di Mameli eseguito dalla banda musicale cittadina.

Accompagnando la “Madonna di Loreto” alla Giornata delle famiglie

Grande folla alla stazione ferroviaria di Spoleto, sabato scorso 20 ottobre, per far festa alla Madonna di Loreto, in viaggio verso Roma, dove in serata è stata poi accolta da Giovanni Paolo II e intronizzata in piazza S. Pietro. Vigilia, sabato, della grande Giornata delle Famiglie, in occasione della beatificazione della prima coppia di sposi nella storia, i coniugi Beltrame Quattrocchi, nel ventesimo anniversario della Familiaris Consortio, la celebre Enciclica sulla famiglia. Grande folla, abbiamo detto, con tanti bambini e un coro possente di voci, in risposta ai canti guidati da don Paolo Peciola, presidente dell/Unitalsi e soprattutto al Rosario intonato dall/arcivescovo, mons. Fontana. Dinanzi a noi, sul primo binario, il convoglio ferroviario con la statua della #$Madonna Nera#$, che Spoleto ha coperto di fiori. Accanto all/Arcivescovo, nel candore dei parati liturgici, il parroco di S. Rita, padre Modesto Seri. Lacrime di commozione su molti volti, anche di chi scrive questo articolo, poiché immergersi in un popolo così folto e entusiasta, in attesa della Mamma e lo sventolio poi di tante bandierine e fazzoletti, non può non toccarti. Non era certo religiosità di maniera. Del resto, Spoleto ha avuto sempre tutta un/affinità con Loreto. Secondo i cronisti del tempo – ci riferiamo particolarmente al prevosto Pietro di Giorgio Tolomei venuto da Teramo a Loreto nel 1430 – la S. Casa di Nazareth, e più precisamente la Camera della Beata Vergine Maria di cui gli apostoli e i discepoli avrebbero fatta una chiesa, sarebbe stata portata dagli angeli nell/attuale sede di Loreto il 2 dicembre 1295, dopo le soste dapprima in Schiavonia e poi in territorio di Recanati, il 10 dicembre 1292, nel predio donato da una certa Loreta (da cui #$Loreto#$). Ma anche di qua sarebbe stata traslata, per ben due volte, e sempre dagli angeli, fino al sito attuale, visto che piuttosto che le conversioni si andavano moltiplicando scontri e litigi. Fu allora la volta dei miracoli e dei pellegrinaggi, finché nel 1468 si pose mano all/attuale Santuario. E/ del 1531 la prima pietra della grande #$scatola marmorea#$ a custodia della Casa.Abbiamo dato le date per dire come proprio nella prima metà del /500 Spoleto volle costruire in città quasi l/avamposto della Basilica lauretana… A Spoleto infatti, già nel 1538 veniva costruita una modesta Cappella, a imitazione della Santa Casa, a opera di Jacopo Spinelli, con pitture di Jacopo Siciliano (la Vergine fra S. Sebastiano e S. Antonio: pittura lasciata imperfetta, tuttavia completata miracolosamente proprio dagli angeli). Così, i pellegrini che si avviavano a Loreto, qui potevano far tappa, trovando non solo un/anticipazione della casa di Nazareth, ma addirittura un lungo portico di 300 metri, sotto il quale avrebbero potuto sostare e riposare, portico offerto da nobili famiglie spoletine. Fu questo anche il luogo di ripetuti e estenuanti esorcismi: si parla, nel 1571, di una vera folla di indemoniati (nei cronisti con la maiuscola) e da sei a otto sacerdoti concentrati per la liberazione. E appunto l/anno seguente, 1572, Spoleto poneva mano all/attuale santuario, a protezione e riparo della Cappella primitiva del 1538. A custodia furono chiamati i Barnabiti, seguiti poi da altri ordini, finché, dopo la discesa dei Piemontesi e l/allontanamento dei religiosi, la costruzione finì per essere destinata all/attuale Ospedale, dopo decenni di invasione di militari che l/avevano destinata a caserma, invadendo anche il tempio. Qui, come scriveva Aldo Calvani nel numero scorso, dovrebbe ora sorgere il grande Centro oncologico. I malati di tumore, all/ombra del Santuario di Maria! Non male! Spoleto-Loreto, un legame istintivo che nel 1872 avrebbe portato mons. Cadolini, arcivescovo di Spoleto, con il beato don Pietro Bonilli e i suoi primi missionari della Sacra Famiglia al Santuario di Loreto, il 5 settembre, per l/atto di consacrazione solenne di fronte al vescovo del luogo mons. Tommaso Gallucci. Una settimana prima il papa Pio IX aveva solennemente benedetto il quadro della Sacra Famiglia commissionato proprio dal Bonilli e il Bonaccia al Gagliardi. Ne resta traccia anche a Loreto. Dunque, sabato scorso, tanta festa nella nostalgia di un/era nuova, cui si aprano le nostre famiglie. Un auspicio sicuro per il nostro Sinodo che ha già approvato in luglio il documento sulla Pastorale giovanile (i figli) e si prepara, fra qualche mese a varare quello sulla pastorale familiare.

Da Ciampi apprezzamento alla città ed anche un monito

La visita che il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha effettuato a Terni non può considerarsi conclusa con la sua presenza. I messaggi che ha lanciato, per un verso sono estremamente lusinghieri per la nostra realtà territoriale, per ciò che la città ha saputo compiere in situazioni difficili, problematiche, delicate, per l/impegno sempre manifestato dalla nostra collettività. Ma per un altro verso il messaggio suona come un monito alle istituzioni, agli amministratori ad operare con il massimo impegno per il bene comune. Non a caso il Presidente ha parlato in termini molto espliciti di una operatività per realizzare progetti concreti, compatibili con i mezzi disponibili. Aggiungendo che tali progetti debbono essere realmente portati a termine, senza sterili riunioni, senza perdite di tempo, senza #$un vano confronto di punti di vista#$. E poi la necessità di #$sottoporre periodicamente a monitoraggio l/avanzamento dei lavori#$. Quindi una ammonizione quando ha affermato che #$l/opera degli amministratori deve affrontare periodicamente il giudizio dei diretti interessati, dei cittadini#$. Ovviamente nessun riferimento concreto a una realtà locale, ma le parole del Presidente hanno suonato veramente come monito nei confronti – anche nel nostro territorio – di coloro che, amministrando la #$cosa#$ pubblica, parlano, promettono, aprono #$tavoli#$, ma poi, in effetti, non sempre producono realtà concrete, iniziative attuative. #$Fate attenzione – ha detto Ciampi – che i cittadini diventeranno tanto più esigenti quanto più grandi diverranno i poteri e le responsabilità degli organi di governo locale, a loro vicini e ben conosciuti. In futuro – ha ancora aggiunto – sarà ben difficile far ricadere responsabilità per le realizzazioni mancate su burocrati lontani e sconosciuti#$. Un monito chiaro, nitido. Con evidente riferimento alla #$costituzione di uno Stato di ispirazione federale#$. Non a caso il Presidente della Repubblica, in questo contesto, ha voluto sottolineare come #$i lontani antenati crearono, col buon governo, una meraviglia della natura come la cascata delle Marmore#$. Come dire: se ventitré secoli fa questa #$meraviglia#$ gli antenati sono riusciti a crearla, i progenitori potranno essere da meno? Ma, con l/intento sorridente di voler tornare a Terni a vedere lo spettacolo della Cascata illuminata, Ciampi ha anche aggiunto che sarà un/altra buona ragione #$per ritornare da voi#$ per informarsi #$sui progressi che avete fatto per la realizzazione dei progetti che vi stanno a cuore#$. Una sollecitudine, certo, quasi da #$buon padre di famiglia#$. Ma, indirettamente, una spinta, uno stimolo, un invito preciso. E se i progetti #$che stanno a cuore#$ ai ternani gli amministratori locali riusciranno a attuarli, vorrà dire che la visita del Presidente ha costituito un ulteriore motivo di soddisfazione e di grande apprezzamento. Motivi che, in ogni caso, permangono al di là delle vicende locali.

Ciampi agli umbri: “avete un patrimonio straordinario di civiltà”

E’ stata l’Umbria dell’università, del lavoro e dell’industria, del volontariato e della gente che ancora vive in container e casette di legno ad accogliere e salutare il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, in visita alla regione insieme alla moglie Franca. Due giornate molto intense, iniziate nella serata di domenica, proprio mentre i trecentomila della marcia della pace Perugia-Assisi salivano su auto e bus per tornare a casa. Proprio a loro è andato il primo pensiero del Capo dello Stato che ha inviato un telegramma ai coordinatori della Tavola della pace. “E’ indispensabile riscoprire e diffondere la cultura della cooperazione e della solidarietà – ha scritto Ciampi – in modo da potenziare il sistema di istituzioni mondiali e renderlo capace di soddisfare pienamente la domanda di governo, di sviluppo, di giustizia sociale, di sicurezza e di pace”. L’INCONTRO CON GLI AMMINISTRATORIIl Presidente ha accennato alla marcia anche di fronte ai sindaci e agli amministratori riuniti lunedì mattina nella Sala dei Notari di Perugia. In particolare ha richiamato l’attenzione dei presenti sullo slogan dell’iniziativa: “Cibo, acqua e lavoro per tutti”. Esprimendo apprezzamento per il territorio regionale, ha parlato dell’Umbria come di “uno scrigno prezioso che racchiude, in un piccolo spazio, tante piccole, grandissime città, un patrimonio straordinario di civiltà”. Con i vertici istituzionali umbri Ciampi ha parlato anche di risanamento dei conti pubblici, di Europa e di politica interna, auspicando la ripresa del dialogo fra le forze politiche che dovrebbero impegnarsi a sviluppare un’azione coingiunta per risolvere i problemi delle infrastrutture e dello sviluppo. IL SALUTO DEGLI ENTI LOCALILe tensioni internazionali, la marcia della pace, la ricostruzione dopo il terremoto. Sono stati i temi principali degli interventi dei vertici istituzionali umbri a Palazzo dei Priori. Il sindaco di Perugia, Locchi, ha ricordato la marcia e ha sottolineato che “il terrorismo si combatte su più fronti, anche togliendo a chi lo pratica la sua linfa vitale”. Il presidente della Provincia di Perugia, Cozzari, ha parlato invece della ricostruzione, sostenendo che il dopo-terremoto “occupa gran parte delle attenzioni dei diversi livelli istituzionali”. La presidente della Giunta regionale, Lorenzetti, infine, ha detto che il federalismo scelto con il referendum “consente di far esprimere al meglio capacità e peculiarità di ogni società regionale, contribuendo significativamente alla stessa coesione e unità nazionale”. La Lorenzetti ha anche ricordato a Ciampi che l’Umbria soffre di “criticità” storiche, come la carenza delle infrastrutture di comunicazione, le dimensioni delle imprese che, essendo medio piccole, pagano un prezzo alto per competere sui mercati, i ritardi nei processi di innovazione e nella ricerca scientifica. NELLE AULE UNIVERSITARIEUno spazio importante della sua visita Ciampi l’ha voluto riservare ai due atenei perugini. Alla Stranieri, il Capo dello Stato ha esaltato il ruolo strategico e baricentrico dell’istituzione, proprio nel mezzo del Belpaese. “Perugia è un buon punto di partenza – ha detto a circa duecento studenti di vari paesi del mondo – per il vostro viaggio di scoperta dell’Italia, a cominciare dalla sua lingua”. Il rettore Paola Bianchi De Vecchi ha ricordato che l’ateneo di Palazzo Gallenga “oggi può essere considerato non solo la più antica, ma anche la più qualificata istituzione impegnata nelle attività di insegnamento e di ricerca scientifica finalizzate alla diffusione della lingua, della cultura e della civiltà italiane”. Nella Sala del Dottorato di piazza dell’Università, invece, il rettore Francesco Bistoni ha auspicato l’arrivo di “nuove e più adeguate risorse umane e finanziarie” per completare il processo di rinnovamento. VISITA AI TERREMOTATIL’incontro più toccante e sincero con la gente umbra Ciampi l’ha avuto nel folignate, dove ha voluto visitare chi vive ancora oggi quotidianamente i problemi della ricostruzione. Dopo un momento istituzionale al Comune di Foligno per l’inaugurazione del recupero della Sala consiliare e un saluto ai figuranti della Giostra della Quintana, il Presidente ha raggiunto in auto il paesino di Scopoli, uno dei più lesionati dal sisma del 1997. Durante la visita al campo che accoglie ancora gran parte degli abitanti del borgo, non più in container di latta ma in casette di legno, ha tranquillizzato la gente che aveva espresso perplessità per la scarsa attenzione della prossima finanziaria ai problemi della ricostruzione in Umbria e ha commentato positivamente quanto fatto fino ad ora dagli amministratori umbri. “La ricostruzione in questi quattro anni – ha detto Ciampi – è andata avanti in modo appropriato con il contributo di tutti. Oltre metà del cammino è stato percorso. Certo, troppe famiglie, più di mille, sono ancora alloggiate nei container. Speriamo che per loro sia l’ultimo inverno”. Il Presidente della Repubblica nella giornata di martedì ha visitato Terni “Dire Terni, per molti italiani, è dire acciaio. Era così negli anni della mia giovinezza, è così ancora oggi, dopo non poche traversie, che avete largamente superato, grazie all’altissima specializzazione della vostra manodopera, grazie alle vostre capacità imprenditoriali, grazie alla forza di quegli ‘spiriti vitali’ che sono alle origini di ogni storia di sviluppo industriale, e in ultima analisi grazie alla vostra voglia di lavorare”. Lo ha affermato il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nella sua visita a Terni, nel suo primo incontro con la città. Giunto con la consorte, signora Franca, il Presidente è stato accolto a palazzo Gazzoli dalle massime autorità della Regione e della città. Il saluto del sindaco Paolo Raffaelli ha esaltato la cultura industriale della città che, però, si sta trasformando per divenire cultura della città dei servizi non mancando, tuttavia, di sottolineare come esistano problemi di crisi che caratterizzano alcune realtà industriali come la Bosco, la Società delle fucine, la Viasystems, taluni comparti industriali. Ciampi, da parte sua, ha voluto rilevare come Terni sia stata capace di “far nascere a fianco di attività tradizionali una molteplicità di imprese, in settori totalmente diversi dell’attività produttiva” precisando come questa vicenda, complessa e difficile, sia “un esempio da manuale di storia industriale a cavallo fra due secoli; una storia che oggi – possiamo dirlo con sicurezza – avete saputo condurre a buon fine”. Ed al presidente della Giunta regionale, Maria Rita Lorenzetti, che aveva sottolineato “una significativa presenza di imprese multinazionali” che danno vita a una “globalizzazione che non è un astratto concetto”, Ciampi ha indirettamente risposto asserendo che la città ha avuto “uno dei contratti d’area dell’Italia centro-settentrionale e saputo costruire un’industria attrezzata, attraente per costi e servizi”. Ciò perché a una forte cultura industriale, disponibilità di manodopera altamente qualificata, si aggiunge un ambiente che offre “quel bene insostituibile che è l’ordine e la sicurezza”. Nel libro d’oro del Comune, il Presidente ha voluto lasciare una testimonianza della sua stima per la città rilevando l’abnegazione di una comunità che aveva subito danni gravissimi nel corso della seconda guerra mondiale, così come in precedenza aveva sottolineato con soddisfazione l’iniziativa presa dalla stessa città, unitamente a altri 14 comuni ricadenti nel territorio diocesano, della diocesi e della Comunità di Sant’Egidio, per un impegno nella lotta contro l’Aids nel Mozambico. Poi la visita in cattedrale, accolto dal vescovo diocesano mons. Vincenzo Paglia. Un incontro tra amici, tra persone che si stimano. Il Vescovo ha mostrato al Presidente e alla consorte la croce astile medioevale recentemente restaurata, quindi ha detto di “affidare la presidenza al patrono di Terni, San Valentino. Abbiamo bisogno di pace e di amore e San Valentino è patrono dell’amore”.Nel suo saluto, Ciampi ha ringraziato il Vescovo “non solo per quello che fa a favore della diocesi ma anche per quello che fa per la pace nel mondo”. L’intensa giornata del Presidente ha visto anche l’incontro con il volontariato dell’Umbria. “Senza di voi la solitudine di molti anziani sarebbe soltanto desolazione; senza di voi i più elementari diritti di moltitudini di bambini privi di ogni risorsa non verrebbero in alcun modo riconosciuti – ha detto Ciampi – le pene di categorie emarginate e respinte dalla società non troverebbero sollievo nella solidarietà umana, fonte di speranza; le limitazioni degli handicappati, e il tormento delle loro famiglie, non sarebbero leniti dalla vostra calda presenza; le sofferenze di intere popolazioni colpite da disastri naturali, o vittime di conflitti e guerre, risulterebbero intollerabili”. Da qui un caldo ringraziamento ai rappresentanti del volontariato. Non poteva certo mancare una visita del Presidente nello stabilimento Acciai Speciali Terni. Ricevuto dal vertice della dirigenza aziendale, il Presidente ha rilevato “l’importanza del dialogo per risolvere i problemi” evidenziando ancora una volta l’alta professionalità delle maestranze. Infine ad ammirare la cascata delle Marmore a conclusione di una visita che, come ha detto il Sindaco, costituisce “un segnale importante di attenzione e un incoraggiamento ad andare avanti con maggiore vigore e determinazione”.

La via di Assisi alla pace

Il Papa, un profeta del nostro tempo, aveva visto giusto, quando ha raccolto insieme cristiani e religioni universali di tutto il mondo a pregare per la pace. E questo avvenne ad Assisi il 27 ottobre del 1986. Da lì ebbe origine quello che fu definito lo “spirito d’Assisi”. In questi anni c’è stato chi ha alimentato questa prospettiva di amicizia tra i popoli e le religioni, la Comunità di S. Egidio e non solo. Vi sono state innumerevoli persone e gruppi che hanno animato iniziative autentiche di dialogo e di esperienza di servizio alla pace attraverso l’accoglienza degli stranieri, studenti e lavoratori, dando testimonianza di tolleranza e di ospitalità. Si può dire che il mondo cattolico e cristiano ha fatto quello che doveva fare secondo il vangelo, fino ad essere accusato di non essere stato prudente come il serpente ma solo semplice come una colomba. E tuttavia ciò non è bastato per fare pace tra le religioni e tra i popoli, per rasserenare gli animi. La comunicazione non ha funzionato, non è giunta là dove era necessario. Dall’esplosione dell’11 settembre è venuto un messaggio tragico di minaccia che ha riportato il mondo ad una spaccatura profonda e carica di sospetto e di odio. La voce di quel coro di uomini timorati di Dio che si riunirono insieme per pregare e firmarono l’atto di impegno per la pace sul sagrato della basilica di San Francesco, non è giunta alle orecchie e al cuore di tutti. E’ continuato a spirare il vento dell’odio e il desiderio di vendetta contro l’umiliazione. Una parte del popolo musulmano, piccola o grande che sia, certamente potente, ha deciso di rompere ogni indugio e di passare all’attacco violento, disperato e tragico, non curante di fare vittime innocenti e inconsapevoli. Qualcuno dice che l’ha fatto per reagire contro la povertà e l’emarginazione di popoli oppressi. Ce ne sono e di questo si dovrebbe far carico la comunità internazionale nel suo insieme. Ma è stato anche detto che non si può confondere Osama BenLaden con il Che Guevara. Osama ha parlato di umiliazione e si è appropriato di vesti e di parole del profeta dell’Islam, non sappiamo con quale diritto. L’occidente è stato colpito nella sua sicurezza e nella presunta superiorità di tecnologie e di mezzi finanziari attraverso i quali presumeva di governare il mondo e di imporre i suoi modelli di vita. E’ questa l’umiliazione di cuisi è parlato e da essa è scaturita l’assurda rivincita, che ha già provocato una risposta di tipo militare, innescando un meccanismo infernale: la corsa alla vicendevole distruzione. Questo è il tempo dei profeti disarmati che riprendono a tessere la rete delle relazioni di reciproca rappacificazione secondo lo “spirito di Assisi”, che indica la via inedita della concordia religiosa, presupposto della concordia sociale umana. Il Papa ha additato anche qualche giorno fa la preghiera come mezzo per conquistare il cuore dell’unico Dio che ha disegni di pace e non di afflizione. La nostra regione, l’Umbria di Benedetto e di Francesco ha avuto dalla provvidenza un ruolo particolare che deve onorare soprattutto con l’offerta di uno stile di convivenza fraterna che possa costituire un modello di vita per il mondo e con gesti di profezia che non si esauriscono con la marcia Perugia Assisi.

“Via libera alla scienza nel rispetto dell’integrità umana”

L’espansione dei confini della scienza, fra etica e sviluppo economico. Un tema assai delicato e complesso, quello affrontato quest’anno dalla decima conferenza organizzata dal centro studi Nemetria di Foligno. Un appuntamento che richiama sempre personalità e studiosi di area socio-politico-economica, per riflettere sulle tendenze e sui cambiamenti che interessano il nostro Paese. Nel parlare dei confini della scienza, il dibattito – in pratica – è stato monopolizzato dalla ricerca sulle biotecnologie, che negli ultimi anni è diventata terreno di confronto e di scontro fra economia ed etica. “La biotecnologia – spiega Tristram Engelhardt, docente della Rice University di Houston e uno degli studiosi di bioetica più noti al mondo – è essenziale per l’adattamento dell’uomo all’inquinamento del nostro pianeta. Senza di essa non potremmo sopravvivere facilmente. Ci sono però oggi modi diversi di concepire lo sviluppo delle biotecnologie. E per questo – ci spiega lo studioso – dobbiamo trovare il modo di convivere con tali diversità di vedute, perchè non riusciremo a trovare un accordo comune su come applicare queste tecniche all’uomo”. Via libera alla scienza – ha puntualizzato monsignor Attilio Nicora, presidente della commissione Cei per i problemi giuridici – ma sempre nel rispetto della dignità e dell’integrità dell’essere umano. Dovrebbe essere questo il limite di ogni ricerca tecnologica. “L’uomo non può mai essere utilizzato come mezzo – ha spiegato Nicora durante la sua relazione – ma solo come fine, e ciò deve essere considerato come elemento invalicabile per la sua tutela”. Un parametro che fa riflettere sul fatto che non tutto ciò che è tecnologicamente possibile è eticamente lecito. Un dibattito sempre molto difficile, a causa dei tanti interessi in gioco, come hanno sottolineato i relatori intervenuti alla conferenza. “Dal darwinismo fisico – ha detto l’economista Paolo Savona, presidente del comitato scientifico di Nemetria – negli ultimi decenni siamo passati al darwinismo economico”. Per quanto riguarda la ricerca scientifica, lo studioso Angelo Petroni ha ricordato che in Italia non ci sono molte grandi aziende in grado di sopportare i costi delle attività, mentre abbondano i “cervelli”, costretti per lo più a lavorare all’estero. Il segretario generale del Censis, Giuseppe De Rita, ha evidenziato la delicatezza estrema di temi come etica e morale della scienza. “La globalizzazione oggi – ha detto – dev’essere policentrista e policulturale, altrimenti si arriva a scontri come quello in atto ora fra culture, identità e religioni diverse”. Critiche molto dure al comportamento dei mezzi di comunicazione sono partite dal ministro alla Sanità, Girolamo Sirchia, che ha definito allarmistico l’atteggiamento dei media nei confronti del bioterrorismo e degli organismi geneticamente modificati. Tornando sul tema della conferenza di Nemetria, Sirchia ha sottolineato la necessità di non limitare in alcun modo la ricerca scientifica, governando piuttosto le sue applicazioni pratiche. All’incontro folignate su “Etica ed economia” è intervenuto anche il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, premiato per la partecipazione a tutti e dieci gli incontri di Nemetria con un’edizione originale della “Summa teologica” di Tommaso d’Aquino. Per affrontare nel giusto modo il problema della globalizzazione, ancora di più alla luce degli attentati dell’11 settembre scorso, “occorre – ha detto Fazio – la politica, non basta il mercato”. Affermazione che acquista una forza maggiore, pronunciata da uno dei più profondi conoscitori dell’economia italiana degli ultimi quarant’anni.

Inaugurazione Anno accademico

Mons. Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, ha inaugurato solennemente l’anno accademico (il XXXI) dell’Istituto teologico di Assisi. Mons. Betori, che è stato docente di Sacra scrittura dal 1974 fino allo scorso anno, preside dal 1982 al 1985, ha presieduto una concelebrazione eucaristica nella basilica di San Francesco venerdì 5 ottobre sottolineando la grande importanza che riveste per tutta la Chiesa questo fecondo centro di studi che ha già visto cinque ex docenti elevati alla dignità vescovile. In ordine di tempo, oltre al già citato, essi sono: Giovanni Benedetti, vescovo emerito di Foligno, già docente di (Filosofia fondamentale 71/75), Ennio Antonelli, arcivescovo di Firenze, già segretario generale della Cei (Teologia dogmatica 71/85), Pietro Bottaccioli, vescovo di Gubbio, (Diritto canonico 86/89), Antonio Buoncristiani arcivescovo di Siena (Sociologia 86/94). Il rito si era aperto con il canto del “Veni Creator”, corale invocazione allo Spirito santo, sotto la cui protezione veniva posta la missione di coloro che primariamente assumono il compito e la grande responsabilità di dimostrare che la Chiesa è il volto di Dio in mezzo agli uomini. Il commento al libro del profeta Baruch ed al brano evangelico che ricorda l’invio in missione dei primi 72 discepoli ha consentito al celebrante una vera e propria “Lectio” intonata alla ricorrenza ed in cui si percepiva centrale il monito ad accogliere senza riserve l’interezza della verità cristiana: un imperativo che, lungo i sentieri del tempo, collega Betsaida e Cafarnao alle città del travagliato mondo contemporaneo. Nel saluto finale, prima della solenne benedizione, il vescovo Betori ha manifestato una acuta nostalgia dell’insegnamento svolto presso il Teologico di Assisi, ricordando i volti delle centinaia di studenti ai quali ora come allora ha rivolto l’esortazione a far tesoro della esperienza di studio, ancorché rigorosa e severa, durante la quale si edifica la persona per consolidarne la presenza nel mondo secondo il disegno e la volontà della Divina Provvidenza. Nello stesso giorno si è tenuta sotto la guida del preside mons. Vittorio Peri l’assemblea degli studenti che nello scorso anno avevano raggiunto la consistenza di 286 iscritti (220 uomini e 66 donne; 77 laici, 38 seminaristi, 7 presbiteri, 3 diaconi, 161 religiosi/e). L’andamento delle iscrizioni, aperte lo scorso 3 settembre ed ancora in corso, lascia intendere che questo numero sarà superato. Di questo ha preso atto con soddisfazione il vescovo Sergio Goretti, intervenuto in qualità di Presidente della Conferenza episcopale umbra. Il Presule ha definito i ministri del vangelo “sentinelle vigili” alle quali è affidato il compito di aiutare le persone a vivere il cambiamento in un mondo profondamente mutato, denso di incognite, in continua trasformazione. Questa consapevolezza è il fondamento dell’importanza della preparazione in questo luogo prezioso – il Teologico – che sta a cuore ai vescovi quale segno di unità della regione ecclesiastica umbra, di quella unità che, spesso, rimane ancora un obiettivo da conseguire piuttosto che una conquista da celebrare.

Con Haber e la Marchini si alza il sipario al Morlacchi

La stagione di prosa del teatro Morlacchi di Perugia si apre martedì 23 ottobre con la presenza di un regista internazionale Jèrome Savary, da due anni direttore dell’Opera Comique. Ispirato all’Aulularia di Plauto, “L’Avaro” è l’esempio della perizia drammaturgica di Molière, che perseguendo una personale battaglia contro il cattivo gusto e il grottesco nel genere comico e rifacendosi al classico, in modo assolutamente personale, costruiva satire di costume in cui prendeva di mira i vizi della società. Il centro dinamico della pièce (in scena al teatro Morlacchi fino a domenica 28 ottobre e al teatro Mancinelli di Orvieto il 15 e 16 dicembre) è l’avarizia di Arpagone, che sfiora la paranoia e lo rende inviso anche ai figli. L’odio cresce quando, lasciandosi tentare dall’ebbrezza senile, decide di sposare Marianne, amata in realtà dal proprio figlio. Da qui intrecci, intrighi e stratagemmi che culmineranno nel furto del preziosissimo forziere di Arpagone. La commedia viene affrontata dal regista franco-argentino secondo le sue personali e originali linee interpretative, ma senza tradire mai lo spirito del testo. “L’Avaro – commenta Jèrome Savary – è un testo così universale quanto atemporale. Io non ne ho voluta fare una forzata messa in scena ‘moderna’ ma voglio ricordare al pubblico la modernità di Molière. Noi quindi abbiamo lavorato in questo senso, gettando un ponte fra l’epoca di Molière e la nostra, cercando similitudini fra questi due periodi a prima vista così lontani ma invece vicini”. Ma oltre all’indubitabile perizia e raffinatezza drammaturgica di Molière, “L’Avaro” ci mette chiaramente davanti al grande senso del teatro dell’autore, alla sua capacità d’analisi ancora attuale, che il regista ha voluto sottolineare con particolare attenzione in questa nuova messinscena. Accentuando il gioco teatrale molièriano, con la vorticosa fantasia e la spiccata ironia che gli sono proprie, Savary evidenzierà la modernità di temi come l’amore, il conflitto generazionale, l’avarizia, le azioni compiute per interesse, che oggi come nel Seicento, ci inducono a riflettere. In tale operazione il regista è sostenuto dall’entusiasmo di una compagnia giovane e molto professionale e dal talento indiscutibile di due attori molto amati, che ammireremo nei ruoli principali, Alessandro Haber e Simona Marchini. “Recitando L’Avaro- dice Simona Marchini – ci stiamo divertendo molto, ci siamo capiti bene con Savary, siamo della stessa generazione, siamo entrambi curiosi. Savary è un regista geniale, il suo modo di fare teatro è estremamente fantasioso e poetico. Credo che anche il pubblico perugino si divertirà molto nel vedere il nostro spettacolo, soprattutto gli spettatori più giovani”. Lo spettacolo si avvale della scenografia dello stesso Savary, dei costumi di Michel Dussarat e delle musiche composte da Gerard Daguerre.

Appello della Chiesa umbra: “Giustizia senza vendetta”

La veglia di preghiera per la pace ha raccolto in cattedrale tantissimi credenti (marciatori e non) intorno ai vescovi delle diocesi umbre che l’avevano promossa. La veglia, presieduta dall’arcivescovo di Perugia mons.Giuseppe Chiaretti, era animata dall’Agesci nazionale che con la sua orchestra del Giubileo ha proposto una riflessione sul tema in musica e recitazione. Mons.Sergio Goretti ha portato il messaggio delle Chiese umbre (il testo qui di seguito) mentre il patriarca di Gerusalemme mons.Michel Sabbah ha proposto la meditazione sul brano evangelico delle beatitudini. “La pace esige molto da chi vuole contribuire a farla” ha detto ricordando che “la sfida maggiore è rispondere alla violenza con la non violenza”, attraverso l’amore, “la forza più grande del cuore dell’uomo”. “Vogliamo che i grandi del mondo si convertano, cambino modo di gestione del sistema – ha detto Sabbah – ma ognuno di noi è parte del sistema”. Per questo il Patriarca ha chiesto di iniziare da noi stessi la conversione alla pace chiedendo anche il nostro impegno a “non lasciare Dio fuori dal sistema”.”Ognuno di noi conosce già i motivi che hanno spinto i vescovi di questa regione a indire questa veglia di preghiera per la pace. (…) Intendiamo offrire preghiere di suffragio per tutte le vittime innocenti degli attentati, da quelli recenti e spaventosi avvenuti negli Stati Uniti d’America a quelli verificatisi in altre parti del mondo e invochiamo che al loro sangue non si aggiunga altro sangue innocente. E’ già troppo quello versato! Invochiamo da Dio il conforto per gli orfani e per le famiglie colpite da così incredibili e assurdi lutti. Preghiamo, in particolare, che saggezza ai capi dei popoli e internazionali, perché, nel perseguire i criminali e i loro mandanti – il terrorismo e la violenza non possono essere in alcun modo tollerati – non si lascino coinvolgere nella spirale della vendetta, foriera di ulteriori guai per l’umanità. (…) Come credenti in Dio respingiamo con fermezza ogni forma di strumentalizzazione della religione. Parlare di guerre sante, definire martiri di Dio povere creature disperate o manipolate che si uccidono e vanno ad uccidere altre persone, significa offendere gravemente Dio, che è Padre di tutti. La vera fede ci porta al dialogo, all’amore e a guardare ad ogni creatura con rispetto e comprensione. Dio vuole la vita, non la morte. Cristo ci ha insegnato a perdonare sempre e ad amare anche i nemici. Il Papa ha detto che è lontano da Dio e non lo può minimamente comprendere chi semina discordia e ama la violenza. Occorre interrogarsi seriamente sulle radici, anche remote, di questa ondata di odio, che ha già macchiato questo inizio di millennio e ha alimentato un fondamentalismo violento e terribilmente pericoloso. Troppa parte dell’umanità vive nella più squallida miseria, priva del pane, del lavoro, della casa, dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria, mentre la parte più fortunata del mondo finora si è limitata a far cadere qualche briciola dalla sua ricca mensa, cullandosi nella sua ostentata prosperità, priva talvolta, anche di precisi valori morali e spirituali. Troppe quelle guerre, che colpiscono paesi poveri, sono da tempo ignorate. Le sofferenze dei piccoli, purtroppo non fanno notizia. La questione palestinese che, a giudizio di molti, è la causa principale dell’attuale situazione, va risolta senza ulteriori indugi. Se Israele ha diritto ad avere un suo stato, analogo diritto va riconosciuto anche ai palestinesi. Saluto con particolare affetto mons. Michel Sabbah, patriarca latino di Gerusalemme, e gli assicuro la stima e la vicinanza di tutte le comunità cristiane dell’Umbria. Vogliamo la pace, senza la quale non è possibile vivere. Tuttavia, non possiamo limitarci a proclamarla, occorre farla. Le otto chiese particolari dell’Umbria, senza far rumore, nella loro povertà, sono tutte impegnate da tempo nella realizzazione di opere sociali nelle parti più povere del mondo. La pace si costruisce in questo modo. Occorrono più fatti. Auspico vivamente che le sofferenze e le preoccupazioni di questi giorni diventino occasione di purificazione e di revisione, personale e collettiva. E’ possibile costruire un mondo diverso, dove lo sviluppo e la giustizia cammino insieme.”

I popoli oppressi dai conflitti chiedono pace e diritti umani

Da giovedì a sabato i rappresentanti (oltre cento) di organizzazioni e associazioni impegnate nella difesa dei diritti umani, hanno partecipato all’Onu dei Popoli. Tre giornate in cui il grido dei popoli oppressi e vittime delle guerre, è risuonato nel cuore della città, Perugia. Abbiamo raccolto alcune testimonianze per dare la possibilità, anche a chi non ha potuto partecipare, di conoscere alcune delle tragedie vissute da interi popoli ma anche l’impegno di migliaia di persone per la pace, credenti e non credenti uniti nel richiedere per tutti gli uomini e le donne del pianeta il riconoscimento dei fondamentali diritti umani: alla vita, alla libertà di pensiero, al rispetto della pripria dignità.Il volto affaticato emerge dal pesante maglione grigio in lana è di mons. Daniel Adwok, vescovo ausiliare di Khartoum (Sudan) e amministratore apostolico di Kosti. E’ in Italia su invito di Pax Christi per portare testimonianza della situazione degli abitanti del Sudan, in maggioranza cristiani, oppressi dal governo guidato da musulmani. Prima di essere un conflitto tra gruppi religiosi, quella del Sudan è una lotta per il controllo dei territori del sud, ricchi di petrolio. Alla comunità internazionale mons.Daniel Adwok chiede che entri nel processo per la pace nel Sudan, che si faccia un “ponte” tra il governo sudanese e il movimento dei guerriglieri. “Il Sudan è stato abbandonato – dice mons. Adwok – nessuno se ne cura. L’unica possibilità di pace è costringere il Governo sudanese e i guerriglieri a sedere e parlare di pace. E’ quello che mi auguro facciano presto le Nazioni unite. I vescovi sudanesi chiedono incessantemente uno stop allo sfruttamento petrolifero finché non ci sia pace, il cessate il fuoco e un accordo politico che rispetti il pluralismo nel paese: il conflitto va risolto in maniera politica”. Mons.Adwok parla bene l’italiano ed ha potuto seguire le polemiche che hanno accompagnato la marcia della pace e il confronto sull’intervento Usa in Afganistan. Sa bene cosa sta accadendo e che oggi la priorità deve essere data alla situazione afgana e palestinese, ma cita il detto latino “vox populi vox dei” per chiedere più attenzione alle centinaia di conflitti in atto nel mondo. “Dobbiamo arrivare al punto in cui i governi possono in poco tempo riconoscere questa voce e prendere posizione in merito alla voce dei popoli rispettando la dignità delle persone che parlano e vogliono un po’ di cambiamento. Ci dovrebbe essere un dialogo tra governi e popoli e un forum come questo (l’Onu dei Popoli, n.d.r.) potrebbe essere l’organo capace di iniziare questo dialogo”. Al suo appello si aggiunge quello di padre Emmanuel Joseph Seemampillai, dello Sri Lanka, che ha partecipato all’Onu dei Popoli per portare l’appello di pace del popolo Tamil, minoranza perseguitata dalla maggioranza Singalese, il 74% dei 17 milioni di abitanti dell’isola a sud dell’India. Da quattro anni vive in esilio in Germania. E’ stato vicario generale della diocesi dello Sri Lanka e rettore del seminario maggiore dove ha insegnato teologia per 25 anni. E’ vittima e testimone della guerra che dura da più di 20 anni provocando 80mila morti e 800mila rifugiati in tutto il mondo. Ha deciso di testimoniare al mondo la verità sulla situazione del suo Paese e di testimoniare contro il Governo a maggioranza singalese. Per lui è una scelta al servizio della verità, in nome di Cristo. Padre Seemampillai accusa il Governo di “terrorismo statale” il Governo guidato da singalesi “integralisti buddisti” che vorrebbero fare del buddismo l’unica religione. Hanno fatto dei Tamil, di religione indù, dei cittadini di seconda classe, perseguitando anche i cristiani Tamil. Alla comunità internazionale chiede che “conoscendo la verità della storia dei nostri popoli dia giustizia, non privilegi ma diritti umani per vivere nel nostro paese”. E chiede anche che cessino gli aiuti militari al Governo. Gli Usa e alcuni paesi europei, fra cui l’Italia, forniscono armi e aerei al regime, senza tener conto dell’uso che ne fa contro i gruppi terroristi che dopo trent’anni di opposizione pacifica ma inefficace all’oppressione singalese, sono passati alla resistenza armata. Il nostro testimone ha cercato di portare all’Onu la causa del popolo Tamil nello Sri Lanka ma l’esito non è stato positivo. “Noi Tamil non siamo uno stato quindi non abbiamo voce all’Onu. Abbiamo cercato un dialogo di pace con l’aiuto del governo norvegese, abbiamo accettato un “cessate il fuoco” ma dopo quattro mesi il governo ha bombardato ancora”. Dell’Europa dell’Est è testimone Zanaip Gachaeva, dalla Cecenia, co-presidente dell’associazione “Donne per la pace” che collabora con famiglie russe per insegnare ai propri figli i valori del dialogo e della pace nonostante il perdurare della guerra e della repressione contro il terrorismo da parte delle truppe di Mosca. In due anni, ricorda Gachaeva, “in Cecenia sono morti 80.000 civili, per non parlare di tutti i feriti, i mutilati, le vedove, i bambini orfani”. “Se è vero che esiste il terrorismo – afferma – è anche vero che per combatterlo bisogna saperlo separare dalla popolazione innocente. Altrimenti si raggiunge il solo scopo di creare odio in tutto il popolo”. “Uno dei gravi problemi dei bambini ceceni è aver visto soldati russi che distruggevano i loro familiari. Noi non vogliamo che i nostri figli crescano con questi sentimenti di risentimento, per cui abbiamo creato una rete di famiglie russe disposte ad adottare famiglie cecene”.

Un sussulto d’ira

Stavo concludendo la mia chiacchierata sugli apporti esogeni alla moderna visione cristiana del mondo, quando m’è capitato di leggere questo commento della strage delle Due torri: “Tra i tanti modi di morire ne esiste uno, il più criminoso, il più assurdo, quello che più offende la semplice ragione, quello che dal principio dei tempi e della civiltà ha il mandato di uccidere in nome di Dio. Le religioni, tutte, non serviranno mai per avvicinare e riconciliare gli uomini; al contrario, esse sono state e continuano ad essere cause di sofferenze inenarrabili, di stragi, di mostruose violenze fisiche e spirituali che costituiscono uno dei capitoli più terribili della misera storia umana. Almeno come segno di rispetto per la vita, dovremmo avere il coraggio di proclamare in tutte le circostanze questa verità evidente e dimostrabile, ma la maggioranza dei fedeli di qualsiasi religione non solo finge di ignorarla,, ma si leva iraconda e intollerante contro coloro per i quali Dio non è altro che un nome, il nome che, per paura di morire, un giorno gli abbiamo messo e che sarebbe venuto a sbarrarci il passo per un’umanizzazione reale”. Firmato José Saramago. Exarsit iecur meum. Un insulto d’ira inconsulta ha vaporizzato l’irenismo del quale di norma gronda la mia pallente abat jour. Questo piccolo capolavoro di ignoranza crassa, questo rutto da hooligan al whisky d’annata, reca la firma di un docente universitario, esponente della Morale Laica. Hanno tutto il diritto, Lor Signori, di adorare una ragione talmente debole da non rendersi conto di come sia supremamente ragionevole riconoscere i propri limiti ed aprirsi all’Oltre. Un po’ meno comprensibile, da parte loro, l’accusa di alienazione che rivolgono a noi credenti, loro che (pur di non prendere in esame nemmeno l’ipotesi che esista davvero una vita eterna) di fronte ai 300/350mila uomini che muoiono ogni giorno dicono “Pazienza”. Ma Lor Signori non hanno nessun diritto di ignorare la distinzione elementare fra una cosa e l’uso che ne viene fatto. Quanta fatica occorrerà per riuscire a far capire il concetto al professor Saramago? Quando verrà il giorno in cui il direttore di Repubblica rimanderà indietro articoli come quello del professore, con un enorme frego di iraconda matita blu per traverso, e sotto la scritta: 4, somaro!

Carlo, Luciano e Enrico: insieme per un grande dono alla comunità

“Una cerimonia particolare e per il tipo di celebrazione e per il numero dei diaconi da ordinare: tre diaconi tutti insieme.! Fatto singolare che non ha precedenti nella storia della diocesi di Perugia!” All’inizio della Messa, l’arcivescovo mons. Giuseppe Chiaretti ha salutato così l’assemblea radunata nella chiesa di San Giovanni Battista, stracolma fino alla piazza. Sabato 13 ottobre 2001, è stata festa grande a Marsciano: tutta la parrocchia si è stretta intorno a Carlo, Luciano, Enrico. Tanti i sacerdoti, i diaconi venuti da fuori, i frati francescani; folte le rappresentanze delle associazioni e dei movimenti ecclesiali .Il coro diretto da fra Matteo Ferraldeschi ha animato in maniera solenne il rito dell’ordinazione. “Eccomi!” Chiamati per nome ad uno ad uno i diaconi si sono avvicinati al Vescovo e risposto chiaro e forte. “Eccomi!”. Il silenzio è profondo, il cuore in gola. Le parole che l’Arcivescovo ha rivolto agli eletti e al popolo ha fatto da corollario alle riflessioni dei teologi nelle tre sere di preparazione:” Il diaconato è un servizio, non una medaglia al merito, un sacramento dalle radici antiche, non un riconoscimento o una decorazione. La Chiesa lo ha rivalutato in questi ultimi tempi per sovvenire alle sue necessità. Oggi il sacerdote non basta più, ha bisogno di collaboratori ed ecco la grande messe dei ministeri laicali: nella parrocchia di Marsciano ce ne sono a sufficienza…”.” Mi piace riconoscere il grande merito di don Silvio – la voce dell’Arcivescovo si è fatta dolce- nel momento in cui egli fa un passo indietro per dare spazio ad altri, concede alla sua gente il più bel regalo! I tre diaconi sono stati da lui chiamati, preparati, curati con amore e fiducia. Non è solo “l’uomo delle pietre, è anche l’uomo dello spirito!” Il rito è andato avanti con le promesse di riverenza e obbedienza al Vescovo fino all’imposizione delle mani. Ha suscitato ammirazione e commozione vedere i tre diaconi stesi sul tappeto in segno di distacco dai beni materiali e dietro di loro, le tre spose, in piedi, nell’accettazione consapevole della loro parte. Non collaboratrici, bensì l’altra metà del diacono: sono loro infatti che porgono le vesti e aiutano i mariti ad indossare tunica e stola, sono là insieme ai figli a condividere in toto il ministero che inizia. Spettacolo edificante, sottolineato dall’applauso caloroso e lungo di tutta l’assemblea! Con la consegna del Vangelo e l’abbraccio della pace si è concluso il rito dell’ordinazione.. Finalmente si stemperano tutte le tensioni: la Messa può continuare, servita all’altare dai nuovi eletti. L’augurio di don Silvio, alla fine, ha avuto il sapore dell’addio, del congedo.. Oltremodo commosso, ha ringraziato l’Arcivescovo che ha accettato le sue dimissioni, ha dato il benvenuto al nuovo parroco don Giuseppe Ricci che farà il suo ingresso il 16 dicembre, ha promesso il sostegno delle sue preghiere e ai diaconi ha detto: ” Coraggio! Non siete soli! La parrocchia che vi accompagnerà, si attende da voi, non solo il servizio, ma qualcosa che va oltre, che rimanda a Cristo: una testimonianza trasparente, gesti concreti e sinceri. Dio benedica Marsciano!”

Assemblea diocesana: “Comunicazione della fede e nuovi linguaggi”

La Chiesa di Città di Castello si riunirà nei giorni 22/23 ottobre in Assemblea presso la chiesa Madonna del latte. L’orario sarà quello ormai confermato dalla tradizione: dalle ore 18.30 alle ore 22.30. Il tema dell’assemblea, già comunicato alle parrocchie, sarà: Comunicazione della fede e nuovi linguaggi. Relatore sull’argomento sarà don Tonino Lasconi, parroco di Fabriano ed esperto di comunicazione. Documenti di consultazione per una buona preparazione sono la Novo Millennio ineunte e gli “Orientamenti pastorali della Cei” per il prossimo decennio. Le parole che devono accompagnare questa importante iniziativa pastorale per un rinnovamento pastorale sono: Preghiera allo Spirito santo e a Maria madre della sapienza e del buon Consiglio perché illuminino e guidino la nostra riflessione. Preparazione: attraverso incontri e studio dei documenti indicati. Partecipazione: l’invito è rivolto agli operatori pastorali, ai partecipanti ai gruppi ecclesiali, ai catechisti ed in maniera del tutto particolare ai giovani. Interventi preparati, mirati e brevi per dare possibilità a tutti di intervenire. L’Assemblea diocesana è un dono di Dio per la nostra conversione, illuminazione, rinnovamento nello spirito, azione missionaria e di carità, del quale tutti ne siamo responsabili, ciascuno secondo la sua vocazione. Ci auguriamo che l’Assemblea ci faccia uscire ardenti nella fede e nell’annuncio, come avvenne nella prima Pentecoste.

Il porto fluviale di Pagliano “interessa” gli archeologi

Nel punto in cui il Tevere , a metà circa del suo corso, riceve le acque del Paglia … si determina una lingua di terra a forma di cuneo denominata “Pagliano”-: così esordisce il compianto prof. Cesare Morelli, nel suo diffuso studio apparso sul Bollettino dell’Isao, fascicolo unico -Anno XIII – 1957. E continua aggiungendo: “Siamo a circa sei km. da Orvieto. Su questa lingua di terra, assai fertile, anticamente era un centro abitato d’una certa importanza: è dubbio se fosse costruito dagli Etruschi; è certo che fiorì in epoca romana, come attestano i ruderi in opus reticolatum molto vistosi, nonostante che la incuria degli uomini e le intemperie e la vegetazione spontanea si siano alleate per cancellarne le tracce definitivamente”. Il nome presenta una chiara derivazione da quello del fiume Paglia, antico è quindi quanto il primo: la desinenza -anum è di larghissima accezione da quelle parti, che la si può trovare sia riferita a proprietà terriere romane come Tusculanum, Formianum, Puteolanum, sia a città Bovianum, Teanum, Martanum, o a vie, laghi, monti come Nomentana, Lacus Fundanus, Mons Albanus. L’analogia onomastica persiste con alcuni fundi circostanti locali quali Rosciano, Sismano, Alviano. Attigliano ecc. mentre non esiste assolutamente con Baschi, che latinamente doveva essere il locativo Vasclis o Vasculis. Il primo a porci l’occhio sembra che sia stato l’archeologo Riccardo Mancini di Orvieto, socio dell’Accademia orvietana “la Nuova Fenice” , nel 1889, quando la Banca Romana, proprietaria dell’ex feudo dei Montemarte di Corbara e quindi di quel terreno, promosse, per iniziativa del suo direttore Bernardo Tanlongo, a proprie spese, i lavori di scavo per un verso, al fine di esplorare quegli importanti avanzi del passato, e per l’altro, alla funzione di arginare con la terra rimossa le rive dei i due fiumi, che in quella confluenza dovevano procurare all’intorno non pochi danni. “Il Mancini, lo scopritore delle necropoli suburbane di Orvieto, ebbe così modo di indagare – dice il prof. Giuseppe M. Della Fina, nel suo “Orvieto Romana” – tra il 1889 e il 1890, un complesso architettonico che, nel rapporto preliminare sugli scavi – venne redatto un giornale di scavo di dodici puntate, di cui fu curata la pubblicazione nel bollettino Notizie degli Scavi di antichità dell’Accademia dei Lincei – interpretò come edificio termale. L’indagine venne ripresa negli anni Venti di questo secolo ed i risultati iniziarono a suscitare dei dubbi circa l’interpretazione fornita dal primo escavatore. Wenceslao Valentini, altro storico orvietano, parlò, nel 1925, per primo, di un porto: tesi accolta, almeno parzialmente, da U. Tarchi, che, nel 1936, accennò ad un “edificio portuale o termale”. L’ipotesi originaria venne accolta invece da G. Becatti (1934)”. Poi, nel 1957, venne il Morelli, di cui già abbiamo accennato, il quale si convinse vieppiù sulla identificazione di quelle strutture come proprie di un porto fluviale. Dagli scavi condotti in maniera “non esemplare- dice il prof. Della Fina – sono emersi delle indicazioni in merito all’inquadramento cronologico e alle merci che vi transitavano. Il porto sembra sia stato in attività dalla seconda metà del I sec. a.C. al IV sec. d.C. , anche se non è escluso che nuove ricerche possano consentire di spostare all’indietro – pure in modo considerevole – la data della sua entrata in funzione”. Ciò confermerebbe la simultaneità con l’apparire nella zona di ville di produzione. Che il porto fosse collegato con l’entroterra “sembra assicurato dalla presenza di ben sedici macine di mulino … e di anfore vinarie e olearie. Tutto ciò sembra indicare che i prodotti della terra costituivano la principale merce scambiata a Pagliano. … Sempre nel punto di incontro fra i due fiumi dovevano erigersi due sacelli: uno del dio Tevere e un altro a Venere Vincitrice”, documentati da statue e iscrizioni registrate nel Corpus Iscritionum Lat., X,4644, 7275″ . Ma un’aggiunta prodotta sempre dal Della Fina non può da noi essere minimamente disattesa: “Pagliano ha restituito inoltre la più antica testimonianza della presenza cristiana nel territorio orvietano, si tratta di una medaglietta databile, per il monogramma, nel IV sec. d.C. , forse già in età costantiniana. Dai dintorni del porto proviene pure l’iscrizione sepolcrale cristiana: Urse vivas in deo (Cil XI, 7386), incisa su di una tegola”. Notizia che riteniamo di grande importanza in primo luogo, perché scarsi sono i documenti di un primitivo cristianesimo in Orvieto e nell’immediato territorio, ed inoltre perché ci induce a rafforzare l’idea, non da tutti attesa e piuttosto trascurata anche negli studi più recenti, che Palianum vada considerato uno dei luoghi d’ingresso, una porta della fede cristiana, la quale abbia portato poi alla fondazione della Chiesa orvietana. Ci attendiamo ancora altre interessanti novità, per cui, di cuore, plaudiamo alla decisione unanime espressa dalle locali istituzioni di riaprire l’area archeologica di Pagliano. Infatti sono stati presentati già per iniziativa del Comune di Orvieto, della Soprintendenza per i Beni archeologici dell’Umbria e della Tenuta di Corsara i piani per i lavori di scavo e di sistemazione dell’omonimo porto fluviale, con progetto e direzione a cura e dipendenza della stessa Soprintendenza che prevede la valorizzazione della intera zona sia dal punto di vista archeologico, strutturale, di ricerca e di studio ed anche turistico con l’installazione di pannelli didattici – didascalici ed altro utile conforto. Tutto, per il momento, a carico dello Stato, bilancio ordinario del ministero per i Beni e le attività culturali. Nell’atto d’intesa si chiede quindi che lo stesso Ministero renda disponibili i finanziamenti ordinari, onde sia possibile dare il via, quanto prima alla prevista campagna di scavi, alla quale è auspicabile il coinvolgimento di enti operanti sul territorio, dimostratosi già in situazioni analoghe decisamente determinante.

Don Matteo torna in Tv: anteprima a Gubbio

Da domenica 21 ottobre torna su Rai1 la seconda serie della fortunata fiction televisiva “Don Matteo 2”, ambientata a Gubbio. Andrà in onda in prima serata per 16 domeniche consecutive. Prodotto dalla Società “Lux Vide” di Roma, presieduta da Ettore Bernabei, il serial ha visto alternarsi alla regia Leone Pompucci e Andrea Barzini. Il filo conduttore è costituito dalle vicende investigativo – spirituali di un sacerdote, don Matteo appunto, impegnato a seguire i suoi parrocchiani non soltanto sotto il profilo spirituale. Il ruolo principale è sostenuto da Terence Hill, affiancato da altri attori famosi, come Nino Frassica, che hanno stretto ormai da tempo rapporti di amicizia con la città. L’Amministrazione comunale e la “Lux Vide” hanno offerto un’anteprima di due puntate proiettate giovedì 18 ottobre al Teatro comunale a partire dalle 17.30, un segno di gratitudine per sottolineare la qualità dell’accoglienza e della collaborazione ricevute durante tutti i mesi della lavorazione. Intanto, già si è messa in moto la produzione della terza serie, già acquistata dalla Rai, che sarà ambientata ancora una volta a Gubbio. Le riprese inizieranno a partire dai primi mesi del 2002. “Siamo soddisfatti per questa conferma – ha dichiarato il sindaco Goracci – che sottolinea le risorse ambientali della città e la capacità di collaborare da parte di tutti gli eugubini. Sono innegabili i risvolti promozionali per Gubbio e l’intero territorio”.

“La grande festa di Assisi esige una dedizione corale”

Forse sarà indotto a sollievo il lettore dal fatto che in un tempo come l’attuale, percorso da drammatici eventi e da una conseguente e diffusa preoccupazione, potrà questa volta leggere le più recenti e distensive notizie riguardanti la festa di Calendimaggio, verso cui attenzione ed interesse non risultano peraltro prematuri. Risale al 29 e 30 settembre scorso infatti il rinnovo dei rispettivi Consigli di parte de Sopra e parte de Sotto. Mercoledì 10 ottobre presso la propria sede il Consiglio di parte de Sotto ha eletto, dopo una assemblea piuttosto rapida nel corso della quale le diversità si sono ridimensionate, le cariche istituzionali nelle persone del priore maggiore Delfo Berretti, del gran cancellario Tiziana Borsellini, del massaro Ferdinando Fabbri, del rappresentante in seno all’Ente Leonardo Paoletti. Delfo Berretti in questi termini esprime la propria opinione: “Interpreto l’incarico ricevuto come riconoscimento del mio impegno apprezzato da tanti partaioli di cui ho notato il calore umano e solidale. La grande festa di Assisi esige una dedizione corale e dunque rivelo la ferma intenzione di recuperare e riaggregare quanti, già partaioli, per le più svariate ragioni si sono poi allontanati dal fervore che è premessa della vittoria”; parole che trovano una eco nella dichiarazione del “veterano” Ferdinando Fabbri, presente nel Consiglio della parte dal lontano 1963: “Occorre una collaborazione costante e propositiva; l’unità e la compattezza, pur nella dialettica delle posizioni, creano entusiasmo e trasmettono la forza per affrontare problemi organizzativi e finanziari; la parte dispone di una sede e comunque si pone l’obiettivo di pervenire alla utilizzazione di un bene pubblico oggi abbandonato, meritevole di un recupero da perseguire attraverso un contratto di locazione con l’Amministrazione comunale di cui sottolineo l’apporto già offerto nella passata edizione”. A distanza di due giorni, precisamente venerdì 12, presso il circolo Arci, sede temporanea, il Consiglio di parte de Sopra ha eletto le cariche istituzionali nelle persone del priore maggiore Umberto Rinaldi, del gran cancellario Valeria Molini, del massaro Andrea Pennaforti, del rappresentante in seno all’Ente Aleardo Pelacchi. L’assemblea si è prolungata, ma il dibattito è stato moderato, forse per il comune timore di rimarcare le divisioni interne. Questo il commento raccolto da Umberto Rinaldi: “La parte si è arricchita di nuovi innesti e di elementi generazionalmente giovani; è ovvio che tra le esigenze prioritarie si pone anche quella di garantire continuità e di salvaguardare la ben nota identità; è per tale ragione che intendo organizzare un consiglio aperto a tutta la gente di parte de Sopra per raccogliere testimonianze e adesioni operative, secondo il motto che ho voluto coniare: “Aiutateci e aiutiamoci!” La ricchezza degli apporti va favorita, ma occorre evitare il contrasto e la contrapposizione. Assumo un incarico gravoso, ma non rinuncio alla mia vocazione musicale e pertanto non abbandonerò la direzione del coro”. Lucio Biondi, altro “veterano” di parte de Sopra, già priore per molti anni fino alla scorsa edizione, annota quanto segue: “Il Consiglio è uscito dalla tornata elettorale profondamente rinnovato, fatto degno di essere rimarcato; quanto a me, tengo a far sapere che ho ritirato la mia candidatura a priore maggiore perché non ritenevo opportuno allargare una frattura che in realtà esiste e perché non intendevo contrappormi ad Umberto Rinaldi che considero uno degli assi portanti della parte. Non ho accettato altri incarichi, ma ho garantito la massima collaborazione. Intorno alla fine degli anni ’80 mi trovavo schierato con quanti reputavano l’Ente una ingombrante sovrastruttura; ne sono stato successivamente un componente rispettoso di tutti gli appuntamenti programmati, reputato da amici ed avversari di parte attivo e fattivo; ammetto oggi che l’Ente è perfettibile ma utile alla realizzazione della festa”. Il presidente dell’Ente Carlo Angeletti, distintosi nel suo mandato per dinamismo ed intraprendenza, rivela una convinta adesione all’organigramma eletto da entrambe le parti: “L’esperienza di una persona matura come Rinaldi e la passione di un giovane come Berretti rappresentano una autentica garanzia per l’evoluzione della festa. Auspico una sinergia forte tra categorie produttive ed Amministrazione comunale partendo dal presupposto che l’istituzione pubblica deve essere supportata anche con mezzi concreti, non potendo la stessa garantire la copertura di ogni necessità. Credo fermamente nel progetto di una scuola di musica che potrà arricchire il Calendimaggio”. Prossimamente i Consigli di parte eleggeranno i responsabili interni dei vari settori e designeranno il presidente dell’Ente che a sua volta nominerà i più stretti collaboratori.

Don Daniele, un nuovo sacerdote tra noi!

La Parrocchia di Bastia Umbra ha un nuovo sacerdote: don Daniele Ambrosini. È stato presentato a tutta la comunit’ domenica 7 ottobre durante la Messa delle 11.00. Subito gli abbiamo proposto un’intervista alla quale don Daniele ha collaborato con disponibilit’ e franchezza.In quale momento della tua vita hai sentito la chiamata del Signore? “A 23 anni, durante il servizio di leva al passo del Brennero (Bz), dove prestavo servizio nella Polizia di frontiera. Stavo collezionando varie soddisfazioni nel mio lavoro a difesa dei deboli quando, a un certo punto, mi sono accorto che la filantropia non era certo la molla della mia vita. Non contaminandomi con il casin’ e la casa di tolleranza della vicina Innsbruck e, anzi, vedendo gli effetti deleteri di quella citt’ sui miei colleghi, mi sono ritirato nel tempo libero sulle montagne a pregare. L? ho scoperto che dovevo intraprendere un lungo viaggio verso Dio”. Dal momento in cui hai deciso di seguire Ges’ per prepararti a diventare sacerdote, sono cambiate diverse cose nella tua vita? “Da quando, il 24 novembre 1989, sono partito in treno da Bolzano salutando i miei familiari, me ne sono successe di tutti i colori incontrando ogni anno sia il grano che la zizzania. L’incontro provvidenziale nel 1995 con don Luciano Avenati e con i fedeli di Petrignano hanno rappresentato per me e per la diocesi di Assisi una grande svolta: io sono diventato il primo allievo di una magnifica scuola e la diocesi ha finalmente avuto una casa propedeutica al seminario per valutare le vocazioni adulte. Per curiosit’ ricordo che tale scuola Å  stata frequentata anche da un corrispondente de La Voce oggi seminarista: Francesco Mariucci. Dopo il soggiorno nella parrocchia di don Luciano, visto che avevo terminato privatamente gli studi teologici di base, nel 1997 il vescovo Sergio Goretti mi ha inviato nel prestigioso Seminario romano per concludere la formazione. L? tuttavia mi Å  mancata quella marcia in pi’ che aveva il propedeutico: un popolo di Dio interattivo con i responsabili del discernimento vocazionale”. In seminario hai avuto dei momenti di crisi? “In quasi 12 anni di cammino il Signore mi ha provato col fuoco come si raffina l’argento nel crogiolo. A volte rimango stupito quando, nella Chiesa, alcune autorit’ spianano la strada, quando non l’accorciano, a chi non solo non Å  idoneo al sacerdozio, ma Å  addirittura chiaramente destinato a nuocere al popolo di Dio. Purtroppo da quest’ultimo pericolo nessuno Å  al riparo, non per niente san Francesco rispondeva a chi lo proclamava santo: ‘Posso avere ancora figli e figlie!'”. Ora tu, don Daniele, sei sacerdote a Bastia; prima d’ora avevi mai avuto dei contatti con questa parrocchia? “Solo rarissime volte con la simpatica segretaria Rosanna per recapitare qualche plico. Spero che l’esser diventato sacerdote proprio il giorno del vostro patrono san Michele arcangelo sia di buon auspicio per un santo cammino insieme”. Come sei stato accolto a Bastia e di che cosa ti occuperai in parrocchia? “Don Francesco Fongo e tutta la comunit’ m’hanno messo subito a mio agio. Ringrazio sin d’ora chi mi ha dato e chi mi dar’ suggerimenti per migliorare il mio servizio pratico e ministeriale. A quest’ultimo tengo in particolare: ho ricevuto il dono del sacerdozio per collegare i fedeli a Dio attraverso i sacramenti e non vorrei che troppi impegni collaterali riducano questa missione. Tra gli incarichi ricevuti dovr’ seguire le ‘nuove leve’, gli scout e i lettori”.

“Incontriamo l’Europa: opportunità e promozioni per il comprensorio

Questo mese di ottobre si caratterizza per tutta una serie di incontri e di seminari, con tematiche varie, che attraversano un po’ tutta la Valnerina, da Norcia a Poggiodomo. Nella città di S.Benedetto si parla, naturalmente, di Europa. Sotto il titolo di “Incontriamo l’Europa”, venerdì 12 ottobre presso la Sala dei Quaranta della sede comunale sono state affrontate diverse problematiche inerenti al nostro immediato futuro: le numerose opportunità che l’Unione europea offre agli stati, agli enti locali, alle imprese e ai singoli cittadini. Promotori di questa iniziativa sono stati la Provincia di Perugia, i sei Gruppi di azione locale (Gal) dell’Umbria, il Carrefour, l’Info point Europa, l’Euro strategie e il consorzio Arco. Il seminario ha avuto lo scopo di dare i giusti suggerimenti e le necessarie indicazioni per avvalersi dei finanziamenti previsti dalle risluzioni comunitarie ( vedi Piano di sviluppo rurale, il Docup ob.2, il Leader plus, Cultura 2000, i Piani di sviluppo delle Comunità Montane e quelli delle aree protette, le Azioni innovative, Ricerca e Sviluppo, i Programmi dell’Internazionalizzazione..). Si tratta, quindi, di una serie di iniziative informative, aventi lo scopo di portare i cittadini della Valnerina ad essere presenti a tutte le promozioni che l’Europa oggi offre e di non rimanere spiazzati dagli avvenimenti, che si fanno sempre più incalzanti. Il dibattito instaurato ha trovato un terreno già fertile, perché sono anni che il Gal Sibillini interagisce e collabora con gli operatori economici del territorio. Come ha ricordato il Sindaco di Norcia, il Gal ha finanziato, in linea con il Pal (il Piano di azione locale, redatto sulla base di esigenze degli enti pubblici e privati), una serie di interventi destinati a incrementare lo sviluppo di tutta l’area, quali la valorizzazione degli orti e dei giardini storici, l’attivazione della raccolta differenziata con la realizzazione di 4 riciclerie intercomunali, l’attuazione di una scuola europea dell’alimentazione e la realizzazione dell’ecomuseo-atlante della Valnerina a cura del Cedrav. Quelle messe in cantiere sono delle ottime iniziative, che si prefiggono di creare una più attenta sensibilità tra attori pubblici e privati rispetto alla realtà incalzante dell’Unione Europea, nella prospettiva di accrescere il livello di conoscenza sulle opportunità messe a disposizione e di attivare progetti idonei. Durante il dibattito è stata fatta una panoramica sull’impatto che l’Euro fra pochi mesi avrà su consumatori ed imprese. In linea con le precedenti esperienze, si terrà a Poggiodomo, durante questo week-end (20/21 ottobre) un corso di metereologia. Sarà il Centro di educazione ambientale “Il Sentiero” a ospitare i partecipanti. Le lezioni, promosse da Meteo Appennino, dalla cooperativa Monte Patino e da Legambiente Umbria, con il patrocinio del Parco nazionale dei Monti Sibillini, saranno condotte dal dott. Enrico Paci, chimico-fisico e ricercatore presso l’università La Sapienza di Roma, e dal tenente Andrea Pieralice, metereologo dell’Aeronautica militare. Verranno sviluppati i seguenti temi: l’interpretazione delle carte metereologiche con la formulazione delle previsioni, il tempo in montagna, i climi d’Italia, i fenomeni violenti dei temporali e la stazione metereologica. Ci sarà un proseguio nella prossima primavera, quando verranno presi in esame il nostro microclima, i possibili adattamenti degli esseri viventi al mutare delle condizioni ambientali e climatiche. Il seminario potrebbe sembrare rivolto a degli esperti, in realtà si rivolge a tutti, in particolare agli appassionati di metereologia, alle guide escursionistiche dei parchi, alle associazioni ambientaliste e di volo libero, ai volontari della Protezione civile e dei Servizi antincendio. Fa piacere sapere che il più piccolo dei comuni dell’Umbria riesca ad essere sede di incontri così importanti con il compito di chiarire e di approfondire le conoscenze sulle scienze dell’atmosfera, il tutto in linea con la vocazione turistico-ambientale di questo territorio, che, a giusta ragione, può essere considerato uno degli angoli più incontaminati e solitari dell’Umbria.

Centro oncologico a Spoleto: un progetto che ha buone possibilità

In città si sta con il fiato sospeso: ce la faremo veramente a realizzare un centro oncologico di altissimo livello collegato a quello già esistente a Milano del prof. Veronesi? A sentire i bene informati parrebbe proprio di sì. Dopo il recente incontro che gli esponenti delle più importanti istituzioni cittadine hanno avuto a Spoleto con l’eminente clinico, già Ministro della Sanità, si parla infatti di ore decisive per la costituzione di questa importantissima struttura scientifica di livello internazionale. A dare maggiore garanzia la presenza all’incontro e la “regia” di mons. Fontana che, ancora una volta, sta svolgendo un ruolo di primissimo piano nel concretizzare un’idea nata appena solo qualche mese fa quando l’Arcivescovo di Spoleto e Norcia patrocinò l’incontro chiave dell’Amministrazione comunale con il prof. Veronesi. A questo punto le apprensioni degli scettici, e anche di quanti vedono nell’Istituto oncologico un potenziale e temibile concorrente per la sopravvivenza dell’Ospedale civile, non dovrebbero rappresentare più un ostacolo per la nascita del centro tumori. Alle associazioni cittadine, che si sono mosse per tempo per capire veramente se si può ingenerare un conseguente “rischio” d’impoverimento dell’assistenza fornita dal nosocomio spoletino, va dato il merito di aver posto il problema e incoraggiato un dibattito che è ancora in corso. Resta, infatti, da sciogliere il nodo della reale volontà cittadina di ospitare l’ambizioso progetto, che prevede la realizzazione di un presidio ospedaliero multinazionale (sarebbe il quarto in Italia) di ricovero e cura a carattere scientifico. Tuttavia, le problematiche da risolvere sono ancora molte: da quelle connesse alla logistica e alla conseguente disponibilità di un’adeguata sede, alla risoluzione dell’ingente finanziamento dell’opera (si parla di una cifra vicina ai cento miliardi). Com’è noto, le attenzioni per l’insediamento della struttura sono rivolte al dismesso albergo Ipost sul Monteluco, meglio conosciuto dagli spoletini come “Hotel del Matto”, ma non è da escludere una possibile riconversione dello stesso ospedale San Matteo degli Infermi. L’aspetto economico, paradossalmente, potrebbe essere quello più semplice da risolvere; l’aver infatti coinvolto nel progetto la Regione dell’Umbria, l’Università di Perugia e, naturalmente, la stessa Asl, oltre al fatto che questo progetto è di rilevanza interregionale (si calcola un bacino d’utenza di oltre dieci milioni di abitanti) fa ben sperare di trovare soci finanziatori in un ambito molto vasto e anche in ambienti al di fuori della nostra regione. Un importante contributo alla definizione del percorso che dovrà necessariamente coinvolgere l’intera cittadinanza, viene dall’Associazione San Matteo che, più di chiunque altro, sta svolgendo una preziosa opera di raccordo tra i soggetti interessati e la comunità locale svolgendo un’utile forma di sensibilizzazione popolare sul progetto in questione. Il dibattito pubblico che l’associazione San Matteo ha organizzato sabato 13 ottobre, è stato assai utile e è servito per chiarire ancora meglio i molti punti connessi ai vantaggi che potrebbero derivare alla città con la costituzione di un polo oncologico di tale rilevanza, senza però che esso configuri una possibile alternativa agli attuali servizi ospedalieri. Alle molte assenze comunicate dagli organizzatori (non si è ben capito se tutte erano giustificate o dettate da motivi “tattici”), hanno tuttavia supplito molti autorevoli e qualificati interventi. Quello che ci è sembrato più interessante, nel senso che ha chiarito molti degli aspetti tecnici del problema, è stato il ragionamento che ha sviluppato il direttore sanitario dott. Pacchiarini purtroppo svolto di fronte a una sala semivuota. Snocciolando dati e statistiche, ha invitato a guardare al futuro nell’ottica dell’incertezza che vive oggi la sanità ma con sempre chiaro alla mente il dato che nel giro di pochi anni avremo non più del 2.5 per mille, rispetto agli abitanti, di degenti ricoverati, elementi questi che, inevitabilmente, porteranno a un forte ridimensionamento del nostro Ospedale. L’alternativa dunque alla sua soppressione è proprio rappresentata da questa grande e unica opportunità di “clonare” lo Ieo (Istituto europeo oncologico) del prof. Veronesi. Dello stesso avviso, in buona sostanza, il prof. Stefani, famoso oncologo di fama internazionale – spoletino d’adozione – che sta partecipando al progetto portando la sua lunga e preziosa esperienza. Molto articolato anche l’intervento del direttore generale della Asl n. 3 dott. Macchitella, che pur premettendo che non spetta a lui dare giudizi di merito, non si è sottratto a dare il proprio apporto sostenendo l’importanza del progetto che valorizzerebbe l’Ospedale e il territorio locale e regionale. Come in tutti i dibattiti, non è mancato chi si è posto, per alcuni aspetti, “fuori dal coro”, in modo marcato alcuni esponenti politici: il sen. Ronconi e il consigliere regionale Zaffini hanno infatti invitato tutti a una maggiore cautela non conoscendosi al momento gli aspetti particolareggiati del progetto come la fattibilità scientifica (quale impegno reale vorrà assumere la Regione dell’Umbria?) e quella finanziaria. Il sen. Castellani e il consigliere regionale Urbani hanno invece sostenuto l’iniziativa. La riunione si è chiusa con il sindaco Brunini che commentando tutti gli interventi fatti ha mostrato ottimismo e detto a chiare note che il “Progetto Veronesi” è una sfida da vincere per rinnovare la città e battere quel certo conservatorismo che da troppo tempo pervade la comunità locale. Auspichiamo che la concretizzazione del dibattito svoltosi si possa estrinsecare nella redazione del prossimo Piano sanitario regionale triennale con impegni precisi e chiari, che vadano nella direzione di favorire l’importante insediamento scientifico nella nostra città.

Ristrutturata dall’arch. Maroni la chiesa di San Gabriele

Una ristrutturazione totale. Con finalità estetiche, ma soprattutto funzionali. E’ quella effettuata dall’architetto ternano Franco Maroni nei confronti della chiesa di San Gabriele, nel popoloso quartiere Matteotti nella immediata periferia di Terni. Realizzata sul finire degli anni Sessanta, l’edificio sacro ha sempre presentato problemi soprattutto relativi all’acustica che, come dice l’arch. Maroni, “rendeva difficile la diffusione e l’ascolto della ‘parola’ e la coralità della preghiera, fondamentali per lo svolgimento liturgico dei riti”. L’intervento è consistito in varie soluzioni e è stato voluto in prima persona dal vescovo diocesano mons. Vincenzo Paglia. Innanzi tutto sono state realizzate delle arcate collocate in sequenza trasversale con forte valenza estetica mentre nelle due pareti laterali sono stati collocati pilastri in corrispondenza dei singoli arconi. “Questi arconi – è sempre Maroni che parla – non hanno una funzione statica ma acquistano una importante funzione formale, facendo riferimento alle grandi arcate della Chiesa delle origini che prende le mosse dalla basilica romana”. Lo spazio originario, sostanzialmente, non è stato nascosto in quanto le arcate sono posizionate in modo da staccarsi dalle pareti e dalle falde interne della copertura. Ma interventi di ristrutturazione sono stati effettuati anche nella zona absidale e in quella presbiteriale. Nell’abside, in particolare, è stata valorizzata la vetrata policroma, a forma di lancia, che si innalza a tutta altezza, opera del pittore Vittorio Cecchi. Nella zona presbiteriale ha anche trovato una più idonea collocazione la statua in bronzo raffigurante la Madonna, realizzata dallo scultore Aurelio De Felice. Realizzato anche un nuovo altare che sul fronte presenta il bassorilievo raffigurante l’Ultima Cena, già collocata nell’altare rimosso opera di Manuel Campus. Infine sono state rispettate anche le testimonianze dedicate a Santa Rita e a San Gabriele, le cui immagini sono state collocate in due nicchie che si integrano con l’aula assembleare. L’intervento compiuto dall’arch. Maroni, che si è avvalso per l’acustica della collaborazione del dott. Silvano Verdanelli e per l’illuminazione dell’ing. Emilio Massarini dello Studio Ingenia, ha conferito un nuovo aspetto alla chiesa di San Gabriele. Un nuovo aspetto esteticamente più gradevole non disgiunto, peraltro, da una maggiore funzionalità. L’esperienza maturata da Maroni nella progettazione di altri edifici sacri ha, quindi, consentito la soluzione ritenuta ottimale. E domenica scorsa, durante una specifica celebrazione, il Vescovo ha inaugurato i lavori di quella che può essere definita la “nuova” chiesa di San Gabriele.

Il catechismo si deve tradurre in opere e comportamento

Sono ormai anni che le parrocchie del centro storico hanno scelto di risolvere insieme il problema della preparazione catechistica dei loro bambini, perché non si può più procedere isolati in un mondo che si fa sempre più restio e complesso. E in ciò hanno in qualche modo quindi prevenuto la opportuna decisione della Chiesa di istituire e dar corso alle unità pastorali nell’intento di rendere più ricca e più incisiva, e più aderente la sua presenza e la sua risposta, nonostante il venir meno delle forze sacerdotali e all’accentuarsi delle crisi delle istituzioni, una volta più salde o meglio salvaguardate, alle varie esigenze dettate dai tempi moderni. Per cui unendosi nell’intento e nell’impegno, anche fisico e materiale, i parroci del centro storico hanno cercato di dare all’azione catechetica quell’input che l’adeguasse sempre più e meglio, dal punto di vista didattico e pedagogico e quindi formativo, mercé la collaborazione pure di un eletto corpo di catechisti delle relative componenti della comunità cittadina meglio preparati, onde forgiare le nuove generazioni ad una valida testimonianza di vita cristiana nel mondo di domani. E così, preso atto della comune necessità, e corresponsabilizzatisi a riguardo attraverso lo studio e la preghiera, hanno essi rinnovato l’intento di collaborare ancora per il nuovo anno 2001-2002, affidando progetti e propositi ad una lettera da essi firmata, che è stata inviata ai rispettivi genitori, affinché ne fossero sensibilizzati. Essa è stata formalizzata nel seguente tenore: “Carissimi genitori, questa lettera vi giunge al termine di un lungo percorso, fatto di preghiera, incontri, discussione e condivisione fraterna. Noi parroci del centro storico siamo felici di potervi inviare il programma dell’anno catechistico, elaborato insieme ai catechisti e, soprattutto, ad un cospicuo gruppo di voi genitori delle rispettive parrocchie. La vostra partecipazione, davvero notevole, ci ha riempito di speranza e ci fa presagire un anno di semina ed un raccolto fecondi. La prima settimana di ottobre ci troverà presso l’Istituto di Maria Bambina per l’inizio del catechismo. Gli incontri saranno a scadenza settimanale e dureranno un’ora. Rimangono sospesi durante le vacanze scolastiche. La puntualità è indispensabile data l’esiguità del tempo a disposizione. Ecco il calendario: mercoledì 3 ottobre, ore 15.00-16.00 quinta elementare tempo prolungato; 16.30-17.30 terza elementare tempo prolungato; 17.00-18.00 quarta elementare tempo prolungato; 17.00-18.00 prima media; 18.00-19.00 seconda media; giovedì 4, 15.00-16.00 prima e seconda elementare tempo prolungato; sabato 6, 10.30-11.30 prima, seconda, terza, quinta tempo pieno; 11.00-12.00 quarta elementare tempo pieno”. La lettera spiega poi i criteri di scelta dei giorni e i motivi del ritorno alla tradizionale cadenza settimanale, con un impegno però che questo non trasformi l’incontro in una “lezione scolastica”, perché ciò non sarebbe utile alla crescita della fede. La scuola ed il catechismo sono cose diverse, anche se per certi aspetti complementari. Per quanto riguarda la proposta dell’Oratorio cittadino, “rimane valido utilizzare le strutture delle parrocchie per organizzare attività ricreative tra tutti i fanciulli e ragazzi del catechismo. Presumibilmente, sarà il sabato pomeriggio il giorno scelto per simili occasioni…”. Per tali attività – è specificamente detto nella lettera – occorre la disponibilità di voi genitori e delle parrocchie. Chi sa fare qualcosa (sport, teatro, passeggiate, canto) si faccia avanti. Anche per i genitori verrà predisposto un calendario d’incontri, così che possiate essere sostenuti nella vostra opera educativa. E crescere voi stessi nella fede. Comunque in ogni incontro di catechismo ci sarà un rimando a qualcosa da fare con la famiglia. La cosa che ci sta più a cuore dirvi, però, è che il catechismo da solo non basta, occorre che si traduca in opere e comportamenti. Senza la celebrazione della Messa domenicale, ciò non sarà possibile, perché è lì la sorgente della vita cristiana. E’ stato rilevato, invece, che proprio la Messa è il momento meno partecipato… quando l’unico da mantenersi sarebbe proprio questo che è la Pasqua del Signore. Ciò spiega perché nel catechismo si preparerà un gesto da compiere nella Messa domenicale in parrocchia. Volendo riassumere in alcune frasi le motivazioni e gli scopi che ci prefiggiamo nel nostro comune impegno, si potrebbe dire: il catechismo è quasi preparazione alla Messa domenicale nella parrocchia; il catechismo serve per la vita e non solo per fare la Comunione o la Cresima; il catechismo è una esperienza proposta al fanciullo e al ragazzo nella sua interezza: mente da illuminare, ma anche cuore da plasmare e da farlo innamorare della Chiesa; senza il ruolo attivo dei genitori ogni progetto di educazione alla fede è destinato al fallimento: perciò vanno sostenuti con aiuti adeguati; i catechisti vivono nelle parrocchie, le rendono presenti, ma non sostituiscono in questo il compito proprio delle singole comunità parrocchiali; le nostre parrocchie lavorano insieme per diventare “vive e attive”, non per scomparire.Segue la sottoscrizione dei sei parroci del centro storico

Un monaco benedettino pittore innamorato del mistero pasquale

Proprio in questi giorni la nuova chiesa di Cristo Risorto vede l’artista brasiliano Ruberval, che è anche monaco benedettino, alle prese con il suo progetto pittorico vincente, che sarà completato definitivamente tra qualche settimana. Lo abbiamo avvicinato proprio un attimo prima di iniziare i lavori e gli abbiamo rivolto alcune domande, scoprendo un uomo delicato, colto e gentile che, con semplicità, fede e una grossa sensibilità artistica ha risposto alle nostre domande.Ponendoci di fronte alla richiesta di eseguire affreschi per questa chiesa umbertidese a che cosa si è ispirato, a cosa ha pensato?”Quando ho ricevuto per la prima volta l’ invito ufficiale per partecipare a questo concorso per dipingere dei soggetti per la chiesa di Cristo Risorto, rivoltomi da mons. Lupini, ho subito provato gioia, perché mi trovavo a mio agio con il soggetto richiesto: Cristo che risuscita dalla morte. Già il mio monastero si chiama “Monastero della Risurrezione” e, il Mistero pasquale, per noi benedettini rappresenta qualcosa di speciale. Mi spiego: sia la “discesa agli inferi”, che per me è il centro della vita cristiana, sia le molte altre apparizioni di Gesù Risorto, sono i punti più importanti della vita di ogni cristiano e quindi ho subito gioito come conseguenza al tema che mi si proponeva”.Come ha dato una forma a questa realtà e perché la sua permanenza a Umbertide durante la realizzazione dell’opera? “Prima sono stato dal Vescovo per ricevere la sua benedizione e poi sono venuto nella chiesa di Cristo Risorto in cui resterò per diverso tempo. E questo perché ho bisogno di “sentire”, respirare gli umori di questa comunità. Non sono un artista asettico, che si chiude nel suo studio per lavorare. Ho bisogno di conformarmi con questa gente. Non dipingerò solamente. Farò anche delle passeggiate per la città, berrò il caffè, parlerò con la gente… per cercare di conoscere almeno in parte la comunità di questa parrocchia, per rivelarmi a essa e vederne la risposta. Faccio il paragone con la musica. Ogni comunità, ogni persona di questa comunità ha un “sottofondo musicale” che io voglio riuscire a sentire. Quindi, riuscito a sintonizzarmi a quello che cerco, farò qualcosa di fedele alla tradizione, a tutto ciò che la Chiesa ha fatto e la Chiesa fa, ma, ripeto, non un qualcosa che sia “stonato”, non con l’architettura dell’architetto Abruzzini, ma con lo spirito della comunità”. Si sposterà ovviamente anche in altre città della nostra regione… “Certamente. Almeno due giorni alla settimana andrò a Gubbio, città stupenda e che racchiude degli scenari fantastici (dove farò anche molte fotografie). E poi in altre ancora; perché ci sono molte città con una ‘personalità’ in questa terra”. Come strutturerà i dipinti nella chiesa, quali saranno le altre scene, oltre alla “discesa agli inferi” che abbiamo visto nella parte centrale dietro l’altare maggiore? “L’idea compositiva prevede nel centro il Cristo Risorto che discende agli inferi e riporta a nuova e più completa vita, togliendoli dalle tenebre, Adamo e Eva (i progenitori che erano decaduti col peccato). Questa è una scena simbolica, ma, come sappiamo, quello che è simbolico, non vuol dire che non sia reale; e questo è il ‘Mistero’ di Cristo Risorto. Poi, le altre scene sono proprio la concretizzazione nella vita della Chiesa di questa discesa. Lo stesso mistero celebrato nel pannello orizzontale, sarà nei verticali, quindi Cristo che scende agli inferi di Tommaso, lo toglie dalla sua incredulità e lo riporta alla vera conoscenza. Tutti gli altri sono incontri; perché del Cristo Risorto non abbiamo un racconto, se così si può dire. Nel vangelo c’è la morte, la tomba e dopo le apparizioni; sembra che ci sia un “vuoto” che nessun evangelista ha voluto descrivere come è stato. I padri antichi dicono come nessuno ha visto come Cristo è uscito dal grembo della Vergine Maria. La Scrittura ha messo un ‘velo di pudore’ su questa vicenda. Così nessuno ha visto come Cristo esca dal grembo della terra”. La “trasformo” in teologo. Allora questo non è importante… “No, questo non è importante; lo è quello che cambia la nostra vita. Ogni cristiano deve fare l’esperienza del Cristo Risorto. A un certo punto della nostra vita ci aspetta una esperienza, un incontro con Lui nella nostra vita. Lui soltanto ci può trovare nei nostri inferi. Così come la ‘croce’ è un mistero pubblico, la Resurrezione è un mistero personale, oppure comunitario (di una comunità credente…)”. Quali saranno i pannelli che metterà lateralmente sopra la teofonia che ci ha detto? “Nella parte laterale, alla sinistra di chi guarda, sistemerò l’Apparizione alla Madonna e l’Apparizione alle pie donne. Dall’altro lato, l’Apparizione di Gesù a San Tommaso e poi il mandato di Cristo agli apostoli prima di salire al Cielo”. Ringraziamo padre Ruberval e invitiamo chi non l’avesse ancora fatto a visitare la chiesa di Cristo Risorto a Umbertide.

Da San Francisco ad Assisi: un gemellaggio che si consolida

E’ ispirata al vento che ora raccoglie ora allontana le nuvole facendo tornare il sereno, trapunto la notte di “clarite” stelle; al vento che gonfia qualsiasi vestimento, fosse anche una tonaca; al vento che rallenta il cammino del corpo ma quasi sospinge l’anima verso alte mete; è ispirata a “frate” vento – quale simbolo delle creature del Cantico – la statua di S. Francesco, opera dell’artista Harriet Moore, donata dalla città di San Francisco e inaugurata giovedì 4 ottobre nel tardo pomeriggio presso il piazzale antistante al Lyrick Theatre: omaggio che consolida e visibilizza il gemellaggio tra Assisi e San Francisco; un gemellaggio che non ha affatto seguito un percorso improvvisato e superficiale: i primi passi infatti risalgono al 1969; un primo incontro ufficiale al 1978, sindaco Enzo Boccacci; mentre la proclamazione della solidale “alleanza” tra le due città venne inserita nel 1982 nel contesto delle celebrazioni dell’ottavo centenario della nascita di S. Francesco, sindaco allora Gianfranco Costa, che come presidente del Centro – Pace si sarebbe recato a San Francisco nel 1988 ed ancora nel 1994 per incontrare politici, amministratori, operatori vari come Roger Boschetti, presidente della televisione italo-americana nella metropoli. Lo stesso Costa, attuale presidente del Consiglio comunale, ha sempre auspicato un rafforzamento dei rapporti e delle relazioni, soprattutto attraverso l’interscambio di giovani disposti a fare una esperienza in seno alle famiglie. Altra visita del sindaco Giorgio Bartolini si rapporta al 1998. La statua bronzea del Santo, testimonianza di un estro impregnato di sacralità, poggia su un basamento poligonale in pietra di Assisi. La cerimonia di inaugurazione ha preso inizio con una esibizione dei locali sbandieratori. Parole di introduzione sono state pronunciate dal vice sindaco Claudio Ricci che ha condotto l’intero svolgimento del programmato appuntamento. La banda di Rivotorto ha eseguito gli inni nazionali. Quindi il sindaco Bartolini, rivolgendosi alla delegazione della città di San Francisco e a tutti i presenti, si è sentito in dovere di chiedere un minuto di silenzio in segno di cordoglio per le vittime degli attentati dell’11 settembre. Lo stesso, dopo espressioni di gratitudine per il pregevole omaggio offerto alla cittadinanza assisiate, ha tra l’altro così dichiarato: “Visto il particolare momento che sta vivendo l’intera società civile americana, abbiamo apprezzato ancora di più la vostra presenza tra di noi, segno indiscusso dell’attaccamento alla città di Assisi e allo spirito di S. Francesco… La vostra è una metropoli che può costituire un modello di civiltà del nuovo millennio. E’ una società multiraziale, attenta ai bisogni dei più deboli e poveri, ove il filo comune è la tolleranza e la solidarietà. Essa quindi interpreta lo spirito del Santo di cui porta il nome.” In risposta, il presidente del Comitato del gemellaggio William Armanino ha dato lettura del messaggio consegnatogli dal sindaco di San Francisco Willie Lewis Brown: “Caro sindaco Bartolini, è con grande dispiacere che non posso essere con lei in questa occasione. Sono certo che capirà che ho la necessità di rimanere nella mia città dopo gli orribili eventi dell’11 settembre scorso. Assisi è una delle nostre più antiche città gemellate ed è inoltre un gemellaggio che i cittadini di San Francisco tengono in grande considerazione. Come città gemellate abbiamo molto in comune; principalmente il fatto di avere grandi cittadini tra la nostra popolazione. Spero di poter incontrare presto sia lei che la bellissima gente di Assisi e di vedere la magnifica statua di S. Francesco”. E’ seguito lo scambio dei doni tra le due delegazioni. E si è giunti al momento solenne: lo scoprimento della statua (rimasta nascosta al riparo di un panno violaceo) e la benedizione della stessa, brevemente ed efficacemente illustrata nelle sue caratteristiche. Ai valletti comunali è toccato il compito di diffondere con lo squillo delle clarine l’inno di Assisi; subito dopo, altro saggio degli sbandieratori, mentre i Maiores Ballistarii Assisii, in costume tipico, mostravano le balestre ed altri strumenti. si è fatto molto apprezzare lo spettacolo di danza e recitazione presentato, all’interno del Lyrick Theatre, dagli Artists Embassy International (la cui presidente Natica Angilly, insieme ad altri ospiti come Jeffrey Capaccio vicepresidente Niaf) aveva già inizialmente ricevuto un caloroso ringraziamento. La manifestazione è nobilmente conclusa con un concerto dei Cantori di Assisi.

Per ragazze interessate ad un impegno di servizio civile

Venerdì 5 ottobre, presso le sale della Parrocchia S. Michele Arcangelo, si è tenuta la prima riunione di raccordo propositi ed energie e di organizzazione per il progetto di “Chiamata alla pace”, rivolto a ragazze interessate ad un impegno di servizio civile. Gia da tempo in attivo, l’esperienza Avs, anno di volontariato sociale, promossa dalla Caritas a livello nazionale si è caratterizzata per essere un momento forte di maturazione personale, di formazione alla pace, alla solidarietà e alla gratuità, un momento di condivisione con altre ragazze in piccole comunità di vita, un importante approfondimento e confronto nella dimensione spirituale e nella preghiera, un’opportunità per condividere la povertà, l’ascolto e l’accompagnamento in contesti di vita di liberazione dall’emarginazione e di promozione umana. Partito nel 1976, dopo il convegno ecclesiale “Evangelizzazione e promozione umana” per promuovere forme di educazione alla pace e alla solidarietà, il progetto vede oggi importanti innovazioni. Mentre infatti, il servizio civile degli obiettori di coscienza aveva seppur un controverso riconoscimento, per le donne non era prevista tale opportunità. E ammontano, nonostante questo a quasi 2000 le ragazze che hanno appoggiato e sostenuto tale proposta. Con l’entrata in vigore della legge 64

Il recupero del piccolo centro di Sensati: forse un centro turistico

Dopo una lunga discussione il Consiglio comunale di Spoleto ha approvato, con il solo voto contrario di Rifondazione comunista, undici progetti presentati da privati nell’ambito del Prusst. Approvato il 25 agosto 1999, il Programma di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio si poneva come obiettivi il coordinamento e la razionalizzazione degli investimenti e degli interventi all’interno di un’area che comprende ben 25 comuni, da Spoleto a Foligno e tutta la Valnerina, ma anche il finanziamento per la progettazione di nuovi programmi. Le categorie di intervento del Prusst erano, principalmente, l’adeguamento e il completamento delle reti infrastrutturale, la riqualificazione urbanistica e edilizia di aree degradate, la realizzazione di nuovi insediamenti produttivi. Per quanto riguarda Spoleto gli interventi pubblici erano soprattutto nel settore delle infrastrutture, compresi gli svincoli nord e sud della città, mentre i privati avevano presentato 25 progetto, tra i quali la oramai famosa Centrale a biomasse, per un totale di 118 miliardi di investimenti. Ad essere sinceri gli imprenditori spoletini non hanno brillato per spirito di iniziativa: le progettazioni veramente innovative sono inesistenti, si tratta soprattutto di vecchie proposte che non hanno precedentemente trovato accoglienza favorevole, o trasformazioni e miglioramenti di attività esistenti. Siamo ben lontani da quel “parco progetti” che doveva determinare le riqualificazioni e lo sviluppo delle città e attrarre risorse europee. Anche i progetti, per i quali è stata approvata la variante al Piano urbanistico, riguardano soprattutto il settore turistico: tre imprenditori hanno chiesto il cambio di destinazione d’uso e l’ampliamento di strutture esistenti per trasformarle in Country House, ci sono poi quattro richieste per ampliare alberghi già esistenti; solo quattro progetti sono di carattere commerciale o industriale e riguardano le aziende Monini e Novelli. La proposta più interessante è, senza dubbio, il recupero di Sensati, un antico borgo oramai disabitato, oltre Monteluco, lungo la strada per Patrico, che dovrebbe diventare un villaggio turistico. Diverse le valutazioni sulle proposte presentate: per le opposizioni è stato un errore per l’economia spoletina abbandonare il polo chimico, siderurgico e tessile, che esisteva a Spoleto, per puntare tutto sul terziario e sul turismo soggetto, come è dimostrato in questi giorni, a variabili non controllabili e prevedibili; inoltre a Spoleto c’è già una recettività alberghiera più che sufficiente per le esigenze turistiche cittadine. Per il Sindaco, invece, c’è necessità di sfruttare le potenzialità turistiche cittadine per poter arrivare alle 500 mila presenze annue e si può prevedere in questo settore un aumento dell’occupazione di circa 450 persone.

Dall’VIII secolo San Valentino è patrono anche di una città tedesca

A Terni dal 1664. A Passau, città tedesca, addirittura dal 764. Stiamo parlando di san Valentino e degli anni cui è stato proclamato patrono sia di Terni che di Passau.Passau (in italiano Passavia) è una città della Baviera, a pochi chilometri dal confine con l’Austria, percorsa da tre fiumi: il Danubio, l’Inn e l’Ilz. Qui san Valentino è copatrono unitamente a san Massimiliano, mentre patrono è santo Stefano. Le notizie e la documentazione fotografica ci sono state fornite dalla collega e critica d’arte Franca Calzavacca, che ringraziamo. Dunque, in una città tedesca San Valentino, vescovo, è copatrono dall’VIII secolo. Si legge in una pubblicazione della città bavarese: “Quando nel 739 S. Bonifacio venne a Passavia per incarico del Papa, confermò ufficialmente il vescovado esistente; la chiesa di Santo Stefano divenne, così, cattedrale diocesana. In seguito al trasferimento delle reliquie del successivo patrono episcopale S. Valentino (764), essa divenne ancora più importante”. Poi, nel 985, nella chiesa episcopale che sorse ove c’è l’attuale duomo, vi furono portate anche le reliquie di S. Massimiliano “che da allora divenne, accanto a S. Valentino, il secondo patrono episcopale”. La figurazione dei tre santi è contenuta in un messale datato 1505, conservato a Passau. Non vi è alcun dubbio che San Valentino sia raffigurato come vescovo, in quanto ha in testa la mitra mentre con la mano destra regge il pastorale. San Valentino vescovo, quindi. E poiché l’unico santo con questo nome ad essere vescovo è il patrono di Terni, non appare difficile affermare che il copatrono di Passau sia proprio il vescovo i cui resti sono conservati nella basilica dedicata al suo nome a Terni. Sarebbe certamente interessante approfondire i motivi delle scelte della città tedesca di considerare come protettore, unitamente a santo Stefano e san Massimiliano, anche san Valentino. E conoscere quali elementi “biografici” del Santo possieda Passau e come la città sia pervenuta in possesso delle reliquie. Sta di fatto che la scelta del protettore risale a quasi mille anni prima di quella fatta da Terni. Quest’ultima, lo ricordiamo, avvenne nel 1664 quando il Consiglio di credenza, che possiamo considerare come l’attuale consiglio comunale, decretò di volere come patrono il Santo decapitato contro il parere del clero che “preferiva” sant’Anastasio. Però, molto “democraticamente” il pontefice Urbano VIII, rispettoso del parere della componente rappresentativa della città, con proprio Breve apostolico decretò San Valentino come protettore principale di Terni. Negli anni più recenti, poi, come è noto, sulla base di tradizioni anglo-sassoni, è stato anche considerato protettore degli innamorati. Chissà se nella città tedesca, oltre che copatrono, sia considerato anche protettore degli innamorati? Una ricerca storica, magari affidata a qualche giovane ricercatore, potrebbe fornire lumi e riservare sorprese anche suggestive. Per ora ci limitiamo a segnalare il fatto. E cioè che una importante città tedesca consideri il “nostro” santo come copatrono. Su San Valentino tutto o quasi è da scoprire, con metodologia e criteri scientifici, essendo la sua figura avvolta da storia e leggenda. Quel che è certo è che il suo nome ricorre in varie nazioni che, addirittura, ne rivendicano i natali. E se certe pretese appartengono più alla leggenda che alla storia, la realtà è che questo santo ha legami indistruttibili con la città di Terni.

Più attenzione ai giovani e alle famiglie a rischio di povertà

A distanza di quattro anni dalla prima ricerca che ha analizzato le condizioni di marginalità economica in Umbria, è stato presentato il secondo rapporto sulle povertà nella regione. Un lavoro, quello promosso dall’Osservatorio regionale sulle povertà, che intende rendere visibili le molteplici forme di disagio e di esclusione sociale dovute a una condizione di indigenza materiale, ma anche di povertà immateriale.

Di questi temi si è parlato in occasione del convegno “Ripensare le povertà”, che si è svolto nei giorni scorsi presso l’Istituto teologico di Assisi.

Il secondo rapporto sulle povertà in Umbria, realizzato dall’Istituto regionale di ricerche economiche e sociali, è stato commentato da rappresentanti della Caritas e della Regione dell’Umbria, oltre che da esperti del settore dei servizi sociali e dell’accoglienza degli ultimi. I dati e le analisi fornite dallo studio saranno utilizzati sia dalla Chiesa umbra, sia dall’amministrazione regionale per adeguare gli strumenti di intervento sociale, di solidarietà e di aiuto.

Sono tutti concordi nell’affermare che la collaborazione fra Chiesa locale e istituzione regionale sul difficile e complesso terreno delle povertà è stata utile e proficua. Per questo è necessario continuare il lavoro dell’Osservatorio regionale sulle povertà nato dall’incontro fra Conferenza episcopale umbra e Regione dell’Umbria e organizzato dalla Caritas, dall’Irres e dalla stessa amministrazione regionale.

“Su questo terreno – ha detto monsignor Sergio Goretti, presidente della Conferenza episcopale umbra – è necessario far crescere la collaborazione fra la Chiesa e gli enti pubblici”. Nel concludere i lavori della tavola rotonda che si è svolta durante la giornata assisana, Goretti ha manifestato la sua forte impressione per l’aumento e la complessità delle tante povertà immateriali, che si affiancano a quelle economiche. “Parlando dei giovani – ha affermato il Vescovo di Assisi, prendendo spunto dalle parole di don Luigi Ciotti – oggi mi fa molto più paura quell’universo giovanile che bighellona nelle piazze e nei bar, che scambia la notte con il giorno, che non decide mai di sposarsi per superficialità e mancanza di responsabilità, piuttosto che i tanti ragazzi che si battono anche in maniera violenta, come accaduto a Genova, in nome di ideali giusti o sbagliati che siano”.

Anche don Luigi Filippucci, delegato Caritas per l’Osservatorio delle povertà, ha lanciato alcune emergenze. In particolare quella della famiglia, la “cellula sociale” che più di ogni altra si trova in prima linea nelle trincee quotidiane della povertà e del bisogno. “I nostri governanti e i politici locali devono ripensare – spiega il sacerdote folignate – a politiche sociali adatte alle famiglie e ai tempi di oggi”. Secondo Filuppucci lo stesso approccio verso i poveri deve essere riconsiderato, in modo che chi si trova in condizioni di necessità economica ma anche immateriale non debba “subire” gli interventi di assistenza e caritatevoli. “Bisogna piuttosto corresponsabilizzare i poveri – aggiunge don Luigi – e farli partecipi di un cammino più ampio e non episodico”. Da ultimo, un appello alle istituzioni perchè siano più utilizzati i gruppi e le associazioni di volontariato, che possono dare “un’anima” alle forme di intervento nel sociale.

Secondo l’assessore regionale alle Politiche sociali, Gaia Grossi, lo sviluppo dell’Umbria oggi non può prescindere dal modello di sviluppo internazionale che andrebbe completamente rivisto, perchè basato su meccanismi economici che non considerano le identità e le peculiarità di popoli, nazioni, comunità locali.

Entrando nello specifico, Gaia Grossi ha ricordato che la Regione sta recependo finanziamenti dal fondo nazionale per le politiche sociali che ha messo a disposizione 548 milioni di lire per progetti riguardanti le povertà estreme e 604 milioni da distribuire ai Comuni, sempre per interventi sociali in questo settore. Nel primo caso è già stato pubblicato un bando, nel luglio scorso, per finanziare interventi progettati da enti locali, organizzazioni di volontariato e Onlus. Per quanto riguarda i fondi destinati ai Comuni vanno ancora stabiliti i criteri di ripartizione. “E’ comunque importante sottolineare – ha aggiunto l’assessore regionale – che il Piano sociale regionale ha calibrato gli interventi proprio sulla base del quadro fornito dal primo rapporto sulle povertà pubblicato nel 1997”.

Tra le urgenze segnalate dall’assessore regionale ci sono quelle sui settori della formazione e del lavoro.

“Bisogna passare – ha detto – da un welfare di emergenza a un modello sociale che oltre alle povertà estreme possa lavorare anche sulle famiglie ‘normali’ che rischiano di cadere nel disagio e nell’indigenza”. Concludendo il suo intervento anche Gaia Grossi ha sollecitato un vertice fra Chiesa e Regione per concordare la prosecuzione di una esperienza positiva come quella dell’Osservatorio delle povertà.

“Fede e ragione”: un congresso internazionale a Granada

In questo periodo sono stati avviati importanti contatti culturali tra la Valnerina e la Spagna. Due delegazioni, una nursina e l’altra casciana, si sono portate rispettivamente a Burgos e a Monachil (Granada). Nei giorni scorsi padre Cassian Folson, priore della comunità dei monaci benedettini di Norcia, l’assessore al Turismo del comune di Norcia, Giacomo Iucci, ed alcuni rappresentanti dell’associazione ‘Amici del monastero di S.Benedetto’ hanno partecipato, insieme ad altre delegazioni provenienti da diverse parti del mondo, ad un congresso internazionale, che si è tenuto a Burgos presso l’abbazia di Santo Domingo de Silos, sul tema ‘Fede e ragione’, organizzato dall’associazione ‘Sanctus Benedictus Patronus Europae’ (Asbpe). Questa è nata intorno al 1967 a seguito della proclamazione da parte di Paolo VI di San Benedetto a Patrono principale d’Europa ed è costituita da un gruppo religioso-culturale internazionale con lo scopo di affermare i valori intramontabili della Regola benedettina nella vita religiosa e pubblica di tutta Europa. Mai come oggi si capisce quanto sia importante per l’Europa ritrovare la propria identità cristiana per superare il vuoto dei valori e per un sereno confronto tra civiltà e religioni diverse. Ogni anno l’Associazione organizza un congresso internazionale incentrato su temi che vanno dalla fede, dalla famiglia, all’impegno politico. La delegazione nursina ha formalmente chiesto che lo svolgimento del prossimo convegno, da tenersi nel mese di settembre del 2002, avvenga nella città natale di S.Benedetto. Una folta rappresentanza di casciani (circa 40 persone) è giunta venerdì 5 ottobre a Monachil, la città iberica con cui Cascia ha siglato un gemellaggio, nato nel 1999 in occasione delle celebrazioni ritiane ed ora ravvivato con scambi culturali e di amicizia. Insieme al proprio sindaco, Gino Emili, sono andati gli assessori Roberto Rosati e Tito Castellucci, il rettore della Basilica, padre Bolivar Centeno, la corale “S.Rita”, la responsabile del Distretto scolastico di Cascia, prof.ssa Franca Bologni, insieme ad alcuni ragazzi del liceo Scientifico e un rappresentante della scuola di musica comunale. La delegazione casciana ha partecipato alle celebrazioni per la Vergine del Rosario, la festa più importante della città. La corale locale ha eseguito canti in onore degli ospiti, mentre il gruppo municipale di ballo si è esibito in danze folcloriche. Nella giornata di sabato il gruppo è stato accompagnato nella visita alla città, ricca di arte e di monumenti, e al tipico paesaggio della Sierra Nevada. Le autorità locali hanno deciso di partecipare ai festeggiamenti di S. Rita nel prossimo anno, entusiasti dell’accoglienza ricevuta nel ’99 e della straordinaria forza di richiamo di S.Rita. Con i dirigenti scolastici locali sono stati messi a punto una serie di scambi culturali da portare avanti nel presente anno scolastico e durante l’estate. Insomma, sembra che al di là della semplice scritta di gemelleggio apposta sulla cartellonistica delle due città ci si stia avviando verso una fase concreta di collaborazione e di conoscenza reciproca.

Gridatelo dai tetti

Oggi è in atto una gara a chi grida di più, giocata con tutti i mezzi, anche con gli attacchi terroristici, che pertanto diventa una lotta, un combattimento e, Dio non voglia, una vera guerra. Lo slogan della Giornata nazionale delle comunicazioni sociali, “gridatelo dai tetti” o “predicatelo dai tetti”, si riferisce ad una espressione evangelica ed ha il significato di un annuncio di pace, di gioia e di speranza per tutti gli uomini: è il Vangelo, la Buona notizia. Questa per secoli ha risuonato attraverso la voce di profeti disarmati, di testimoni – martiri, di apostoli coraggiosi, di missionari intrepidi e di semplici persone del popolo, impegnate a trasmettere la fede da una generazione ad un’altra. Nella selva dei miliardi di informazioni, immagini e messaggi che vengono inviati, nel nostro tempo, dalle antenne radio televisive e dai siti elettronici, la Buona novella rischia di rimanere soffocata e oscurata. C’è il predominio della forza brutale dei fatti tragici e violenti. L’ultimo di questi è paradigmatico per le tragiche conseguenze che ha provocato, la morte di migliaia di vittime innocenti, e per l’eclatante valore simbolico che ha rivestito nella scena del mondo. E’ stato una vera e propria dichiarazione di volontà di potenza, di esaltazione di una super – umanità, quella dei kamikaze, considerati eroi e martiri, che non può avere giustificazioni religiose, come falsamente viene detto da Bin Laden, e dai suoi seguaci. La “follia” dei kamikaze trova la sua collocazione nel mito del superuomo di Nietzsche, la stessa radice che ha dato un’anima ideologica al nazismo. Sul nostro giornale Roberto Gatti, filosofo della politica, aveva già rilevato (vedi il n’33) le analogie tra nazismo e terrorismo nell’articolo “Il terrorismo è il nazismo del nostro secolo”. Gli amanti della pace e i veri “timorati di Dio” presenti in tutte le religioni devono tornare a gridare sui tetti le ragioni della loro fede secondo l’insegnamento di Isaia. In questi giorni molti rappresentanti anche della fede islamica si sono espressi in questa direzione condannando il terrorismo e la violenza e invocando la pace tra i popoli attingendo alle più alte espressioni della loro fede interpretata e vissuta senza fanatismo, impegnandosi in quello che essi chiamano il “grande jihad”, quello etico ed ascetico che significa lo sforzo su se stessi per obbedire al volere di Dio, distinguendolo dal cosiddetto “piccolo jihad” che equivale alla guerra militarmente combattuta, falsamente e rozzamente dichiarata santa. I cristiani in particolare hanno ricevuto il mandato “andate e predicate il Vangelo ad ogni creatura”. Il Vangelo e non le idee di quel mondo occidentale che ha perduto ogni legame con esso e nutre soltanto sentimenti di conquista e profitto e si diverte con quell’orgia di banalità che è il trionfo della meschinità. E’ certamente vero che il Vangelo si trasmette anche con il sussurro lieve nel colloquio personale tra persona e persona o nelle piccole comunità disponibili all’ascolto e all’accoglienza di una proposta di vita. Ma, come Giovanni Paolo II ha scritto per questa giornata, bisogna servirsi anche dei “tetti”, che oggi sono le antenne, nuovi pulpiti dai quali può risuonare una parola di salvezza. I cristiani hanno parole e messaggi che possono offrire motivi convincenti per continuare a credere e a sperare.

Marcia della pace: l’attacco Usa divide i partecipanti

Adesioni, polemiche, prese di distanza, precisazioni, iniziative alternative: l’edizione 2001 della marcia della pace Perugia-Assisi si caratterizza anche per queste diverse reazioni. La marcia di domenica 14 ottobre – che cade in un periodo segnato da una gravissima crisi internazionale dopo gli attentati terroristici di New York e Washington e l’inizio dell’operazione “libertà duratura”, contro l’Afghanistan e le centrali del terrorismo da parte di Usa, Gran Bretagna e altri paesi occidentali – ha provocato anche una serie di profonde lacerazioni, nate dalle dichiarazioni dei promotori della manifestazione sull’azione americana, definita “sbagliata, illegale e pericolosa”. Il Consiglio regionale umbro aveva invece approvato un documento di adesione, con la sola astensione di Rifondazione comunista. E la posizione “antistatunitense” aveva portato Maria Rita Lorenzetti, presidente della Regione Umbria, Giulio Cozzari, presidente della Provincia di Perugia e presidente del Coordinamento nazionale enti locali per la pace, e Renato Locchi, sindaco di Perugia, a rilasciare una dichiarazione congiunta ricordando, tra l’altro, che la marcia della pace Perugia-Assisi “è da sempre un luogo elevato di riflessione, di incontro, di confronto tra donne e uomini portatori di esperienze e punti di vista differenti”. Nella nota si sottolineava che “il ricorso alla forza (…) rappresenta un passaggio difficile per tutti, ma a nostro giudizio inevitabile”. E si definiva “intollerabile il tentativo di chiunque di trasformare di fatto l’appuntamento di domenica in una unilaterale manifestazione antiamericana”. Anche dai francescani del Sacro Convento sono arrivate precisazioni. Si invita alla partecipazione “ma senza strumentalizzazioni”. I frati hanno ricordato lo spirito della non-violenza della marcia, nata da un’idea di Aldo Capitini, che “ora e’ arricchita dai valori francescani”. Padre Vincenzo Coli, custode della Basilica di San Francesco, ha detto che “la crescita dell’umanità ha come obiettivo principale la pace, basata su giustizia e solidarietà condivisa. Gli eventi drammatici, che l’umanità sta vivendo, sollecitano una forte invocazione della pace. Riteniamo però che la marcia non possa tollerare alcun tipo di strumentalizzazione e nessuno può appropriarsene”. Secondo il francescano “la marcia non può essere fatta a favore o contro qualcuno ma solo per testimoniare un autentico desiderio di pace. Chi non rispetta questo criterio, ma persegue obiettivi ideologici e politici, non può essere in sintonia con lo spirito della marcia”. Numerosi gli interventi di esponenti politici umbri che riflettono le posizioni espresse anche in parlamento nel corso della discussione sulla situazione internazionale. I rappresentanti umbri di Alleanza nazionale hanno deciso di deporre – in contemporanea con lo svolgimento della marcia della pace – una corona di fiori al monumento ai caduti di via Fanti a Perugia. L’iniziativa – ha spiegato il consigliere regionale di An, Lignani Marchesani – nata “come una risposta ad un evidente pacifismo di facciata, strumentale e di parte, assume in questo contingente contesto internazionale un particolare significato: la pace è infatti un valore che ha un prezzo e talvolta va purtroppo difesa con quelle che vengono chiamate operazioni di polizia internazionale”. Infine la presa di distanza più importante per il suo valore simbolico: il Comune di Assisi non parteciperà alla marcia con i suoi rappresentanti perchè ha registrato “il fallimento dello spirito dell’edizione della marcia, utilizzata in modo strumentale all’unico scopo di manifestare contro gli Usa”.

Dialogo fra i popoli a Perugia

Era stata preparata per riflettere sulla necessità di una globalizzazione dal basso, non limitata alla sola economia ma estesa ai diritti umani, alla democrazia e alla solidarietà. Ma ormai è chiaro già da qualche giorno che la quarta assemblea dell’Onu dei popoli in corso a Perugia (fino a sabato 13 ottobre) si occuperà in particolare della nuova pesante crisi internazionale. Fin dall’indomani degli attacchi suicidi al cuore di New York, la Tavola della pace che organizza l’incontro e la marcia Perugia-Assisi aveva auspicato un deciso intervento contro ogni forma di terrorismo, fondamentalismo e integralismo. Una lotta che però – hanno ribadito nei giorni scorsi Lotti e Rasimelli – non può essere demandata a un solo Paese o a una coalizione di Stati. Dev’essere, invece, l’Onu – unica casa comune di tutti i popoli e le nazioni – ad avere il ruolo di garante della giustizia internazionale. C’è da scommettere che sarà questa la linea che caratterizzerà le tre giornate perugine. “L’assemblea e la marcia non saranno però – spiega Flavio Lotti – manifestazioni antiamericane: non vogliamo far passare questa impostazione, perchè è proprio questo il brodo nel quale prolifera anche il terrorismo islamico”. Nell’ultima settimana è continuato il quotidiano bollettino di adesioni e defezioni alla marcia di domenica, tanto da oscurare un po’ gli appuntamenti di riflessione e di dialogo dell’assemblea dell’Onu dei popoli. Ma i partecipanti arriveranno da oltre cento paesi di tutto il mondo, in rappresentanza di movimenti laici e religiosi, sindacati, organizzazioni non governative, istituzioni locali e università, centri di ricerca, network internazionali impegnati a favore della pace e dei diritti umani, dello sviluppo sostenibile, della giustizia sociale e della democrazia. Confermata, salvo imprevisti dell’ultima ora, anche la presenza della presidente del Parlamento europeo, Michele Lafontaine. Alle tre giornate di palazzo dei Priori, ci saranno anche esponenti del mondo cattolico, sia religiosi che laici: dal presidente di Pax Christi, Diego Bona, alle Acli, l’Agesci, l’associazione Papa Giovanni XXIII, l’Azione cattolica, Nigrizia. Dallo Sri Lanka arriverà anche padre Seemampillai, un teologo del popolo Tamil che da anni si occupa di iniziative di conciliazione nella sua terra.

Il fiume Tevere soccorre il lago Trasimeno

Dopo un lungo periodo di preoccupante silenzio, ed una stagione estiva “rovente”, sembra uscire finalmente dal letargo quel Progetto Montedoglio che dovrebbe garantire al lago Trasimeno quel periodico reintegro per cui risultano già stanziati finanziamenti complessivi per circa 150 miliardi. Questa volta (e salvo ulteriori imprevisti) dovrebbe trattarsi della “volta buona” dato che le opere di adduzione della diga sul Tevere sono realizzabili con la Finanziaria 2001 che si appresta ormai ad essere consegnata alla storia. La complessa canalizzazione degli esuberi del Tevere (dalla diga di Montedoglio, appunto!) interessa, in vario modo, le province di Arezzo, Siena, Perugia e, in particolare, il Canale maestro della Chiana (Arezzo) ed i laghi di Montepulciano (Siena), Chiusi (Siena) e Trasimeno (Perugia). Nel darne la notizia l’assessore provinciale Katia Mariani ha offerto all’Ente irriguo Umbro-Toscano “la più totale disponibilità e collaborazione dell’Ente per garantire al lago Trasimeno la soluzione per le sofferenze causate dai luoghi e ripetuti periodi di siccità che creano seri squilibri all’intero ecosistema lacustre. A questo punto – ha aggiunto l’Assessore provinciale perugina – vi sono le condizioni affinché i problemi irrigui del comprensorio lacustre, legati all’agricoltura ma anche al suo bilancio idrico complessivo, possano trovare risposta in brevissimo tempo”.

I settimanali cattolici di fronte alla sfida della globalizzazione

Dal 4 al 7 ottobre a Siracusa si è tenuto un convegno organizzato dalla Federazione settimanali cattolici d’Italia (Fisc) sul tema della globalizzazione. Il punto centrale della questione è la coniugazione della dimensione locale tipica dei settimanali cattolici legati e radicati nel territorio di cui sono espressione con la dimensione sempre più ampia e coinvolgente della mondializzazione o globalizzazione. Vi hanno partecipato i direttori dei settimanali e giornalisti provenienti da undici regioni d’Italia. A parte la perfetta organizzazione del convegno e il caldo clima di ospitalità predisposto da mons. Alfio Inserra, direttore del settimanale diocesano di Siracusa, il convegno ha avuto il respiro della novità di prospettiva tanto più convincente perché svolto nel periodo tragico della risposta americana all’attacco terroristico delle Torri gemelle di New York e del Pentagono di Washington. Non è possibile raccontare le fasi del complesso svolgimento dei lavori, che hanno preso il via dopo una solenne inaugurazione a cui hanno partecipato le autorità locali ei cittadini su “Siracusa e la Sicilia di fronte alle sfide della mondializzazione. Il ruolo dei media”. Le relazioni introduttive di Duilio Corgnali e Francesco Bonini e l’introduzione ai gruppi di studio di Elio Bromuri hanno offerto la piattaforma dei problemi che si trovano davanti i settimanali cattolici, definiti “giornali della gente, giornali della Chiesa “ora si devono ridefinire anche come “giornali aperti al mondo”. Non che prima non lo fossero, ma in questo nuovo millennio, lo sono assecondando anche l’invito di Giovanni Paolo II ad avventurarsi in alto mare: duc in altum. Questa apertura tuttavia non può snaturare l’identità territoriale dei più di centoquaranta settimanali, ognuno dei quali è indissolubilmente legato ad un determinato territorio con la sua storia, le sue tradizioni, i suoi umori. Come mettere insieme questa doppia esigenza è la sfida che essi corrono per avere un futuro. Si è considerato anche che l’apertura alla dimensione regionale, nazionale, europea e universale comporta l’incontro – scontro con la molteplicità delle posizioni etiche, religiose e culturali in un mondo non solo pluralistico ma frammentato. Il settimanale oltre ad informare può svolgere un compito di orientamento per evitare la dispersione e offrire “motivi per continuare a credere e a sperare”, come è stato detto. Sono stati trattati e ampiamente dibattuti anche temi che riguardano più propriamente la professione giornalistica: il rapporto tra redattori e editori, con le istituzioni e la società civile ed ecclesiale, l’apporto del volontariato e l’ esigenza di professionalità con ciò che comporta a livello economico, ed inoltre esercitazioni sui vari linguaggi della comunicazione sociale. Decisivo è stato l’apporto di esperti come Giorgio Zucchelli, Gilberto Donnini, Roberto Massimo, Walter Matten, Alberto Comazzi, Guido Gola, Paolo Di Benedetto. I lavori si sono svolti nella Casa del pellegrino accanto al Santuario della Madonna delle lacrime la cui presenza invisibile e discreta è stata fonte di consolazione per tutti i convegnisti. Al convegno vi hanno partecipato anche alcuni collaboratori de La Voce.

La globalizzazione dei pensieri

Il tragitto in metro, di prima mattina, assomiglia a tanti altri. La gente, oggi, mi sembra più silenziosa del solito. Sprofondati nella lettura dei quotidiani, sono quasi tutti alle pagine della guerra. D’altra parte, a sfogliarle, non cambia poi molto: disgrazie aeree, attentati, violenze. Della cronaca, meglio non parlare: omicidi, rapine, malasanità e quant’altro. Sui volti, le pagine riflettono sentimenti di smarrimento, timore, paura. Ecco il volto nuovo della globalizzazione dei pensieri. Domina su tutto la paura, spalmata in tutte le salse e con tutti i genitivi: paura della guerra, degli attentati, del futuro, del lavoro, della borsa e dei risparmi, delle vacanze, della famiglia, dei figli e del loro futuro. Da cristiano cerco di operare una conversione di prospettiva, un vero salto nell’anima, concentrandomi su Gesù Cristo, tenendo lo sguardo – come dice il Papa – “fisso sul volto del Signore”. Per vincere la paura, o almeno per conviverci, devo tornare, spiritualmente, all’origine di tutto dove c’è “Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo”, infinitamente ricco di benevolenza, di grazia, di misericordia, di gloria e potenza salvifica. E in Dio, fin dall’inizio, “prima della creazione del mondo”, c’è il mistero della sua volontà, il progetto di salvezza, “il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra”, il disegno cioè di unificare e pacificare tutti i popoli della terra. Ritrovo la pace, consapevole e piantata per terra. La nostra società da tempo chiamata multietnica, multiculturale e multireligiosa ha il volto dell’altro col quale sono gomito a gomito in questo vagone di metropolitana e nelle strade affollate del centro: la donna indiana alla quale hanno appena rubato la borsa e si guarda smarrita intorno, gli occhi grandi del bambino in braccio alla donna che chiede l’elemosina sulle scale della stazione, l’ambulante che rinfresca la frutta, il turista che mi chiede la strada, i giovani agenti che presidiano la piazza, il portiere del mio ufficio, il collega che sale con me in ascensore…Ha ragione il Papa, quando invita tutta la Chiesa, in questo inizio di millennio, a tenere fisso lo sguardo sul volto del Signore. Guardare a Cristo è un atto di fede. In Lui si purifica la nostra memoria e la nostra coscienza, si risana la storia e la geografia, per dirla in termini di attualità. Il Papa ha appena fatto sette nuove beatificazioni: un padre di famiglia, un vescovo martire, due preti e tre suore. E questi nuovi beati li ha posti come “esempio di giusti che per la loro fede vivono accanto a Dio in eterno”. E’ questo che ci porta in alto, al di fuori e al di sopra, al di dentro e accanto: tutte le dimensioni della comunione e dello spirito. Un antico adagio dice: la paura ha bussato alla mia porta. La fede ha aperto: non c’era nessuno.

Il centro storico sta mutando: una città abitata solo da turisti?

Il cuore storico di Perugia, i luoghi che hanno visto la storia della città, cambia volto; un po’ per stare al passo con i tempi, un po’ per seguire l’evoluzione demografica, il centro storico sta mutando nei suoi spazi produttivi, burocratici e culturali. Sono iniziati, infatti, i traslochi di vari enti, mentre molti privati hanno chiuso bottega, o l’hanno trasferita in zone economicamente più redditizie. I primi ad andarsene sono stati gli uffici della Procura, trasferitisi nel palazzo della Questura in piazza Partigiani; tra non molto anche il Tribunale civile, attualmente in via Baglioni, andrà ad occupare il palazzo delle Poste di piazza Matteotti (al piano terra rimarrà funzionante uno sportello postale); quando, infine, saranno terminati i lavori del carcere di Capanne anche il Palazzo del Capitano sarà lasciato libero dagli uffici giudiziari, unificati nei locali dell’attuale carcere cittadino. Nuovo inquilino sarà la Biblioteca Augusta, con il proprio archivio storico e l’esposizione degli “incunaboli”, miniature e di altri pezzi rari che, per adesso, giacciono nei sotterranei della Biblioteca. Altro trasloco, nell’imminenza dei lavori che ne trasformeranno completamente l’attuale aspetto, riguarda gli esercizi del Mercato coperto; mentre proseguono quelli che trasformeranno gli arconi di via della Rupe nel più grande centro espositivo italiano. Trasloco eccellente è quello di Palazzo dei Priori, dove gli uffici comunali dell’assessorato all’urbanistica faranno spazio alle opere dei magazzini della Galleria Nazionale dell’Umbria. E sin qui abbiamo parlato del pubblico, ma anche i privati sono oggetto di smobilitazione. Dopo il trasferimento del Mediocredito, pochi giorni fa la Sorit ha annunciato che lascerà la propria sede di via Bartolo, seguita, molto probabilmente, dal Banco di Roma in piazza della Repubblica. Continuano a chiudere anche i negozi storici di corso Vannucci. Ha chiuso il bar Ferrari; sta per farlo il negozio di tessuti Veneziano; la bottega Ceccucci sta ultimando le svendite prima di abbassare la saracinesca; il barbiere affianco ha chiuso da tempo, mentre si apprestano a farlo l’ottica Bartoccini-Nebbiai ed il Caffè del Cambio. Una trasformazione che, più che di rivoluzione sa di vera ecatombe. Non molto tempo fa erano quattro le tipologie di persone che occupavano stabilmente il centro storico: i residenti, i commercianti, gli impiegati ed i turisti. I primi sono calati in misura sempre costante, i secondi, soprattutto i negozianti di generi alimentari sono spariti piano piano, i terzi andranno via quanto prima. Sono rimasti i turisti che, in questo modo, si troveranno a passeggiare, dopo aver visitato gli spazi museali, lungo vie quasi deserte, ammirando solo vetrine d’abbigliamento, senza negozi d’altro genere e faticando nel trovare una bottiglia d’acqua o anche solo un posto dove comprare un panino. Tutto questo proprio mentre associazioni di residenti e commercianti chiedono maggiori servizi, costi meno eccessivi per i parcheggi e, soprattutto, di far tornare le persone a vivere in città. “Le città sono un insieme di tante cose – scriveva Italo Calvino – di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia”, ma se la città si svuota ed è vissuta da chi ci viene una volta per non farvi ritorno, che cosa diventerà? Una cattedrale nel deserto.

Intitolata una nuova via cittadina all’indimenticato mons. Cesare Pagani

La Giunta municipale di Città di Castello, facendo propria una proposta della Commissione toponomastica, ha deliberato di intitolare una nuova via cittadina a mons. Cesare Pagani, vescovo di Città di Castello dal 1972 al 1982. Si tratta di un’area di circolazione in località Meltina che inizia in corrispondenza del vocabolo Croce di ferro, nel capoluogo, (lungo la strada che dal cimitero monumentale conduce a Fontecchio) e dopo circa 800 metri, termina in corrispondenza dell’incrocio che conduce a villa Bufalini, villa del seminario (che proprio l’allora Vescovo Pagani fece restaurare) e vocabolo “Meltina alta”. L’arcivescovo mons. Cesare Pagani era nato a Milano il 10 maggio 1921 ed era stato ordinato presbitero il 3 giugno del 1944. Dopo i primi anni di servizio in parrocchia nel 1950 era a Saronno (Va) dove svolse anche l’ufficio di assistente ecclesiastico delle Acli per la provincia di Varese. Nel 1958 è assistente ecclesiastico della Gioventù femminile di Ac dell’archidiocesi milanese, nel 1962 direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale sociale e, nel 1963, delegato vescovile ad interim dell’Azione cattolica Ambrosiana. Nel 1964 il papa Paolo VI gli affida l’ufficio di Assistente ecclesiastico centrale delle Acli e nel 1971 guida il gruppo sacerdotale per la Pastorale del mondo del lavoro, promosso dalla Cei. Eletto il 22 gennaio 1972 vescovo di Città di Castello e Gubbio, il 13 febbraio veniva consacrato dal papa Paolo VI nella patriarcale basilica vaticana. Dal 26 maggio 1976, è ininterrottamente fino alla morte, presidente della Conferenza episcopale umbra. Il 24 novembre 1981 il papa Giovanni Paolo II lo promuove alla chiesa arcivescovile metropolitana di Perugia-Città della Pieve dove muore, improvvisamente, il 12 marzo 1988. Mons. Cesare Pagani, ricco delle precedenti esperienze, portò a Città di Castello, con il suo temperamento emotivo ed attivo, un dinamismo pastorale vivo nella vita cristiana della diocesi, dopo un periodo di varie difficoltà pastorali e creò un clima di impegno in tante persone della diocesi. Lasciò scritto nel suo testamento le parole che lo identificano e con le quali vogliamo ricordarlo in questa circostanza nella quale la città ha voluto testimoniare il suo affetto e la sua stima verso di lui. “Ho desiderato capire me stesso, identificare quello che realmente sono, quello che oggettivamente posso e debbo dare per i miei fratelli e ridare al mio Dio. Adesso posso scoprirlo, posso conoscere il mio vero nome, trovare il mio giusto posto nella grande sinfonia divina” (dal testamento).

Al calar del sole si entrerà nel vivo dei “Giochi de le Porte”

Non sarà forse una festa lieta come quella di tutti gli anni, visti i tragici eventi che hanno sconvolto il mondo e che a giorni lo terranno col fiato sospeso; ma anche i “Giochi de le Porte”, edizione 2001, sono destinati a dominare l’intera vita di Gualdo Tadino a partire da oggi e fino a domenica notte.Si parte proprio oggi pomeriggio, infatti, alle ore 18 con il primo corteo storico, quello dei tavernieri in costume d’epoca cui spetta l’incarico di dare il via alla tre giorni gastronomica con l’apertura delle taverne: quest’anno, in ossequio al “Convivio epulonis”, il piatto forte sarà il piccione, annaffiato con i più fragranti vini rossi della regione. Poi, alle 21.30, l’esibizione del gruppo sbandieratori “Città di Gualdo Tadino”. E qui la prima (dolente) novità: non ci sono più le “sbandieratrici”, escluse dalla compagine perché ritenute “anacronistiche” dall’ente Giochi. Dopo le libagioni serali, l’appuntamento è fissato per domani 29 settembre, alle ore 14 con il corteo storico dei giocolieri e le prove di tiro con l’arco e la fionda, dinnanzi alla cattedrale. Poi, alle 16.30, il consueto appuntamento con la gara di tiro con la balestra ad opera dei “balestrieri Waldum” con la successiva consegna del Palio al vincitore: avrà lui l’onore di portarlo durante il corteo storico precedente alle gare. Al calar del sole, si entrerà nel vivo: alle 20, il gonfaloniere Giuseppe Baldinelli leggerà il Proclama dei Giochi de le Porte, mentre il sindaco di Gualdo gli consegnerà, simbolicamente, le chiavi della città. Di seguito il momento più spassoso della manifestazione: i quattro priori delle Porte si scambieranno lazzi, sberleffi e battutine lanciandosi la sfida. Da lì i Giochi saranno ufficialmente aperti. Subito dopo, verso le 21, sfilerà per le vie del centro il corteo storico, composto da oltre 800 figuranti in costumi rinascimentali; quest’anno la competizione sarà estesa anche alle sfilate poichè verrà premiata la porta che avrà organizzato il corteo più originale. Domenica, infine, la giornata conclusiva. In mattinata, prima della solenne concelebrazione eucaristica per la festività del patrono S. Michele Arcangelo, alle 10.30, la tradizionale pesa dei carretti per la gara dei somari e l’ estrazione a sorte dell’ordine di partenza; alle 14 l’esibizione del gruppo sbandieratori e, alle 14.30, la replica del corteo storico: questa volta, inaugurando una nuova tradizione, alla testa del corteo sfilerà la madrina 2001 dei “Giochi”, Anna Gigli Molinari, eletta miss Rocchetta alle recenti selezioni di Miss Italia. Alle 15.30 l’inizio dei Giochi con le quattro prove competitive: la corsa dei carretti trainati dai somari all’interno del circuito del centro storico; la prova di tiro con la fionda; la prova di tiro con l’arco e infine la gara più attesa: la corsa dei somari cavalcati a pelo dai fantini delle quattro porte. Al termine la Porta che risulterà vincitrice, oltre ad ottenere il palio, avrà l’onore di mettere al rogo l’effigie della Bastola, la tradizionale “”inimica de li gualdesi”.

Nel cuore della festa del Palio di San Michele

A Bastia Umbra, una particolare emozione ed una gran religiosità hanno contraddistinto la serata di giovedì 20 settembre, momento inaugurale della festa del Palio di S. Michele Arcangelo. Nella serata, il parroco don Francesco Fongo ha benedetto oltre gli stendardi e il Palio, anche i mantelli, investendo il presidente dell’ente Palio, Erigo Pecci e il Maestro di Campo, Luigi Mencarelli. Quest’ultimi, a loro volta, hanno investito i capitani dei Rioni dei rispettivi mantelli. E’ da anni che la manifestazione si svolge davanti alla chiesa parrocchiale, in piazza Mazzini, ma è solo da due che si riveste di una tonalità nuova. E’ il segno di una comunità che vuole intraprendere un nuovo cammino verso il Terzo Millennio, invocando il santo Patrono. Una festa, cui si vuole ridare il giusto valore religioso e per questo motivo non più i bandi di sfida, perché diventati troppo volgari e grossolani. Già dallo scorso anno, infatti, si è plaudito di ampliare la benedizione degli stendardi e del Palio, con quella dei mantelli. Questi sono stati realizzati da Nicoletta Cozzali, una creatrice di moda; è infatti da diverso tempo che collabora con il proprio Rione, alla realizzazione della festa. Finalmente, il Palio sta riacquistando il suo originario senso religioso: non a caso, ciò è stato sottolineato dalla presenza del parroco in abiti talari e da quella delle confraternite, che hanno fatto da cornice a questa suggestiva cerimonia. Una particolare attenzione del pubblico è andata alla presenza dei bambini e delle bambine; i primi hanno portato i mantelli dei Capitani, le seconde quelli per il Presidente e il Maestro di campo. A conclusione della parte religiosa, è stato effettuato un momento di raccoglimento; è stata letta una poesia sulla pace da Mario Ceccomori, in ricordo delle vittime di New York. La poesia letta ha partecipato al Premio “Insula Romana, ” organizzato dalla Pro Loco di Bastia Umbra. Nel corso delle successive serate hanno sfilato in ordine i seguenti Rioni: Moncioveta (capitano Simone Cerasa) ha sviluppato il tema “I sette peccati capitali”; la sfilata del Rione Portella (capitano Enrico Trippetta) ha trattato “Ricordando i tempi in cui…”; S. Rocco (capitano Paris Lupattelli) ha presentato “Linea d’ombra”, seguito dal capitano Paris Lupattelli e, infine, S. Angelo (capitano Marco Boccolacci) ha portato in scena il tema “Patmos”. Ricordiamo che il programma religioso culminerà sabato 29 settembre con le celebrazioni delle sante messe: alle ore 8.00 nella chiesa parrocchiale; alle 8.30 nella chiesa delle monache benedettine; quella delle 9.30 e delle 11.00 di nuovo nella chiesa parrocchiale; alle 16.00 ci sarà la solenne Messa cantata, con la partecipazione di tutta la comunità, dei gruppi parrocchiali, delle associazioni, delle autorità civili, dei Rioni con i propri stendardi e il Palio, portato dal Rione vincitore. Al momento dell’offertorio ogni Rione offrirà un segno di gratitudine al Patrono. Ci saranno anche i bambini e i ragazzi che hanno ricevuto i sacramenti della Prima Comunione e della Cresima. Alle 17.00 si svolgerà la Processione solenne con la Statua del Santo. Infine ci sarà l’estrazione della Lotteria di S. Michele.

Arriva l’Euro e le piccole e medie imprese si informano

Euro: un problema di semplice adattamento contabile, tecnico ed organizzativo? Non proprio, o meglio, non solo. E’ di questo parere il dottor Franco Gennenzi, della Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa (Cna) di Spoleto, coordinatore di un seminario informativo sulla moneta unica, tenuto presso il comune di Norcia, lo scorso venerdì. “Non siamo di fronte ad un semplice cambio di moneta – ha più volte ribadito – ma ad un nuovo quadro di riferimento rispetto al quale dovrà essere innovato anche il modo di fare impresa. Cittadini ed imprenditori dovranno affrontare l’adeguamento come se si trattasse di un cambio di lingua e di cultura poiché dovremo imparare a pensare e parlare in euro”. Come molte altre associazioni di categoria, la Cna, che in questo periodo sta viaggiando su tutto il territorio regionale con i suoi ‘euro manager’, ha voluto incontrare anche le imprese del nursino, allo scopo di prepararle al passaggio definitivo ed aiutarle ad adeguare in tempi stretti la propria struttura. Il grande lavoro consisterà nell’adeguare al più presto il loro software gestionale interno, il registratore di cassa e altri misuratori; nel convertire i singoli dati contabili finali dell’esercizio 2001; nel rideterminare in euro i prezzi dei prodotti e dei servizi, il trattamento salariale, il fondo di accantonamento e le detrazioni spettanti a ciascun dipendente, e così via. Quindi, al di là degli indubbi vantaggi connessi all’adozione dell’euro in ben 12 Paesi dell’UE, soprattutto tra gli operatori economici, gli imprenditori e gli artigiani cominciano a serpeggiare le prime ansie e timori. Per esempio, cosa accadrà per gli arrotondamenti? Cosa si dovrà fare con i contratti già stipulati e ancora in corso? Come dovranno essere emesse fatture, ricevute e scontrini? E ancora, come dovranno essere compilati gli assegni e predisposti bilanci e dichiarazioni fiscali? Il seminario è servito a fare luce su molte di queste problematiche che, seppure inizialmente ‘angoscianti’, potranno essere gradualmente risolte tenendo presenti alcune regole fondamentali. Tanto per cominciare, gli arrotondamenti non dovranno produrre distorsioni del valore finale e le autorità nazionali vigileranno per evitare aumenti spropositati e ingiustificati dei prezzi. Per la compilazione di assegni e cambiali basterà imparare alcune semplici modalità. Ma non saranno solo problemi tecnici e logistici quelli che a breve ci troveremo ad affrontare. L’arrivo delle otto monete e delle sette banconote euro di certo porterà all’inizio strani ‘effetti psicologici’, dovuti essenzialmente ai continui confronti che saremo costretti a fare tra il valore in lire e quello in euro. Ci darà senz’altro una mano la calcolatrice, anche se, volendo fare il calcolo a mente, basterà semplicemente aggiungere tre zeri e moltiplicare per due l’importo in euro (il tasso di cambio è prossimo alle duemila lire). Solo con il tempo e l’abitudine riusciremo a ragionare in euro, e non avvertiremo più il bisogno di conoscere il controvalore in lire perché la lira diventerà sempre più un pallido ricordo. Il seminario informativo sull’euro di venerdì scorso è servito a ricordare agli imprenditori presenti anche un progetto recentemente elaborato dal Comune di Norcia, in collaborazione con Cna e Confartigianato, attraverso le cooperative di garanzia delle due associazioni Fidimpresa e Co.Se.Fi.R. “Il progetto – ha ricordato l’assessore Sara Coccia – prevede l’incentivazione finanziaria volta a favorire la nascita di nuove imprese artigiane. A tale scopo, il Comune di Norcia ha messo a disposizione consistenti risorse finanziarie che serviranno ad abbattere, attraverso la convenzione stipulata tra l’ente pubblico, le due cooperative artigiane e gli istituti di credito, i tassi di interesse applicati dalle banche sulle operazioni di finanziamento a tasso concordato”.

Mons. Domenico Pallucchi nuovo parroco di Roccaporena

Giornata non facilmente dimenticabile quella di domenica scorsa 23 settembre, quando mons. Domenico Pallucchi, da 15 anni parroco di Borgo Trevi, ha preso possesso, ai primi vespri, della sua nuova parrocchia, a Roccaporena, il paese natale di S. Rita, lasciando la parrocchia della Sacra Famiglia al suo successore padre Giuseppe Mecheril, che viene a noi dall’India, già incaricato della parrocchia di Ceselli, ove ha dato larga prova della sua preparazione e impegno pastorale: è in possesso della laurea in Teologia spirituale, conseguita presso le Università Pontificie. Come ha scritto mons. Pallucchi – o, più familiarmente, don Dino – nel saluto ai suoi parrocchiani: “… non è stata una mia decisione personale anche perché, pensando a ciò che ho vissuto e ai rapporti belli che sono nati col tempo, mi dispiace andare via. Potevo dire di no, ma considerando la disponibilità che ho sempre trovato in molte persone in mezzo a voi a fare la ‘Volontà di Dio’ anche in situazioni più dure, mi sono deciso per il sì. Sono lieto della scelta di padre Giuseppe Mecheril: so che lo accoglierete con affetto, lo seguirete con spirito di collaborazione”. L’immissione in possesso dei nuovi parroci è stata presieduta dallo stesso mons. Arcivescovo, il quale ha tenuto a esprimere il suo alto apprezzamento per le indiscusse doti, come pure per la prontezza dell’obbedienza: la Volontà di Dio, a ogni istante… Questo ha obbligato gli organizzatori a stabilire due tempi distinti, l’uno per Roccaporena – sabato 22 alle 17.00 – l’altro per Borgo Trevi – domenica 23 alle 10.00. Dopo di che, mons. Fontana si è trasferito a Cannaiola per la solenne liturgia in occasione del 50’di professione religiosa di sedici suore della Sacra Famiglia. Mons. Pallucchi, che continua a occupare nella nostra curia arcivescovile il delicato incarico di Economo diocesano, assume ora a Roccaporena anche la Presidenza dell’Opera diocesana di S. Rita, voluta ai suoi tempi dal vescovo di Norcia mons. Settimio Peroni, morto in concetto di santità. Non era giusto che la Santa degli impossibili, in seguito al suo ingresso nel Monastero agostiniano di Cascia, perdesse ogni diretto rapporto con la diocesi in quanto tale. Ed ecco allora, accanto alla Basilica e all’Alveare di Cascia, la Basilica e il Collegio di Roccaporena, destinato agli orfani meno abbienti, accolti nel nome di Rita dai sacerdoti diocesani attraverso l’Opera, che mantiene i contatti con i tanti devoti e benefattori attraverso il periodico Lo Scoglio di S. Rita. Fra i sacerdoti più benemeriti, a tutt’oggi, il parroco e presidente uscente, mons. Alceo Amori, che ha ritenuto di dare le dimissioni per ragioni di età; così pure mons. Sante Quintiliani, del Capitolo metropolitano di Spoleto, direttore del Collegio. Fu a Roccaporena, suo paese natale, che Rita visse la sua giovinezza, qui lo “scoglio” dei suoi rapimenti estatici, qui andò sposa, qui affrontò la prova dell’assassinio del marito e della morte dei figli; di qui trasvolò a Cascia, come religiosa. Mons. Fontana, nell’omelia della immissione in possesso, ha raccomandato a don Dino “il sentiero di S. Rita”, che congiunge attraverso la montagna Roccaporena con Cascia, simbolo di un’unità che deve sempre più rafforzarsi nel tempo. Festa dunque a Roccaporena – commovente il saluto di mons. Amori, affidato a mons. Quintiliani – festa a Borgo Trevi per padre Mecheril. Grande afflusso di parrocchiani: per la popolazione di Borgo Trevi, duplice appuntamento, tanto il sabato sera che la domenica mattina. Hanno voluto seguire il loro parroco lassù: non è certo un trasferimento che può annullare anni e anni di perfetta intesa, all’ombra della Sacra Famiglia. Don Dino è stato il parroco che ha sempre valorizzato i laici con i quali ha fatto si può dire vita comune, aprendo la sua casa a chiunque giungesse. E poi, i suoi parrocchiani hanno voluto dirgli ancora il loro grazie per la valorizzazione del patrimonio artistico del Trevano, con il restauro, tra l’altro dell’antica chiesetta di S. Egidio, romanica, tra le più importanti di Trevi, da poco riaperta al culto. E grazie anche per le altre chiese, per gli interventi a seguito del terremoto del 1997. Particolarmente, poi, il Centro di accoglienza per i familiari dei malati del Centro di riabilitazione di Trevi, cui egli ha voluto dedicare l’antica casa del beato Pietro Bonilli, affidata attualmente alla parrocchia. Non ci resta che formulare i più sinceri auguri tanto a mons. Pallucchi che a padre Mecheril. Due parrocchie già così bene avviate, che riprendono il cammino nel tempo privilegiato del Sinodo diocesano.

Essere “servi” della gioia e della speranza

Impegno di riunirsi, di “pensar bene” sulla realtà e sugli altri e di fondare la missionarietà sulla qualità della formazione. Questi i tre punti cardine di un documento di sintesi prodotto al termine dell’annuale incontro dei delegati parrocchiali per la catechesi. L’incontro, svoltosi al Terminillo dal 7 al 9, ha visto la partecipazione di una cinquantina di rappresentanti delle parrocchie della diocesi. “E’ stato un incontro per mettere le basi sul ruolo del delegato all’interno della parrocchia – dice suor Grazia Tomassini che è direttrice dell’Ufficio diocesano per la Catechesi – e l’inizio di questo cammino di formazione”. Al Terminillo si è partiti dal documento Cei “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” per giungere, guidati da don Mariano Pappalardo, che da alcuni anni segue il cammino dei catechisti, e attraverso momenti di “laboratorio”, ai tre impegni-doveri che i catechisti si assumono “declinando insieme pazienza e speranza”, nell’intento di annunciare il Vangelo a tutti. Il primo impegno è quello di riunirsi. Si parte dalla consapevolezza che non è più possibile essere catechisti da soli. E’ la “riunione”, la koinonìa, che fonda il discepolato, la missione e l’apostolato, per creare amicizia, comunione di intenti, per vivere la convivialità, soprattutto eucaristica, e per assumere il ruolo della comunione e della corresponsabilità nella comunità. L’icona biblica di riferimento sono i racconti delle apparizioni di Cristo risorto. Il secondo impegno è quello di “pensare bene” sulla realtà e sugli altri, di guardare il mondo che cambia con “simpatia”. Senza demonizzare l’uomo del nostro tempo, ci si pone l’obiettivo di saper cogliere e fare leva su alcuni aspetti positivi che contraddistinguono l’uomo contemporaneo quali il desiderio di autenticità e di “prossimità”, la ricerca e l’espressione della libertà e la ricerca di senso. Si cercherà di aver “simpatia” per ogni persona, soprattutto per chi ha più bisogno di sperimentare la nostra accoglienza e la nostra vicinanza; di accostarsi all’altro là dove l’altro si trova; di sentirsi “servi” della gioia e della speranza mettendoci all’ascolto della cultura del nostro tempo tenendo sempre presente la trascendenza del vangelo. L’ “icona” biblica in questo caso è l’episodio di Gesù che incontra Zaccheo. Terzo e ultimo impegno è quello di fondare la missionarietà e di essere apostoli su un forte impegno in ordine alla qualità formativa in senso spirituale-culturale-teologico-umano. E’ in definitiva il dovere della formazione, irrinunciabile per chi vuole essere discepolo e comunicatore autentico del vangelo in un mondo che cambia. Alla luce di questa sintesi e all’interno del Piano pastorale diocesano i catechisti si sono impegnati a costituire nella propria parrocchia la Comunità dei catechisti, piccola assemblea di condivisione e corresponsabilità nell’annuncio del vangelo, comunità educante e segno visibile nella parrocchia. In pieno accordo con il parroco, il delegato parrocchiale per la catechesi si assume la responsabilità della nascita e della crescita di tale comunità.

L’Ambiente non è dato all’uomo perché ne sia padrone, ma perché ne sia custode

Perché un editoriale comune dei direttori dei settimanali diocesani italiani sull’ambiente? E perché in questa data? È bene farne un po’ la storia. Nei giorni 29, 30 e 31 marzo 2001 l’annuale convegno nazionale della Federazione italiana dei settimanali cattolici – svoltasi a Rovigo in occasione dei cent’anni di vita del Settimanale diocesano locale La Settimana -, svolgendosi a cinquant’anni dalla grande alluvione del Polesine ebbe come tema “Madre Terra”; trattò quindi la tematica della salvaguardia dell’ambiente. Furono tre giorni intensi di confronto di approfondimenti e di dibattiti dai quali emersero alcune indicazioni importanti per tutti.Da quel convegno i direttori uscirono confermati nella consapevolezza che l’ambiente in cui viviamo (terra, acqua, aria, clima, flora, fauna…) è un valore grande, fonte di vita, dal quale dipende anche la salute e il benessere delle persone. Con la consapevolezza quindi che, se è vero che l’ambiente non va assolutizzato né, tantomeno, idolatrato, è altrettanto vero, però, che esso va valorizzato in rapporto a Dio che lo ha creato e in rapporto all’uomo a cui è stato donato. Con una precisazione: l’ambiente non è dato all’uomo perché ne sia padrone, ma perché ne diventi sempre più il custode, anzi. Una seconda convinzione i partecipanti al convegno portarono con sé alla sua conclusione: i danni all’ambiente – che sono sempre danni all’uomo, alla sua vita, alla salute, alla convivenza umana – derivano sì da eventi naturali (come i terremoti o le alluvioni…), ma molto spesso sono frutto delle scelte errate o irresponsabili dell’uomo. Ne deriva che il territorio, l’ambiente, non può essere governato a partire dall’interesse economico da perseguire nell’immediato: questo può dare profitto prontamente a qualcuno e, contemporaneamente, può portare un danno al territorio e l’impoverimento di tanta gente. Nei confronti dell’ambiente il vero interesse economico è nel rispetto e nella attenzione; questo non dà forse vantaggi immediati, ma a lungo termine paga, diventando interesse vero e duraturo non solo di qualcuno, ma di tutta la comunità. La conseguenza di tutto ciò risultava chiara: occorre fare crescere e maturare un’etica ambientale, che va intesa anzitutto come etica del limite, cioè capacità dell’uomo di non abusare di risorse, che non sono infinite; un’etica questa fatta anche di responsabilità e di rispetto verso le generazioni future, alle quali dobbiamo consegnare un ambiente vivibile e non disastrato. Questa etica ambientale deve maturare nella gente, ma anche, con particolare impegno, nelle istituzioni. I settimanali diocesani, in quel convegno misero a fuoco con più chiarezza il proprio ruolo specifico di giornali legati al territorio, giornali della gente. In quei giorni si discuteva molto sulla scelta del presidente Usa George Bush di disdire gli impegni di Kyoto per la difesa dell’ambiente e in particolare dell’aria. Ne derivò la decisione di pubblicare, appena possibile un appello comune, attraverso un editoriale da pubblicare sui nostri settimanali. Circa la data, onde evitare i tempi elettorali e le possibili strumentalizzazioni, si rimandò a dopo l’estate. Per questo si giunse ad oggi ed in una situazione politica mondiale che potrebbe far passare in sordina questo nostro appello. Lo pubblichiamo in fedeltà all’impegno preso a Rovigo. In questa settimana, quindi, tutti i settimanali cattolici pubblicano l’editoriale comune sulla difesa dell’ambiente intesa come difesa vera anche dell’uomo, del suo habitat e della sua vita.

Ricostruzione

Due giorni fa, proprio mentre stavamo preparando questo numero de La Voce è stato ricordato il quarto anniversario del terremoto del 1997. Ricordato da chi, si dirà. Dai giornali, evidentemente, anche da noi che vi abbiamo dedicato una pagina del numero scorso. Ma in generale tutto è rimasto sotto silenzio. I fatti internazionali hanno avuto il netto sopravvento nell’interesse delle persone e nulla è considerato equiparabile a ciò che è avvenuto l’11 settembre scorso. Non si può, tuttavia, dimenticare che vi sono ancora delle famiglie e delle comunità che soffrono per le conseguenze del sisma. Come abbiamo scritto nel numero scorso vi sono ancora molte cose da fare e molti problemi da risolvere. “Non si tratta di fare denunce e lamentele”, come ci ricorda mons. Arduino Bertoldo, vescovo di Foligno, una diocesi che ha molto sofferto per quelle tragiche scosse che hanno fatto crollare anche il torrino del palazzo comunale, simbolo della città. Una diocesi che attende ancora il restauro delle 61 chiese danneggiate del suo territorio.

E tuttavia, nonostante che la ricostruzione sia stata lenta e sia lenta tuttora, afferma mons. Bertoldo, “ringrazio Dio perché la maggior parte delle persone sono ritornate a casa o nelle casette di legno ed hanno potuto lasciare gli incomodi container e ringrazio tutti coloro che in modi e responsabilità diverse hanno contribuito alla ricostruzione”. Non tutto è al punto giusto anche per coloro ai quali sono state assegnate le case popolari che non sentono come casa propria. Abbiamo domandato a mon. Bertoldo e anche a mons. Orlando Gori. vicario di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino: “Allora, dopo quattro anni, non avete finalmente cantato il Te Deum di ringraziamento?” No, hanno risposto, niente Te Deum. Sarà cantato solo alla fine. Il presente è ancora il tempo dell’impegno e del lavoro serio, il tempo della speranza. Si spera, infatti, che ormai nella prossima primavera i cantieri potranno lavorare a pieno ritmo per ricostruire gli edifici legati ai Pir (programmi integrati di recupero) restituendo vitalità ai centri storici e ai monumenti pubblici ecclesiastici e laici.

Università: “caro-affitti” il problema di sempre

Si riaprono le aule universitarie e, in parallelo, torna il fermento tra gli studenti per l’affannosa ricerca di un posto letto. In realtà, per molti i “giochi” sono già fatti da tempo, nel senso che la lunga e meticolosa ricerca di camere e appartamenti c’è stata tra agosto e le prime settimane di settembre. I ritardatari, però, sono molti e tutti alla ricerca dell’ultima occasione: l’appartamento più conveniente e più vicino alla propria facoltà. Così il mercato degli affitti è in fibrillazione e i prezzi salgono di conseguenza. Basta sfogliare le pagine dei giornali locali che pubblicano annunci economici e personali o dare un’occhiata al mare di messaggi e bigliettini appiccicati l’uno sopra l’altro nei tanti tazebao degli spazi universitari, per rendersi conto delle cifre che vengono richieste mensilmente agli studenti. Somme che aumentano, man mano che dalle zone periferiche di Perugia ci si avvicina alle aree “calde” della cittadella universitaria. Tanto da arrivare a spendere anche 500 mila lire al mese per una camera singola in un appartamento condiviso con altri studenti in una delle zone del centro storico o a Elce. Se la camera è per due si può scendere un po’, ma non di molto, e pagare 350/400 mila lire. Per arrivare sotto le 300 mila, matricole e laureandi devono adattarsi a zone più lontane dalle facoltà. Nella zona di Corso Cavour si trovano camere singole a 270 mila mensili, più le spese varie. Ma basta riavvicinarsi alle sedi principali dell’Ateneo perugino, ad esempio in corso Garibaldi, e i prezzi schizzano di nuovo sopra quota 400 mila. Se qualcuno non può o non vuole dividere appartamenti con altri studenti o con persone non conosciute, allora è costretto a sborsare in genere somme superiori al milione di lire, ad esclusione dei piccoli monolocali, sempre molto richiesti da chi preferisce rimanere autonomo. Per gli appartamenti da due/tre posti letto si può arrivare anche a un milione e 500/600 mila lire, in genere completo di mobilia ma raramente con un posto per l’auto. La media è un po’ più bassa e si attesta intorno al milione e 200 mila mensili, nelle zone fra Elce, viale Pellini, porta Pesa e corso Garibaldi. Quella per l’alloggio, dunque, è una voce di spesa piuttosto alta per studenti e famiglie, che ad essa devono poi aggiungere il vitto, i libri, i trasporti e i quasi due milioni annui per l’iscrizione alla facoltà. Le somme pagate per l’affitto, per di più, sono spesso in parte o totalmente sommerse, e l’abusivismo in questo settore – nonostante i controlli sempre più frequenti – difficilmente viene individuato. I pagamenti “in nero” sono più frequenti per appartamenti e camere affittate direttamente dai proprietari, senza troppo clamore sui giornali che pubblicano gli annunci, ma utilizzando soltanto il passaparola tra gli studenti o qualche messaggio affisso sulle bacheche universitarie. Più regolare, invece, la situazione presso le oltre cinquanta agenzie immobiliari del capoluogo umbro. Quasi tutte si occupano di locazioni e alcune in modo specifico operano solo nel settore degli affitti. Queste strutture si muovono quasi esclusivamente con contratti a norma di legge. Ciò si traduce – nel concreto – in un aumento dei costi per gli utenti finali, visto il prezzo maggiore richiesto dai proprietari e le percentuali di intermediazione applicate dalle stesse agenzie. A Perugia si arriva anche al caso “limite” – segnalato da numerosi studenti – di una società di servizi che tra i promotori comprende anche il Comune di Perugia e l’Università per stranieri. Gli affitti pubblicizzati in agenzia e su Internet sono tra i più alti in assoluto. Qualche esempio: le camere doppie vanno dalle 350 alle 400 mila lire a persona, le singole da 450 a 600 mila, il monolocale per una persona va dalle 650 mila al milione di lire, il monolocale per due da 900 a un milione e 200 mila, il miniappartamento per due da un milione a un milione e 400, l’appartamento per tre da un milione e 200 a un milione e 600 mila, mentre per quattro persone si arriva anche a un milione e 800 mila lire al mese. Il tutto con costi di commissione per l’agenzia del sette per cento più Iva su tutto il periodo di affitto.

Il suo impegno per le tante adozioni a distanza in Brasile

Il 3 settembre 2001 don Rodolfo Cherubini, monaco Benedettino Vallombrosano, è deceduto in Brasile dopo 15 giorni di coma, causato da una meningite fulminante. Don Rodolfo era nato a Montepetriolo di Perugia 77 anni fa ed aveva celebrato 50 anni di sacerdozio nel 1998. Missionario in Brasile per 32 anni insieme al fratello don Mauro, morto 10 anni fa, don Rodolfo da 20 anni viveva di nuovo in Italia, a Pordenone prima ed ora al santuario della Madonna di Montenero a Livorno, ed era sempre rimasto legato affettivamente alle comunità cristiane costruite nel Brasile, tanto che ogni 2 o 3 anni si recava in questo Paese, occupando il tempo delle sue vacanze per continuare ad essere di aiuto a quella gente. Nel 1995 aveva dato vita ad un progetto di adozioni a distanza, dietro la spinta emotiva provocata dalla uccisione di molti “bambini di strada”, così come sono chiamati in Brasile i piccoli senza famiglia, abbandonati soltanto a se stessi. Ed è stato proprio per verificare personalmente questo progetto ed incontrare i quasi 200 bambini adottati a distanza da famiglie italiane, che nonostante l’età aveva deciso di affrontare questo nuovo viaggio, accompagnato dal nipote don Paolo Cherubini, dove ha lavorato fino alla sera prima della malattia, portando a compimento tutto il lavoro che si era prefissato, tanto che rimaneva solo di fare le valigie e ripartire per l’Italia il giorno successivo. La malattia lo ha raggiunto nel monastero San Giovanni Gualberto, a Pirituba, nella periferia di S. Paolo, dove nel 1964 era stato primo Priore. Don Rodolfo aveva manifestato molte volte il desiderio di morire in Brasile ma nessuno poteva immaginare che sarebbe stato esaudito in questo modo. E’ stato sepolto nella città di Jundiaì, a 50 km. da S. Paolo, nell’altra missione dei monaci Vallombrosani, nel cimitero della parrocchia che porta il nome della Madonna di Montenero, di cui era stato primo parroco nel 1960. Tantissima gente ha partecipato ai suoi funerali, tra i quali molti bambini adottati a distanza, che hanno anche cantato per lui ed hanno posto una maglietta del Progetto adozioni sopra la bara, con su scritto “vale la pena aiutare”. Ora il Progetto va avanti e oltre all’India, che era già il 2’polo con 50 bambini, è stato aperto anche in Africa, precisamente in Angola, nella capitale Luanda, in una favela di 100.000 abitanti chiamata Immondezzaio, perché costruita sopra una discarica: un’apertura che don Rodolfo aveva fortemente voluto e su cui si preparava a lavorare una volta tornato in Italia. Il progetto delle Adozioni a distanza creato da don Rodolfo Cherubini, è portato avanti dall’Associazione di Volontariato “Faggio Vallombrosano”, una O.n.l.u.s. (Organizzazione non lucrativa di utilità sociale) con sede legale a Vallombrosa (Firenze), Casa Madre dei Monaci Benedettini Vallombrosani, e sede operativa al Santuario della Madonna delle Grazie di Montenero (Livorno), dove i Monaci sono presenti da oltre 200 anni. Il programma delle adozioni, che si divide in 2 fasi, la prima fino ai 14 anni e, se ci sarà stato l’impegno dell’adottato, la seconda fino ai 18 anni, garantisce a bambini e adolescenti l’alimentazione di base, cure adeguate e la possibilità di andare a scuola, evitando così che finiscano sulla strada, costretti a rubare, spacciare droga o prostituirsi. Questi bambini rimangono nella propria famiglia e nella propria terra, creando un legame affettivo con dei padrini che vivono lontano e che si impegnano a mandare loro un contributo economico mensile, stabilito sulla base del costo di vita del Paese in cui i bambini vivono. Attraverso il “Faggio Vallombrosano” ci sono bambini adottati in Brasile, in India e in Africa, seguiti direttamente da sacerdoti, suore e laici che hanno a cuore le loro sorti e che testimoniano, insieme ai padrini, un’autentica fede cristiana, che opera attraverso gesti concreti e palpabili di Carità. Informazioni sul progetto è possibile averle presso la Parrocchia di Rancolfo.

Al Morlacchi la ricostruzione da bozze della Decima di Mahler

La 56a edizione della Sagra Musicale Umbra, svoltasi tra l’8 e il 23 settembre toccando, oltre Perugia, i centri di Panicale, Montecastello Vibio, Montefalco, Gubbio, Torgiano, Solomeo, Foligno, si è conclusa con tre concerti, sotto aspetti diversi di rilevante interesse. Il 21 settembre, nella cattedrale di Perugia, abbiamo ascoltato canti dell’Ordinario della Messa Matteo di Perugia (sec. XIV) e Zacharias da Teramo (sec. XVI?), più complessi quelli del primo un po’ meno quelli del secondo. Un bel lavoro di ricerca e di interpretazione del complesso vocale strumentale “Mala Punica” (melograno) fondato e diretto da Pedro Memelsdorff, della Scuola civica di Milano. I canti sacri, proposti a dimostrare l’influsso di melismi gregoriani e ambrosiani molto vivaci eseguiti con ammirevole flessibilità dalle voci, sostenute da alcuni strumenti (flauto, campane, organo portatile, violino, arpa d’epoca) con molta grazia e buon amalgama. Il vasto ambiente del Duomo se da una parte nuoceva alla netta percettibilità dei suoni d’altra parte era quanto mai adatto a esecuzioni liturgiche e paraliturgiche con movimenti e dislocamenti dei concertisti. Avvenimento di grande rilievo è stata l’esecuzione, il 23 settembre al Teatro Morlacchi di Perugia, della Decima sinfonia detta di Gustav Mahler, ma che di fatto è una ricostruzione su suoi appunti e bozze di Giuseppe Mazzuca e Nicola Samale. Dato il compiuto l’Adagio iniziale i successivi Scherzo, Allegretto, Scherzo e Finale sono il frutto di un laborioso studio dei due maestri che procedono autonomamente, anche se non ignorano i precedenti lavori di Krenek e Cooke. Difficile la critica di un ascoltatore che non ha modo di confrontare partiture e guardare manoscritti; arduo annotare opportunità di scelte timbriche, melodiche, armoniche, di richiami (come si avvertono nel Finale), di eventuale prolissità. Stiracchiata anche la legittimazione di questa presenza, dato che la “religiosità” può rintracciarsi solo in una proposta di meditazione e l’opportunità è data dal 90’anno della morte di Mahler. Il positivo, per la verità eccellente, è dato dall’accennata valorizzazione dei maestri, Mazzuca e Samale, che di certo hanno messo in moto le plurime capacità di coordinamento musico-culturale (stile del maestro, preferenze armoniche e timbriche, raffronti con lavori definitivi del musicista boemo ecc.) e dall’interpretazione del maestro Martin Sieghart, direttore dell’eccellente orchestra viennese Wiener Philarmoniker, applauditissima, infine, coi maestri Mazzuca e Samale. L’ultimo concerto della Sagra ha avuto luogo il 23 settembre, domenica, nell’Auditorium San Domenico a Foligno, in collaborazione con “Segni Barocchi”. Cecilia Gasdia, soprano, i Solisti di Perugia, Mario Ancillotti, flautista e direttore hanno interpretato la Suite n. 2 in Si minore e la Cantata Non che sia dolore di J. S. Bach; al mottetto In furore justissimae irae, e il mottetto Longe mala di A. Vivaldi, intervallati dalla Breve Sinfonia Al Santo Sepolcro. Cecilia Gasdia ha fatto sfoggio della sua abilità vocale anche in questo ruolo di grande virtuosismo, tanto più ammirevole quanto ci sembrava presente un certo “velo” nell’umidità della serata; superlativi i Solisti di Perugia e Mario Ancillotti che hanno dimostrato di abitare in “alti livelli” artistici, doppiamente da ammirare, per il culto dell’arte e il lustro della nostra terra. Applausi interminabili.

Gli otto Santi giotteschi sono stati ricollocati al loro posto

Sono tornati al loro posto proprio nei giorni del quarto anniverario dal sisma del 26 settembre 1997. Si tratta degli otto affreschi dei Santi raffigurati nelle vele della volta crollate nella Basilica di San Francesco di Assisi in quel drammatico venerdì di quattro anni fa. Si tratta soltanto di un primo ma importante passo in avanti nel lungo cammino di restauro dei dipinti che allora si sono sbriciolati insieme ai mattoni della volta. Ora sono state ricollocate al loro posto le quattro coppie dei Santi dell’arcone d’ingresso. Le figure dei santi Rufino e Vittorino, Francesco e Chiara, Antonio da Padova e Benedetto, Pietro Martire e Domenico, attribuite ad allievi della scuola giottesca, sono ora state ricomposte. Gli affreschi sono stati montati su un supporto mobile e ancorati alla volta attraverso dei bulloni per consentire ai restauratori di rimuoverli facilmente. Un lavoro presentato ufficialmente mercoledì scorso, proprio nel giorno del quarto anniversario dai crolli che interessarono la Basilica dedicata al Poverello di Assisi. Finito il recupero strutturale, la chiesa era stata riaperta nel novembre del 1999, dopo una vera e propria corsa contro il tempo per evitare che il sacro Convento rimanesse chiuso nell’anno giubilare. E in quell’occasione erano già stati ricollocati al loro posto, in maniera provvisoria, i santi Ruffino e Vittorino. Il recupero dei frammenti originali dei Santi, circa 12 mila rispetto ai 300 mila pezzi complessivi, “è avvenuto con una percentuale variabile tra il 50 e il 60 per cento – ha detto Sergio Fusetti, capo dell’equipe che ha restaurato i dipinti – mentre il 20 per cento della superficie è composto da ‘velature’, più che integrazioni, proprio per dare unitarietà alle sagome. Abbiamo insistito sui fondi azzurri e meno sulla parte figurativa, per l’architettura e i Santi, dove si nota la frammentarietà, anche dal basso. Il fondo ci aiuta a vedere le dimensione esatte dei Santi. Il risultato è buono”. Giuseppe Basile dell’Istituto centrale di restauro e responsabile dei lavori ha posto l’accento sul fatto che con la ricollocazione dei Santi “giunge a compimento un primo segmento di quel generale progetto di ricostruzione della parte di decorazione murale coinvolta nel crollo nei confronti della quale l’atteggiamento più diffuso è stato per lungo tempo, tra gli addetti ai lavori, quello di un radicale scetticismo: in primo luogo su fatto di riuscire a ricostituire anche solo parzialmente quelle immagini e successivamente sulla idoneità di queste a rioccupare lo spazio sulla volta”. Il padre custode della Basilica di San Francesco, Vincenzo Coli, ha parlato di “conclusione della prima tappa del cammino di restauro, da intendere come un segno di speranza”. Intanto prosegue l’opera di ricomposizione dei frammenti della vela di San Girolamo, attribuita a Giotto, che si trova accanto all’arcone con gli otto santi, all’ingresso della chiesa. E’ già stato recuperato il 60 per cento dei frammenti e per Pasqua del 2002 dovrebbe essere concluso il lavoro di restauro. Tempi più lunghi sono previsti per il restauro della vela di San Matteo (opera di Cimabue), che si trova alla sommità dell’altare, per la quale si sta mettendo a punto un progetto di riassemblaggio dei frammenti con il computer. E’ già iniziata l’acquisizione, con strumenti digitali, delle immagini dei frammenti in modo da costituire un archivio virtuale accanto a quello fisico conservato nel laboratorio interno al Sacro Convento.

Maria di Nazareth e il femminismo

Anche in uno degli snodi più delicati della nostra tradizione cattolica, la devozione a Maria, ha lasciato il segno in una delle grandi conquiste del mondo moderno, realizzate contro la Chiesa. Il femminismo e Maria di Nazareth. No, l’accostamento non è irrispettoso. La volgarità di buona parte delle manifestazioni femministe è stata superata solo dalle scempie scemenze del Gay pride. Ma l’accostamento non è irrispettoso. “Foemina brachata”: così il vocabolario latino moderno di Mons Bacci, Pontificio Segretario dei Brevi ai Principi e poi cardinale, traduceva la dicitura “donna in calzoni” (guardate un po’ cosa toccava fare, ai tempi dei tempi, per meritare la porpora!!). “Foemina brachata”. Ma le sguaiatone che gesticolavano impudiche durante i cortei degli anni 60 e 70 erano solo “foeminae sbrachatae”. Eppure nel femminismo c’era un nucleo di verità così forte che nessuno avrebbe potuto azzerarlo. Santa Maria del cammino. “Cammineremo insieme a te, verso la libertà”. Non le avremmo mai cantate, canzoni mariane di questo tipo, se non ci fosse stata la ventata del femminismo”Io vorrei tanto parlare con te di quel Figlio che amavi”. E sapere da te. Cosa successe quando ti rendesti conto che Lui, l’inatteso, “non era per te”? Di’ la verità, ti è costato molto vivere sola con Lui! Ma già da allora tu pensavi a noi. E ci chiedevi non l’orazione universale che non conserva traccia della carne e del sangue, ma la preghiera appassionata per i pallidi cuccioli d’uomo che muoiono senza sapere perché sono vissuti. Neanche noi, noi che pure continuiamo a cantare “Mira il tuo popolo” a gola spiegata, con la stessa fiducia con la quale la cantavano i nostri genitori, avremmo potuto cantare queste altre bellissime canzoni a Maria se non si fossero affacciate sulla nostra ribalta le pischellette procaci che non lo sapevano, ma restavano pur sempre sue sorelle minori.

E’ importante studiare le lingue per comunicare in Europa e nel mondo

Perugia sede nazionale per un giorno, il 26 settembre, della Giornata nazionale delle lingue. La partecipazione italiana all’incontro è stata affidata dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca scientifica alla Direzione regionale per l’Umbria. Un’iniziativa -ha detto il direttore dell’Ufficio regionale Carmela Lo Giudice Sergi – promossa allo scopo di promuovere, consolidare e potenziare iniziative di formazione linguistica in tutti i Paesi dell’Unione europea, nonché di valorizzazione delle lingue europee allo scopo di perpetuare nel tempo il loro uso. Un Ballon day in piazza IV Novembre a cui hanno partecipato un centinaio di bambini delle scuole elementari di Perugia e Assisi, ha dato il via alla Giornata. 4000 i palloncini lanciati, ognuno con un messaggio in una lingua diversa, sopra il cielo della piazza. Sono seguiti poi uno spettacolo degli sbandieratori e dei balestrieri di Gubbio e la sfilata del corteo storico di Città della Pieve. Alla Rocca Paolina, stand a cura delle istituzioni scolastiche. Ma il momento più importante della Giornata è stato l’incontro svoltosi alla sala dei Notari alla presenza del ministro all’Istruzione Letizia Moratti, a cui sono intervenuti rappresentanti di associazioni di genitori e studenti e di enti culturali europei. “La Giornata europea delle lingue assume un significato particolare a Perugia – ha detto il sindaco di Perugia Renato Locchi – sia perché sede di due università, una storica, un’altra più recente per studenti stranieri, in cui si frequentano lezioni di alta cultura”. Un concetto ripreso anche dalla presidente della Regione Maria Rita Lorenzetti, cha ha sottolineato altresì la “vocazione alla multirazzialità della nostra città e all’impegno per la pace”. Anche il ministro Moratti ha definito giusta la scelta di Perugia come sede della Giornata soprattutto per la sua “apertura verso il mondo”. “La giornata – ha continuato – cade in un momento particolare, in cui il mondo è ammutolito perché venti di guerra sono soffiati. Questo ci ha portato all’indiferenza, alla chiusura, all’incomprensione rispetto all’altro. Allora in questo momento la riscoperta delle lingue come patrimonio, mezzo di comunicazione è essenziale”. Dobbiamo andare “verso un’Europa attraverso lo studio delle lingue, – ha continuato – in un processo che vedrà protagonisti soprattutto gli insegnanti”, perché “per comunicare in Europa e nel mondo abbiamo bisogno di conoscere molte lingue. L’impegno del Governo e del Ministero è quello di dare il quadro giuridico perché tutto questo possa avvenire. Però vorrei porre i docenti e i ragazzi al centro di questo processo. Noi possiamo dare le linee guida, ma i veri protagonisti sono i docenti, gli insegnanti che hanno il compito di accompagnare i loro ragazzi verso una conoscenza più ampia delle lingue”. Al convegno, in video conferenza in tutta Europa con collegamenti con il liceo internazionale della “Citè scolaire internationale” di Lione (Francia) e con il liceo scientifico “E. Fermi” di Madrid, hanno partecipato tra gli altri anche Massimo Pacetti, presidente nazionale Confederazione italiana agricoltori, Claudio Gentili di Confindustria. Nel pomeriggio tavola rotonda alla presenza di Stefano Cimicchi, presidente Anci, rappresentanti della Provincia di Perugia e Terni e del rettore dell’Università per stranieri Paola Bianchi De Vecchi.

Decreto di indizione della visita pastorale del Vescovo

Pubblichiamo il Decreto di indizione della visita pastorale del vescovo mons. Pellegrino Tomaso Ronchi alla diocesi”Amati fratelli e sorelle di questa Chiesa santa di Dio che è in Città dì Castello, in una mia comunicazione del 15 agosto 1997 avevo espresso il desiderio di compiere un’organica “Visita pastorale alla diocesi”. Nei consigli presbiterale e pastorale e nella “Assemblea annuale del clero” mi venne suggerita l’opportunità di differirla a dopo la celebrazione del “Grande Giubileo dell’Anno 2000”, essendo i sacerdoti e le parrocchie già molto impegnati, nel triennio 1997-1998-1999, nell’attuazione del programma indicato da Giovanni Paolo II nella Tertio Millennio Adveniente. In questi dieci anni, da quando il Papa mi ha affidato il servizio di guida spirituale della diocesi, ogni anno ho visitato tutte le comunità parrocchiali, particolarmente in occasione della preparazione e celebrazione della Cresima, di feste patronali, missioni popolari, anniversari sacerdotali, funerali e visite informali. Ho avuto così modo di apprezzare il servizio di tanti uomini, donne e giovani di buona volontà, impegnati nella catechesi, nell’animazione di associazioni, gruppi, comunità e movimenti ecclesiali, nel volontariato, nella scuola, nell’assistenza socio-sanitaria nell’ospedale comprensoriale e strutture a servizio degli anziani e delle persone in difficoltà. Ringraziando il Signore, ottimi sono sempre stati i miei rapporti anche con le autorità istituzionali, civili e militari, dei sette comuni in cui si estende il territorio della diocesi. Mi sento in modo particolarissimo grato ad ogni sacerdote, diocesano e religioso, per il ministero pastorale portato avanti con generosità ed entusiasmo, nonostante l’età non più giovane di alcuni ed i disagi psicologici causati dal mutamento del quadro socio-religioso in rapida e quotidiana evoluzione. E’ mia radicata convinzione, espressa in molte occasioni, che la vera ed insostituibile “spina dorsale” sono i sacerdoti. Ed è proprio in considerazione della scarsità di clero, che è quanto mai urgente e prioritario che ogni sacerdote o parroco si senta lui il principale ed instancabile promotore di vocazioni sacerdotali. Gesù, dopo avere pregato molto, era Lui stesso a fare la “proposta di seguirlo” ai suoi futuri discepoli. Certo, la prima proposta dovrà sempre essere costituita dal nostro personale “buon esempio” e dalla testimonianza di persone che si “sentono felici del loro sacerdozio”. Adesso, con la Visita pastorale, desidero intensificare questo rapporto di stima e di amicizia e condividere assieme il comune cammino di fede. Vengo a voi esclusivamente con i sentimenti di Gesù Buon Pastore e sarà una gioia per me l’approfondire il senso più genuino della mia paternità spirituale di Vescovo. Sarò, quindi, lieto di riannunciare in ogni parrocchia la Parola del Signore e celebrare l’Eucaristia; conoscere meglio i problemi emergenti e le iniziative in atto nei vari campi a cui si estende l’azione pastorale della comunità cristiana; verificarne la validità e l’efficacia in un dialogo fraterno con i sacerdoti e i fedeli in esse più direttamente impegnati; e dare poi le opportune indicazioni, coadiuvato in questo dal Consiglio presbiterale. La Visita avverrà per “zone pastorali”, con inizio da quella di “Pietralunga-Montone”, seguita da quella di “Trestina-Canoscio”. Avrà un momento “zonale” ed uno “parrocchiale”. Il programma parrocchiale verrà concordato in anticipo con ogni parroco. E’ di fondamentale importanza che, con mezzi appropriati, siano informate le singole famiglie, anche perché il frutto spirituale di “questo evento di grazia”, in tanta parte dipenderà dal coinvolgimento dei fedeli. Il primo referente del mio fraterno, attento e privilegiato colloquio sarà il parroco ed il vicario parrocchiale. Importanza sarà riservata anche all’ascolto del “Consiglio pastorale parrocchiale” e del “Consiglio parrocchiale per gli affari economici”. Per la preparazione remota e prossima (incontri, preghiera, missioni, stesura del calendario…) un aiuto prezioso sarà offerto a voi ed a me dalla “Segreteria della visita” e dai “convisitatori”, coordinati nei rispettivi ruoli da mons. Franco Sgoluppi, vicario generale. Da parte mia, con la grazia di Dio, vorrò attuare al meglio il prescritto del Diritto canonico: “Il Vescovo si impegni a compiere la visita pastorale con la dovuta diligenza; faccia attenzione a non gravare su alcuno con spese superflue” (can. 398). Desidero inoltre precisare che, a norma del Diritto canonico, sono soggetti alla Visita pastorale: le persone, le istituzioni cattoliche, gli oggetti e i luoghi sacri nell’ambito della diocesi, ossia i presbiteri, gli appartenenti ad istituti di vita consacrata in cura d’anime, i laici, le associazioni diocesane e le altre, in quanto esercitano la loro azione nella diocesi (can. 305), le confraternite, le scuole cattoliche di qualsiasi grado (can. 806), le chiese, gli oratori, i beni ecclesiastici; i monasteri di diritto pontificio e le case degli istituti di diritto diocesano sul territorio (can. 628, ‘2, 1’e 2’;gli istituti di diritto pontificio: nelle opere di culto e di apostolato pubblico indirizzate al bene delle anime, nel giusto equilibrio fra il dono del loro carisma e la responsabilità pastorale del Vescovo (can. 678, ‘1); le opere affidate dal Vescovo ai religiosi (can. 683, ‘1); Gli uffici competenti della Curia aiuteranno i parroci e i legali rappresentanti degli enti, istituti e associazioni, sopra enumerati, a svolgere una serena verifica di quanto richiesto dalla Chiesa per una giusta amministrazione di quanto ci è stato affidato dalla Provvidenza. Le persone interessate risponderanno perciò a questo impegno come al Vescovo stesso. Al clero, alle religiose, ai religiosi, ai membri di società di vita apostolica, alle aggregazioni laicali e a tutti i fedeli chiedo il sostegno e la carità della loro preghiera quotidiana per un fruttuoso svolgimento della Visita pastorale, che consenta alla comunità diocesana di progredire sempre di più nel cammino voluto dal Signore, e più chiaramente dal Concilio Vaticano II, da Giovanni Paolo II con la Lettera apostolica “Novo Millennio Ineunte”, e dall’episcopato italiano con il documento “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” (Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000). Affido questa Visita pastorale alla Madonna, Madre della Grazia Divina e della Chiesa. Intercedano per abbondanza di frutti spirituali i nostri patroni, i santi Florido e Amanzio e santa Veronica Giuliani. Benedico tutti

Quali possibili usi militari per la caserma Piave?

Chi poco poco torna indietro nella storia e rivanga le origini in Orvieto del “Casermone”, poi divenuto caserma Piave, si può rendere conto degli enormi sacrifici che comportò la sua costruzione per una comunità economicamente limitata, prettamente a carattere agricolo, come era la nostra negli anni ’30, quando fu stipulata una convenzione tra il Comune di Orvieto ed il ministero dell’Aeronautica. Essa prevedeva l’edificazione di una caserma, capace e moderna, con oneri a carico dell’Ente locale, che il detto Ministero avrebbe riempito, ospitandovi l’intero complesso del centro della III Zona aerea territoriale. Per il gigantesco, a quell’epoca, impegno che vi fu profuso dal punto di vista tecnico, tra materiali e forze lavorative, e per l’impiego di risorse oltre misura, a carattere finanziario, che per anni posero in rosso l’esiguo bilancio comunale, l’impresa apparsa rischiosa si rivelò nel tempo provvidenziale per i suoi marcati risvolti positivi. Insomma la città cominciò a crescere davvero, non solo come numero, ma anche come tono. Lo stesso aeroporto, sull’altipiano dell’Alfina, ne fu un’immediata conseguenza e conferma. La presenza poi di una caserma di quelle proporzioni contribuì in modo significativo a farla conoscere nell’intero territorio nazionale, perché vi sbarcavano soldati ed ufficiali e sottufficiali da tutte le parti della penisola e, se quelli dell’Aeronautica ci tenevano a distinguersi tra i vari corpi militari per una certa raffinatezza di modi e specialità di estrazione, rivelantisi perfino nella divisa che indossavano, la loro fu una presenza senza dubbio qualificante che contribuì al suo sviluppo civile. Ma soprattutto l’economia locale fu quella che ne trasse i più sensibili vantaggi, per cui la crescita del benessere nel tempo, nei diversi decenni che seguirono, per l’avvicendarsi delle stesse presenze militari e la residenzialità di non poche di esse, divenne un dato di fatto incontrovertibile. E i cosiddetti “giuramenti”, che riversavano sulla rupe, alle due o alle tre, anche se per una giornata sola, una massa di gente, piovuta d’ogni dove, tale e tanta quanta quella del posto? Ma quello che è il bello, è che il fenomeno di questa presenza militare ad Orvieto, salvo episodi sporadici e senza strascichi, non creò mai fastidi o disagi a nessuno, tanto meno sul piano dei rapporti istituzionali e di integrazione incontrastata con la cultura e la popolazione residente. Molte cose cambiarono con la guerra, ma fu quella circostanza a rivelare quali particolari vincoli, quasi familiari, la cittadinanza nutrisse per questa componente diventata essenziale. Gli Orvietani, in quello sciagurato 8 settembre, – stranamente certe cose avvengono sempre di settembre – non si fecero affatto scrupolo di rivestire di sana pianta, di abiti civili, i circa tre mila soldati italiani in fuga dal casermone, perché, in fondo, anche loro erano “fiji de mamma”. Comunque, la fortuna volle che il contingente, di cui si godeva prima, appena passata la bufera, si riconfermasse e conservasse dopo, anche se sotto altro nome e divisa. E vennero i famosi Car, Centro addestramento reclute dell’Esercito rinnovato. Comunque, però, cominciò già d’allora quel male sottile che lentamente, ma inesorabilmente, ne ha minato la consolidata esistenza. Con il subentrare della politica democratica e del clientelismo partitico, che faceva ardita l’ambizione di ogni comunanza nel chiedere ed anche nell’ottenere; dell’affievolimento, pure in loco, di certe effusioni nazionalistiche sotto il martellamento di reazionari principi antimilitaristici con il conseguente relativo persistente occultamento dell’ottica tradizionale; della trasformazione del concetto di leva e di esercito e dei normali criteri di acquartieramento e di addestramento, nonché dell’adozione di criteri amministrativi meno pesanti, comportanti inevitabili “razionalizzazioni” da parte della Difesa, di chiusura o di riqualificazione di determinati reparti, il processo di involuzione è divenuto inarrestabile tanto che la situazione attuale di questa già vecchia caserma, ormai non più casermone, nonostante l’altisonante richiamo del Piave, può dirsi veramente languida, boccheggiante. Se non la si vuol lasciare morire – di un certo degrado materiale i segni appaiono già evidenti -, dato che non ci sostiene una più fervida fantasia, “bisogna compiere ogni possibile sforzo per garantire la prosecuzione del rapporto convenzionale in essere – è detto così in una mozione presentata, in data 14 settembre, al Consiglio comunale di Orvieto dal coordinamento della “Margherita”- tra il Comune di Orvieto ed il Ministero, invitando quest’ultimo al rispetto di quanto previsto all’art.5 relativo all’impegno per mantenere “costantemente in pieno l’accasermamento delle truppe”. Il medesimo documento suggerisce intanto di “intraprendere iniziative per stimolare il ministero della Difesa e lo Stato maggiore dell’Esercito a valutare possibili usi militari della caserma Piave in linea con le mutate esigenze epocali del nostro Paese collocato all’interno della Comunità europea, onde scongiurarne il pericolo di chiusura. Ogni ritardo ne dilaterebbe l’agonia”. Ed in conclusione propone, a questo proposito, di costituire una Commissione consiliare speciale, che tratti esclusivamente il caso; di favorire lo svolgimento di un dibattito su questo tema presso il Consiglio regionale dell’Umbria; di promuoverne la costituzione di un Comitato cittadino a sostegno; e di trasmettere il tutto, quanto prima, agli organi competenti.

L’importanza della famiglia soggetto sociale ed ecclesiale

Tre giorni di studio e di riflessione su uno dei temi che stanno più a cuore alla Chiesa universale e, di riflesso, anche a quella locale. La ventinovesima assemblea ecclesiale della diocesi di Gubbio ha raccolto – da giovedì 20 a sabato 22 settembre presso le sale convegni del Seminario di via Perugina – oltre 150 tra sacerdoti, religiosi e laici impegnati nella pastorale parrocchiale, per parlare della famiglia, del cammino del fidanzamento e del nucleo coniugale come soggetto sociale ed ecclesiale. La famiglia resta il valore fondamentale per la gran parte delle persone e il matrimonio cristiano viene scelto in Italia dall’83 per cento dei fidanzati. Ma aumentano i segnali di disgregazione e smarrimento nelle coppie di oggi, che hanno una grande difficoltà ad esprimere un consenso matrimoniale pieno e consapevole. “Il tema della famiglia – ha spiegato il vescovo di Gubbio, monsignor Pietro Bottaccioli – è stato già altre volte al centro delle nostre assemblee diocesane e di altri appuntamenti ecclesiali”. Nel 1994, addirittura, il Censis aveva realizzato una indagine sul tema “I valori delle famiglie: realtà ed evoluzione nella diocesi di Gubbio”. Un impegno importante che la curia eugubina aveva voluto sostenere proprio per analizzare da vicino e in maniera dettagliata l’universo familiare nel territorio diocesano. Lo studio aveva già messa in allarme Vescovo e sacerdoti sulle difficoltà per le famiglie nella società di oggi, sul disorientamento e la disgregazione che colpisce molti nuclei coniugali anche nel territorio eugubino e umbertidese. E monsignor Bottaccioli, introducendo i lavori dell’assemblea diocesana, ha spiegato le motivazioni che lo hanno spinto a riprendere anche quest’anno il tema della famiglia. Innanzitutto perché in questo senso sono arrivate le richieste degli Uffici di pastorale familiare e di pastorale giovanile, che negli ultimi tempi hanno avuto un nuovo impulso organizzativo. Poi per ricordare i vent’anni dell’esortazione pastorale “Familiaris Consortio” e per legarsi anche alla Chiesa nazionale che proprio nelle prossime settimane canonizzerà per la prima volta una coppia di coniugi. “Infine – ha aggiunto Bottaccioli – abbiamo riproposto questo tema perché c’è una fase nuova nella vita della nostra diocesi, grazie al germogliare di esperienze familiari di accoglienza e di apertura verso i bisogni e le necessità che si presentano all’esterno del nucleo coniugale”. Fabrizio e Annamaria Peccini, responsabili dell’Ufficio di pastorale familiare insieme a don Armando Minelli, hanno confermato il loro impegno diocesano, annunciando che fin dalle prossime settimane sarà necessario cominciare a lavorare nelle singole zone pastorali della comunità eugubino-umbertidese per attuare le linee operative espresse nel corso dell’assemblea. FIDANZAMENTO: ITINERARIO DI FEDELa prima giornata di lavori presso il Seminario vescovile si è concentrata sulla relazione di don Claudio Giuliodori, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana e docente di Teologia pastorale del matrimonio e della famiglia presso il Pontificio istituto Giovanni Paolo II dell’Università Lateranense di Roma. Don Giuliodori ha parlato a lungo del fidanzamento come tempo di grazia prematrimoniale se vissuto nella fede, l’unica salvezza di fronte alla relativizzazione e allo smarrimento indotti dalla società odierna. Scendendo nel concreto, il relatore ha suggerito all’assemblea ecclesiale diocesana di creare percorsi di preparazione al matrimonio che non si limitino a uno/due mesi prima delle nozze, ma possano diventare per i fidanzati una riscoperta del cammino di fede . RIPARTIRE DAL SOCIALE”Bisogna riscoprire la vera identità della famiglia, perché solo su essa e sui temi della vita i cattolici giocano le ultime sfide alla società di oggi”. Su questo aspetto è molto preparata e decisa Maria Luisa Santolini, presidente del Forum delle associazioni familiari, intervenuta alla seconda giornata di lavori dell’assemblea ecclesiale della diocesi di Gubbio. In particolare, Santolini ha approfondito proprio il ruolo della famiglia come soggetto sociale, mettendo in guardia sui rischi della debolezza di cui oggi soffre il nucleo coniugale a causa della sua eccessiva chiusura nel privato e nel particolare. Troppo spesso le famiglie sono letteralmente snobbate sia a livello legislativo, sia politico ed economico, e molte volte addirittura strumentalizzate. “Le nostre civiltà non investono per niente o non a sufficienza – ha aggiunto la presidente del Forum delle associazioni familiari – sulla famiglia e sull’enorme potenziale che questa rappresenta”. Ai presenti nell’assemblea ecclesiale diocesana, Santolini ha delineato una serie di priorità che i cristiani dovrebbero adottare per rapportarsi ai tempi. Le famiglie, innanzitutto, non devono lasciarsi travolgere dai cambiamenti pensando che siano inevitabili. Non devono cedere allo scoraggiamento e tornare invece con forza ai compiti educativi che erano peculiari del nucleo familiare. “La famiglia – precisa Santolini – non è un problema solo dei cattolici, che su questo aspetto sono quasi ghettizzati, ma di tutti coloro che governano a ogni livello”. Per questo, secondo la relatrice dell’assemblea, i cattolici devono far presenti in ogni sede politica e amministrativa i bisogni e le necessità delle famiglie. L’intervento di Maria Luisa Santolini si è concluso con la proposta di costituire anche in diocesi una consulta delle associazioni familiari che possa collaborare con enti, istituzioni e mondo della scuola alla definizione delle politiche sociali. UNA TESTIMONIANZADI VITA FAMILIAREL’ultima giornata di assemblea ha proposto ai delegati delle parrocchie la testimonianza di Domenico e Franca Palladino, coniugi della parrocchia romana di San Paolo. Una famiglia comune e normale come tante altre, che in una fase di difficoltà ha scoperto la fede profonda e l’ha adottata come proprio cammino nella vita quotidiana. E’ stato un racconto toccante che ha aiutato i presenti a capire come la santità della vita familiare sia vissuta nelle piccole e nelle grandi scelte di tutti i giorni. I risultati dei lavori di gruppo serali dell’assemblea diocesana saranno utilizzati ora dall’Ufficio diocesano di pastorale familiare per delineare una strategia operativa da attuare nelle singole zone pastorali e nelle parrocchie della diocesi.

“Nel cuore di tutti pensieri di saggezza e propositi di pace”

Molti i fedeli che nella chiesa di San Giovanni hanno partecipato, in un clima di grande raccoglimento, alla funzione religiosa officiata dal vescovo mons. Pietro Bottaccioli in suffragio delle vittime degli attentati d’America e per la pace del mondo. Notata la presenza, per il Comune, dell’assessore Pierangelo Bianchi e del comandante dei vigili urbani Elisa Floridi; sono intervenuti al completo i componenti della locale stazione della guardia di finanza. Appropriato e di qualità il servizio liturgico della corale “Cantores Beati Ubaldi” diretta dal maestro Renzo Menichetti: sono stati eseguiti i canti della Messa da Requiem di Gabriel Faurè. Già martedì 11 settembre, durante la solenne concelebrazione per la Festa della traslazione, quando giungevano le prime incomplete notizie dei gravi attentati alle “Torri Gemelle”, il Vescovo aveva invitato alla preghiera i fedeli che in gran numero affollavano la Basilica di Sant’Ubaldo. “Fatti ormai consapevoli – ha esordito mons. Bottaccioli nell’omelia di domenica – dell’immane tragedia che ha colpito l’America ed ha sconvolto il mondo e nel timore che sul funesto evento possa innescarsi la spirale dell’odio e della violenza, ci raccogliamo oggi nella preghiera di suffragio e di impetrazione perché Dio susciti nel cuore di tutti pensieri di saggezza e propositi di pace”. Dopo aver sottolineato la dignità della persona umana ed aver espresso netta condanna del terrorismo e di ogni sua giustificazione, il Presule ha così proseguito: “Di fronte a questo nuovo nemico che all’inizio del Terzo millennio attenta alla pace del mondo, noi caldamente imploriamo per i responsabili della sorte dei popoli la virtù della prudenza per una risposta che sia una risposta di civiltà che, mentre punisce i responsabili di così gravi crimini contro l’umanità, rifiuti con ferma determinazione la violenza che semina odio e superi e operi sulla via del dialogo e della solidarietà per la nascita di una nuova era di pacifica cooperazione internazionale. Il Papa, ricevendo questi giorni il nuovo Ambasciatore degli Stati Uniti d’America, ha auspicato una rivoluzione delle opportunità che permetta a tutti i membri della famiglia umana di godere di una esistenza degna dei benefici di uno sviluppo veramente globale”. A questo punto il Vescovo ha sottolineato come occorre da parte di ciascuno “un sincero esame di coscienza per una serie presa di posizione non teorica, ma calata nel tenore di vita quotidiano contro una cultura invadente che mentre stordisce con il miraggio dell’espansione illimitata dei desideri rende colpevolmente sordi ai focolai di disperazione che si accendono nelle aree più povere del mondo, facendosi germi di incontenibile violenza”.

Festa patronale Madonna del Ponte

I festeggiamenti per la festa della Madonna del Ponte a Passaggio di Bettona hanno avuto il loro momento culminante sabato 8 settembre quando il Vescovo mons. Sergio Goretti ha amministrato il sacramento della Cresima a 32 ragazzi di Bettona e di Passaggio e per la prima volta insieme. Nel corso della settimana tutte le componenti della comunità hanno avuto un momento particolare di festa: gli sposi e i fidanzati con un incontro sulla attualità del matrimonio cristiano, le coppie meno giovani ed i nonni con la festa per 50’anniversari. Per i giovani c’è stato un concerto rock che ha coinvolto con entusiasmo centinaia di giovani in una festa di autentica amicizia e unità; per i bambini, giochi in piazza, per tutti la bella cena comunitaria con la festa dei 25’di matrimonio. Tutte le iniziative, a parte quelle liturgiche, si sono svolte al teatro Excelsior che, ad un anno dalla sua inaugurazione, si rivela sempre di più cuore della vita sociale della parrocchia, del Comune e del territorio. Un’assemblea di verifica ha presentato la situazione economica: la ristrutturazione è costata complessivamente oltre un miliardo, spese in larga parte già coperte dalle offerte libere di famiglie e ditte della parrocchia, per ben 342 milioni, alle quali si devono aggiungere le collaborazioni volontarie di tecnici e professionisti del posto che hanno operato gratuitamente o per compensi quasi simbolici. Prezioso è stato il contributo della Conferenza Episcopale Italiana (attinto dai fondi dell’8 per mille), generoso quello del Vescovo e della Curia vescovile di Assisi (che anche in questo modo ha confermato il proprio apprezzamento per l’iniziativa). La relazione delle entrate e delle uscite è stato fatto con cura e precisione. Il tutto è documentato ed è a disposizione in parrocchia per quanti volessero maggiori informazioni. Rimangono ancora da pagare poco più di 200 milioni e per far fronte al debito si sta per accendere un mutuo decennale presso una banca locale. Per sostenere l’onere per il pagamento delle scadenze dei ratei, si dovrà continuare a contare sulla generosa contribuzione delle famiglie, soprattutto in occasione delle benedizioni pasquali; inoltre è stata stipulata con l’amministrazione comunale una convenzione che garantisce un contributo annuo a fronte della possibilità di utilizzo della struttura per spettacoli, manifestazioni e iniziative varie da parte del Comune. In un solo anno, la comunità parrocchiale e diocesana ha fatto fronte a più dell’80% dei costi di un’opera che, come afferma con una punta di orgoglio il parroco, don Enrico Rotati “tutti apprezzano e molti ci invidiano”.

Bastia: una città fortemente attaccata alle sue tradizioni

Assorbe l’entusiasmo, l’estro giocoso e l’esuberanza creativa dell’intera città la festa del patrono S. Michele Arcangelo, convogliando energie più o meno giovani nel trionfo della fantasia e nell’agonismo dei rioni. E nasce da un contesto e da un significato essenzialmente e profondamente religioso, che, senza paradossi, si radica in una manifestazione artistica capace di unire una città, anche nelle sue passate generazioni. Proprio il senso forte di una riscoperta della comunità e di una sua più salda coesione, di cui la festività riesce a rendere partecipi, è il valore sul quale il parroco, don Francesco Fongo, vuole invitare a riflettere. Don Francesco, qual è il significato principale che va accostato alla festa? “La festa dei rioni è la festa del Patrono e quindi della comunità cristiana e in modo specifico per Bastia, viene a costituirsi come uno tra gli appuntamenti più importanti dell’anno, il maggiore per eccellenza, se si escludono le festività liturgiche ordinarie. Sicuramente per la partecipazione e il vivace interesse, che stimola l’attenzione e la passione dei bastioli, ad investire la piazza nella loro numerosa presenza e a costituirsi, pur nella rivalità dei quattro rioni, come gruppo solidale di una città fortemente attaccata alle sue tradizioni ed aperta, attraverso la volontà di migliorarsi, verso molteplici possibilità future. Il valore che deve perciò essere messo in primo piano è quello della comunità e l’invito è quello di intervenire, per sentirsi parte viva di una città in fermento. Da un punto di vista più organizzativo, la festa diventa rilevante perché oltretutto fa da cerniera tra l’ultimo anno pastorale, che si va concludendo con le celebrazioni settembrine del Sacramento di Prima Comunione e del Sacramento della Cresima, e la nuova programmazione dell’anno in corso. In questo senso diventa pregnante rilanciare le attività, la vita della parrocchia, in quel momento di aggregazione fortunato, che vede l’interesse della maggior parte della popolazioni”. Che cosa si chiede ai bastioli? “Il ripartire in questo momento specifico con la vitalità delle tante attività, con il rilancio dei gruppi, funge da pretesto per interrogarsi sulla qualità della propria fede, e di che cosa essa ha bisogno per una sua individuale maturazione e trovare risposte in quello che la comunità ci offre, canalizzandolo in una riflessione personale, però non abbandonata a se stessa. Vorrei veramente che la gente capisse la ricchezza della comunità, il suo valore, e ne fosse consapevole. Oggi c’è un bisogno indispensabile di fermarsi a pensare sul significato della propria esistenza. Se prendiamo gli avvenimenti degli ultimi giorni, ci si accorge come la tragedia americana, questa tragedia collettiva, ha fermato nel silenzio un’umanità che correva verso il baratro del nulla, rapidamente verso la morte e nel non senso del suo frenetico fare. E brutalmente ci ha posto di fronte alla essenzialità della vita”. Come si pone in questo senso la festa di S. Michele Arcangelo? “La festa del Patrono ci immette in questa dimensione, rivalutando la Comunità cristiana come un punto di riferimento morale e spirituale e il vettore privilegiato verso il rapporto con l’Assoluto, di cui l’uomo ha bisogno. Per sollevare anche i pensieri di chi non è credente. In questo contesto deve essere di stimolo alla città, perché possa acquistare un volto umano nel confronto tra le varie forze, nell’accoglienza di chi ancora non ne fa parte, nella distribuzione dei beni.

Scuola di “pesca a mosca” a Borgo Cerreto: oltre 50 allievi

Prosegue l’impegno di Legambiente nella gestione degli ecosistemi fluviali nel territorio della Valnerina, in particolare nel tratto a regolamento specifico No-kill del fiume Nera divenuto dopo sette anni di gestione uno spazio ambientale unico nel suo genere, un luogo irrinunciabile per tutti i pescatori che amano la natura e intendono rispettarla integralmente. Il flusso d’utenti è in continuo incremento, non solo dalla nostra Regione ma anche da tutto il resto d’Italia e persino dall’Estero: proprio in questi giorni, accompagnati dalla famosa guida di pesca Niccolò Baldeschi, un gruppo di Canadesi ha varcato l’Oceano per pescare nei migliori fiumi italiani, e in quest’avventura itinerante di certo non poteva mancare il tratto No-Kill del Nera. Ad oggi abbiamo registrato circa 6.000 presenze: un significante contributo per l’economia locale che attinge da questa forma di sviluppo sostenibile, che, tra l’altro, grazie alla particolare gestione di Legambiente, in convenzione con la Provincia di Perugia, è in grado d’ autofinanziarsi e, pertanto, di non costituire minimamente un peso per la pubblica Amministrazione. Un tassello che va ad aggiungersi al reticolo che Legambiente ha laboriosamente costruito negli anni in tutto il territorio della Valnerina grazie alle preziose forze di volontariato e alla collaborazione delle istituzioni locali, un elemento che va a rafforzare gli obiettivi dell’Associazione volti alla tutela e conservazione del patrimonio ambientale attraverso forme di sviluppo sostenibile e con il supporto di un’indispensabile scuola di educazione ambientale. Da questa politica d’intervento trasversale non potevano mancare opportunità per creare rapporti anche con altre Associazioni, tra cui la scuola italiana di Pesca a mosca di Castel di Sangro (Abruzzo) che in questi giorni, grazie alla preziosa disponibilità del comune di Cerreto di Spoleto, ha formalizzato la realizzazione di una sede per l’Italia centrale proprio in Borgo Cerreto: un binomio sinergico che nel perseguire un interesse comune può rappresentare senza dubbio, per la Valnerina, un’opportunità in grado di creare varie iniziative e progetti sostenibili. Forti della collaborazione instaurata lo scorso anno con l’Amministrazione della Provincia di Perugia, con Legambiente Umbria e con gli amministratori limitrofi al tratto No-Kill del Nera, la scuola italiana di Pesca a mosca come obiettivo si pone una proficua attuazione dei programmi previsti per la Valnerina, tesi sia all’insegnamento della cultura della pesca a mosca (in questo anno saranno coinvolte in particolare le classi giovanili) sia allo sviluppo di iniziative capaci di scaturire un ritorno tangibile per il territorio compatibilmente con gli equilibri naturali dell’ambiente. Un territorio caratterizzato da un patrimonio naturalistico ricco come quello della Valnerina non può che costituire l’elemento essenziale necessario ad una scuola che intende armonizzare nei propri insegnamenti anche un irrinunciabile rispetto per l’ambiente. Tutto questo è stato reso pubblico nella conferenza stampa che si è tenuta venerdì 14 settembre presso la sala consiliare del comune di Cerreto di Spoleto, appuntamento che ha coinciso anche con la presentazione agli allievi, complessivamente oltre 50, del programma didattico relativo ai corsi di pesca a mosca che la Scuola ha effettuato in Valnerina nelle giornate del 14-15-16 settembre 2001. Gli istruttori della scuola e il resto dei partecipanti hanno alloggiato nelle strutture ricettive di Cerreto, Vallo di Nera e Sant’ Anatolia di Narco. A quest’iniziativa, sino ad oggi unica per il territorio della Valnerina, erano presenti oltre che il Presidente nazionale della scuola italiana di Pesca a mosca e il Sindaco del comune di Cerreto di Spoleto anche le istituzioni del restante territorio, Legambiente Umbria e la Provincia di Perugia.

Un impegno: “Chiamati a trasformare il mondo”:

Potrebbe sembrare un’offesa al buon senso e al buon gusto che la parrocchia di S. Rita (Spoleto), all’indomani della tragedia di New York, abbia deciso – e molto ha pesato il parere dei giovani – di tenere ugualmente la Festa del volontariato, da giovedì 13 a domenica 16. E invece no! Quale migliore risposta di questo “Evviva alla vita”? Bravissimi dunque i giovani di S. Rita che hanno insistito perché la Festa avesse ugualmente luogo. Chi è infatti il “volontario”? Colui che, gratuitamente, e quindi unicamente per amore, scende in campo, dona se stesso, il suo tempo, il suo cuore, se necessario i suoi beni, per sconfiggere la morte. I dirottatori degli aerei delle Twin Towers e del Pentagono sono andati alla morte per seminare la morte. Non così Gesù che morendo ha sconfitto la morte. Così i “suoi”, i “protagonisti della vita”. Questi sono i volontari. Abbiamo detto “protagonisti”: infatti, in questi quattro giorni i giovani sono stati veramente i protagonisti, i re della festa. Bisognava esserci per cogliere le meraviglie di un clima nuovissimo che ci ha fatto dire, un po’ tutti, “Eppur si muove!”. Chi? Spoleto, naturalmente, una città non diciamo addormentata, ma a quanto pare leggermente assopita. All’improvviso, ecco il miracolo. E’ bastato che un parroco suonasse un po’ di sveglia e tutto si è messo decisamente in moto. E non per qualche giorno, ma – come ci auguriamo – senza limiti di tempo. “Voltare pagina al mondo”: così hanno scritto i giovani, e gli inizi sono stati ben promettenti. Sono loro che hanno studiato il programma, loro che hanno individuato le personalità da interessare e chiamare per i temi delle varie giornate, loro che hanno inventato, per il 16, la “domenica giovane”. Tema generale della giornata conclusiva è stato infatti “Volontariato è giovane”. E giovani sono stati i cantautori del gruppo “Il mio Dio canta giovane”, venuti da Genova. Proprio un “tornado di Grazia, un’alluvione dello Spirito”, nel senso migliore del termine; “Mosaico” e “Movimento Rangers” sono stati veramente all’altezza, nella novità del gemellaggio “Spoleto-Genova”. “Mosaico” è un’associazione di volontariato fondata nel 1999 a Genova-Sestri Ponente da padre Modesto Seri, agostiniano, oggi parroco a S. Rita: “unire le persone, creare relazioni tra adulti, tra gruppi e associazioni”. Motivazione fondamentale dunque l’unità, come un mosaico, appunto. Risale ugualmente a padre Modesto il “Movimento Rangers” quando nel 1984 con cinque ragazzi decise di fondare un gruppo per tutti i bambini del quartiere (Castelletto-Genova). In inglese “ranger” designa il guardaboschi americano, o guardiano, e cioè il “custode” dell’ovile che è a guardia della porta, come nel Vangelo di Giovanni. Le pecore riconoscono la sua voce, garanzia di autenticità e di sicurezza, con tutta una serie di iniziative: riunioni settimanali, gite, bivacchi, campi estivi, spettacoli, giornalino di gruppo. Ecco allora il Gruppo Rangers di Sestri, quello di Madonnetta e finalmente quello di S. Rita a Spoleto. Oggi i Rangers operano nel sociale, principalmente nel campo della formazione, dell’educazione e della cultura nel segno della solidarietà e della carità. Lo spazio è tiranno. Non possiamo dilungarci nel riferire sulla Festa del Volontariato. Diamo soltanto una rapida scorsa alle quattro giornate, congratulandoci ancora per tutta la cornice di festa, con l’area di giochi per i bambini, la passeggiata in bicicletta di venerdì sera, le gare di calcetto, il gioco del coniglio, la pesca alla scatola, con ricchi premi, i gazebo per gli stands delle varie associazioni. Qualcosa che ha veramente colpito la città e ha riproposto con forza quel sogno di “insieme”, per cui ben 46 associazioni, presenti in città, hanno fatto esperienza di un’unità che poteva sembrare impossibile.