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Rimangono ancora molte cose da fare e problemi da risolvere

E’ un paradosso, ma in questi giorni – dopo i terribili fatti di New York – nelle zone terremotate dell’Umbria si respira l’aria della globalizzazione. Già, può sembrare un’affermazione curiosa e singolare, ma è proprio così. E non è certo una bella aria quella che tira a Foligno, Nocera e dintorni. Cominciando a riflettere sul quarto anniversario del sisma del settembre 1997, la gente sta riscoprendo nuove incertezze e preoccupazioni, come ci spiega il parroco di Case Basse di Nocera Umbra, don Girolamo Giovannini.Forse può sembrare esagerato il solo pensiero di accostare le macerie dei grattacieli della Grande Mela con le distruzioni del sisma di quattro anni fa. Ma le popolazioni dell’Umbria, colpite da quella piccola grande calamità naturale, dall’11 settembre scorso si sentono un po’ più abbandonate. Più lontane dall’attenzione delle istituzioni nazionali e anche dei mezzi di comunicazione che tante volte sono andati a importunarle. E temono che i tempi della ricostruzione, quella vera, fatta di mattoni e cemento e non di casette di legno, si allunghino ancora di più. In nome dell’emergenza internazionale che oscura un’emergenza locale che si affaccia sul quinto anno. “Nell’ultimo anno – spiega don Girolamo, che sta dando continuità all’esperienza del campo base di Case Basse ospitando extracomunitari senza un’abitazione – c’è stato un grande movimento per portare la gente nelle casette di legno, che sono senz’altro una soluzione migliore dei 42 campi container allestiti nei mesi successivi al terremoto. Ma non sono certo come le abitazioni in muratura, le case dove questa gente ha sempre vissuto”. Nocera Umbra è senza dubbio l’emblema di quanto ancora c’è da ricostruire nell’Umbria terremotata. Il centro storico è chiuso esattamente come quattro anni fa e gli unici lavori interessano il Palazzo comunale, la Cattedrale e la torre. Tutto il resto del borgo va ancora pensato, studiato e progettato dalle fondamenta ai tetti. Stessi problemi anche per le frazioni di montagna del nocerino e del folignate, dove la ricostruzione arranca. Lavori finiti o a buon punto, invece, nelle case sparse del territorio, in particolare per quei proprietari che si sono rimboccati le maniche e avevano i soldi già a disposizione. Sulla ricostruzione nel territorio folignate i conti non tornano. Molti progetti mostrano spese che sono a dir poco lontane dal prezzo medio di ricostruzione e, soprattutto con il contributo che non basta a coprire i costi. Famiglie che non ce la faranno mai a mettere insieme una somma simile. Certo non si parla di generalizzazione ma di casi se ne sono presentati diversi e le famiglie sono disperate: non potranno mai permettersi di aggiungere le cifre di loro competenza a quelle che lo Stato ha preventivato. E’ quindi un fenomeno che il Comune di Foligno non può ignorare ma che dovrà essere monitorato. Così dopo controlli accurati la Giunta comunale è pronta a rivolgersi alla Regione per chiedere l’istituzione di una commissione tecnica in grado di valutare le varie situazioni, molte delle quali presentano costi doppi rispetto alla media e al contributo assegnato in base al grado di danneggiamento. La questione è stata affrontata durante una riunione fra la Giunta folignate e i sindacati. La proposta che ne è scaturita è quella di chiedere al Governo l’innalzamento per le zone terremotate e per i lavori legati alla ricostruzione, degli sgravi Irpef sulle ristrutturazioni edilizie che attualmente è del 36 per cento. Un provvedimento, come hanno spiegato, che se inserito nella prossima Finanziaria potrebbe assicurare la copertura del provvedimento in più anni. Non si tratta di un fenomeno generalizzato, ma in molti casi esiste uno scostamento tra il costo previsto in fase di progettazione ed il contributo assegnato. In alcuni casi si arriva a costi di 3 milioni al metro quadrato contro un prezzo medio che si sta assestando sul milione e 600 mila. Una anomalia che però va attentamente valutata. Molte famiglie se non ci sarà un provvedimento urgente resteranno al palo. Ancora da risolvere restano anche i cosiddetti casi sociali: quei nuclei familiari che, alloggiano ancora nei campi container della pianura. Non solo extracomunitari ma anche famiglie folignati che non hanno più la possibilità di pagarsi un affitto. Famiglie alle quali il Comune dovrà cercare una soluzione urgente onde evitare che i campi container si trasformino in veri e propri ghetti.

Dopo le Twin towers un salto di civiltà

I musulmani nel mondo sono circa un miliardo. E’ azzardato pensare, come fa qualcuno per ignoranza mista a buona fede, che siano tutti disposti ad atti terroristici e a seguire l’esempio biblico del famoso “muoia Sansone con tutti i filistei” .La religione islamica inoltre è diffusa in tante nazioni e Paesi con lingue e culture diverse. E’ presente in quantità non indifferente anche in Europa. Un gruppo determinante, ma non esclusivo, è costituito dai Paesi arabi. In questo vasto “mare magnum” è presente una corrente fondamentalista che si collega con il terrorismo in generale e con quello dei kamikaze. Di questo gruppo.nessuno sa esattamente il quanto il dove e il come. Ed è su questo settore che si deve fare luce per prendere poi le decisioni del caso. Sarà bene non dimenticare che gruppi di terroristi organizzati si sono avventati contro altri musulmani moderati ed hanno ucciso migliaia di persone innocenti e di capi politici. Ciò serva ad allontanare l’idea che sia in atto una guerra di religione tra cristiani e musulmani. Sono in molti, compreso il presidente francese Chirac a chiedere di usare altri termini, quali conflitto o azione internazionale di polizia piuttosto che mettere in circolazione la terribile parola “guerra”. Comunque è certo che nessun cristiano oggi è intenzionato a fare la guerra contro l’Islam, non certo il Papa, né i vescovi, né vi è alcuna dichiarazione o documento che possa avvalorare l’idea di una crociata. Si può dire che anche le grandi masse dei fedeli musulmani e delle correnti politiche e culturali moderate siano intenzionati a fare una guerra, sia per motivi religiosi che non la consentono contro gli “uomini del libro” e in particolare contro i cristiani, che non sono considerati “infedeli”, sia per motivi di interesse economico e politico generale. La stessa considerazione dei kamikaze come martiri non è consentita dalla teologia islamica ortodossa, anche se in quella religione non c’è un’unica autorità magisteriale tranne quella del Corano. Ha fatto bene, pertanto, il presidente Bush a recarsi in visita al Centro islamico di Washington e a dichiarare che non è in programma nessuna guerra antimusulmana. L’Osservatore romano, quotidiano della S. Sede, ha messo la fotografia dell’incontro e la notizia della visita al Centro islamico in prima pagina ed è il segnale che questa linea politica è apprezzata dal Vaticano, come è considerata meritevole.la voglia di rinascita di tutti i cittadini statunitensi. La grande paura e le immediate reazioni iniziali si aprono gradualmente allo spazio della riflessione, della solidarietà e della operosità ed anche ad uno slancio di preghiera. Chi crede che Dio può trasformare il male operato dagli uomini in occasioni di bene può auspicare e sperare che da questo tragico evento, che sarà sempre davanti alla coscienza delle moltitudini attraverso le immagini che saranno ritrasmesse migliaia di volte, possa costituire uno sviluppo positivo della coscienza umana chiamata tragicamente, ma irreversibilmente a trovare strade di riconciliazione di comprensione e di collaborazione globale, facendo così un salto di civiltà ed evitando altrimenti di precipitare nel caos totale.

Non sarà un voto inutile. La legge potrà essere migliorata in seguito

Non sarà un voto inutile quello di domenica 7 ottobre per il referendum sulla legge costituzionale “federalista”. Per due motivi: perché il referendum sarà valido anche se alle urne si presenteranno solo 10 italiani e perché il nostro “sì” o “no” deciderà le sorti della legge, di tutta la legge, approvata in Parlamento (se vinceranno i “no” non se ne farà nulla se vinceranno i “sì” la riforma costituzionale entrerà in vigore). Insomma il 7 ottobre decideranno i cittadini. Dovrebbero bastare questi due punti per provocare una inversione di tendenza nella affluenza alle urne in caso di referendum, perché dovrebbe essere chiaro che questa volta non si tratta dei soliti referendum, troppi e troppo difficili da capire, per i quali più della metà degli italiani nell’ultima consultazione hanno preferito non votare. La legge costituzionale per la quale siamo chiamati a “referendum confermativo” il prossimo 7 ottobre è la cosiddetta “legge federalista” approvata dalla maggioranza dell’Ulivo l’8 marzo scorso, in chiusura della legislatura e con la non partecipazione al voto della Casa delle Libertà. La legge avrebbe potuto essere promulgata, e quindi entrare in vigore, senza il referendum popolare, ma, sia Polo che Ulivo, pur con ragioni opposte, decisero di chiedere il parere degli elettori. Secondo il Polo la legge è troppo timida nel trasferire i poteri dallo Stato al livello locale, e quindi è da bocciare; secondo l’Ulivo la legge rappresenta un passo importante che ridisegna in modo sostanziale i rapporti tra Stato ed enti locali, e quindi è da approvare. A poche settimane dalla consultazione l’informazione sul referendum è scarsa, per non dire inesistente, e lo stesso Centro destra non ha una posizione unitaria a favore o contro la riforma. Solo Lega e An hanno chiaramente invitato a votare “no”; il Ccd lascia libertà di voto, e Forza Italia è indecisa. Essenziale è, in questo caso, la differenza di posizione dei presidenti delle regioni di Centro destra, anch’essi divisi sulla posizione da prendere: nettamente contrario è il presidente del Veneto, Galan, mentre i presidenti di Lombardia, Formigoni, Lazio, Storace, e Piemonte, Ghigo (che è anche presidente della Conferenza Stato-Regioni), sono a favore pur criticando la legge. Alla elaborazione della legge parteciparono i presidenti delle regioni ed è anche per questo motivo che sono in maggiornaza a favore della riforma che attribuisce una maggiore ed effettiva autonomia delle regioni ed una più chiara attribuzione di compiti e responsabilità tra lo Stato, regioni, province e comuni. Per le Regioni, sulle quali grava l’obbligo posto dalla Legge costituzionale n’ del 1999 di approvare i nuovi statuti in questa legislatura, la bocciatura della legge “federalista” rischia di aprire una fase di forte indecisione nella definizione degli Statuti e di conflittualità tra le stesse regioni (basti pensare al caso del referendum lombardo sulla devolution). La riforma costituzionale su cui siamo chiamati a dare il nostro giudizio ha delle lacune importanti perché non prevede la trasformazione del Senato in Camera delle Regioni e non riconosce alle Regioni la possibilità di eleggere alcuni giudici della Corte Costituzionale, “ma si tratta di provvedimenti che potranno essere approvati in questa legislatura senza dover modificare il testo approvato”, osservava padre Michele Simone su La civiltà cattolica, la prestigiosa rivista dei Gesuiti, in un articolo pubblicato nell’aprile di quest’anno. Vi sono però aspetti positivi della riforma, osservava ancora padre Simone, e tra questi vi è il ribaltamento della competenza legislativa generale che dallo Stato passa alle Regioni; viene espressamente richiamato il principio di sussidiarietà in base al quale le competenze vengono attribuite all’ente più vicino ai cittadini; “molto significativa” è la previsione del fondo perequativo statale per i territori con minore capacità fiscale (tra questi l’Umbria e la maggior parte delle regioni del Centro-Sud ) “una previsione – commenta padre Simone – che impedisce agli enti con maggiori entrate, di eludere il principio della solidarietà e della coesione nazionale”. “Da parte nostra – concludeva padre Simone – rilevando l’ampiezza e la complessità della riforma della Repubblica qui disegnata, vogliamo fare un richiamo al realismo: in un Paese nel quale ben tre Regioni (Campania, Calabria, Veneto) non hanno recepito, con leggi regionali, la riforma Bassanini – che prevede soltanto un accentuato decentramento amministrativo -, costringendo il Governo ad avvalersi dei poteri sostitutivi previsti dalla legge per attuarla in questi territori, passare immediatamente ad uno Stato federale significa investire le strutture degli enti locali con una “bufera” alla quale in genere non sono in grado di far fronte e di cui non sono prevedibili gli effetti. Invece è preferibile seguire un percorso a tappe, che conceda il tempo e le risorse sufficienti a tutti gli enti locali per mutare la propria organizzazione. In caso contrario si seguirebbe purtroppo un itinerario spesso seguito dal Parlamento italiano in tema di legislazione: norme bellissime nelle dichiarazioni di principio, ma con scarsa attenzione all’impatto concreto sulle strutture modificate e sui tempi e le risorse necessarie per renderle operative”.

E’ possibile ancora credere?

C’era attesa a Terni per la presentazione del libro del Vescovo Mons. Vincenzo Paglia. Lo ha evidenziato l’alto numero di persone , circa 200, che lunedì 17, all’hotel Michelangelo si sono recate ad ascoltare i relatori che hanno presentato Lettera ad un amico che non crede, scritto da Vincenzo Paglia per la Rizzoli, nel novembre 1998. Tra le tante persone non mancavano onorevoli, sindaci, presidenti, autorità militari, insomma “i notabili”. L’Istes non poteva cominciare il nuovo anno di attività culturali in maniera più centrata. E’ stata questa l’occasione per porsi l’interrogativo : ” E’ possibile ancora credere?” Quell’ancora ha catturato tutta l’attenzione dei tre relatori che rispondono ai nomi di Pietro Scoppola, professore universitario e storico, Dario Antiseri, anche lui professore universitario e filosofo, Walter Veltroni, sindaco di Roma e dello stesso autore del libro, Vincenzo Paglia. Pietro Scoppola ha dapprima esposto come è nato il libro, che è una risposta ad un precedente libro di Arrigo Levi il quale appunto aveva trattato delle due fedi, quella laica e quella religiosa, mostrando come tutte e due potessero incontrarsi in una comune passione per l’uomo tanto da giungere a dire: “non sono sicuro che vi sia una grande differenza tra fede laica e fede religiosa, tra fede in Dio e fede nell’uomo”. L’importante è che le fedi, è sempre il pensiero di Levi, frutto della storia dell’uomo, trovino la forza di collaborare e dialogare oppure contribuiranno ad approfondire i contrasti e a favorire i conflitti. Come non porsi allora, ed è stato il tema conduttore dell’argomentare di Scoppola, l’interrogativo se oggi, dopo l’abbattimento terroristico delle torri gemelle a New Jork, le fedi, in particolare quella islamica, non costituiscano il più grave impedimento alla pace per il loro dogmatismo che non ammette il dubbio cioè la possibilità stessa della diversità? All’interrogativo Scoppola ha dato la risposta che anche se nelle diverse fedi ci sono gli integristi, l’integrismo non appartiene alla natura delle fedi ed è per questo che l’occidente, che oggi si sente minacciato, non deve incorrere nella tentazione di una guerra contro la fede islamica distinguendo la lotta contro il terrorismo dalla guerra contro l’islam. Dell’intervento di Antiseri, come sempre documentato e preciso, ci piace ricordare quanto ha detto a proposito della supponenza della ragione cosiddetta laica e come essa stessa possa diventare fonte di fanatismo, come la storia abbondantemente dimostra, allorchè si pone come detentrice di verità. Molto sociologico e saggio l’argomentare di Veltroni che ha messo in luce soprattutto la necessità del dialogo tra le culture. Tema, quest’ultimo, ripreso da mons. Paglia che ha evidenziato come già le diverse religioni si incontrano, stanno insieme e si confrontano in tante circostanze, come è avvenuto all’inizio di questo mese nelle giornate di Lisbona. E’ possibile questo quando le diverse esperienze religiose sono capaci di porsi sul piano del confronto delle specifiche soggettività, del come cioè ciascuno riesce a vivere la propria fede, di quali difficoltà trova e di quali gioie è portatore, di quali effetti può essere promotore, evitando di porsi come giudici della verità dell’altro. Il bisogno di dialogo è stato riaffermato alla fine con la proposta di un grande incontro tra le diverse componenti cittadine per riflettere tutti insieme sul momento presente gravido di tante incognite. L’incontro è stato sicuramente un momento sociologicamente importante per la città in cui è stata alimentata la fiammella della comunione tra le diverse esperienze umane. Merita però che l’interrogativo: “E’ possibile credere?” venga ripreso nel suo valore teoretico al di là delle pressioni emotive, pur giuste, del momento. Siamo convinti che la risposta data sul piano teoretico possa essere essa il più grande contributo alla comprensione delle varie scelte culturali che possiamo fare.

Università: per gli studenti scelta non facile fra corsi vecchi e nuovi

Continuare con il vecchio corso o scegliere il nuovo ordinamento? Per gli oltre ventimila studenti universitari dell’Ateneo perugino non è certo un interrogativo di facile soluzione. Per non parlare delle difficoltà delle matricole, che in questi giorni devono scegliere un curricolo di studio fra i tanti, spesso simili, proposti dall’Università. La nuova disciplina in materia ha portato anche a Perugia un aumento dell’offerta formativa universitaria. Le undici facoltà dell’ateneo propongono quest’anno 64 nuovi corsi di laurea, che andranno gradualmente a sostituirsi ai 57 corsi ad esaurimento, attivi ancora per qualche anno, fino a quando ci saranno i vecchi iscritti. Le lauree di primo livello sono di durata triennale. Al termine del corso, basato su un complesso sistema di credito formativo, gli studenti potranno decidere se continuare il cammino universitario con altri due anni di studio, per conseguire una laurea specialistica e poter proseguire con un master. Ai nuovi corsi si aggiungono per ora 36 scuole di specializzazione per l’area medica e sei per le discipline non mediche. Gran parte delle facoltà non ha ancora attivato le lauree specialistiche, che partiranno dall’anno accademico 2002-2003. Gli studenti già iscritti al secondo anno di università e a quelli successivi possono scegliere se continuare con il corso tradizionale o passare ai corsi di studio attivati secondo i nuovi ordinamenti. In questo secondo caso, l’Università dovrà calcolare quali e quanti esami già sostenuti saranno riconosciuti secondo i parametri stabiliti per la conversione verso il nuovo sistema dei crediti. Il termine ultimo per questa scelta è fissato al 31 dicembre prossimo. Per i nuovi immatricolati, invece, i tempi sono molto più brevi. Se è vero che le iscrizioni si chiudono il 5 novembre, infatti, le decisioni dovranno essere prese nei prossimi giorni, visto che per molti corsi di laurea sono già state organizzate per il mese di ottobre alcune prove selettive. A parte le lauree a numero programmato o chiuso, per le altre si tratta solo di un test per consentire ai docenti di valutare gli studenti che si troveranno di fronte a lezione. Ora è ancora presto per analizzare qualche cifra riguardante le nuove iscrizioni. Ma sembra già confermata la tendenza alla crescita di corsi come Scienze della comunicazione, o la conferma delle lauree economiche e giuridiche. Nei nuovi corsi accademici sarà sempre la sede centrale di Perugia a fare la parte del leone. In aumento, però, anche la didattica decentrata, in particolare a Terni. Nel secondo capoluogo di provincia della regione saranno attivate le lauree di primo livello in Cooperazione internazionale per lo sviluppo e la pace, Mediazione linguistica applicata, Scienze e tecnologie della produzione artistica, Medicina e Chirurgia, Ingegneria dei materiali, Ingegneria gestionale, Economia e amministrazione delle imprese, Economia e amministrazione del settore non-profit. Ad Assisi ci sarà Economia e gestione dei servizi turistici (sia il corso tradizionale che quello a distanza sui canali satellitari Rai-Nettuno), a Orvieto la laurea in Ingegneria informatica e delle telecomunicazioni, a Foligno il corso in Coordinamento delle attività di protezione civile. Anche in Umbria, dunque, l’università cerca di adattarsi alla flessibilità del mondo del lavoro. Un compito non facile, visto che in gioco c’è il futuro delle nuove generazioni. Al momento, comunque, é ancora presto per dire se le novità della riforma universitaria saranno tutte di segno positivo.

Importati. Salvati

Sono molti i … prodotti intellettuali che la nostra Chiesa importa dall’estero. La naturalezza con la quale li adopera sta a dire che per lei quell'”estero” era tale solo in superficie. Non esiste nessun “estero” per chi crede in un Dio che è il Dio di tutti. Importare è un diritto/dovere. E di fatto non c’è pagina de La verità vi farà liberi, il catechismo degli adulti, che non rimandi a un’area di pensiero a/cristiano o anticristiano dalla quale è stata attinta un’acquisizione nuova, si è mutuata un’apertura inedita, si è preso atto di una problematica ignorata per secoli. Personalmente è un atteggiamento, meglio ancora uno stile di risposta ecclesiale che mi affascina. Mi affascina anche come risposta contingente a provocazioni contingenti. Come se dicessimo a certi nostri “avversari”: voi, che non condividete la nostra fede, a volte usate contro di noi, a mo’ di clava, la critica che sentite di doverci rivolgere: non aspettatevi che noi facciamo altrettanto. Ho inteso parlare di una certa forma di pugilato, credo giapponese, in cui il segreto della vittoria è tutto nel ripiegarsi all’indietro quando l’avversario sferra l’attacco, vanificando l’aggressione senza dover rispondere con un’altra aggressione. E senza faticare troppo. Ma molto più intensamente quello stile mi affascina come proiezione di quella logica di salvezza che compete alla fede cristiana e ne definisce il compito nella storia. L’impegno a salvare il mondo, sulla scia di Colui che è venuto proprio per questo, e non per giudicarlo, si articola in tante operazioni diverse. Salvare significa aiutare la gente a ridefinire il profilo della vita, della vera vita, quella che trascende le apparenze (trans/scandit: si colloca al di là) e accantona le mille cianfrusaglie che la cultura dell’effimero vorrebbe contrabbandarci come vita. Salvare significa recuperare gli strumenti idonei a coltivare quella vita, evitando di estenuarsi a battere l’aria nei labirinti del non-senso. Salvare significa anche sedersi sulla spiaggia dove altri hanno rovesciato il contenuto di reti che hanno pescato di tutto, pesci buoni e cocci di bottiglia, e mettersi al servizio dell’opera di selezione. Accoccolata sui calcagni, molta gente lavora sulla spiaggia a capare i pesci buoni. E’ l’alba. Il fischio tenuto dal pescatore più anziano scivola sull’onda che accarezza appena la sabbia. Sarà una buona giornata.

Rimangono ancora molte cose da fare e problemi da risolvere

E’ un paradosso, ma in questi giorni – dopo i terribili fatti di New York – nelle zone terremotate dell’Umbria si respira l’aria della globalizzazione. Già, può sembrare un’affermazione curiosa e singolare, ma è proprio così. E non è certo una bella aria quella che tira a Foligno, Nocera e dintorni. Cominciando a riflettere sul quarto anniversario del sisma del settembre 1997, la gente sta riscoprendo nuove incertezze e preoccupazioni, come ci spiega il parroco di Case Basse di Nocera Umbra, don Girolamo Giovannini.Forse può sembrare esagerato il solo pensiero di accostare le macerie dei grattacieli della Grande Mela con le distruzioni del sisma di quattro anni fa. Ma le popolazioni dell’Umbria, colpite da quella piccola grande calamità naturale, dall’11 settembre scorso si sentono un po’ più abbandonate. Più lontane dall’attenzione delle istituzioni nazionali e anche dei mezzi di comunicazione che tante volte sono andati a importunarle. E temono che i tempi della ricostruzione, quella vera, fatta di mattoni e cemento e non di casette di legno, si allunghino ancora di più. In nome dell’emergenza internazionale che oscura un’emergenza locale che si affaccia sul quinto anno. “Nell’ultimo anno – spiega don Girolamo, che sta dando continuità all’esperienza del campo base di Case Basse ospitando extracomunitari senza un’abitazione – c’è stato un grande movimento per portare la gente nelle casette di legno, che sono senz’altro una soluzione migliore dei 42 campi container allestiti nei mesi successivi al terremoto. Ma non sono certo come le abitazioni in muratura, le case dove questa gente ha sempre vissuto”. Nocera Umbra è senza dubbio l’emblema di quanto ancora c’è da ricostruire nell’Umbria terremotata. Il centro storico è chiuso esattamente come quattro anni fa e gli unici lavori interessano il Palazzo comunale, la Cattedrale e la torre. Tutto il resto del borgo va ancora pensato, studiato e progettato dalle fondamenta ai tetti. Stessi problemi anche per le frazioni di montagna del nocerino e del folignate, dove la ricostruzione arranca. Lavori finiti o a buon punto, invece, nelle case sparse del territorio, in particolare per quei proprietari che si sono rimboccati le maniche e avevano i soldi già a disposizione. Sulla ricostruzione nel territorio folignate i conti non tornano. Molti progetti mostrano spese che sono a dir poco lontane dal prezzo medio di ricostruzione e, soprattutto con il contributo che non basta a coprire i costi. Famiglie che non ce la faranno mai a mettere insieme una somma simile. Certo non si parla di generalizzazione ma di casi se ne sono presentati diversi e le famiglie sono disperate: non potranno mai permettersi di aggiungere le cifre di loro competenza a quelle che lo Stato ha preventivato. E’ quindi un fenomeno che il Comune di Foligno non può ignorare ma che dovrà essere monitorato. Così dopo controlli accurati la Giunta comunale è pronta a rivolgersi alla Regione per chiedere l’istituzione di una commissione tecnica in grado di valutare le varie situazioni, molte delle quali presentano costi doppi rispetto alla media e al contributo assegnato in base al grado di danneggiamento. La questione è stata affrontata durante una riunione fra la Giunta folignate e i sindacati. La proposta che ne è scaturita è quella di chiedere al Governo l’innalzamento per le zone terremotate e per i lavori legati alla ricostruzione, degli sgravi Irpef sulle ristrutturazioni edilizie che attualmente è del 36 per cento. Un provvedimento, come hanno spiegato, che se inserito nella prossima Finanziaria potrebbe assicurare la copertura del provvedimento in più anni. Non si tratta di un fenomeno generalizzato, ma in molti casi esiste uno scostamento tra il costo previsto in fase di progettazione ed il contributo assegnato. In alcuni casi si arriva a costi di 3 milioni al metro quadrato contro un prezzo medio che si sta assestando sul milione e 600 mila. Una anomalia che però va attentamente valutata. Molte famiglie se non ci sarà un provvedimento urgente resteranno al palo. Ancora da risolvere restano anche i cosiddetti casi sociali: quei nuclei familiari che, alloggiano ancora nei campi container della pianura. Non solo extracomunitari ma anche famiglie folignati che non hanno più la possibilità di pagarsi un affitto. Famiglie alle quali il Comune dovrà cercare una soluzione urgente onde evitare che i campi container si trasformino in veri e propri ghetti.

Dopo le Twin towers un salto di civiltà

I musulmani nel mondo sono circa un miliardo. E’ azzardato pensare, come fa qualcuno per ignoranza mista a buona fede, che siano tutti disposti ad atti terroristici e a seguire l’esempio biblico del famoso “muoia Sansone con tutti i filistei” .La religione islamica inoltre è diffusa in tante nazioni e Paesi con lingue e culture diverse. E’ presente in quantità non indifferente anche in Europa. Un gruppo determinante, ma non esclusivo, è costituito dai Paesi arabi. In questo vasto “mare magnum” è presente una corrente fondamentalista che si collega con il terrorismo in generale e con quello dei kamikaze. Di questo gruppo.nessuno sa esattamente il quanto il dove e il come. Ed è su questo settore che si deve fare luce per prendere poi le decisioni del caso. Sarà bene non dimenticare che gruppi di terroristi organizzati si sono avventati contro altri musulmani moderati ed hanno ucciso migliaia di persone innocenti e di capi politici. Ciò serva ad allontanare l’idea che sia in atto una guerra di religione tra cristiani e musulmani. Sono in molti, compreso il presidente francese Chirac a chiedere di usare altri termini, quali conflitto o azione internazionale di polizia piuttosto che mettere in circolazione la terribile parola “guerra”. Comunque è certo che nessun cristiano oggi è intenzionato a fare la guerra contro l’Islam, non certo il Papa, né i vescovi, né vi è alcuna dichiarazione o documento che possa avvalorare l’idea di una crociata. Si può dire che anche le grandi masse dei fedeli musulmani e delle correnti politiche e culturali moderate siano intenzionati a fare una guerra, sia per motivi religiosi che non la consentono contro gli “uomini del libro” e in particolare contro i cristiani, che non sono considerati “infedeli”, sia per motivi di interesse economico e politico generale. La stessa considerazione dei kamikaze come martiri non è consentita dalla teologia islamica ortodossa, anche se in quella religione non c’è un’unica autorità magisteriale tranne quella del Corano. Ha fatto bene, pertanto, il presidente Bush a recarsi in visita al Centro islamico di Washington e a dichiarare che non è in programma nessuna guerra antimusulmana. L’Osservatore romano, quotidiano della S. Sede, ha messo la fotografia dell’incontro e la notizia della visita al Centro islamico in prima pagina ed è il segnale che questa linea politica è apprezzata dal Vaticano, come è considerata meritevole.la voglia di rinascita di tutti i cittadini statunitensi. La grande paura e le immediate reazioni iniziali si aprono gradualmente allo spazio della riflessione, della solidarietà e della operosità ed anche ad uno slancio di preghiera. Chi crede che Dio può trasformare il male operato dagli uomini in occasioni di bene può auspicare e sperare che da questo tragico evento, che sarà sempre davanti alla coscienza delle moltitudini attraverso le immagini che saranno ritrasmesse migliaia di volte, possa costituire uno sviluppo positivo della coscienza umana chiamata tragicamente, ma irreversibilmente a trovare strade di riconciliazione di comprensione e di collaborazione globale, facendo così un salto di civiltà ed evitando altrimenti di precipitare nel caos totale.

Non sarà un voto inutile. La legge potrà essere migliorata in seguito

Non sarà un voto inutile quello di domenica 7 ottobre per il referendum sulla legge costituzionale “federalista”. Per due motivi: perché il referendum sarà valido anche se alle urne si presenteranno solo 10 italiani e perché il nostro “sì” o “no” deciderà le sorti della legge, di tutta la legge, approvata in Parlamento (se vinceranno i “no” non se ne farà nulla se vinceranno i “sì” la riforma costituzionale entrerà in vigore). Insomma il 7 ottobre decideranno i cittadini. Dovrebbero bastare questi due punti per provocare una inversione di tendenza nella affluenza alle urne in caso di referendum, perché dovrebbe essere chiaro che questa volta non si tratta dei soliti referendum, troppi e troppo difficili da capire, per i quali più della metà degli italiani nell’ultima consultazione hanno preferito non votare. La legge costituzionale per la quale siamo chiamati a “referendum confermativo” il prossimo 7 ottobre è la cosiddetta “legge federalista” approvata dalla maggioranza dell’Ulivo l’8 marzo scorso, in chiusura della legislatura e con la non partecipazione al voto della Casa delle Libertà. La legge avrebbe potuto essere promulgata, e quindi entrare in vigore, senza il referendum popolare, ma, sia Polo che Ulivo, pur con ragioni opposte, decisero di chiedere il parere degli elettori. Secondo il Polo la legge è troppo timida nel trasferire i poteri dallo Stato al livello locale, e quindi è da bocciare; secondo l’Ulivo la legge rappresenta un passo importante che ridisegna in modo sostanziale i rapporti tra Stato ed enti locali, e quindi è da approvare. A poche settimane dalla consultazione l’informazione sul referendum è scarsa, per non dire inesistente, e lo stesso Centro destra non ha una posizione unitaria a favore o contro la riforma. Solo Lega e An hanno chiaramente invitato a votare “no”; il Ccd lascia libertà di voto, e Forza Italia è indecisa. Essenziale è, in questo caso, la differenza di posizione dei presidenti delle regioni di Centro destra, anch’essi divisi sulla posizione da prendere: nettamente contrario è il presidente del Veneto, Galan, mentre i presidenti di Lombardia, Formigoni, Lazio, Storace, e Piemonte, Ghigo (che è anche presidente della Conferenza Stato-Regioni), sono a favore pur criticando la legge. Alla elaborazione della legge parteciparono i presidenti delle regioni ed è anche per questo motivo che sono in maggiornaza a favore della riforma che attribuisce una maggiore ed effettiva autonomia delle regioni ed una più chiara attribuzione di compiti e responsabilità tra lo Stato, regioni, province e comuni. Per le Regioni, sulle quali grava l’obbligo posto dalla Legge costituzionale n’ del 1999 di approvare i nuovi statuti in questa legislatura, la bocciatura della legge “federalista” rischia di aprire una fase di forte indecisione nella definizione degli Statuti e di conflittualità tra le stesse regioni (basti pensare al caso del referendum lombardo sulla devolution). La riforma costituzionale su cui siamo chiamati a dare il nostro giudizio ha delle lacune importanti perché non prevede la trasformazione del Senato in Camera delle Regioni e non riconosce alle Regioni la possibilità di eleggere alcuni giudici della Corte Costituzionale, “ma si tratta di provvedimenti che potranno essere approvati in questa legislatura senza dover modificare il testo approvato”, osservava padre Michele Simone su La civiltà cattolica, la prestigiosa rivista dei Gesuiti, in un articolo pubblicato nell’aprile di quest’anno. Vi sono però aspetti positivi della riforma, osservava ancora padre Simone, e tra questi vi è il ribaltamento della competenza legislativa generale che dallo Stato passa alle Regioni; viene espressamente richiamato il principio di sussidiarietà in base al quale le competenze vengono attribuite all’ente più vicino ai cittadini; “molto significativa” è la previsione del fondo perequativo statale per i territori con minore capacità fiscale (tra questi l’Umbria e la maggior parte delle regioni del Centro-Sud ) “una previsione – commenta padre Simone – che impedisce agli enti con maggiori entrate, di eludere il principio della solidarietà e della coesione nazionale”. “Da parte nostra – concludeva padre Simone – rilevando l’ampiezza e la complessità della riforma della Repubblica qui disegnata, vogliamo fare un richiamo al realismo: in un Paese nel quale ben tre Regioni (Campania, Calabria, Veneto) non hanno recepito, con leggi regionali, la riforma Bassanini – che prevede soltanto un accentuato decentramento amministrativo -, costringendo il Governo ad avvalersi dei poteri sostitutivi previsti dalla legge per attuarla in questi territori, passare immediatamente ad uno Stato federale significa investire le strutture degli enti locali con una “bufera” alla quale in genere non sono in grado di far fronte e di cui non sono prevedibili gli effetti. Invece è preferibile seguire un percorso a tappe, che conceda il tempo e le risorse sufficienti a tutti gli enti locali per mutare la propria organizzazione. In caso contrario si seguirebbe purtroppo un itinerario spesso seguito dal Parlamento italiano in tema di legislazione: norme bellissime nelle dichiarazioni di principio, ma con scarsa attenzione all’impatto concreto sulle strutture modificate e sui tempi e le risorse necessarie per renderle operative”.

E’ possibile ancora credere?

C’era attesa a Terni per la presentazione del libro del Vescovo Mons. Vincenzo Paglia. Lo ha evidenziato l’alto numero di persone , circa 200, che lunedì 17, all’hotel Michelangelo si sono recate ad ascoltare i relatori che hanno presentato Lettera ad un amico che non crede, scritto da Vincenzo Paglia per la Rizzoli, nel novembre 1998. Tra le tante persone non mancavano onorevoli, sindaci, presidenti, autorità militari, insomma “i notabili”. L’Istes non poteva cominciare il nuovo anno di attività culturali in maniera più centrata. E’ stata questa l’occasione per porsi l’interrogativo : ” E’ possibile ancora credere?” Quell’ancora ha catturato tutta l’attenzione dei tre relatori che rispondono ai nomi di Pietro Scoppola, professore universitario e storico, Dario Antiseri, anche lui professore universitario e filosofo, Walter Veltroni, sindaco di Roma e dello stesso autore del libro, Vincenzo Paglia. Pietro Scoppola ha dapprima esposto come è nato il libro, che è una risposta ad un precedente libro di Arrigo Levi il quale appunto aveva trattato delle due fedi, quella laica e quella religiosa, mostrando come tutte e due potessero incontrarsi in una comune passione per l’uomo tanto da giungere a dire: “non sono sicuro che vi sia una grande differenza tra fede laica e fede religiosa, tra fede in Dio e fede nell’uomo”. L’importante è che le fedi, è sempre il pensiero di Levi, frutto della storia dell’uomo, trovino la forza di collaborare e dialogare oppure contribuiranno ad approfondire i contrasti e a favorire i conflitti. Come non porsi allora, ed è stato il tema conduttore dell’argomentare di Scoppola, l’interrogativo se oggi, dopo l’abbattimento terroristico delle torri gemelle a New Jork, le fedi, in particolare quella islamica, non costituiscano il più grave impedimento alla pace per il loro dogmatismo che non ammette il dubbio cioè la possibilità stessa della diversità? All’interrogativo Scoppola ha dato la risposta che anche se nelle diverse fedi ci sono gli integristi, l’integrismo non appartiene alla natura delle fedi ed è per questo che l’occidente, che oggi si sente minacciato, non deve incorrere nella tentazione di una guerra contro la fede islamica distinguendo la lotta contro il terrorismo dalla guerra contro l’islam. Dell’intervento di Antiseri, come sempre documentato e preciso, ci piace ricordare quanto ha detto a proposito della supponenza della ragione cosiddetta laica e come essa stessa possa diventare fonte di fanatismo, come la storia abbondantemente dimostra, allorchè si pone come detentrice di verità. Molto sociologico e saggio l’argomentare di Veltroni che ha messo in luce soprattutto la necessità del dialogo tra le culture. Tema, quest’ultimo, ripreso da mons. Paglia che ha evidenziato come già le diverse religioni si incontrano, stanno insieme e si confrontano in tante circostanze, come è avvenuto all’inizio di questo mese nelle giornate di Lisbona. E’ possibile questo quando le diverse esperienze religiose sono capaci di porsi sul piano del confronto delle specifiche soggettività, del come cioè ciascuno riesce a vivere la propria fede, di quali difficoltà trova e di quali gioie è portatore, di quali effetti può essere promotore, evitando di porsi come giudici della verità dell’altro. Il bisogno di dialogo è stato riaffermato alla fine con la proposta di un grande incontro tra le diverse componenti cittadine per riflettere tutti insieme sul momento presente gravido di tante incognite. L’incontro è stato sicuramente un momento sociologicamente importante per la città in cui è stata alimentata la fiammella della comunione tra le diverse esperienze umane. Merita però che l’interrogativo: “E’ possibile credere?” venga ripreso nel suo valore teoretico al di là delle pressioni emotive, pur giuste, del momento. Siamo convinti che la risposta data sul piano teoretico possa essere essa il più grande contributo alla comprensione delle varie scelte culturali che possiamo fare.

Università: per gli studenti scelta non facile fra corsi vecchi e nuovi

Continuare con il vecchio corso o scegliere il nuovo ordinamento? Per gli oltre ventimila studenti universitari dell’Ateneo perugino non è certo un interrogativo di facile soluzione. Per non parlare delle difficoltà delle matricole, che in questi giorni devono scegliere un curricolo di studio fra i tanti, spesso simili, proposti dall’Università. La nuova disciplina in materia ha portato anche a Perugia un aumento dell’offerta formativa universitaria. Le undici facoltà dell’ateneo propongono quest’anno 64 nuovi corsi di laurea, che andranno gradualmente a sostituirsi ai 57 corsi ad esaurimento, attivi ancora per qualche anno, fino a quando ci saranno i vecchi iscritti. Le lauree di primo livello sono di durata triennale. Al termine del corso, basato su un complesso sistema di credito formativo, gli studenti potranno decidere se continuare il cammino universitario con altri due anni di studio, per conseguire una laurea specialistica e poter proseguire con un master. Ai nuovi corsi si aggiungono per ora 36 scuole di specializzazione per l’area medica e sei per le discipline non mediche. Gran parte delle facoltà non ha ancora attivato le lauree specialistiche, che partiranno dall’anno accademico 2002-2003. Gli studenti già iscritti al secondo anno di università e a quelli successivi possono scegliere se continuare con il corso tradizionale o passare ai corsi di studio attivati secondo i nuovi ordinamenti. In questo secondo caso, l’Università dovrà calcolare quali e quanti esami già sostenuti saranno riconosciuti secondo i parametri stabiliti per la conversione verso il nuovo sistema dei crediti. Il termine ultimo per questa scelta è fissato al 31 dicembre prossimo. Per i nuovi immatricolati, invece, i tempi sono molto più brevi. Se è vero che le iscrizioni si chiudono il 5 novembre, infatti, le decisioni dovranno essere prese nei prossimi giorni, visto che per molti corsi di laurea sono già state organizzate per il mese di ottobre alcune prove selettive. A parte le lauree a numero programmato o chiuso, per le altre si tratta solo di un test per consentire ai docenti di valutare gli studenti che si troveranno di fronte a lezione. Ora è ancora presto per analizzare qualche cifra riguardante le nuove iscrizioni. Ma sembra già confermata la tendenza alla crescita di corsi come Scienze della comunicazione, o la conferma delle lauree economiche e giuridiche. Nei nuovi corsi accademici sarà sempre la sede centrale di Perugia a fare la parte del leone. In aumento, però, anche la didattica decentrata, in particolare a Terni. Nel secondo capoluogo di provincia della regione saranno attivate le lauree di primo livello in Cooperazione internazionale per lo sviluppo e la pace, Mediazione linguistica applicata, Scienze e tecnologie della produzione artistica, Medicina e Chirurgia, Ingegneria dei materiali, Ingegneria gestionale, Economia e amministrazione delle imprese, Economia e amministrazione del settore non-profit. Ad Assisi ci sarà Economia e gestione dei servizi turistici (sia il corso tradizionale che quello a distanza sui canali satellitari Rai-Nettuno), a Orvieto la laurea in Ingegneria informatica e delle telecomunicazioni, a Foligno il corso in Coordinamento delle attività di protezione civile. Anche in Umbria, dunque, l’università cerca di adattarsi alla flessibilità del mondo del lavoro. Un compito non facile, visto che in gioco c’è il futuro delle nuove generazioni. Al momento, comunque, é ancora presto per dire se le novità della riforma universitaria saranno tutte di segno positivo.

Importati. Salvati

Sono molti i … prodotti intellettuali che la nostra Chiesa importa dall’estero. La naturalezza con la quale li adopera sta a dire che per lei quell'”estero” era tale solo in superficie. Non esiste nessun “estero” per chi crede in un Dio che è il Dio di tutti. Importare è un diritto/dovere. E di fatto non c’è pagina de La verità vi farà liberi, il catechismo degli adulti, che non rimandi a un’area di pensiero a/cristiano o anticristiano dalla quale è stata attinta un’acquisizione nuova, si è mutuata un’apertura inedita, si è preso atto di una problematica ignorata per secoli. Personalmente è un atteggiamento, meglio ancora uno stile di risposta ecclesiale che mi affascina. Mi affascina anche come risposta contingente a provocazioni contingenti. Come se dicessimo a certi nostri “avversari”: voi, che non condividete la nostra fede, a volte usate contro di noi, a mo’ di clava, la critica che sentite di doverci rivolgere: non aspettatevi che noi facciamo altrettanto. Ho inteso parlare di una certa forma di pugilato, credo giapponese, in cui il segreto della vittoria è tutto nel ripiegarsi all’indietro quando l’avversario sferra l’attacco, vanificando l’aggressione senza dover rispondere con un’altra aggressione. E senza faticare troppo. Ma molto più intensamente quello stile mi affascina come proiezione di quella logica di salvezza che compete alla fede cristiana e ne definisce il compito nella storia. L’impegno a salvare il mondo, sulla scia di Colui che è venuto proprio per questo, e non per giudicarlo, si articola in tante operazioni diverse. Salvare significa aiutare la gente a ridefinire il profilo della vita, della vera vita, quella che trascende le apparenze (trans/scandit: si colloca al di là) e accantona le mille cianfrusaglie che la cultura dell’effimero vorrebbe contrabbandarci come vita. Salvare significa recuperare gli strumenti idonei a coltivare quella vita, evitando di estenuarsi a battere l’aria nei labirinti del non-senso. Salvare significa anche sedersi sulla spiaggia dove altri hanno rovesciato il contenuto di reti che hanno pescato di tutto, pesci buoni e cocci di bottiglia, e mettersi al servizio dell’opera di selezione. Accoccolata sui calcagni, molta gente lavora sulla spiaggia a capare i pesci buoni. E’ l’alba. Il fischio tenuto dal pescatore più anziano scivola sull’onda che accarezza appena la sabbia. Sarà una buona giornata.

La volontà di spegnere i focolai di guerra e di violenza

Le celebrazioni perugine del V Centenario della morte della Beata Colomba da Rieti, di domenica 16 settembre, sono coincise con il momento internazionale molto teso in cui è forte il timore di una guerra. Molto toccante è stata la solenne concelebrazione eucaristica nella basilica di San Domenico, dove l’arcivescovo di Perugia, mons. Giuseppe Chiaretti, il vescovo di Rieti, mons. Delio Lucarelli (accompagnato da 300 reatini) ed il provinciale dei Frati predicatori della provincia di santa Caterina da Siena, padre Fausto Sbaffoni, hanno messo in risalto, nei loro interventi, la figura della beata Colomba. “Una figura così bella e attuale, che molto fece per pacificare e riconciliare la società del suo tempo – hanno ricordato -. Un esempio di santità che oggi ci aiuta a leggere il senso della storia di ognuno di noi per affrontare al meglio il nostro cammino di vita. Il suo insegnamento possa essere motivo di fede, entusiasmo e speranza in questa stagione tanto tormentata – hanno auspicato – e possa aiutare a ritrovare la pace nella comprensione delle diversità tra i popoli”. “La nostra festa è oggi turbata da un velo di tristezza – ha detto mons. Chiaretti -. E non è neppure, o solo, la tragica morte di tanti innocenti, quanto l’improvvisa folle esplosione di odio e di terrorismo con la quale si apre il nuovo millennio, che tutti speravamo migliore del ‘secolo corto’ appena finito, stracarico di delitti. E’ ‘un giorno buio nella storia dell’umanità’ con una assurda dichiarazione di guerra all’umanità intera (e non solo ai simboli del potere di una grande nazione, che ha da sempre, comunque, il culto della libertà) per vendicarsi e fare ‘giustizia’, magari in nome di Dio, aggiungendo così delitto a delitto. Le parole ‘sgomento’ e ‘follia’ sono quelle più usate per indicare un comune stato d’animo, che è anche il nostro. E tuttavia la celebrazione che stiamo facendo ci impone altra prospettiva e altre considerazioni che vadano oltre la drammaticità del momento e ci aiutino a capire e a comportarci con saggezza”. “Quindici anni fa – ha ricordato mons. Chiaretti – Giovanni Paolo II, partendo proprio da Perugia, invitò i capi religiosi delle diverse fedi a ritrovarsi ad Assisi, altare del mondo, a pregare per la pace. Fu la sua personale marcia della pace Perugia-Assisi, ma nello spirito di San Francesco e fidando nella forza debole della preghiera e del dialogo. Ha poi continuamente ripetuto dinanzi a fanatismi e fondamentalismi religiosi che è bestemmia e delitto pensare di onorare il proprio Dio ammazzando uomini in nome di Dio! Ha scongiurato i potenti ad abbattere i muri della divisione e a compiere azioni giuste e coraggiose per costruire la pace. Ha esortato tutti a camminare lungo la via della riconciliazione e del perdono. Mons. Chiaretti, rivolgendosi agli studenti perugini che lunedì 17 settembre sono tornati a scuola – molti dei quali presenti alla fiaccolata di sabato notte (svoltasi dalla parrocchia di Pieve di Campo alla basilica di San Domenico in ricordo dell’ingresso a Perugia di Colomba il 17 settembre 1488) – ha augurato loro di “cogliere questa tragica occasione per sviluppare un discorso serio sulla pace. Non è con le sterili manifestazioni urlate, cariche di parole pesanti come pietre, che matura la pace, ma diventando noi pacifici, noi costruttori di pace nel tessuto delle quotidiane relazioni sociali. La pace, come diceva Giovanni XXIII, ha i suoi pilastri inconfondibili nella verità, nella libertà, nella giustizia e nell’amore…”. Solenne è stata la “commemorazione storica” della beata Colomba, che si è tenuta, nel pomeriggio di domenica, nella sala dei Notari del palazzo comunale dei Priori, alla quale sono intervenuti diversi accademici dell’Università degli Studi di Perugia. Significativi sono stati gli interventi dei presidenti delle due Province, Giulio Cozzari e Giosuè Calabrese, e dei sindaci delle due città, Renato Locchi e Antonio Cicchetti. Nel tenere ben presente la figura della beata Colomba ciò che ha rappresentato cinquecento anni fa e ciò che è oggi per Rieti e Perugia, hanno detto che “occorre che le due città, unite dalla storia e dalla spiritualità, svolgano un’azione di pace concreta caratteristica della terra umbra e sabina. Ognuno deve pensare a creare un clima di pace – hanno sottolineato -, riflettendo su questi gravi problemi a partire dal nostro piccolo. Da questa splendida giornata della memoria della Beata Colomba, che ci ha fatto riavvicinare gli uni agli altri, ci sono le basi di una collaborazione a vantaggio delle nostre genti – hanno sostenuto -, così da contribuire alla crescita e al progresso culturale ed economico dei popoli della terra attraverso forme di solidarietà che favoriscono la pace”.

Alla ricerca di nuovi linguaggi per annunciare il vangelo ai giovani

Venerdì 7 settembre il centro diocesano per la pastorale giovanile e tutti i rispettivi animatori dei gruppi delle varie parrocchie, si sono incontrati per discutere in merito al programma per le attività diocesane dei ragazzi delle scuole superiori. L’ anno pastorale che si apre trova nei giovani un obiettivo davvero importante visto il prossimo convegno regionale che si svolgerà a novembre ad Assisi sul tema “Le Chiese in Umbria interpellano ed interrogano i giovani sull’evangelizzazione” e la prossima assemblea diocesana incentrata sui nuovi linguaggi per annunciare il vangelo ai giovani.

Le esperienze fatte l’anno passato hanno coinvolto molti ragazzi e hanno stimolato molto la collaborazione tra diverse parrocchie in questo lavoro. Quest’anno l’obiettivo sarà ancora più impegnativo: c’è la necessità di giungere agli altri, anche a quelli più lontani e lo scopo degli incontri sarà appunto quello di fare dei nostri ragazzi degli evangelizzatori.

Sabato 15 settembre ci sarà la giornata di inizio anno a Pozio a partire dalle 9,30 per tutto il giorno con pranzo e cena mentre il 7 ottobre si svolgerà un pellegrinaggio di solidarietà ad Assisi con partenza alle ore 14 e rientro per cena. Anche la tradizionale veglia di S. Florido del 12 novembre alle ore 21 in Duomo sarà animata dai giovani. Il 20 dicembre e il 17 gennaio ci saranno due incontri presso il seminario diocesano con inizio alle ore 19 e con cena. Il 15 febbraio si svolgerà il tradizionale appuntamento di inizio quaresima con imposizione delle ceneri. Il 21 marzo un altro incontro in Seminario alle ore 19,00.

A partire dal lunedì di Pasqua fino al mercoledì successivo sarà la volta del consueto pellegrinaggio. Quest’ anno l’itinerario sarà in Toscana da Monte Uliveto a Sant’ Antimo. Il 16 maggio poi l’incontro conclusivo. A questi momenti spirituali si affiancheranno momenti più ricreativi con lo scopo di fornire una possibile alternativa a ciò che comunemente ci offre la nostra società. Verrà organizzato un sabato sera diverso con il coinvolgimento dello Chemin neuf e una festa di carnevale per il giovedì grasso. Agli animatori saranno poi dedicati tre appuntamenti: l’assemblea diocesana del 22 e 23 ottobre, il convegno regionale del 16 – 17 e l’8 novembre e un ritiro presso il seminario diocesano dalle 15,00 in poi per la Vigilia di Pentecoste.

Orvieto: 3500 gli iscritti nelle scuole del comune

Alle ore 8.30 di lunedì 17 settembre è ritornata a suonare la classica campanella d’apertura in tutte le scuole della Repubblica. E a frotte i ragazzi con cartelle o bauletti in spalla hanno ripreso ad affrettarsi, non senza una punta di inevitabile emozione, per le strade che essi conoscono assai bene. Quelli per i quali ancora sono nuove, ve li hanno accompagnati i genitori, per lo più mamme. Le Autorità, sia civili che religiose, più sensibili, cominciando dal Ministro della Pubblica Istruzione, Moratti, e giù giù fino a quelle comunali, e dal Papa ai vescovi e ai parroci più dispersi, hanno creduto opportuno esprimere un saluto ed anche l’augurio più bello del cuore. Anche noi, da queste colonne, rivolgiamo a tutti ragazzi del nostro territorio e delle nostre parrocchie il voto più felice dell’animo, perché almeno il loro mondo sia in pace e non costernato da incubi di guerra, perché possano attendere felicemente alla loro preparazione spirituale ed umana, attingendo dalla cultura, dalla scienza, e dal contatto quotidiano della vita, sotto l’ esperta guida dei loro insegnanti, quella sapienza che più giova all’uomo, lo rende libero e responsabile di fronte ai condizionamenti del mondo presente e lo dispone al raggiungimento di quei traguardi e destini che nella esistenza prima, e fuori del tempo poi, in comunione di amore e di gioia, costituiscono l’unica insostituibile ragione del proprio vivere. Solo così si preparerà, si costruirà e si assicurerà l’avvento di quella civiltà ideale che vedrà tutti i popoli affratellati, nella pace, nel godimento dei beni comuni e nella libertà. Ciò è il minimo che possiamo fare per il loro bene. Quali sono, ora, le novità previste per l’anno scolastico 2001-2002 per quanto riguarda il nostro territorio comunale? Alla data odierna (i dati sono ancora provvisori) la popolazione scolastica si attesta oltre le 3.500 unità: 402 iscritti alle materne, 791 alle elementari, 552 alle medie, 1.768 alle superiori (559 al Liceo scientifico, 337 all’Istituto d’arte, 220 al Liceo classico, 652 complessivamente tra Ipsia e Itcg “Maitani”). Nella fascia dell’obbligo sono circa 560 gli alunni che fruiranno dei trasporti scolastici, circa 1.569 quelli che si serviranno delle mense comunali. I servizi di trasporto su Scuolabus funzioneranno sin dal primo giorno di scuola, i servizi mensa avranno inizio nelle date decise dalle Scuole stesse. Il servizio di scuolabus è confermato per i minori di Bagni, Morrano, e Pian del vantaggio. Anche per questo anno scolastico proseguirà il servizio di trasporto dei bambini del Comune di Porano che frequentano le medie inferiori ad Orvieto (grazie al protocollo di intesa, sottoscritto per la prima volta lo scorso anno tra i detti comuni a partire dall’anno scolastico 1999/2000. Anche quest’anno il Comune di Orvieto procederà alla fornitura gratuita parziale o totale dei libri di testo gli alunni delle medie, estesa anche agli alunni del primo anno delle Superiori: novità invece è l’erogazione, ai sensi della Legge n.62/2000 e della delibera della Giunta regionale n.893/2001, di borse di studio a favore di studenti residenti nel Comune. Il relativo avviso è in pubblicazione. Per i destinatari delle borse di studio si ritiene il percepimento di un reddito familiare non superiore ai 30 milioni. L’importo delle borse di studio sarà definito dall’Amministrazione comunale entro i seguenti parametri: scuole elementari, importo massimo L. 100.000; scuole medie, importo massimo L. 150.000; scuole secondarie superiori, importo massimo L.300.000. Gli interessati potranno avere tutte le informazioni presso l’Ufficio relazioni con il pubblico e l’Ufficio servizi sociali ad Orvieto centro e agli uffici comunali decentrati in Orvieto Scalo. Le relative domande dovranno essere inoltrate all’Amministrazione comunale entro e non oltre le ore 14.00 del 1’ottobre 2001.

“Nel cuore di tutti pensieri di saggezza e propositi di pace”

Molti i fedeli che nella chiesa di San Giovanni hanno partecipato, in un clima di grande raccoglimento, alla funzione religiosa officiata dal vescovo mons. Pietro Bottaccioli in suffragio delle vittime degli attentati d’America e per la pace del mondo. Notata la presenza, per il Comune, dell’assessore Pierangelo Bianchi e del comandante dei vigili urbani Elisa Floridi; sono intervenuti al completo i componenti della locale stazione della guardia di finanza. Appropriato e di qualità il servizio liturgico della corale “Cantores Beati Ubaldi” diretta dal maestro Renzo Menichetti: sono stati eseguiti i canti della Messa da Requiem di Gabriel Faurè. Già martedì 11 settembre, durante la solenne concelebrazione per la Festa della traslazione, quando giungevano le prime incomplete notizie dei gravi attentati alle “Torri Gemelle”, il Vescovo aveva invitato alla preghiera i fedeli che in gran numero affollavano la Basilica di Sant’Ubaldo. “Fatti ormai consapevoli – ha esordito mons. Bottaccioli nell’omelia di domenica – dell’immane tragedia che ha colpito l’America ed ha sconvolto il mondo e nel timore che sul funesto evento possa innescarsi la spirale dell’odio e della violenza, ci raccogliamo oggi nella preghiera di suffragio e di impetrazione perché Dio susciti nel cuore di tutti pensieri di saggezza e propositi di pace”. Dopo aver sottolineato la dignità della persona umana ed aver espresso netta condanna del terrorismo e di ogni sua giustificazione, il Presule ha così proseguito: “Di fronte a questo nuovo nemico che all’inizio del Terzo millennio attenta alla pace del mondo, noi caldamente imploriamo per i responsabili della sorte dei popoli la virtù della prudenza per una risposta che sia una risposta di civiltà che, mentre punisce i responsabili di così gravi crimini contro l’umanità, rifiuti con ferma determinazione la violenza che semina odio e superi e operi sulla via del dialogo e della solidarietà per la nascita di una nuova era di pacifica cooperazione internazionale. Il Papa, ricevendo questi giorni il nuovo Ambasciatore degli Stati Uniti d’America, ha auspicato una rivoluzione delle opportunità che permetta a tutti i membri della famiglia umana di godere di una esistenza degna dei benefici di uno sviluppo veramente globale”. A questo punto il Vescovo ha sottolineato come occorre da parte di ciascuno “un sincero esame di coscienza per una serie presa di posizione non teorica, ma calata nel tenore di vita quotidiano contro una cultura invadente che mentre stordisce con il miraggio dell’espansione illimitata dei desideri rende colpevolmente sordi ai focolai di disperazione che si accendono nelle aree più povere del mondo, facendosi germi di incontenibile violenza”.

Festa patronale Madonna del Ponte

I festeggiamenti per la festa della Madonna del Ponte a Passaggio di Bettona hanno avuto il loro momento culminante sabato 8 settembre quando il Vescovo mons. Sergio Goretti ha amministrato il sacramento della Cresima a 32 ragazzi di Bettona e di Passaggio e per la prima volta insieme. Nel corso della settimana tutte le componenti della comunità hanno avuto un momento particolare di festa: gli sposi e i fidanzati con un incontro sulla attualità del matrimonio cristiano, le coppie meno giovani ed i nonni con la festa per 50’anniversari. Per i giovani c’è stato un concerto rock che ha coinvolto con entusiasmo centinaia di giovani in una festa di autentica amicizia e unità; per i bambini, giochi in piazza, per tutti la bella cena comunitaria con la festa dei 25’di matrimonio. Tutte le iniziative, a parte quelle liturgiche, si sono svolte al teatro Excelsior che, ad un anno dalla sua inaugurazione, si rivela sempre di più cuore della vita sociale della parrocchia, del Comune e del territorio. Un’assemblea di verifica ha presentato la situazione economica: la ristrutturazione è costata complessivamente oltre un miliardo, spese in larga parte già coperte dalle offerte libere di famiglie e ditte della parrocchia, per ben 342 milioni, alle quali si devono aggiungere le collaborazioni volontarie di tecnici e professionisti del posto che hanno operato gratuitamente o per compensi quasi simbolici. Prezioso è stato il contributo della Conferenza Episcopale Italiana (attinto dai fondi dell’8 per mille), generoso quello del Vescovo e della Curia vescovile di Assisi (che anche in questo modo ha confermato il proprio apprezzamento per l’iniziativa). La relazione delle entrate e delle uscite è stato fatto con cura e precisione. Il tutto è documentato ed è a disposizione in parrocchia per quanti volessero maggiori informazioni. Rimangono ancora da pagare poco più di 200 milioni e per far fronte al debito si sta per accendere un mutuo decennale presso una banca locale. Per sostenere l’onere per il pagamento delle scadenze dei ratei, si dovrà continuare a contare sulla generosa contribuzione delle famiglie, soprattutto in occasione delle benedizioni pasquali; inoltre è stata stipulata con l’amministrazione comunale una convenzione che garantisce un contributo annuo a fronte della possibilità di utilizzo della struttura per spettacoli, manifestazioni e iniziative varie da parte del Comune. In un solo anno, la comunità parrocchiale e diocesana ha fatto fronte a più dell’80% dei costi di un’opera che, come afferma con una punta di orgoglio il parroco, don Enrico Rotati “tutti apprezzano e molti ci invidiano”.

Bastia: una città fortemente attaccata alle sue tradizioni

Assorbe l’entusiasmo, l’estro giocoso e l’esuberanza creativa dell’intera città la festa del patrono S. Michele Arcangelo, convogliando energie più o meno giovani nel trionfo della fantasia e nell’agonismo dei rioni. E nasce da un contesto e da un significato essenzialmente e profondamente religioso, che, senza paradossi, si radica in una manifestazione artistica capace di unire una città, anche nelle sue passate generazioni. Proprio il senso forte di una riscoperta della comunità e di una sua più salda coesione, di cui la festività riesce a rendere partecipi, è il valore sul quale il parroco, don Francesco Fongo, vuole invitare a riflettere. Don Francesco, qual è il significato principale che va accostato alla festa? “La festa dei rioni è la festa del Patrono e quindi della comunità cristiana e in modo specifico per Bastia, viene a costituirsi come uno tra gli appuntamenti più importanti dell’anno, il maggiore per eccellenza, se si escludono le festività liturgiche ordinarie. Sicuramente per la partecipazione e il vivace interesse, che stimola l’attenzione e la passione dei bastioli, ad investire la piazza nella loro numerosa presenza e a costituirsi, pur nella rivalità dei quattro rioni, come gruppo solidale di una città fortemente attaccata alle sue tradizioni ed aperta, attraverso la volontà di migliorarsi, verso molteplici possibilità future. Il valore che deve perciò essere messo in primo piano è quello della comunità e l’invito è quello di intervenire, per sentirsi parte viva di una città in fermento. Da un punto di vista più organizzativo, la festa diventa rilevante perché oltretutto fa da cerniera tra l’ultimo anno pastorale, che si va concludendo con le celebrazioni settembrine del Sacramento di Prima Comunione e del Sacramento della Cresima, e la nuova programmazione dell’anno in corso. In questo senso diventa pregnante rilanciare le attività, la vita della parrocchia, in quel momento di aggregazione fortunato, che vede l’interesse della maggior parte della popolazioni”. Che cosa si chiede ai bastioli? “Il ripartire in questo momento specifico con la vitalità delle tante attività, con il rilancio dei gruppi, funge da pretesto per interrogarsi sulla qualità della propria fede, e di che cosa essa ha bisogno per una sua individuale maturazione e trovare risposte in quello che la comunità ci offre, canalizzandolo in una riflessione personale, però non abbandonata a se stessa. Vorrei veramente che la gente capisse la ricchezza della comunità, il suo valore, e ne fosse consapevole. Oggi c’è un bisogno indispensabile di fermarsi a pensare sul significato della propria esistenza. Se prendiamo gli avvenimenti degli ultimi giorni, ci si accorge come la tragedia americana, questa tragedia collettiva, ha fermato nel silenzio un’umanità che correva verso il baratro del nulla, rapidamente verso la morte e nel non senso del suo frenetico fare. E brutalmente ci ha posto di fronte alla essenzialità della vita”. Come si pone in questo senso la festa di S. Michele Arcangelo? “La festa del Patrono ci immette in questa dimensione, rivalutando la Comunità cristiana come un punto di riferimento morale e spirituale e il vettore privilegiato verso il rapporto con l’Assoluto, di cui l’uomo ha bisogno. Per sollevare anche i pensieri di chi non è credente. In questo contesto deve essere di stimolo alla città, perché possa acquistare un volto umano nel confronto tra le varie forze, nell’accoglienza di chi ancora non ne fa parte, nella distribuzione dei beni.

Scuola di “pesca a mosca” a Borgo Cerreto: oltre 50 allievi

Prosegue l’impegno di Legambiente nella gestione degli ecosistemi fluviali nel territorio della Valnerina, in particolare nel tratto a regolamento specifico No-kill del fiume Nera divenuto dopo sette anni di gestione uno spazio ambientale unico nel suo genere, un luogo irrinunciabile per tutti i pescatori che amano la natura e intendono rispettarla integralmente. Il flusso d’utenti è in continuo incremento, non solo dalla nostra Regione ma anche da tutto il resto d’Italia e persino dall’Estero: proprio in questi giorni, accompagnati dalla famosa guida di pesca Niccolò Baldeschi, un gruppo di Canadesi ha varcato l’Oceano per pescare nei migliori fiumi italiani, e in quest’avventura itinerante di certo non poteva mancare il tratto No-Kill del Nera. Ad oggi abbiamo registrato circa 6.000 presenze: un significante contributo per l’economia locale che attinge da questa forma di sviluppo sostenibile, che, tra l’altro, grazie alla particolare gestione di Legambiente, in convenzione con la Provincia di Perugia, è in grado d’ autofinanziarsi e, pertanto, di non costituire minimamente un peso per la pubblica Amministrazione. Un tassello che va ad aggiungersi al reticolo che Legambiente ha laboriosamente costruito negli anni in tutto il territorio della Valnerina grazie alle preziose forze di volontariato e alla collaborazione delle istituzioni locali, un elemento che va a rafforzare gli obiettivi dell’Associazione volti alla tutela e conservazione del patrimonio ambientale attraverso forme di sviluppo sostenibile e con il supporto di un’indispensabile scuola di educazione ambientale. Da questa politica d’intervento trasversale non potevano mancare opportunità per creare rapporti anche con altre Associazioni, tra cui la scuola italiana di Pesca a mosca di Castel di Sangro (Abruzzo) che in questi giorni, grazie alla preziosa disponibilità del comune di Cerreto di Spoleto, ha formalizzato la realizzazione di una sede per l’Italia centrale proprio in Borgo Cerreto: un binomio sinergico che nel perseguire un interesse comune può rappresentare senza dubbio, per la Valnerina, un’opportunità in grado di creare varie iniziative e progetti sostenibili. Forti della collaborazione instaurata lo scorso anno con l’Amministrazione della Provincia di Perugia, con Legambiente Umbria e con gli amministratori limitrofi al tratto No-Kill del Nera, la scuola italiana di Pesca a mosca come obiettivo si pone una proficua attuazione dei programmi previsti per la Valnerina, tesi sia all’insegnamento della cultura della pesca a mosca (in questo anno saranno coinvolte in particolare le classi giovanili) sia allo sviluppo di iniziative capaci di scaturire un ritorno tangibile per il territorio compatibilmente con gli equilibri naturali dell’ambiente. Un territorio caratterizzato da un patrimonio naturalistico ricco come quello della Valnerina non può che costituire l’elemento essenziale necessario ad una scuola che intende armonizzare nei propri insegnamenti anche un irrinunciabile rispetto per l’ambiente. Tutto questo è stato reso pubblico nella conferenza stampa che si è tenuta venerdì 14 settembre presso la sala consiliare del comune di Cerreto di Spoleto, appuntamento che ha coinciso anche con la presentazione agli allievi, complessivamente oltre 50, del programma didattico relativo ai corsi di pesca a mosca che la Scuola ha effettuato in Valnerina nelle giornate del 14-15-16 settembre 2001. Gli istruttori della scuola e il resto dei partecipanti hanno alloggiato nelle strutture ricettive di Cerreto, Vallo di Nera e Sant’ Anatolia di Narco. A quest’iniziativa, sino ad oggi unica per il territorio della Valnerina, erano presenti oltre che il Presidente nazionale della scuola italiana di Pesca a mosca e il Sindaco del comune di Cerreto di Spoleto anche le istituzioni del restante territorio, Legambiente Umbria e la Provincia di Perugia.

Un impegno: “Chiamati a trasformare il mondo”:

Potrebbe sembrare un’offesa al buon senso e al buon gusto che la parrocchia di S. Rita (Spoleto), all’indomani della tragedia di New York, abbia deciso – e molto ha pesato il parere dei giovani – di tenere ugualmente la Festa del volontariato, da giovedì 13 a domenica 16. E invece no! Quale migliore risposta di questo “Evviva alla vita”? Bravissimi dunque i giovani di S. Rita che hanno insistito perché la Festa avesse ugualmente luogo. Chi è infatti il “volontario”? Colui che, gratuitamente, e quindi unicamente per amore, scende in campo, dona se stesso, il suo tempo, il suo cuore, se necessario i suoi beni, per sconfiggere la morte. I dirottatori degli aerei delle Twin Towers e del Pentagono sono andati alla morte per seminare la morte. Non così Gesù che morendo ha sconfitto la morte. Così i “suoi”, i “protagonisti della vita”. Questi sono i volontari. Abbiamo detto “protagonisti”: infatti, in questi quattro giorni i giovani sono stati veramente i protagonisti, i re della festa. Bisognava esserci per cogliere le meraviglie di un clima nuovissimo che ci ha fatto dire, un po’ tutti, “Eppur si muove!”. Chi? Spoleto, naturalmente, una città non diciamo addormentata, ma a quanto pare leggermente assopita. All’improvviso, ecco il miracolo. E’ bastato che un parroco suonasse un po’ di sveglia e tutto si è messo decisamente in moto. E non per qualche giorno, ma – come ci auguriamo – senza limiti di tempo. “Voltare pagina al mondo”: così hanno scritto i giovani, e gli inizi sono stati ben promettenti. Sono loro che hanno studiato il programma, loro che hanno individuato le personalità da interessare e chiamare per i temi delle varie giornate, loro che hanno inventato, per il 16, la “domenica giovane”. Tema generale della giornata conclusiva è stato infatti “Volontariato è giovane”. E giovani sono stati i cantautori del gruppo “Il mio Dio canta giovane”, venuti da Genova. Proprio un “tornado di Grazia, un’alluvione dello Spirito”, nel senso migliore del termine; “Mosaico” e “Movimento Rangers” sono stati veramente all’altezza, nella novità del gemellaggio “Spoleto-Genova”. “Mosaico” è un’associazione di volontariato fondata nel 1999 a Genova-Sestri Ponente da padre Modesto Seri, agostiniano, oggi parroco a S. Rita: “unire le persone, creare relazioni tra adulti, tra gruppi e associazioni”. Motivazione fondamentale dunque l’unità, come un mosaico, appunto. Risale ugualmente a padre Modesto il “Movimento Rangers” quando nel 1984 con cinque ragazzi decise di fondare un gruppo per tutti i bambini del quartiere (Castelletto-Genova). In inglese “ranger” designa il guardaboschi americano, o guardiano, e cioè il “custode” dell’ovile che è a guardia della porta, come nel Vangelo di Giovanni. Le pecore riconoscono la sua voce, garanzia di autenticità e di sicurezza, con tutta una serie di iniziative: riunioni settimanali, gite, bivacchi, campi estivi, spettacoli, giornalino di gruppo. Ecco allora il Gruppo Rangers di Sestri, quello di Madonnetta e finalmente quello di S. Rita a Spoleto. Oggi i Rangers operano nel sociale, principalmente nel campo della formazione, dell’educazione e della cultura nel segno della solidarietà e della carità. Lo spazio è tiranno. Non possiamo dilungarci nel riferire sulla Festa del Volontariato. Diamo soltanto una rapida scorsa alle quattro giornate, congratulandoci ancora per tutta la cornice di festa, con l’area di giochi per i bambini, la passeggiata in bicicletta di venerdì sera, le gare di calcetto, il gioco del coniglio, la pesca alla scatola, con ricchi premi, i gazebo per gli stands delle varie associazioni. Qualcosa che ha veramente colpito la città e ha riproposto con forza quel sogno di “insieme”, per cui ben 46 associazioni, presenti in città, hanno fatto esperienza di un’unità che poteva sembrare impossibile.

Contro lo scempio denuncia del Wwf alla magistratura

Ora sarà l’autorità giudiziaria a prendere una decisione sullo scempio che si sta compiendo lungo le rive del fiume Nera, nel tratto in cui il corso d’acqua attraversa il tratto urbano di Terni. Come abbiamo già avuto modo di dire da queste colonne, nei tre chilometri in cui il Nera attraversa la città, saranno tagliati 1.100 alberi, dei quali 600 a alto fusto e 500 arbustivi. Alberi sorti sulle due rive del fiume, alcuni dei quali di oltre cinquanta anni, che si stanno tagliando perché, così dicono i responsabili, potrebbero costituire un pericolo in caso di piena. Tesi decisamente contestata dalle associazioni ambientaliste. Tanto che la sezione di Terni del Wwf, in accordo con il Wwf Italia, ha presentato una denuncia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Terni a carico di chi risulterà essere il responsabile della operazione. L’atto giudiziario è stato redatto dall’avv. Marcello Marcellini e vi si precisa che è stato effettuato – e si sta ancora effettuando – un taglio indiscriminato di piante mentre dovevano essere abbattute solo quelle secche o quelle pericolose in casi di esondazione. Nella denuncia si rileva, inoltre, che la legge non consente il taglio simultaneo sulle due sponde, come in realtà sta avvenendo a Terni, ma si dovrebbe procedere, con tagli mirati, prima su un lato e poi sull’altro delle rive del fiume. “Se la magistratura, come riteniamo e speriamo – ha commentato l’avv. Marcellini – deciderà di aprire il procedimento penale, il Wwf si costituirà parte civile con richiesta dei danni in quanto si è prodotto e si sta producendo un danno ambientale di notevole consistenza”. Un danno, aggiungiamo, che sta modificando l’aspetto e il volto di una città, nella zona interessata dal corso del fiume. Nella denuncia è anche proposta una ampia documentazione fotografica che mostra il fiume Nera come era prima del taglio degli alberi e come è oggi, nelle zone in cui il taglio è stato effettuato. Non si sa se i lavori andranno avanti nei sei mesi previsti – tanti ne occorrerebbero per eliminare i 1.100 alberi – oppure se l’intervento della magistratura otterrà qualche effetto. Non resta che attendere. Non senza aver prima rilevato che l’eliminazione di una così consistente zona di verde in città produrrà un danno non facilmente sanabile. Come afferma un antico detto? Per far crescere alberi occorrono decenni; per tagliarli bastano pochi minuti.

Tornano alla luce i resti di un antico luogo di preghiera

Laddove il terreno precipita dalle alture di Peramata e Settecamini, sotto un manto di castagni turgidi e verdi e si estenua poco al di sotto più dolcemente fra vigne e olivi, deliziosi in questo settembre che riempie il cielo di luminose limpidezze, in quel poco spazio, restante tra la rupe di Orvieto, di rimpetto arcigna e solenne, ed un nudo montarozzo, messo lì da madre natura come una quinta per interdirgli il dilagare verso la pianura più ampia, luogo non tanto però stretto da non sembrare la platea di un teatro, più che naturale, in quel colossale semicerchio pastoso e virente appena tagliato sul fondo dal rigo d’acqua di una cascata come una miniatura, in quello spiazzo oggi si sta febbrilmente scavando, per strappare alla terra il segreto di una risposta. L’abbiamo detto già e lo ripetiamo, perché ci fa piacere riferirlo, che un manipolo di giovani universitari e neolaureati, dell’Università di Macerata, facoltà di Lettere e filosofia, armati di badili, di carriole, di zappe e picconi e di tutto quel che occorre insomma, guidati da una intrepida guida, la prof.ssa Simonetta Stopponi, archeologa di fama, validamente coadiuvata in ciò anche da un nostro concittadino, che vanta già una lunga militanza sul campo, il dott. Claudio Bizzarri, figlio di un altro insigne indimenticabile maestro, studioso e ricercatore etruscologo, il prof. Mario Bizzarri, dalla mattina alla sera curvi sotto il sole, fin dal 20 agosto u.s. ci stanno provando, perché ci credono. Consumano così le loro vacanze a tu per tu con la terra, la polvere, i detriti, come in una lettura impegnativa di un libro non facile. E bisogna essere grati a chi ha contribuito concretamente a sostenerli, fornendo mezzi e denaro, alludiamo ai vari enti statali, regionali e provinciali e locali, sensibili e solidali, ma soprattutto all’ alto spirito d’intendimento e di promozione culturale del Monte dei Paschi di Siena ed anche della Ducato Gestioni. Allora, ritornando alla località, questa da tempo, fin dalla fine del XIX secolo, è nell’occhio e nella mente degli studiosi e ricercatori. E’ segnata sulle carte come Campo della Fiera . Lo studioso Pericle Perali dice che il medesimo “fin dal XIII secolo è ricordato campus fori, campus nundinarum, lo storico Luigi Fumi, nel suo Codice diplomatico lo cita ” pleb(erium) Petrorii et Petramate seu S. Petri in Vetera o Veteri o Petroio” (n. XXXVI, pag 121. 320, 336): ci si attende da esso cose grosse per quanto riguarda la storia antica della città, sia sul versante etrusco che quello romano ed anche paleocristiano. E guarda caso la sorpresa è venuta proprio da questo ultimo, perché, agli occhi raggianti della acuta ricercatrice, improvvisamente emergenti da sotto un metro e mezzo di terra, sono apparse le restanti strutture, costituenti la pianta di un edificio sacro con relativa abside, chiaramente cristiano quindi, che è stato subito individuato per l’antica chiesa e convento di ” San Pietro in vetere o in vetera “, come già nominato. Lo si designava con il termine comune di piviere, o pieve, forse da plebarium comunità di cristiani con tanto di chiesa propria e topograficamente doveva delimitare a ponente il famoso campo della fiera, appena a monte del cosiddetto ponte di Rio Chiaro o odierno del Sole, dove appunto lo colloca con una certa precisione la ricostruita carta del contado di Orvieto nel 1282 prodotta da Elisabetta Carpentier, nella sua opera Orvieto A La Fin Du XIIIe Siècle, con tanto di sigla “deparu” scomparso. Era un sito importante, se la medesima lo cita oltre 30 volte, e come luogo sacro (dedicato all’apostolo Pietro), e come contrada ricca di vigne e particolarmente redditizia. Di detto edificio mancano le notizie esatte circa l’origine e la definitiva scomparsa. All’inizio forse sarà stato dei Premostratensi della Badia dei Ss. Martirio e Severo. Con data del 1232 esiste un rogito, un atto di vendita del detto complesso, chiesa e conventino annesso, ai Frati di San Francesco, da poco istituiti . Qui si maturò certamente la santità di frate Morico, uno dei primi compagni del Serafico, “detto anche parvulus, uno dei due, che il Serafico avrebbe destinato al Convento, fondato in Orvieto circa il 1222 nel sobborgo, fuori Porta Maggiore, detto S. Pietro in Wetere …(il Morico) vi tornava circa il 1224, conducendo seco il discepolo B. Ambrogio da Massa, avendolo trovato maturo alla religione del Poverello”. Morirono ambedue nel convento di città che nel frattempo era stato costruito, lasciando fama di preclari virtù. Per le notizie di cui sopra ci siamo giovati di quanto è riportato nella “Sancta Urbevetana Legio ” di Aurelio Ficarelli – Tip. Orfanelli- Orvieto.- e delle relative fonti . Riteniamo quindi che con l’attuale scoperta sia stata recuperata una grossa pagina di storia religiosa ed ecclesiale, ed intanto ne sia venuta fuori una indicazione preziosa, per via di quel veteri o, vetere, o vetera, che si dica, che nel linguaggio archeologico ha il suo valore, ben conoscendo la pratica degli antichi d’innalzare i nuovi su i vecchi luoghi di culto. Intanto le opere di rinvenimento continuano: si parla di un segmento di strada romana in perfetto stato di conservazione, di altrettante etrusche con edifici accanto. Per cui sta nascendo dal grembo della terra una vera e propria area, di enorme importanza archeologica, dalla quale dipenderà la definitiva scomparsa delle ombre che ancora insistono sulla.parte più recondita della storia di questa vecchia città. Il Vescovo intanto di Orvieto- Todi, con paterno gesto ha lasciato cadere tra le zolle rimosse, la sua benedizione foriera di grazie divine che rendono sereno il lavoro e non senza alcun esito le umane opere.

Celebrato l’anniversario della traslazione del corpo di Sant’Ubaldo

Gubbio ha ricordato, con la consueta solennità e nutrita partecipazione popolare, l’anniversario della traslazione del corpo incorrotto del Patrono, avvenuta sotto il Vescovo Bentivoglio l’11 settembre 1194, dalla Cattedrale di allora (presumibilmente nei pressi dell’odierna chiesa di S, Giovanni) alla piccola Pieve di S. Gervasio sul Monte Ingino, inglobata poi nella costruzione del grande complesso rinascimentale (1525) eretto grazie al determinante aiuto di Elisabetta ed Eleonora Della Rovera. Il riconoscimento ed il titolo di Basilica è avvenuto nel 1919. E proprio la Basilica di S.Ubaldo è stata il riferimento della giornata. Messe sono state officiate alle ore 7.8.9.11.12. Nel pomeriggio, per iniziativa delle Famiglie dei Ceraioli, ha avuto luogo un “pellegrinaggio” con partenza dal Duomo ed arrivo in Basilica, attraverso i tornanti dell’Ingino con sosta presso le tre piccole cappelle, alle ore 17 per partecipare alla solenne concelebrazione presieduta dal vescovo mons. Pietro Bottaccioli (servizio liturgico della corale “Cantores Beati Ubaldi”). In una chiesa gremitissima il Vescovo all’inizio della sua omelia ha invocato preghiere per le drammatiche notizie che arrivavano dall’America, sconvolta dal gravissimo attentato terroristico al cuore economico e politico di quella nazione. Dopo aver operato una cronistoria della “traslazione”, commentando la prima lettura mons. Bottaccioli ha affermato: “S.Ubaldo è quassù, ci dice la lettura applicata alla traslazione, non tanto per ricevere il nostro omaggio, ma per continuare il suo ministero di annunciatore della lieta notizia che è il Vangelo”. Interpretazione che si avvicina a quella del S.Padre Giovanni Paolo II secondo il quale “Egli vuole rimanere in mezzo alla sua città e diocesi per ispirare e guidare il cammino di fede del suo popolo”. Il Vescovo ha quindi aggiunto: “Salire quassù, venerarlo vuol dire ascoltare il suo insegnamento avvalorato dagli esempi della sua vita: una vita umile ricca di mitezza e di perdono, una vita impegnata per la giustizia e per la pace”. Mons. Bottaccioli ha poi concluso: “Beati noi davvero se sapremo accogliere l’eredità spirituale del nostro Patrono, fatto lui stesso Vangelo per noi , perché fedele seguace del Signore Gesù”.

Salvaguardare la famiglia per rendere più matura la società

Cosa sta succedendo presso il convento della Chiesa Nuova? E’ sabato 8 settembre, metà pomeriggio: l’ingresso appare stracolmo di fiori ed ogni passaggio risulta ostruito; alcune donne con abilità confezionano mazzi ed addobbi. Veniamo da Sanremo, afferma una di loro; non avverte il profumo? Guardi che varietà: gladioli, garofani, gigli, lilium, rose, gerbere, orchidee… Fuori, nella piazzetta antistante al santuario il guardiano dell’attiguo convento padre Gianmaria Polidoro appare travolto dall’ultima fase dell’organizzazione della Festa della Famiglia: “Il Comune di Sanremo e l’Associazione Amici abruzzesi in Liguria hanno partecipato con splendida generosità offrendo 29.000 fiori per guarnire la chiesa e per preparare gli ornamenti che coppie di fidanzati e di coniugi potranno scambiarsi. La comunità francescana della Chiesa Nuova intende rendere significante la Festa della Famiglia partendo dal presupposto che è in gioco una istituzione nevralgica, esposta oggi a pericoli ed eventuali decadimenti in nome di una semplice e fragile convivenza. Salvaguardare la famiglia significa rendere più matura e solidale la società”. Il programma, ravvivato dalla cerimonia floreale, si è dipanato durante l’arco dell’intera domenica, a partire dalla Messa celebrata durante la mattina. Nel primo pomeriggio, presso la piazzetta dove venivano distribuiti mazzi di fiori, è risuonato l’inno di Assisi. Davanti al gonfalone municipale il sindaco Bartolini ha analizzato le ragioni della trasformazione della famiglia che reclama la difesa delle istituzioni, mentre il vescovo Goretti si è soffermato sulla crisi della famiglia in Italia meno grave rispetto ad altre nazioni ma senza dubbio preoccupante: “Un nuovo costume vorrebbe introdurre correttivi e sostituzioni: occorre rispettare forme diverse di convivenza ma non è possibile incentivarle”. Omaggi e ringraziamenti sono stati contraccambiati dal rappresentante del comune di Sanremo e presidente dell’Associazione floricoltori, che ha parlato a nome della delegazione di categoria giunta in Assisi. Dopo l’accensione della Lampada votiva nel fondaco paterno di san Francesco, i presenti si sono raccolti nella Sala della Biblioteca francescana dove è stato possibile ascoltare le parole di padre Felice Rossetti ideatore della manifestazione e del provinciale dei frati minori Massimo Reschiglian. Hanno ritirato la medaglia d’argento, al posto di Antonio e Maria Commissari (ormai defunti), già “patriarchi” della famiglia premiata in questa ottava edizione della festa, i figli Celso ed Elisa. Un apposito inno composto dal maestro Giomarelli ed il concerto dei Cantori di Assisi hanno concluso la manifestazione. Ma giova a questo punto delineare la famiglia degna del riconoscimento, ovvero Antonio Commissari e Maria Ferrari, residenti una volta in Imola, genitori di 8 figli: Filippo, Giorgio, Vittoria, Aurora, Celso, Rosanna, Leo, Elisa. Antonio Commissari, contadino e successivamente operaio, animatore dell’associazionismo cattolico, professò le proprie convinzioni con la parola e con l’esempio. Scriveva il suddetto Antonio al figlio Filippo: “Quando penso che tu sei missionario e che Leo si accinge a percorrere la stessa strada ecclesiastica, mi sento smarrito e, guardando la mia pochezza, mi risulta chiara la misericordia immensa del Padre Celeste…”. Si raccoglie in queste poche righe la fierezza di un padre per due figli missionari: Filippo tuttora attivo come responsabile del PIME HOUSE a Hong Kong; Leo partito nel 1969 alla volta di una delle zone più povere del Brasile, vissuto da baraccato tra le favelas, in un contesto di miseria ed emarginazione esposto anche a forme di violenza, rimasto ucciso nella notte tra il 20 e il 21 giugno 1998, sognando il sorgere di un mondo nuovo. Così don Leo aveva scritto: “Ringrazio continuamente il Signore per il babbo che ci ha donato, un santo che ci ha generato e nutrito, anzi che non ha mai cessato di nutrire… Per non parlare della mamma che per l’amore che ci porta non guarda al peso degli anni e lavora veramente giorno e notte perché nulla ci manchi”. Anche Maria Commissari, appartenente a famiglia contadina, viene ricordata per generosità e saggezza, adempiente al suo ruolo con sacrificio quotidiano: una donna indispensabile per i figli e per il marito Antonio. Così ha scritto Elisa, offrendo l’immagine di una famiglia trasformata in “chiesa domestica”: “Si pregava regolarmente ogni giorno davanti ad un altarino, segno della compagnia del Signore nella casa. La mattina, prima del lavoro, si dava spazio alla Messa. Quindi, i più grandi, si recavano chi in fabbrica e chi presso degli artigiani, i più piccoli a scuola”. Questa in sintesi la storia di una famiglia esemplare anche per la sopportazione del dolore.

Per la prima volta il Palio dipinto da un’artista donna

E’ giunta alla sua 39a edizione la festa del Palio di S. Michele Arcangelo. Si svolgerà dal 20 al 30 settembre 2001, a Bastia Umbra. La festa del Palio è una manifestazione in cui si fronteggiano i quattro rioni: Moncioveta, Portella, S. Angelo e S. Rocco, sfidandosi su tre prove: la sfilata, i giochi e la lizza. Abbiamo domandato al presidente dell’Ente Palio, Erigo Pecci, quali cambiamenti e novità si prospettano in questa edizione. “E’ stato realizzato il nuovo Gonfalone dell’Ente, non più in versione serigrafica, ma in quella ricamata. Il Palio, quest’anno, per la prima volta è dipinto da un’artista donna, Elisa Lestini. Nella serata inaugurale, già dallo scorso anno, non più i bandi di sfida, dopo la benedizione dei mantelli e degli stendardi ma è previsto lo spettacolo dei Falconieri. Un altro aspetto da non sottovalutare è il ripristino a tutti gli effetti del Rionale, il giornale dell’Ente; è un modo per ridare una voce all’Ente stesso. Il 21 settembre presso il cinema Esperia di Bastia Umbra, ci sarà un incontro con i ragazzi delle scuole. A loro, in quell’occasione, verranno regalati dei foulards, con i colori rionali”. Quali aspetti importanti vengono confermati? “Una parte della Giuria dello scorso anno è stata confermata. Tutti i giochi sono gli stessi: il tiro alla fune, l’osteria, la corsa al sacco e il lancio dell’uovo. Dal punto di vista organizzativo, la prevendita dei biglietti avverrà nella sede dell’Ente, in via S. Angelo n 6. Gli orari delle sfilate sono stati posticipati, le tribune si chiuderanno alle 10.00 e dopo non si potrà più entrare.” L’Ente come cercherà di incentivare il senso d’appartenenza al proprio rione? “Il nostro intento è quello di rafforzarci. Tutti coloro che collaborano e lavorano nel proprio rione, dovranno essere iscritti sul libro rionale”. Come sta andando la promozione esterna alla cittadina? “Noi, come Ente, stiamo lavorando alla promozione nel comprensorio con la cartellonistica. Per quanto riguarda il rapporto con gli altri enti, importanti sono stati i contributi che ci sono pervenuti sia dalla Regione, sia dalla Provincia. Il più consistente ci è stato dato dal Comune di Bastia Umbra. Noi vogliamo insistere nel pubblicizzare soprattutto le taverne, come luogo di richiamo per la gente, che potrà degustare la tipica cucina umbra.” Pecci continua: ” l’Ente Palio in questi due anni ha lavorato bene. C’è da organizzare meglio il rapporto con alcune associazioni del territorio, visto che ora l’Ente può camminare da solo e può considerarsi anche una risorsa per la città. Tutto ciò è stato possibile grazie al lavoro dei Consiglieri dell’Ente, persone che si sono impegnate, che hanno ideato tutto quello che la gente vede in piazza. Un’organizzazione unita e motivata può dare molto”.

Scuola Media unica: finalmente una sede propria

Da quando è stata istituita la scuola Media unica, per la diffusione dell’istruzione su tutto il territorio nazionale, questo corso di studi a Cascia non ha avuto mai una sua sede. Costretto, all’inizio, a coabitare negli ambienti dell’edificio che ospitava le classi elementari, ha dovuto subire questa condizione per circa quarant’anni. I disagi che ne derivavano hanno indotto le autorità comunali e i presidi a cercare una soluzione che, sebbene si fosse più volte intravista, è sembrata sempre inafferrabile. Perciò il numero molto alto degli alunni, specie nei primi anni, ha richiesto la necessità di creare delle succursali; per superare questo ostacolo hanno dato una mano le suore agostiniane del Monastero di S. Rita, che hanno messo a disposizione delle aule sia per la scuola media sia per le elementari. Le attività didattiche, nonostante la dislocazione frantumata delle sedi, sono andate avanti consentendo agli alunni di conseguire dei buoni livelli di preparazione, e in alcuni casi anche ottimi. Ma la lunga convivenza con i disagi non ha distolto l’attenzione delle autorità, che si sono impegnate per cercare di offrire alla popolazione scolastica del comune una sede decorosa ed efficiente. Ed anche i terremoti hanno fornito un “aiuto”, danneggiando una prima volta nel 1979 la vecchia struttura condominiale di viale Cavour, riparata con interventi adeguati, ma che non ha resistito alle scosse del 1997, subendo tali lesioni da far decidere della sua demolizione. Dopo un breve periodo di transizione, con difficoltà aumentate per il reperimento di altri locali, finalmente si può dire che a Cascia esiste una struttura adeguata alle necessità di tutte le classi elementari e medie: l’Amministrazione comunale ha fatto sì che si recuperasse la costruzione in cemento armato, sito in località ‘La stella’, che fu eretta, senza mai raggiungere lo scopo, per ospitare l’Istituto Alberghiero; ma questo progetto è stato realizzato solo di recente, per l’interporsi di disavventure sismiche e giudiziarie, e di altro genere. I lavori eseguiti per renderlo funzionale hanno reso possibile la sua utilizzazione, sia pure parziale, a partire da questo anno scolastico 2001-2002, con prospettive di allargamento ad altri ambienti ancora da ultimare; la sistemazione anche degli spazi esterni adiacenti contribuirà a dare a tutto il complesso altre comodità indispensabili per le attività didattiche. Ora per l’Istituto comprensivo di Cascia che, oltre alle scuole materna, elementare e media, da questo anno include anche il corso superiore dell’IPSIA, si aprono nuove prospettive per migliorare le prestazioni e i risultati di tutti gli alunni, ai quali saranno dedicate più immediate premure e attenzioni sia dal nuovo capo d’istituto, la prof.ssa Franca Bologni, che ha insegnato nella scuola media di Cascia, sia da tutti i docenti, che per gli spostamenti previsti dall’orario e per eventuali supplenze non devono più fare la spola, con perdita di tempo e rischi di classi scoperte, tra diverse sedi.

“Mai la violenza risolve i problemi dell’umanità”

Le tragiche vicende dell’attacco terrorista contro gli Stati Uniti d’America hanno provocato grandissima emozione anche in Umbria ed è stato sentito il desiderio e il dovere di fare una manifestazione pubblica per esprimere sentimenti e propositi di condanna del terrorismo e di solidarietà al popolo americano. La riunione si è tenuta nella Sala dei Notari di Perugia ed è stata promossa dagli enti locali dell’Umbria (Regione, Province, Comuni), e vi hanno partecipato le forze sindacali e imprenditoriali, l’Università per Stranieri e una delegazione dei vescovi umbri con il loro presidente mons. Sergio Goretti.

Sarebbe lungo riportare i numerosi discorsi, sia pur brevi ed efficaci, che i singoli rappresentanti delle varie categorie di persone, dopo un minuto di silenzio, hanno rivolto alla assemblea che affollava la sala. Tutti comunque hanno deprecato con parole forti e convinte l’attacco terroristico, hanno espresso solidarietà e auspicato l’unità d’intenti nella lotta contro la violenza. Ha aperto la serie degli interventi il sindaco di Perugia Renato Locchi e di seguito tutti gli altri in un coro unanime di esaltazione dei principi e dei valori su cui si basa la democrazia e la convivenza civile nella società democratica occidentale.

Si è fatto riferimento anche alla tradizione non violenta dell’Umbria e dalla prossima Marcia della pace che si farà il prossimo 14 ottobre. Parole forti in tal senso sono state espresse dalla presidente della Giunta regionale Maria Rita Lorenzetti, che ha invitato a evitare la logica della vendetta. “Non possiamo dividere il mondo tra islamici e antiislamici” ha aggiunto, invitando a fare di tutto per evitare la spirale della violenza. Il vescovo Goretti è entrato anche nel merito di alcune questioni ricordando il ruolo degli Usa nella difesa della libertà, e ha ammonito con evidente allusione ai fatti di Genova, di “non scherzare con la violenza” e di non essere indulgenti nella sua giustificazione.

Nello stesso tempo ha ammonito di non lasciare irrisolti nodi pericolosi, situazioni disperate. L’umanità oggi ha i mezzi per risolvere molti problemi se ne avesse la volontà. Bisogna ridurre gli sprechi, cambiare lo stile di vita e agire con maggiore solidarietà verso tutti i popoli. Ha ricordato anche di non confondere la religiosità con la fede: la prima produce appartenenza e quindi distanza e differenza e può portare al fanatismo e porre su Dio delle “maschere” che non gli appartengono, mentre la seconda, la fede, è vero amore di Dio e del prossimo e ha citato “san Francesco, che proprio perché innamorato di Dio, ha saputo amare gli uomini e tutte le creature”.

Al termine dell’assemblea è stato approvato un documento che riportiamo in questa pagina. Da tutti i partiti politici, inoltre, sono giunte in questi giorni dichiarazioni di sdegno e costernazione per il tragico evento e parole di solidarietà per i cittadini americani. Decisa presa di posizione è giunta anche dalla “Tavola della pace” che promuove la marcia Perugia-Assisi del prossimo ottobre. “La condanna deve essere ferma, netta e unanime” hanno affermato Flavio Lotti e padre Nicola Giandomenico, appellandosi “al senso di responsabilità di tutti i capi di Stato e di Governo: non possiamo lasciarci travolgere da una inondazione di odio, sangue e terrore. Dobbiamo evitare di restare intrappolati in un vortice sanguinoso di violenza, guerre e terrorismo su scala mondiale”.

No alla guerra!

Un prete americano, a Perugia per studiare l’italiano, ha detto che i cittadini degli Stati Uniti, compresi i suoi parrocchiani, dopo l’immenso dolore e l’umiliazione subita per l’attacco terroristico, attendono la vendetta e sperano che sia dura. Ed ha raccolto in preghiera studenti italiani e stranieri, anche palestinesi cristiani, per ricordare le vittime e invocare la pace. Il pericolo che questa tragedia comporta è quello di cedere al senso di impotenza, rassegnazione, chiusura e demonizzazione generalizzata del mondo islamico da cui si pensa che provenga la minaccia del terrorismo. Sarebbe un cedimento alle mire distruttrici di coloro che vogliono mettere in ginocchio, insieme alla potenza economica, anche le conquiste di civiltà e di democrazia raggiunte con sacrificio e secoli di lotte in Occidente. Ed è pure un’illusione credere che si possa garantire la difesa della vita, della sicurezza e del progresso, solo attraverso il ricorso alle armi, chiudendo i canali della diplomazia e di quella necessaria mediazione che compete agli organismi internazionali troppe volte, anche recentemente e violentemente, contrastati e contestati, pur rappresentando un netto salto qualitativo nel processo di sviluppo civile della storia umana. A queste istituzioni, a partire dall’Onu, devono essere affidate le gravi questioni conflittuali che sorgono tra Stato e Stato in modo da approdare a composizioni pacifiche. Su questo punto anche l’Occidente, che oggi piange, ha le sue colpe, se si pensa alle risoluzioni dell’Onu non osservate nel vicino oriente. Una strada difficile, ma non ci sono altre vie percorribili, tranne la tragedia della guerra o della violenza terroristica. Dal punto di vista culturale, inoltre, si deve provocare il dialogo tra le culture in modo da “contaminare” i mondi dell’intolleranza e aiutarli a entrare nella logica di un umanesimo per cui la persona umana, ogni persona umana, anche quella del nemico e del colpevole, deve essere considerata “indisponibile” nella sua esistenza e nella sua dignità ad ogni potere umano e per ogni ragione politica. Nessun uomo di normale buon senso può considerare legittimo colpire l’innocente, l’inerme, i bambini, donne, vecchi, persone che non sanno niente del perché si spara o si mette la bomba, che non ha compiuto nessun atto contro quel determinato individuo o paese. E’ insensato anche giustificare il terrorismo con motivazioni patriottiche o religiose. I kamikaze non sono eroi e tanto meno martiri. Sono soltanto degli assassini pieni di odio, resi capaci, attraverso una forma patologica di indottrinamento, di uccidere e di distruggere la loro stessa vita. Il martire è colui che subisce la violenza, non voluta e deprecata, cercando prima di tutto di evitarla (Se vi perseguitano in una città, dice Gesù, fuggite in un’altra), o sacrificando per amore la propria vita, al posto di un altro, come ha fatto Massimiliano Kolbe, che si è offerto alla morte in un lager nazista al posto di un padre di famiglia. I kamikaze coinvolgono Dio e la religione in un’azione violenta, infangando il nome di Dio e della religione e ponendo le basi per un “sano ateismo” rispettoso dell’umanità, che può essere più dignitoso di una religiosità impazzita. Dio è un nome di pace e la religione autentica è una via di amore e una legge di rispetto della vita (Non uccidere!, è scritto nella Bibbia).

Per la prima volta tutti i docenti sono ai loro posti

Il 17 settembre la scuola riapre i battenti con tutti gli insegnanti ai loro posti. Una situazione che non si verificava ormai da molti anni sia in Umbria che in Italia. Soddisfazione dunque da parte dei tanti docenti che da anni erano in attesa di una nomina in ruolo, ponendo fine a quel carosello di supplenze che immancabilmente si verificava all’inizio di ogni anno scolastico. Soddisfazione anche da parte delle famiglie degli studenti che potranno veder garantita una certa continuità nell’insegnamento dei propri figli. Un anno scolastico che sembrerebbe dunque cominciare sotto i migliori auspici, anche se rimane ancora aperta la questione del riordino dei cicli, per la quale si dovrà ancora attendere le decisioni del nuovo Governo. Tutto bene infatti per la dirigente dell’Ufficio regionale scolastico Carmela Lo Giudice: “abbiamo lavorato molto durante l’estate: tutte le nomine in ruolo dei docenti, per un totale di settecento insegnanti di ogni ordine e grado, si sono concluse. Nello stesso tempo si sono esaurite anche le graduatorie per gli insegnanti di sostegno, così come le nomine dei supplenti, tanto che in alcune scuole del ternano l’apertura dell’anno scolastico è stata anticipata al 10 settembre”. Soddisfazione per questo avvio di anno scolastico viene espressa anche da parte di Ada Urbani, consigliere regionale di Fi, che rimprovera però alla Regione la “mancanza di un vero progetto per far decollare le istituzioni scolastiche come leva dello sviluppo”, e chiede ai docenti di “analizzare la realtà in cui operano in collaborazione con i comuni e le agenzie regionali, per dare risposte alle necessità di imprese, amministrazioni pubbliche e servizi”, oltre che “puntare alla collaborazione del sistema imprenditoriale per avere a disposizione risorse, indicazioni e possibilità formative nuove”. Ma qualcosa in questo senso già è stato fatto e si sta continuando a fare. “Nel corso di questi ultimi due anni – dice a questo proposito la Lo Giudice – abbiamo infatti stipulato degli accordi sia con le amministrazioni provinciali della regione per la gestione e la programmazione sul territorio di iniziative formative integrate, sia con i comuni e le agenzie di formazione. Certo è un processo lento, ma ci stiamo lavorando. Intanto – ha anticipato – ci stiamo occupando della organizzazione della Giornata europea delle lingue che si svolgerà il 26 settembre a Perugia, presso Palazzo dei Priori, in collaborazione con l’Unione europea, nel corso della quale si parlerà, in video conferenza con tutta Europa, dell’importanza della comunicazione “.

La tolleranza non basta

Il 12 settembre scorso si è chiusa la mostra sul viaggio del Papa in Israele dell’anno scorso che è rimasta aperta per una settimana nella sala del Dottorato, presso le Logge di san Lorenzo a Perugia, insieme alla mostra delle “Fonti”, costituita da grandi foto di alcuni tra i simboli religiosi più importanti delle religioni presenti nella Terra santa, la religione ebraica, quella cristiana, la musulmana e il tempio dei baha’i. La mostra è stata organizzata congiuntamente dalla diocesi perugina e dall’Ambasciata israeliana presso la S. Sede con il patrocinio della Provincia di Perugia, che ha fornito le strutture di supporto dei pannelli e la traduzione simultanea della conferenza. Vivo apprezzamento è stato espresso dai molti visitatori che hanno lasciato le loro impressioni nel registro. Fine dell’iniziativa, secondo gli organizzatori era quello di creare una cornice documentaria per un dialogo tra cristiani ed ebrei, che si è svolto in occasione dell’apertura con la presenza dell’ambasciatore Yoseph Lamdan, dell’arcivescovo mons. Giuseppe Chiaretti, di rappresentanti del Capitolo cattedrale e di personaggi della cultura e degli enti locali. Al momento celebrativo è seguito un dialogo vero e proprio con un’ interessante relazione del prof. Raphael Jospe, docente di filosofia ebraica, il quale ha trattato dal suo punto di vista la possibilità di un accordo tra le religioni del mondo nel rispetto delle diversità dei vari riti. Il principio di riferimento del discorso del professore israeliano è quello che non vi può essere pace tra gli uomini se non c’è pace tra le religioni. Per raggiungere l’obiettivo non è sufficiente la tolleranza, ma è necessario giungere ad un atteggiamento di reciproca “accoglienza”, ed ha citato a proposito un pensiero del card. Joseph Ratzinger, anch’egli a favore di rapporti di mutua accoglienza sincera tra credenti. La tolleranza infatti è solo un primo passo, non sufficiente, in quanto considera colui che ha una fede diversa come uno che è nell’errore. Al discorso di Yoseph è seguito un dibattito cui ha preso parte il moderatore della serata don Elio Bromuri, che ha deprecato il pericolo del sincretismo e dell’indifferentismo che i discorsi irenici possono introdurre ed ha proposto la via delle ricerca comune sulla base delle verità primitive e delle prospettive ultime che accomunano le religioni nella loro essenziale e originaria intuizione di fede. L’iniziativa è stata inquadrata da mons. Chiaretti tra quelle che in Italia sono state prese dalla commissione per l’Ecumenismo e il dialogo di cui è presidente, ricordando in particolare la giornata dedicata allo studio della religione e della cultura ebraica che si tiene ogni anno il 17 gennaio e che per il prossimo anno avrà per tema: “Noè camminava davanti a Dio”.

Protezione civile: l’Umbria si interroga sul futuro

L’Umbria è una delle regioni italiane che maggiormente si interrogano sul futuro delle attività legate alla Protezione civile, dopo la chiusura dell’Agenzia creata sulla scorta delle esperienze maturate nella fase di emergenza che seguì il sisma del 1997. Venerdì scorso, con un decreto legge varato dal Consiglio dei ministri, era stata abrogata la struttura prevista dalla riforma Bassanini del luglio 1999. Il provvedimento, che riconduce al premier tutte le competenze in materia, è stato proposto dallo stesso Berlusconi e dal Ministro dell’Interno. Un’iniziativa finalizzata – secondo quanto illustrato da Palazzo Chigi – a garantire una centralità politico-operativa per assicurare il corretto e regolare funzionamento delle strutture che lavorano nel settore. La decisione del Governo ha destato sorpresa in particolare tra le amministrazioni delle regioni italiane che negli ultimi tempi hanno subìto calamità naturali, dato che l’Agenzia era nata anche grazie al concorso della Conferenza unificata Stato-Regioni e aveva coordinato gli interventi di emergenza per le ultime alluvioni. Umbria e Marche sono intervenute in modo congiunto esprimendo stupore e rammarico per le scelte del Consiglio dei ministri. Dello stesso tenore anche la lettera scritta a Barberi dai sindaci di alcuni dei comuni umbri e marchigiani maggiormente colpiti dal sisma del 1997. In un documento unitario, gli amministratori di Gualdo Tadino, Fabriano, Bastia Umbra, Foligno, Nocera Umbra e Valtopina hanno espresso la speranza che il lavoro e l’esperienza di Barberi non si disperdano e che sia comunque garantito l’impegno in favore delle popolazioni colpite dal sisma di quattro anni fa. Luciano Tortoioli, il funzionario regionale umbro delegato per questo settore, spera che ora ci sia attenzione da parte del Governo nel ridisegnare al più presto competenze e percorsi. L’Agenzia diretta da Barberi, come struttura in parte esterna all’apparato statale, rispondeva all’esigenza di agilità per gli interventi in situazioni di calamità e il personale che la guidava garantiva continuità con le attività del dipartimento per la Protezione civile. Riusciranno le nuove strutture dirigenti a riorganizzare compiti e servizi in tempi brevi? Secondo Tortoioli, saranno decisive proprio le scelte relative al personale. Se dovessero cambiare i nostri referenti, ha commentato Tortoioli, potrebbe esserci una ripercussione anche sui tempi della ricostruzione, se non altro perché sarà necessario stabilire relazioni con i nuovi responsabili che avranno anche bisogno di conoscere e capire ciò che è stato fatto.

Carceri sempre più affollate da detenuti stranieri

Continua anche in Umbria il processo di riordino dell’amministrazione penitenziaria. A livello centrale si stanno privilegiando il decentramento delle competenze ai Provveditorati regionali, una nuova organizzazione di istituti e servizi penitenziari, l’ampliamento delle dotazioni organiche e l’adeguamento dei profili professionali. In che modo tutto ciò si riflette sulla quotidianità dei detenuti in Umbria e come funzionano in generale i quattro istituti di pena della regione? Molte risposte a questi interrogativi arrivano dalla relazione annuale sulle condizioni e l’andamento dei servizi penitenziari umbri, redatta dal provveditore regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Paolo Quattrone. Il rapporto illustra in modo dettagliato cifre e analisi relative ai quattro istituti di pena dell’Umbria (Perugia, Spoleto, Orvieto e Terni) e ai due centri di servizio sociale per adulti (Perugia e Spoleto). Il dato assoluto sull’affollamento non sembra essere particolarmente preoccupante, visto che al 30 giugno scorso risultavano presenti 1073 detenuti a fronte di una capienza totale degli istituti penitenziari di oltre 1100 posti. Un dato che, però, non deve ingannare. La situazione, infatti, risulta tranquilla nelle sezioni per detenuti ad alto indice di pericolosità, come i reparti destinati a coloro che sono vigilati in regime di 41 bis perchè considerati pericolosi e appartenenti alla criminalità organizzata. Ma le sezioni per i detenuti “comuni”, invece, sono quelle troppo affollate, con tutti i problemi che questo comporta. Su tutta la popolazione carceraria dell’Umbria le donne non raggiungono neanche la quota del cinque per cento e sono assegnate esclusivamente alla casa circondariale di Perugia, l’unica che ancora conserva la sezione femminile dopo la soppressione di quella del carcere di Terni attuata nel giugno 1999. Un detenuto su quattro (il 26,4 per cento del totale) è tossicodipendente, mentre quelli affetti da Hiv sono venti, tra i quali solo uno con Aids conclamata. La presenza degli stranieri negli istituti penitenziari sta aumentando negli anni ed è più che raddoppiata dal 1999 (195 unità, il 24,9 per cento del totale) al 2001 (409, pari al 38,1 per cento). Un dato che fa riflettere a fondo. Di sicuro è troppo semplicistico mettere le cifre in relazione ad una ipotetica maggiore pericolosità sociale degli stranieri, senza interrogarsi sulla possibilità di una loro minore tutela legale rispetto ai criminali italiani. Il rapporto del Provveditorato umbro dell’amministrazione penitenziaria fa una dettagliata fotografia anche degli eventi critici che coinvolgono i detenuti. Frequenti gli atti di autolesionismo (quasi 170 nel periodo in esame), 13 i tentativi di suicidio ma – per fortuna – nessuno portato a termine, 54 i ferimenti, vari scioperi della fame e due evasi dal permesso premio. Accanto a questi dati statistici, vanno però segnalate anche le tante attività formative e per il tempo libero offerte degli istituti di pena, realizzate anche grazie alla collaborazione di associazioni di volontariato e soggetti del non-profit.

Il terrorismo è il nazismo del XXI secolo

Pensavamo che gli orrori del secolo appena concluso appartenessero ad un passato non più ripetibile e che la lezione dell’olocausto avesse per sempre vaccinato contro i mostri che nascono dal “silenzio della ragione”. Non è vero: il terrorismo, così come si presenta oggi, è il nazismo del Ventunesimo secolo e non sarà facile cancellare la sua ombra dalle nostre vite quotidiane. E questo terrorismo è la ripresa in forma nuova della logica nazista perché: a) Considera il mondo con la mentalità delirante di chi lo vede diviso nettamente tra un Impero del bene e un Impero del male, in questo caso la civiltà occidentale, da distruggere con tutti i mezzi. Non contano, in tale ottica, le persone, le loro esistenze, la loro dignità; esse sono mezzi per la realizzazione del disegno di lotta contro il Male supremo: sono mezzi le vittime, meri numeri della contabilità del terrore da esibire come testimonianza del successo delle azioni distruttive compiute, sono mezzi quanti vengono scelti come carnefici, che si auto-immolano per la Causa. b) Non ha come fine nessun obiettivo concreto e determinato, per esempio la soluzione dei tanti problemi dei paesi su cui pesa l’incubo del sottosviluppo o dei conflitti che lacerano molte zone del pianeta. Ciò a cui mirano non è comprensibile con nessuna misura razionale: è unicamente la proiezione di una fissazione paranoica, per cui la terra va liberata da chi si ritiene nemico dei valori supremi che si crede di rappresentare. d) Non tollera ciò che è diverso, ciò che è incompatibile con i propri principi, ciò che non rientra nei canoni della Verità di cui ci si crede i soli portatori. Per questo considera tutto il mondo in un perenne stato di guerra, che non finirà finché il Nemico non sarà abbattuto del tutto. Non ci dobbiamo meravigliare che il terrorismo attuale non faccia differenza tra civili e militari. Dal suo punto di vista è sufficiente far parte del mondo occidentale per essere considerato un nemico oggettivo, anche se non esiste nessuna colpa specifica da attribuire alle vittime, adulti, vecchi, bambini: la vere e sola Colpa è essere diversi, riconoscersi nei principi della civiltà liberale e democratica, essere “infedeli”. e) Contro questa follia non serve portare argomenti razionali: chi ne è affetto ha già deciso tutto prima che noi possiamo semplicemente cominciare a parlare con lui. Vive in un mondo a parte in cui conta unicamente la sua immaginazione patologica basata sull’idea di una gigantesca trama universale ordita contro l’Islam e in cui nessun fatto concreto conta, nessun invito a riflettere, nessuna mano tesa, nessun dialogo. Cosa deriva da tutto ciò? Direi quanto segue. Rispetto al terrorismo, ma anche alle sue matrici ideologiche, radicate in questa profonda avversione ai principi della civiltà democratica (avversione che ha fatto e fa molti proseliti pure in movimenti nostrani, da cui anche recentemente sono venute “dichiarazioni di guerra” contro questa civiltà) non si può stare a metà strada: o di qua o di là. E chi, anche all’interno dei nostri paesi, usa, pur solo in parte, le loro categorie mentali, deve sottostare alla condizione minima di ogni società democratica: chi non accetta di tollerare gli altri e di usare la parola anziché la violenza va perseguito come la legge prescrive. Questo significa che ogni tentativo di giustificare il terrorismo da cui è nato l’attentato a New York, qualsiasi forma assuma, va respinto, così come va condannato, d’ora in poi senza attenuante alcuna, ogni accenno a simpatizzare, non solo nei fatti ma anche nelle parole, con esso. E’ tempo di prendere sul serio chi dichiara guerra al nostro sforzo di costruire una società pacifica, tollerante, pluralistica ( e inevitabilmente fallibile) ed è tempo di stabilire dei paletti fermi al dialogo, che vale solo con chi ne accetta previamente le regole. Come ammoniva Popper, quando una democrazia è debole verso i suoi nemici, interni ed esterni, è destinata a soccombere: e oggi tutto il mondo, tutte le istituzioni, ogni singola persona, devono sentirsi impegnati nella lotta contro questa minaccia, che non va a un paese specifico ma alla civiltà libera. Giustificare quanto è accaduto, per esempio, richiamandosi alle condizioni politiche di certe parti del mondo e alle tensioni che le contraddistinguono, significa non solo non aver capito la natura di tale terrorismo -i cui protagonisti sono i primi a non essere minimamente interessati a queste questioni, che appaiono futili dinanzi al loro disegno, che è nientemeno di salvare il mondo dal Male assoluto che la nostra civiltà rappresenta ai loro occhi-, ma anche essere, in vari gradi e talvolta inconsapevolmente, conniventi con esso. Non è più tempo di ammiccare ambiguamente, di dire “sì, è orribile, ma…”, di ragionare con riserve mentali più o meno esplicitate; è tempo invece di mobilitare ognuno di noi contro la minaccia che incombe sui valori per i quali, come ricordava il Presidente della repubblica Ciampi, 52 milioni di uomini sono morti combattendo a causa del nazismo. Le nostre società continueranno ad aprire le porte ai rappresentanti di altre culture, a praticare il dialogo con chi ci crede, a ospitare il diverso; ma da oggi in poi dovranno saper discriminare meglio di quanto non abbiano fatto fino ad ora, nelle politiche dei governi, nelle sedi sovranazionali, così come nei loro comportamenti quotidiani, tra chi intende convivere, rispettato nella sua differenza, in pace con gli altri e chi al contrario, nei modi più diversi, strumentalizza le garanzie della libertà per distruggere quello che in tante generazioni, da questa parte del mondo, si è cercato di costruire, a partire dall’accettazione della democrazia, in difesa della dignità della persona. Non sono d’accordo con quanti dicono che dall’ 11 settembre la storia del mondo cambierà totalmente; credo invece sia più giusto affermare che le nostre società democratiche saranno chiamate a vivere con più coerenza gli ideali cui si ispirano, tra i quali non c’è mai stata l’accettazione o la tolleranza della violenza e tanto meno la debolezza contro chi, terrorista o non terrorista, la usa o la propaganda o la giustifica come mezzo politico.

Cultura militante

Rientrano tutti. Quando il polverone della polemica si abbassa, le cose riprendono il loro vero volto; le eresie ridiventano quello che sono, verità parziali; i nemici ridiventano quello che sono, proprietari esclusivi di alcuni ingredienti necessari per rendere più saporita la torta che siamo chiamati a realizzare a più mani, tutti insieme ma che, invece di venire offerti al cuoco, sono stati sbattuti in faccia al padrone di casa. La spinta innovativa del marxismo ai suoi inizi indusse la Chiesa ad elevarle contro una muraglia di cemento armato prima ancora che il cemento armato fosse stato inventato. E a ragione. Come si fa a dire che “Il mondo è stato abbastanza pensato, è giunta l’ora di modificarlo”. Nessun uomo ragionevole, tanto meno se ha avuto in dono la visione trascendente del mondo, può accettare quell’ “abbastanza”. In realtà Marx si ribellava contro il suo maestro Hegel, che continuava a disegnare arabeschi ideali perfetti mentre il mondo rischiava di scoppiare; più che nella testa, quella frase gli è nata nel fegato. Eppure l’impostazione mentale del barbuto filosofo di Treviri imprigionata in quella frase infelice ha dato origine a quella “cultura militante” che, coi suoi pregi e i suoi difetti, ha dominato la scena europea per più di un secolo; e inutilmente gli ometti avidi di oggi cercano di cancellarla: ” I filosofi facciano i filosofi, – dicono al vento – i preti facciano i preti!: a cambiare il mondo ci pensa il mercato!” Bubbole. Ma la dottrina cristiana ne è stata provvidenzialmente contagiata, e non si torna indietro. Nella catechesi mistagogica del battesimo oggi si fa sempre più spazio l’accentuazione della seconda parte del rito, l’unzione col Crisma e l’assegnazione dei compiti fondamentali. “Sii sacerdote, re e profeta”. Sì, tu, proprio tu, batuffolo di carne rosacea guarnito di moccolo al naso, tu sei impegnato a cogliere la sacralità della vita e a pronunciare su di essa la Parola che giudica e salva, per lasciare il mondo un po’ meglio di come l’hai trovato. In tempi recenti la militanza cristiana è regredita, a favore di sospiri lacrime e sublimi fremiti dello spirito. Ma non è una bella cosa. Non è per nulla una bella cosa.

Colomba, un esempio di impegno per la riconciliazione e la pace

Un esempio di coerenza di vita, di impegno, in particolare di impegno per la pace e la riconciliazione; impegno contro l’indifferentismo, contro la demotivazione, la generalità e la massa che spesso caratterizzano il mondo di oggi…Sono questi i valori che Colomba da Rieti propone ancora oggi, a cinque secoli di distanza dalla sua nascita al cielo, nascita che la diocesi di Perugia-Città della Pieve, insieme alla diocesi di Rieti, si appresta a ricordare solennemente in questi giorni. Una fiaccolata dalla parrocchia di Pieve di Campo (Ponte San Giovanni) fino alla basilica di San Domenico a Perugia sarà tra i primi appuntamenti (sabato 15 settembre, ore 21.00) e un invito particolare è stato fatto ai giovani della diocesi perché insieme ai chilometri sappiano ripercorrere anche le “orme spirituali” della Beata che ha lasciato un notevole segno della sua presenza nella città di Perugia. E qual è stato questo segno se non quello di essere “angelo di pace” tra famiglie rivali, di essere portatrice di un messaggio di giustizia e il segno di un servizio infaticabile e caritatevole tra i malati di peste nell’epidemia che scoppiò negli ultimi anni del Quattrocento? Tutto questo viene tratteggiato in un profilo della Beata che verrà pubblicato in questi giorni in occasione delle celebrazioni del V Centenario del dies natalis, un profilo biografico dal titolo “Colomba da Rieti a Perugia – Ecco la santa, ecco la santa che viene…”, di Maria Luisa Cianini Pierotti, della Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Perugia. “Ai giovani di oggi – dice l’autrice – Colomba propone l’impegno che lei ha avuto verso i perugini. I giovani di oggi sono spesso indifferenti, demotivati… A loro viene proposta con Colomba una figura di ben cinque secoli or sono che è impegnata nel sociale. E’ vero c’è molto volontariato oggi, ma risalta più l’aspetto del carrierismo, del successo in sé e per sé, dell’arrivismo… Ecco perché il Vescovo la propone ai nostri giovani: Colomba, quando venne a Perugia era molto giovane, aveva 21 anni. Quando è morta ne aveva solo 34…”.Anni vissuti a promuovere pace e giustizia: “In un periodo di lotte intestine – continua la dottoressa – è stata interpellata dalle magistrature comunali, dai Baglioni che ne facevano uno strumento per aumentare il loro prestigio… ma lei non accondiscendeva ai signori in maniera servile: fu addirittura tacciata da molti di essere ‘partegiana’ degli Oddi. In realtà era al servizio del popolo; il suo messaggio era rivolto ad ammonire i signori. ‘A questi ruina minacciava’, racconta lo storico, se non ascoltavano le sue ammonizioni a favore dei poveri e del popolo”. Inoltre, altro aspetto della figura di questa Beata, “Colomba è una riformatrice degli ordini domenicani femminili: la sua è una vita semi-monastica, nel senso che per lei non c’è obbligo di clausura; vive di lavoro, nella società all’esterno del monastero, fa vita attiva, impegnata nell’assistenza ai poveri, agli infermi, attenta ai problemi degli ultimi, dei poveri…”.Insomma, la Colomba delle estasi (incontro con papa Alessandro) donna “bella e formosa”, piacente tanto da essere “attentata” nella sua verginità durante il suo viaggio verso Perugia, ma d’altra parte giovane casta che rinuncia al matrimonio già pensato dalla famiglia, per dedicarsi alla preghiera e al digiuno (si parla anche di una certa anoressia). Di tutto questo ci parla il nuovo libro sulla beata della dott.ssa Cianini Pierotti. Particolari che verranno illustrati anche durante l’intervento che l’autrice terrà nel pomeriggio di domenica prossima presso la sala dei Notari di palazzo dei Priori a Perugia, quando ci sarà la commemorazione ufficiale del V Centenario, presenti le autorità civili ed ecclesiastiche di Rieti e Perugia.

“Il futuro dei giovani è come lo vogliono gli adulti?”

Forse è stato il più importante evento del grande Giubileo del 2000: se per tutto l’anno si sono contati a Roma 25 milioni di pellegrini, solo la Giornata mondiale della gioventù ha riunito in una sola volta due milioni di giovani. “Cosa c’è dietro questo evento? Come mai si è riusciti a fare questa impresa?”. Sono le domande che Carlo Fuscagni ha rivolto a mons. Domenico Sigalini, incaricato del servizio nazionale di pastorale giovanile della Cei, uno degli artefici di quell’incontro, a Città di Castello nell’ambito della festa popolare “Stracastello”. Sigalini ha chiarito da subito che quei ragazzi “non erano figli di nessuno”. Quelli di Roma erano per lo più giovani che venivano dalle varie comunità cristiane e avevano alle spalle famiglie cristiane. Con loro c’erano quegli animatori che, durante l’anno, faticano per farli incontrare settimanalmente. A Tor Vergata si sono ritrovati tutti i giovani, quelli convinti della loro fede, ma anche quelli che stanno un po’ di qua un po’ di là e quelli, scettici, che si avvicinano soltanto per vedere. Rifacendosi al tema dell’incontro: “Giovani, il futuro con le nostre mani”, mons. Sigalini è voluto andare oltre la memoria degli eventi romani. E si è chiesto: il futuro dei giovani è come lo vogliono gli adulti? La generazione dei giovani che chattano in rete sembra accusare gli adulti di aver scippato loro il futuro; i grandi tengono ben saldo il loro presente. Sigalini ha proposto una provocazione: se è vero che i giovani sono il futuro, allora su di loro si devono investire molte energie, se invece sono considerati contemporanei degli adulti, allora i grandi si devono difendere. Oggi sembra che gli adulti debbano proprio difendersi dai giovani se è vero, ad esempio, che i cantautori che controllano il mondo giovanile hanno dai cinquant’anni in su. Anche oggi si nota questa sfiducia nei confronti delle giovani generazioni quando si sente dire: “ai miei tempi…” un ritornello sempre utilizzato per dire che l’oggi è peggiore di ieri! Come stanno veramente le cose? Sigalini ha tratteggiato un quadro dei giovani e delle prospettive future, un quadro che può apparire irreale ai tanti educatori che sperimentano tutte le difficoltà del mondo giovanile nei vari ambiti: dalla scuola, allo sport, alla Chiesa, ecc. Una prospettiva che prende però forza da quell’utopia che è capace di muovere la storia. I giovani – ha ricordato Sigalini – innanzitutto sanno dirsi l’essenziale della loro fede (“a che cosa vi attaccate voi cristiani?” chiedeva un giovane cercando interlocutori in internet. “Io, in quanto credente, mi attacco ad un pezzo di legno. Dopo aver sperimentato la morte di una amica gravemente malata, mi attacco all’annuncio di un giovane: “quello che era morto non è qui, è risorto” risponde una ragazza). I giovani sperano di trovare una risposta alla solitudine, hanno una grande necessità di affetto, di sentirsi qualcuno, di totalità. Riprendendo il commento sulla Gmg di un giornalista convertito al cattolicesimo, Sigalini ha parlato della generazione dei giovani di oggi come quella che segna il passaggio dai timorati di Dio agli innamorati di Dio. “I giovani sono talmente normali da vivere la fede dentro i rapporti di amicizia”. Con i giovani non bisogna mai utilizzare la parola “ormai”, segno di uno scoraggiamento di fondo: esempio è il Papa che non dice né questa parola, né “ai miei tempi”, ma ai giovani dice “voi siete all’altezza delle generazioni che vi hanno preceduto… Il Signore vi vuole bene anche quando noi lo deludiamo”.

Preghiera, meditazione e pellegrinaggio in Slovacchia

Ancora i giovani al centro della nostra cronaca: accanto a quelli dell’avventura in Brasile (vedi articolo sul n’21 de La Voce), ecco anche gli altri degli esercizi spirituali in Slovacchia nella settimana scorsa. Scrive dei giovani Giancarlo Milanesi che “possono considerarsi una risorsa per la vecchia Europa, solo però se si verificano certe condizioni favorevoli, tra cui l’uscire dalla mediocrità (vera o presunta), la ripresa della partecipazione critica, la ricerca della personalizzazione contro ogni frammentazione, il superamento del presentismo mediante la riscoperta intelligente della dimensione “tempo” (Ipotesi sui giovani – Borla – pag. 8). Troppo? No assolutamente! Solo che non manchi la proposta. Basti pensare all’entusiasmo con cui 36 nostri giovani hanno accolto l’invito dell’arcivescovo mons. Riccardo Fontana per un corso di esercizi spirituali in Slovacchia. Ed è stato appena dieci giorni fa, dal 26 agosto al 2 settembre. Si noti bene: “esercizi spirituali”, e cioè giorni di preghiera, di silenzio e di meditazione, in apparenza, quanto di meno gradevole si potrebbe immaginare per ragazzi che sembrerebbero non andare al di là della discoteca o, nel migliore dei casi, del calcio, infetti irrimediabilmente di superficialità e indifferenza, vittime appunto di un presentismo meschino, perduto ormai il quadro degli essenziali valori. Sono rimasti così con l’Arcivescovo presso un santuario mariano nei pressi di Kosice, hanno lavorato con impegno senza la minima stanchezza. Indubbiamente, il merito va anche all’Arcivescovo che ben capisce i giovani, pienamente esperto di linguaggi, istanze ed emergenze, ed insieme con il massimo della coerenza e del rigore, senza pericolose indulgenze. E’ quello che i giovani vogliono. Un’antropologia sicura, mai vaga o di compromesso, saldamente ancorata invece alla persona del Cristo: il “vangelo alla lettera”, come ebbe a intuirlo Francesco, proprio a Spoleto. Insomma, la via maestra per uscire dalla mediocrità, levarsi a un sicuro livello di critica, sentirsi nuovamente “persone” in tutta la forza del termine, superare ogni miopia presentista, riscoprire il cammino incontro al Cristo che viene, varcare i confini di ogni angustia ristretta, per esperienze nuove addirittura all’estero, in una Slovacchia finalmente indipendente, liberata dall’arroganza dell’implacabile materialismo della Cekia marxista. Ecco invece Kosice con la sua irripetibile atmosfera di fede e di serenità. Tutto è stato affascinante, fin dal primo ingresso: St. Polten e poi Spis, così bene accolti dal Vescovo, finalmente Kosice e la magnifica sosta. E dopo i sei giorni, il pellegrinaggio alla sede primaziale di Nitra, al sepolcro di san Metodio, l’apostolo degli Slavi e oggi il protettore d’Europa, inviato allora come legato dal papa Giovanni VIII, nell’880. Tempi difficilissimi, per il turbinio di interessi attorno alla corona imperiale, mentre l’Italia e Roma apparivano impotenti di fronte alle incursioni dei saraceni. Da Nitra, il viaggio ha ripreso in direzione sud, verso l’Italia, ora si è giunti attraverso l’austriaca Villach, alle porte del Friuli. Finalmente, Venezia, dove si è concluso idealmente il pellegrinaggio, alla tomba di S. Marco l’evangelista “leone” nella tradizionale raffigurazione teriomorfa, il più giovane, lo svolazzante Giovanni della notte del Getsemani.

C’è bisogno di una nuova “intelligenza della fede”

Siamo a settembre. A Terni si è accesa come non mai l’attenzione sulle varie tematiche relative all’università. I nuovi corsi di laurea che si avvieranno fin da questo anno hanno impegnato e impegnano tutt’ora le autorità accademiche, quelle politiche, vari settori della vita sociale; le nuove facoltà e l’incremento delle esistenti stanno offrendo prospettive nuove a tanti studenti e sono occasione di sollievo per le finanze di tante famiglie. Soprattutto, ci piace ricordarlo, lo sviluppo dell’Università sarà un bene pubblico: servirà ad aumentare il tasso di cultura della città e quindi segnerà, almeno così vogliamo pensare, un salto qualitativo della vita comune segnata da tanta mediocrità. Bene ha fatto la chiesa locale ad impegnarsi, nei limiti delle sue capacità e possibilità, a far sì che tutto questo diventasse realtà. La stessa comunità ecclesiale non deve dimenticare il suo Istituto di scienze religiose. Ad una città che si avvia ad essere più colta, la comunità religiosa deve offrire “una fede più pensata”. Non c’è bisogno solo di favorire l’incremento della pratica religiosa, di comportamenti più accettabili sotto il profilo etico, di una religiosità consolatoria; c’è bisogno di una nuova ” intelligenza della fede”. Per questo è nato l’ Istituto di Scienze Religiose e per questo vuol seguitare a vivere. E’ una possibilità da “sfruttare” prima di tutto dai catechisti, dai diaconi, ma anche dal clero che voglia aggiornare la sua cultura teologica, a volte, non nascondiamocelo, abbondantemente ricoperta dalle ragnatele e dalla polvere che il tempo deposita. E’ una possibilità offerta anche a tutti coloro che hanno un minimo di curiosità e desiderano andare oltre le poche conoscenze più o meno frutto del “sentito dire” e che spesso non vanno oltre una apparente approssimazione. La nostra impressione è che tra le cose a cui non c’è limite occupi una posizione di primo piano l’ignoranza religiosa. L’istituto di Scienze religiose ha avuto fin dalla sua nascita (primi anni ’70) una costante fase di espansione mantenedo le iscrizioni sempre al di sopra dei 60 alunni. E’ diminuito negli ultimi due anni fino ad arrivare al livello più basso l’anno scorso, quando gli alunni sono scesi al di sotto dei 50, qurantasei per la precisione. Vorremmo che il trend si invertisse, che ricominciasse l’ espansione. Ne ha bisogno la Chiesa locale e sarebbe una ricchezza per tutta la città. Ricordiamo che la segreteria del’ Istituto è aperta il martedì e il venerdì dalle ore 15,30 alle 19, che l’Istituto ha la sua sede in Via XI febbraio 4 ( a lato di piazza del Duomo) e il telefono è 0744-401518.

Preghiera, meditazione e pellegrinaggio in Slovacchia

Ancora i giovani al centro della nostra cronaca: accanto a quelli dell’avventura in Brasile (vedi articolo sul n’21 de La Voce), ecco anche gli altri degli esercizi spirituali in Slovacchia nella settimana scorsa. Scrive dei giovani Giancarlo Milanesi che “possono considerarsi una risorsa per la vecchia Europa, solo però se si verificano certe condizioni favorevoli, tra cui l’uscire dalla mediocrità (vera o presunta), la ripresa della partecipazione critica, la ricerca della personalizzazione contro ogni frammentazione, il superamento del presentismo mediante la riscoperta intelligente della dimensione “tempo” (Ipotesi sui giovani – Borla – pag. 8). Troppo? No assolutamente! Solo che non manchi la proposta. Basti pensare all’entusiasmo con cui 36 nostri giovani hanno accolto l’invito dell’arcivescovo mons. Riccardo Fontana per un corso di esercizi spirituali in Slovacchia. Ed è stato appena dieci giorni fa, dal 26 agosto al 2 settembre. Si noti bene: “esercizi spirituali”, e cioè giorni di preghiera, di silenzio e di meditazione, in apparenza, quanto di meno gradevole si potrebbe immaginare per ragazzi che sembrerebbero non andare al di là della discoteca o, nel migliore dei casi, del calcio, infetti irrimediabilmente di superficialità e indifferenza, vittime appunto di un presentismo meschino, perduto ormai il quadro degli essenziali valori. Sono rimasti così con l’Arcivescovo presso un santuario mariano nei pressi di Kosice, hanno lavorato con impegno senza la minima stanchezza. Indubbiamente, il merito va anche all’Arcivescovo che ben capisce i giovani, pienamente esperto di linguaggi, istanze ed emergenze, ed insieme con il massimo della coerenza e del rigore, senza pericolose indulgenze. E’ quello che i giovani vogliono. Un’antropologia sicura, mai vaga o di compromesso, saldamente ancorata invece alla persona del Cristo: il “vangelo alla lettera”, come ebbe a intuirlo Francesco, proprio a Spoleto. Insomma, la via maestra per uscire dalla mediocrità, levarsi a un sicuro livello di critica, sentirsi nuovamente “persone” in tutta la forza del termine, superare ogni miopia presentista, riscoprire il cammino incontro al Cristo che viene, varcare i confini di ogni angustia ristretta, per esperienze nuove addirittura all’estero, in una Slovacchia finalmente indipendente, liberata dall’arroganza dell’implacabile materialismo della Cekia marxista. Ecco invece Kosice con la sua irripetibile atmosfera di fede e di serenità. Tutto è stato affascinante, fin dal primo ingresso: St. Polten e poi Spis, così bene accolti dal Vescovo, finalmente Kosice e la magnifica sosta. E dopo i sei giorni, il pellegrinaggio alla sede primaziale di Nitra, al sepolcro di san Metodio, l’apostolo degli Slavi e oggi il protettore d’Europa, inviato allora come legato dal papa Giovanni VIII, nell’880. Tempi difficilissimi, per il turbinio di interessi attorno alla corona imperiale, mentre l’Italia e Roma apparivano impotenti di fronte alle incursioni dei saraceni. Da Nitra, il viaggio ha ripreso in direzione sud, verso l’Italia, ora si è giunti attraverso l’austriaca Villach, alle porte del Friuli. Finalmente, Venezia, dove si è concluso idealmente il pellegrinaggio, alla tomba di S. Marco l’evangelista “leone” nella tradizionale raffigurazione teriomorfa, il più giovane, lo svolazzante Giovanni della notte del Getsemani.

C’è bisogno di una nuova “intelligenza della fede”

Siamo a settembre. A Terni si è accesa come non mai l’attenzione sulle varie tematiche relative all’università. I nuovi corsi di laurea che si avvieranno fin da questo anno hanno impegnato e impegnano tutt’ora le autorità accademiche, quelle politiche, vari settori della vita sociale; le nuove facoltà e l’incremento delle esistenti stanno offrendo prospettive nuove a tanti studenti e sono occasione di sollievo per le finanze di tante famiglie. Soprattutto, ci piace ricordarlo, lo sviluppo dell’Università sarà un bene pubblico: servirà ad aumentare il tasso di cultura della città e quindi segnerà, almeno così vogliamo pensare, un salto qualitativo della vita comune segnata da tanta mediocrità. Bene ha fatto la chiesa locale ad impegnarsi, nei limiti delle sue capacità e possibilità, a far sì che tutto questo diventasse realtà. La stessa comunità ecclesiale non deve dimenticare il suo Istituto di scienze religiose. Ad una città che si avvia ad essere più colta, la comunità religiosa deve offrire “una fede più pensata”. Non c’è bisogno solo di favorire l’incremento della pratica religiosa, di comportamenti più accettabili sotto il profilo etico, di una religiosità consolatoria; c’è bisogno di una nuova ” intelligenza della fede”. Per questo è nato l’ Istituto di Scienze Religiose e per questo vuol seguitare a vivere. E’ una possibilità da “sfruttare” prima di tutto dai catechisti, dai diaconi, ma anche dal clero che voglia aggiornare la sua cultura teologica, a volte, non nascondiamocelo, abbondantemente ricoperta dalle ragnatele e dalla polvere che il tempo deposita. E’ una possibilità offerta anche a tutti coloro che hanno un minimo di curiosità e desiderano andare oltre le poche conoscenze più o meno frutto del “sentito dire” e che spesso non vanno oltre una apparente approssimazione. La nostra impressione è che tra le cose a cui non c’è limite occupi una posizione di primo piano l’ignoranza religiosa. L’istituto di Scienze religiose ha avuto fin dalla sua nascita (primi anni ’70) una costante fase di espansione mantenedo le iscrizioni sempre al di sopra dei 60 alunni. E’ diminuito negli ultimi due anni fino ad arrivare al livello più basso l’anno scorso, quando gli alunni sono scesi al di sotto dei 50, qurantasei per la precisione. Vorremmo che il trend si invertisse, che ricominciasse l’ espansione. Ne ha bisogno la Chiesa locale e sarebbe una ricchezza per tutta la città. Ricordiamo che la segreteria del’ Istituto è aperta il martedì e il venerdì dalle ore 15,30 alle 19, che l’Istituto ha la sua sede in Via XI febbraio 4 ( a lato di piazza del Duomo) e il telefono è 0744-401518.

Pensieri di settembre

Anche se nessuno lo dice ufficialmente, come ha osservato un acuto scrittore giornalista, il primo settembre si può considerare l’inizio del nuovo anno. Tutto ricomincia. Durante la lunga pausa estiva, anche se non tutti vanno fisicamente in vacanza, il ritmo di vita è rallentato e vi sono maggiori occasioni di svago. Il caldo fa la sua parte nel rendere ancora più pigri e favorire le ore notturne a quelle del giorno. Dal punto di vista religioso in questa data gli Ortodossi pongono l’ inizio dell’anno liturgico e lo caratterizzano con il ricordo della creazione: “In principio Dio creò il cielo e la terra”. Tale ricordo si va diffondendo come interesse in ampi strati della popolazione, con o senza riferimenti espliciti al Creatore, secondo che si è credenti o non credenti, e prende l’aspetto della difesa dell’ambiente. Questa diventa una preoccupazione resa ancora più acuta dopo i devastanti incendi, prodotti dolosamente da folli incendiari con la complicità del caldo, che hanno caratterizzato l’estate in vasti territori dentro e fuori dell’Umbria. Sarà di cattivo gusto, ma è necessario che oltre agli incendi e la preoccupazione per l’ambiente naturale si faccia un pensiero anche su un fenomeno, che sta diventando purtroppo cronico e oltre la stessa stagione estiva, rappresentato dalla strage di vite umane sulle strade delle vacanze. In questo esorbitante numero di vittime e di feriti, vi è da computare quello dei bambini, vittime innocenti della nostra sofisticata civiltà della macchine sempre più veloci, della fretta, del sorpasso, dell’ansia di arrivare più presto possibile ad ogni costo. I giornali di mercoledì scorso riportavano che in tre giorni sono stati uccisi sei bambini sempre per colpa della velocità eccessiva. Un bimbo di sei anni è stato travolto mentre giocava a pallone in una stradina di Afragola da una moto di grossa cilindrata che andava a 120 chilometri all’ora. A Forlì è morta una piccola che attraversava la strada sulle strisce pedonali. Altri due bambini sono stati travolti da un tir e si potrebbe continuare. Qualcuno pensa che sia una fatalità, uno scotto da pagare al progresso. Ma sarebbe utile ed opportuno che all’inizio del tempo dell’impegno lavorativo serio vi sia anche un impegno al ripensamento dello stile di vita e un cambiamento dei comportamenti irrazionali e distruttivi. Solo i ciechi non vedono il dolore, il sangue e la tragedia che tali fatti producono e sembrano non interessare nessuno, anzi qualcuno ha proposto persino di aumentare la velocità consentita sulle autostrade. Pare che si sia svegliata l’Unione europea che ha elaborato un “libro bianco” sul traffico rivolta a diminuire la presenza dei giganti della strada con misure restrittive in modo da privilegiare per il trasporto pesante il mezzo ferroviario. Ed è buona cosa anche quanto il Governo vuol attuare con grandi opere viarie, trafori e simili. Il nocciolo della questione sta nel ripensamento del modo di procedere nel cammino dello sviluppo, in questo e in altri campi. Non si torna indietro, come si dice, nessuno rinuncia alle conquiste della tecnica, ma ciò non deve avvenire senza il ricorso all’intelligenza e alla coscienza. La creazione, o natura, da salvaguardare e custodire è prima di tutto la vita umana.

Il santuario come luogo di incontro tra l’uomo e il sacro

“Santuari cristiani d’Italia: committenze e fruizione tra medioevo e età moderna” è il titolo del IV convegno che si svolgerà all’ isola Polvese al Lago Trasimeno di Perugia nei giorni 11-12-13 settembre. Il convegno promosso dall’Università di Perugia, dipartimento di Studi storico-artistici e dalla Provincia di Perugia, si avvarrà della collaborazione dell’Ecole franÈaise de Rome, dell’Università degli studi Roma Tre, Associazione internazionale per le ricerche sui santuari. Tre saranno gli argomenti che verranno trattati durante le prime due giornate del convegno: martedì 11 settembre alle ore 16.00 “Reliquie e immagini”; mercoledì 12 alle ore 9.30 “Committenti e devoti”, ore 16 “Aspetti artistici e antropologici”. Nella giornata conclusiva di giovedì 13 settembre alle ore 9 tavola rotonda “Bilancio e prospettive di ricerca”. Osservando il programma si può notare che, sia nella ricerca, sia nel convegno dell’Isola Polvese, sono impegnati in primo piano studiosi umbri, da Mario Sensi a Mario Tosti, Luisa Proietti, Clara Amandoli, Corrado Fratini, Luciano Giacchè, senza nominare personaggi di grande fama che interverranno nel dibattito conclusivo, tra cui figurano Gabriele De Rosa e Andrea Vauchez. Nella seconda serata saranno presi in esame luoghi e aspetti particolari di santuari umbri. L’iniziativa è certamente molto interessante e anche se il taglio dei discorsi è specialistico potrebbe attirare la curiosità di molti cultori di storia religiosa e locale. Il Convegno si concluderà alle 15.30 di giovedì 13 settembre con una visita al Santuario della Madonna di Mongiovino, che sarà illustrato dal punto di vista storico artistico da Laura Teza. Con il termine santuario abbiamo inteso nominare ogni edificio religioso nel quale è testimoniata una devozione che sorpassi i limiti del culto liturgico ordinario e attorno al quale si sono sviluppati una fama miracolosa e un pellegrinaggio. Nel campo della storia dei santuari la ricerca non parte sicuramente dal nulla; è stato un aspetto molto toccato durante la stagione della religione popolare che ormai è entrata a fare parte della storiografia religiosa. Ma proprio perché tanto è stato fatto si è sentita l’esigenza di approfondire il discorso e, in particolare, di tentare di rimediare alla dispersione degli studi. Lo scopo del progetto di censimento dei santuari italiani è stato quindi quello di costituire un repertorio di tutti i santuari esistenti, non tanto per ricercare una unità artificiale di credenze e di pratiche all’interno della regione, o, peggio, delle curiosità folkloristiche, quanto piuttosto per verificare in quale modo lo spazio sacro abbia costituito nel tempo una costruzione sociale in grado di chiarire le stratificazioni culturali e le modalità di contatto, nel tempo, tra l’uomo e il sacro. A tal fine il territorio della regione è stato diviso secondo i confini delle diocesi contemporanee, per poi procedere a ritroso e individuare e classificare i santuari nonché il materiale di archivio e la bibliografia relativa ad ognuno, attraverso la predisposizione di una scheda-tipo che ha tenuto conto anche della produzione artistica presente nei santuari. Gli elementi contenuti nelle singole schede hanno permesso la creazione di una banca dati in rete che permette di individuare per ciascun santuario gli elementi anagrafici e spaziali, l’ubicazione geografica, gli elementi cultuali e la loro variazione nel tempo, la tipologia d’uso e l’oggetto del culto, la presenza di ex voto, la frequenza dei pellegrinaggi e il patrimonio artistico. Attenzione è stata riservata anche alla descrizione di pratiche rituali particolari e alla tipologia architettonica con riferimenti alla presenza di opere d’arte di particolare pregio. Una bibliografia assai ricca, frutto della diretta indagine sul territorio, spesso rappresentata da una letteratura d’occasione, particolarmente difficile da reperire nelle biblioteche, completa la scheda di rilevazione. Relativamente ai risultati scientifici raggiunti, emerge nella regione una preponderante presenza di santuari mariani, la maggior parte costruiti tra il XV e il XVIII secolo; una fioritura certamente da ricollegare al rinnovato clima religioso dell’età della controriforma che impresse una forte accelerazione al transito di devozione orientandolo, in funzione antiprotestante, verso il culto mariano e verso Roma. In questo orizzonte, è emerso che l’Umbria svolse un ruolo importante e, almeno a partire dal Basso Medioevo, accentuò il suo ruolo di crocevia, non solo delle direttrici di transito legate al commercio ma anche, con l’emergere del santuario di Loreto, collegate ai nuovi flussi della mobilità religiosa. In generale è dato registrare una varia tipologia che vede in primo luogo funzioni di culto e funzioni terapeutiche e apotropaiche ma anche funzioni di pacificazione, svolte dai santuari di confine o di frontiera, luoghi sacri elettivi per ristabilire la pace tra regioni confinanti, per risolvere quei conflitti locali tra poveri rappresentati dalle contese per il legnatico o per il pascolo. Ma risultano anche santuari imposti dal signore feudale con precisa funzione politica, oppure santuari legati a polarità economiche (commercio, fiere) o a itinerari di transito. Santuari di montagna o di valle, santuari trasformati in chiese parrocchiali e santuari custoditi da eremiti, santuari di juspatronato signorile e santuari affidati alle cure dei santesi, fino ai santuari della fecondità e ai santuari “de répit”, ove venivano portati dai genitori i bambini morti prima di essere battezzati. Un voto, un’iniziativa personale, raramente sono all’origine della fondazione del santuario, più spesso si tratta di apparizioni, ritrovamento di immagine, trasporti miracolosi, miracolo; gran parte dei mediatori sono bambini o adolescenti che svolgono in prevalenza la professione di pastori o contadini; il luogo in cui avviene la manifestazione risulta quasi sempre uno spazio aperto, in campagna: boschi di querce, oliveti, cappelle diroccate, sentieri poco frequentati, ponti e fiumi. Il progetto di censimento dei santuari ha permesso di costituire un repertorio che, lungi dal fornire un’unità artificiale di credenze e di pratiche, è in grado di avviare un nuovo studio dei santuari; una nuova storia che privilegiando il legame che gli spazi e i luoghi sacri intrattengono con il territorio nel quale sono inseriti e con gli uomini, individui e collettività, può chiarire le stratificazioni culturali e le modalità di contatto, nel tempo, tra l’uomo e il sacro. Ma la ricerca non vuole essere solo finalizzata a una più approfondita riflessione concettuale, intende soprattutto perseguire la realizzazione di un atlante degli spazi e degli itinerari sacri in Umbria dall’Alto Medioevo ad oggi, per evidenziare la persistenza di fenomeni di mobilità di devozione non solo verso mete famose, come Roma, Loreto, Assisi, ma interessarsi anche a itinerari meno conosciuti. In questa prospettiva particolare attenzione è stata riservata ai santuari rurali isolati, grandi e piccoli, che in molti casi perpetuano il ricordo di un culto soppresso o decaduto; ai santuari terapeutici di confine, con funzione di riconciliazione sociale. Ogni insediamento sacro è una costruzione culturale e i santuari sono quindi, a pieno titolo, oggetti di storia, di una storia che ci riporta dai luoghi alla vita delle società .

Officine grandi riparazioni: da Foligno a Vicenza?

Un nuovo scippo, un nuovo depauperamento del territorio folignate e di quello umbro. Al centro di questo “furto” nuovamente le Officine grandi riparazioni di Foligno. E’ di questi giorni la ventilata decisione da parte delle Fs di trasferire dalle Ogr di Foligno a quelle di Vicenza le lavorazioni e riparazioni dei locomotori Etr 500. Una ipotesi questa che era stata annunciata lo scorso 28 agosto dal capo officina Gr delle Rsu d’impianto. Un progetto questo che secondo i sindacati è allo studio ma che troverà un forte contrasto perché, come hanno affermato le Rsu, esistono problematiche e non solo di tipo tecnico. Innanzitutto c’è da considerare la diversa specializzazione dell’officina di Vicenza che si occupa di manutenzione corrente, mentre quella folignate è specializzata per la manutenzione dei locomotori. Notevoli, quindi, le differenze di professionalità, del personale, delle varie tecnologie e dell’impianto stesso. Non ci si può dimenticare anche del piano d’Impresa che riconferma, comunque, tale diversità assegnando alle Ogr folignati la ciclica Etr 500 e che propone un piano di investimenti e di formazione (oltre 40 miliardi) che è inserito nel progetto Ogr 21. Bisogna poi prestare attenzione al fatto che le Ogr stanno completando già la prima fase dei cambi carrelli oltre ad effettuare le riparazioni speciali di Etr 500 ed è pronta, quindi, a soddisfare le esigenze e le revisioni ordinarie in programma per l’inizio del 2002, mentre le Ogr di Vicenza non potranno mai essere pronte per tale data, con un conseguente aggravio di costi dovuti alla specializzazione del personale, della tecnologia da acquisire. La questione oltre ad aver messo in moto sindacati e lavoratori ha avuto l’attenzione da parte della Regione, con la presidente Lorenzetti che ha subito richiesto un incontro urgente con il ministro Lunardi e con l’amministratore Fs Cimoli. “Una decisione inaccettabile e incomprensibile – ha detto la Presidente della Regione – che contraddice in modo palese anche le numerose rassicurazioni e dichiarazioni fatte dai vertici Fs in recenti occasioni. L’Umbria è pronta ad una forte reazione affinché vengano rispettati gli impegni assunti”. Tante le reazioni da parte del mondo politico che hanno inviato interrogazioni al Ministro dei Trasporti per avere delucidazioni e rassicurazioni in merito alla questione. Il gruppo consiliare di Rifondazione comunista chiede l’avvio di una vertenza territoriale che dovrà “puntare a fermare l’emorragia di posti in corso e a chiamare la città ed il suo territorio ad una offensiva fatta di richiesta compensativa, supportata dalla mobilitazione dei lavoratori e se ne necessario ricorrere alla lotta”. E sì perché da un breve calcolo, fra la chiusura del cantiere di iniezione legnami, alla perdita di posti alle Fs ed ora a questo ventilato trasferimento, risulta che sono oltre 2mila i posti di lavoro che sono stati perduti nel territorio folignate nel settore ferroviario negli ultimi anni. Certo è che si parla ancora di una ipotesi di trasferimento a Vicenza e che comunque, ci dovrebbe essere una “contropartita” che le Ogr dovrebbero avere indietro con il reintegro di lavorazioni date all’esterno. Ma siccome lo scenario non è nuovo, in quanto altre lavorazioni pregiate, nate, sviluppatesi e consolidate a Foligno, hanno preso il volo ed assegnate ad altre officine sparse sul territorio, bisognerà stare con gli occhi bene aperti che questo non si ripeta più.

Il punto della situazione e i fondi spesi

E’ cominciato a Colfiorito il dialogo tra i presidenti delle Regioni Umbria e Marche e il nuovo Governo sulla ricostruzione. Maria Rita Lorenzetti e Vito D’Ambrosio si sono incontrati nella frazione di Foligno, simbolo del terremoto di quattro anni fa, per fare il punto della situazione annunciando che chiederanno un incontro con i ministri dell’ Interno e dell’Economia. A Claudio Scajola e Giulio Tremonti invieranno una lettera per definire gli ulteriori aggiustamenti necessari all’impianto utilizzato per ricostruire le due regioni colpite dal terremoto del ’97. Al titolare del Viminale verrà sottoposto il problema della revisione di alcune norme, per garantirne la continuità. Numerose le richieste che saranno avanzate: la proroga delle anticipazioni a favore del sistema delle autonomie locali e dei contributi per l’autonoma sistemazione, la previsione di un ruolo unico transitorio e di accesso ai concorsi del personale assunto con la legge 61. Inoltre sarà posta la questione della copertura degli interventi che superino i costi parametrici, ma solo per accertati casi sociali. Nell’incontro si chiederà anche l’adeguamento dei costi parametrici all’aumento degli indici Istat: fino ad oggi è già maturato il 7 per cento di incremento. Al Governo sarà inoltre proposto dalle due Regioni di poter utilizzare delle risorse finanziarie nazionali già stanziate per realizzare alloggi di Edilizia residenziale pubblica da destinare alle famiglie che si trovano in particolari esigenze abitative. Con il ministro Tremonti si parlerà di fabbisogno da inserire nella prossima legge finanziaria. Lorenzetti e D’Ambrosio hanno spiegato che di fronte ad una cifra complessiva di 24mila miliardi, circa 12.600 miliardi di lire (tra risorse statali, mutui contratti dalle Regioni, fondi gestiti dai Commissari e finanziamenti dell’Unione Europea) sono stati già interamente impegnati. E quindi la ricostruzione cosiddetta “prioritaria” risulta coperta da finanziamenti. Il 30 per cento di questa somma è già stata spesa. La restante parte, circa 12 mila miliardi, dovrà ora essere prevista nelle nuove leggi finanziarie. Riguarda le altre esigenze di ricostruzione, che vanno dagli interventi per le infrastrutture, per il recupero dei beni culturali, e delle seconde abitazioni, e per lo sviluppo economico delle aree terremotate. Sarà anche chiesta la conferma dell’esenzione dell’Iva per gli interventi di recupero nelle zone terremotate. Inoltre le due Regioni hanno definitivamente approvato i parametri di ripartizione dei fondi che risultano essere del 65 per cento per la Regione Umbria e del 35 per cento per le Marche. Infine è stata decisa una azione comune per accelerare la progettazione definitiva della Statale 77 Val di Chienti la cui realizzazione è prevista dalla legge sulla ricostruzione. I due presidenti hanno valutato “con unanime soddisfazione” la “legge 61” sulla ricostruzione, un impianto approvato all’unanimità dal vecchio Parlamento che – come previsto – è stato monitorato col tempo e sottoposto ad aggiustamenti in corso. Lorenzetti e D’Ambrosio, entrambi esponenti di giunte di centrosinistra, si avviano quindi con serenità ad affrontare il completamento dell’ opera partendo dalla consapevolezza che il problema della ricostruzione non dipende dal colore politico del governo.

Riflessioni sul G8 al di là delle violenze

Del G8 di Genova è rimasto solo l’eco delle inchieste e delle iniziative giudiziarie. Ma è opportuno andare oltre i drammatici elementi di cronaca e guardare ai fatti da una prospettiva più ampia. Perché il G8 è stato ben altro. Con ben altre prospettive. Anche per il mondo cattolico. Il G8 è stato un’occasione eccellente per riflettere sulla globalizzazione quale segno ambivalente e complesso dei nostri tempi. Essa, infatti, da un lato avvicina le persone e i popoli ed dall’altro esclude molti, creando una sorta di nuovo apartheid.Un’indicazione è emersa con tutta evidenza: la globalizzazione non può essere lasciata al dominio del mercato, ma va regolata e governata attraverso il rilancio della politica. Quale politica? E’ sotto gli occhi di tutti che gli scandalosi squilibri sociali ed economici esistenti a livello mondiale sono dovuti ad un deficit della politica che soffre di una carenza d’etica in chi detiene il potere. Per rimediare ci vuole una rivoluzione etica, una vera e propria conversione della politica alla solidarietà. Come indicato da Giovanni Paolo II occorre globalizzare la solidarietà. Per questo obiettivo il G8, pur con i passi in avanti registrati, da solo non basta. Non si tratta più di aiutare, di venire incontro ai paesi poveri. Si tratta di fare equità, di ridare ciò che è dovuto in termini di giustizia. Solo nel quadro dell’ONU potrà realizzarsi un vasto consenso per passi reali per fronteggiare gli angosciosi problemi della miseria, delle malattie e delle diseguaglianze. La Chiesa ha fatto molto. Con l’esperienza e una storia maturata in tanti secoli di missione vissuta per e con i poveri: i missionari, le iniziative di cooperazione, i gemellaggi tra le Chiese, il condono del debito estero dei paesi poveri posto con forza da anni e specialmente in occasione del Giubileo del 2000, gli stessi viaggi del Papa in tutto il mondo. La dottrina sociale cristiana da tempo ha affrontato le problematiche relative alla mondializzazione: dai documenti conciliari alla Populorum progressio di Paolo VI, alla Sollicitudo rei socialis e alla Centesimun annus di Giovanni Paolo II. La stessa Giornata mondiale della Pace, celebrata il primo giorno dell’anno, spesso ha trattato i temi della giustizia e della fraternità. Forti di questo ricco patrimonio i cattolici a Genova hanno fatto sentire la loro voce, in modo originale. Ben 60 associazioni hanno saputo mettersi insieme e lavorare a fianco degli altri, senza annacquarsi o mimetizzarsi, ma marcando una loro specificità. Hanno fatto proposte di forte spessore contenutistico (un apposito documento è stato consegnato alle autorità) e hanno manifestato all’insegna del più rigoroso rifiuto della violenza. Attestando che la fede cristiana non solo non estranea dai problemi ma pone al passo con i tempi più di altri. Ora v’è una grande responsabilità da esercitare: quella di non sminuire il grande valore positivo dell’iniziativa, facendo sì che la mobilitazione genovese non rimanga una fatto solitario. C’è chi si è chiesto se Genova non abbia rappresentato per i cattolici una nuova fase di mobilitazione culturale e politica. Magari pensando al dopo DC e alla riesumazione della presenza unitaria dei cattolici in politica. Ben altro approccio merita la questione. Io credo che l’iniziativa genovese delle tante e così diverse associazioni cattoliche sia segno di non poco conto di qualcosa che sta succedendo, anche se è ancora presto per sapere bene che cosa e quali possano essere gli sviluppi. Forse questa nuova capacità di stare insieme (specie tra le diverse associazioni giovanili) è frutto del Giubileo, della straordinaria Giornata mondiale della Gioventù di Tor Vergata. Ritengo però che vi siano elementi di novità. Vi sia cioè una coscienza politica più evidente di quanto si pensi. Una consapevolezza che si fa strada: l’idea che l’impegno personale o di gruppo o di associazione (nel volontariato, nella lotta alle vecchie e nuove povertà, nelle ONG che operano nel 3’mondo, nella pastorale sociale e del lavoro, nell’animazione giovanile, ecc.) non sia più sufficiente se non si accompagna ad una spinta pubblica tesa a ridurre gli squilibri che producono emarginazione. Far politica, allora, come nuova frontiera d’evangelizzazione: conoscere e discernere la realtà e organizzarsi lavorando insieme agli altri, nel dialogo e nel confronto, senza illudersi di poter fare da soli. Far politica avendo maggiore coscienza di sé, scoprendo che c’è un’area cattolica che ha il desiderio e la capacità di prendere l’iniziativa, rompendo vecchi schemi e steccati, dimostrando che l’identità sociale e culturale cristiana può essere una risorsa. Il Papa, la Gerarchia ecclesiastica stanno facendo la loro parte: sulla globalizzazione si sta riscrivendo un nuovo capitolo della DSC. Debbono essere però i laici in frontiera a impegnarsi per dare risposte a problematiche e interrogativi nuovi. I cattolici non perdano un’irripetibile occasione per far conoscere e affermare la loro via per una globalizzazione a misura d’uomo.

Rientrano tutti

Che volete strillare per strada “Rientrano in chiesa i marxisti!”, quando da che mondo è mondo in chiesa rientrano sempre tutti, ma proprio tutti. Se La Voce fosse meno flebile, se riuscisse farsi sentire al di là degli Appennini, vorrei dirlo ai vari Panebianco e Baget Bozzo, e a quanti altri hanno abboccato all’allarme di Ferragosto lanciato ad opera dei sullodati signori dalle colonne del Corrrierone. Il cristianesimo è una visone del mondo aperta: il contrario di un’ideologia, che è un reticolo di idee puntute e strettamente connesse tra di loro; fortemente preoccupate questa loro ferrea coerenza interna ma insensibili al riscontro che ogni idea deve avere dalla realtà che tenta di interpretare; viziate dalla presunzione di ingabbiare saldamente e definitivamente quel fenomeno enormemente complesso che chiamiamo vita. Il filosofo, se ha la saggia umiltà di comportarsi come un turista che gira intorno alla vita fotografandone alcuni scorci, serve a qualcosa. Se invece pretende (come tanto spesso è successo) di cogliere in toto l’anima della vita, allora è da buttare con la buccia e tutto. Ma la Chiesa non butta nessuno. La Chiesa – ci insegnava con la consueta lucida pacatezza don Ennio – non è il luogo dell’aut/aut, ma dell’et/et. Le teorie sull’uomo e il suo destino passano e lasciano la loro traccia nella reinterpretazione del vangelo. Certo che i Vescovi di oggi, nel proporre il perenne messaggio di giustizia del Vangelo nell’imminenza del G8, si esprimono in termini che non avrebbero usato se Marx non fosse esistito. Ma questo vale anche per tutti i pensatori che hanno lasciato un segno. Sarebbe un lavoro da certosino, ma sicuramente fruttuoso, rintracciare nella catechesi ufficiale della Chiesa di oggi, almeno a livello di posizione dei problemi, l’apporto anche dei massimi “nemici” della Chiesa, di Nietzsche ad esempio, che ci malediva con lgi occhi lucidi di follia, o di Feuerbach che ci dava dell’imbroglione come portatori di un messaggio ideale che in realtà è un invito alla schiavitù. Filosofi come turisti per caso: arrivano; girano intorno al Monumento Vita, scattano le loro istantanee, lasciano alla reception il negativo. Poi è la Chiesa, Guida Turistica Autorizzata che, nel rispetto delle singole abilità di ognuno di loro, ma con una capacità di abbracciare il tutto che loro non hanno, compila quel Vademecum per la vita del quale tutti hanno bisogno. A volte lo fa male. Ma se non lo fa lei, non lo fa nessuno.

“I beni culturali sono di tutti”: il concorso di pubblico e privato

Domenica scorsa 2 settembre come già annunciato in un articolo nel numero scorso, si è svolta la presentazione del restauro dell’altare della Cappella del Crocifisso della cattedrale di san Lorenzo. Alla cerimonia erano presenti la dott. ssa Francesca Abbozzo della Soprintendenza Baaaas dell’Umbria, la restauratrice Carla Mancini, che ha presentato il recupero conservativo dell’altare della cappella, il presidente della Provincia Giulio Cozzari, l’assessore regionale Ada Girolamini, il priore della cattedrale, il prof. Bellucci per la fondazione Cassa di risparmio di Perugia, don. Fausto Sciurpa e mons. Giuseppe Chiaretti. Nel corso della cerimonia il Vescovo nel ringraziare la Cassa di risparmio per il contributo dato all’opera di restauro ha voluto ricordare che “i beni culturali sono di tutti… Le opere d’arte presenti nei luoghi sacri rappresentano l’80% dell’intero patrimonio storico-artistico nazionale – ha sottolineato – e possono essere ammirate gratuitamente sia da chi si sofferma dinanzi in preghiera, sia da chi è interessato solo alla loro bellezza restandone attratto”. Negli ultimi tre anni diverse delle opere d’arte che costituiscono il vasto patrimonio artistico e culturale dell’archidiocesi di Perugia-Città della Pieve sono ritornate al loro originale splendore. Ciò è stato possibile grazie a non pochi enti, istituzioni, associazioni ed organismi sia pubblici che privati, che intervengono periodicamente nel finanziare i lavori di restauro e in alcuni casi con somme cospicue. Mons. Chiaretti, a nome dell’intera comunità diocesana, ha espresso “gratitudine ed apprezzamento per quello che si sta facendo nel rendere godibile, non solo ai fedeli, un numero sempre maggiore di opere d’arte e di monumenti di proprietà della Chiesa ma che sono patrimonio di tutti”. Il Presule ha anche auspicato che “ci sia sempre il concorso tra la Chiesa e gli enti preposti a mantenere attive queste realtà artistiche e ben vengano anche i privati, perché il pubblico non può arrivare sempre in tempo a salvaguardare le opere d’arte”. L’Arcivescovo ha colto l’occasione per ringraziare e ricordare in modo particolare la Soprintendenza per i Baaas dell’Umbria e tutti coloro che nell’ultimo triennio si sono prodigati in quest’opera di recupero: l’Archeo club di Perugia (basilica di S. Pietro, due dipinti su tavola di cui uno del Perugino, chiesa di S. Agostino, due pale d’altare, chiesa di S. Antonio Abate, una scultura, oratorio di S. Bernardino, l’organo del XVIII secolo, chiesa di S. Maria Nuova, una tela del ‘700 esposta nel museo diocesano); la Fondazione Cassa di risparmio di Perugia (realizzazione della porta giubilare, della vetrata e restauro dell’altare della cappella del Crocifisso della cattedrale); il Lyons club Augusta Perusia (chiesa S. Maria della Misericordia, gli affreschi di G. B. Caporali, chiesa di S. Ercolano, la copia della pala dei Decenviri del Perugino); il Rotary club (chiesa di S. Filippo Neri, l’Immacolata di Pietro da Cortona del 1662); l’Associazione Castelli (cattedrale, l’affresco di S. Bernardino); la ditta Alberto Polidori (cattedrale, il Gonfalone processionale di Battista di Baldassarre Mattioli esposto nel museo diocesano); la ditta Brunello Cucinelli (basilica di S. Domenico, il dipinto su tela con Madonna e Santi di Giovanni Lanfranco); la ditta C. e R. Restauri (chiesa di S. Stefano in via dei Priori, parte del restauro murario, cattedrale, concorso nel restauro dell’altare della cappella del Crocifisso).

Grande festa per la patrona “Madonna delle Grazie”

Come ogni anno, domenica 26 agosto, la città ha festeggiato la sua Patrona, venerata con il titolo di Beata Vergine Maria madre della divina grazia, popolarmente chiamata Madonna delle Grazie. Il prezioso dipinto di Giovanni da Piamonte è stato scoperto la mattina di giovedì 23, giorno in cui è iniziato il triduo di preghiera in preparazione alla solennità. I tre giorni che hanno preceduto la festa sono stati animati da don Vincenzo Pal e dal coro dei giovani della parrocchia, che hanno aiutato i fedeli a vivere intensi momenti di preghiera.

Solenne e molto sentita, come sempre, è stata la concelebrazione Eucaristica del 26 presieduta dal vescovo Pellegrino Tomaso Ronchi. Commentando il brano del Vangelo di Giovanni che parla delle nozze di Cana, il Vescovo ha ricordato il ruolo di Maria nella storia della salvezza: ruolo di “Madre del Salvatore e della Chiesa”, madre di ogni uomo.

“Come alle nozze di Cana, la Vergine continua nel tempo ad esaudire l’accorata invocazione dei suoi figli: vigile custode della città, Maria libera il popolo cristiano dai pericoli e li sorregge nella prova, consolatrice degli afflitti, non fa mancare, in chi in Lei confida, il sostegno del suo patrocinio ed il conforto della sua potente intercessione”.

Il Vescovo ha invitato tutti i fedeli ad accogliere Maria nella propria vita, ad entrare in comunione profonda con Lei per essere sempre più simili a Cristo, sorgente della gioia autentica. Ascoltando queste parole del vescovo mi sono tornate in mente quelle di un santo. “Il mondo non arriva ancora a Cristo perché non si addita ancora abbastanza la Via: Maria Santissima. Gesù Cristo si trova sempre come l’hanno trovato i pastori e i magi: tra le braccia della Madonna. O Apostoli di Cristo fate conoscere agli uomini la loro Madre: “Ecco la tua Madre”. Infine il Vescovo citando il Papa, da lui tanto amato, ha ricordato che la cosa fondamentale per tutti è tendere alla santità e che “gli uomini del nostro tempo chiedono ai credenti di oggi non solo di ‘parlare’ di Cristo, ma in un certo senso di farlo ‘vedere’… La nostra testimonianza sarebbe, tuttavia, insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo contemplatori del suo volto” (NMI, 16). Infine rivolgendo una lunga preghiera alla Madonna a nome di tutti i presenti ha così concluso. “O Madre della Divina Grazia e di tutte le grazie, proteggi e benedici tutti e fa’ che tutti comprendiamo che il segreto della vera gioia sta nella bontà, nella misericordia e nel perdono”.

Conclusa la celebrazione eucaristica i presenti sono saliti dietro l’altare per un saluto e una preghiera personale alla loro Madonna. E’ un momento toccante vedere sfilare, davanti alla sacra immagine della Vergine, persone di tutte le età che sostano ai suoi piedi per chiedere una speciale benedizione prima che il quadro venga ricoperto fino al 2 febbraio in cui verrà riaperto alla venerazione di tutti.

Festa della Natività di Maria nel tempio rinnovato

Per i cittadini di Todi la festa che si svolge presso il Tempio della Consolazione l’8 settembre è tradizionale e molto cara anche perché è un incontro dei residenti con i loro concittadini residenti altrove ma che tornano volentieri in questa data per celebrare insieme questa giornata festiva. Quest’anno c’è una grossa novità: sono terminati i lavori di restauro promossi dalla Soprintendenza ai Baaas. Si è trattato di lavori di consolidamento durati molti mesi in seguito anche a piccole crepe conseguenti al terremoto del 1997. L’esterno con apposite scale automatiche, autogru, è stato ripulito interamente, così che oggi si presenta in tutto il suo splendore rinascimentale e bramantesco attirando l’ammirazione dei turisti che quest’anno sono stati numerosissimi, oltre ogni previsione. Il Tempio della Madonna della Consolazione è uno dei monumenti più celebrati in Umbria per le sue linee sobrie e eleganti. La sua originalità consiste nel trovarsi isolata vicino al colle di Todi, all’ingresso della città e nello stesso tempo immersa nel verde della campagna. E’ noto che questo Tempio ebbe origine dalla venerazione dei tuderti verso un’icona che si trovava in una boscaglia, ove avvenne un primo miracolo. Da qui l’inizio della costruzione del magnifico Tempio che si dice disegnato dal Bramante o almeno certamente di scuola bramantesca. Ricordiamo che in quegli anni era vescovo di Todi Angelo Cesi che nel suo lungo governo della Chiesa tuderte fu un grande mecenate per la città di Todi. Angelo Cesi aveva molte conoscenze nella Roma papale sia nel mondo ecclesiastico come in quello artistico e culturale. Ricordiamo tra l’altro la facciata di S. Maria Nuova fatta costruire dalla munificenza del nostro Cesi come ne fa testimonianza la grande iscrizione al sommo della facciata che porta appunto scolpito: Angelus Caesius Episc. Tudertinus. La costruzione del Tempio durò circa cento anni ma arrivò al termine grazie alla costanza e alla fede dei tuderti. Circa l’origine bramantesca diretta o indiretta basta confrontare il Tempio della Consolazione con quello di S. Pietro in Montorio in Roma opera appunto del Bramante per ravvisare l’impressionante somiglianza nel suo stile rotondeggiante esterno. La festa dell’8 settembre vede invaso il Tempio e le sue vicinanze da un’enorme folla. Gli appuntamenti più tradizionali sono: oltre le messe mattutine la Concelebrazione del clero diocesano con il Vescovo che nell’omelia usa fare anche una panoramica dell’attività e della vita diocesana. Quest’anno sarà distribuito un documento riguardante la costituzione delle unità pastorali in adempimento del Sinodo diocesano, volte a razionalizzare l’attività pastorale in diocesi e le celebrazioni domenicali. Come tradizione, si svolge una pesca di beneficenza per interessamento delle dame vincenziane a favore dell’opera caritativa della storica Conferenza di S. Vincenzo molto attiva da decenni nella nostra città. Altro tradizionale appuntamento è il saluto che l’Amministrazione comunale porge nella sala consiliare del Palazzo comunale ai cittadini di origine tuderte che amano ritrovarsi a Todi per questa circostanza. Infine molto attesi sono i fuochi pirotecnici di tarda serata che chiudono la giornata festiva. Sono offerti dagli istituti riuniti di beneficenza che hanno in custodia anche il Tempio della Consolazione. Questi fuochi sono di anno in anno sempre più fantastici illuminando nelle ombre della notte la bianca maestosità del Tempio.

Finalmente al via i lavori per la strada “Montefiore-Branca”

Sono stati consegnati il tre settembre i lavori relativi alla Montefiore – Branca, un tratto importante della “Pian d’Assino” al centro di una vicenda particolarmente complessa, superata dopo anni di attese e sollecitazioni. Tutto è nato con il fallimento della precedente ditta che si era aggiudicata la realizzazione del progetto di ammodernamento; cantiere aperto nel 1996 e chiuso pochi mesi dopo. E’ stato l’inizio di un “movimento” che ha visto il “comitato dei Parroci” (animato da don Ubaldo Braccini e don Romano Bambini) stimolare e sollecitare le stesse istituzioni (Comune, Regione, parlamentari). “E’ un successo per l’intera comunità eugubina, senza distinzioni di parte e la nostra azione si inserisce nell’operato di chi ci ha preceduto” ha dichiarato il sindaco Goracci in occasione della cerimonia di consegna. In tale circostanza è stato riconosciuto il ruolo di “cerniera” della “Pian d’Assino”, e quindi la sua appartenenza ad una “rete” essenziale non solo per la Regione. Il tratto “Montefiore Branca” ha uno sviluppo di quasi sette chilometri, prevede due viadotti (di m. 286 e 354), svincoli a Torre Calzolari, Branca (a servizio dell’ospedale Comprensoriale) ed in località “Biagetto”. Prevede una spesa di oltre 41 miliardi. Dovrà essere realizzato nel giro di 720 giorni. Alla cerimonia, importante non solo per Gubbio, sono intervenuti, oltre al sindaco Goracci, la presidente della Giunta regionale Lorenzetti, il vescovo mons. Bottaccioli, il presidente dell’Anas D’Angiolino, assessori e consiglieri comunali oltre al sindaco di Gualdo Tadino Pinacoli. Durante la firma della consegna dei lavori sono state fornite dalla Lorenzetti significative anticipazioni, sempre relative alla “Pian d’Assino”: l’inserimento nel piano triennale dell’Anas ed il finanziamento per 77 miliardi del troncone Branca-Fossato di Vico, l’assegnazione, entro settembre, della progettazione del tratto Mocaiana-Umbertide, mentre quello della Madonna del Ponte-Mocaiana sarà a giorni all’attenzione della “Conferenza dei servizi”.

Assisi in vetrina per il “Festival internazionale per la pace”

Sbocciano e crescono in Assisi molte iniziative in favore della pace. Qualcuno va chiedendosi, affacciato alla finestra di un mondo inquieto, quanto siano utili. Altri, chi riesce a superare sconforto e pessimismo, replica con decisione affermando che il cammino della pace è lungo e difficoltoso ma che un giorno si concluderà e allora la colomba modulerà il suo canto su tutte le terre. Senz’altro in questa prospettiva fiduciosa di una nuova primavera umana, merita di essere inserito il “Festival Internazionale per la Pace” giunto alla sesta edizione grazie alla sagace operosità dell’associazione culturale “United Artists for Peace” presieduta da Sergio Onofri, direttore artistico della manifestazione che ha richiamato musicisti e coristi di fama internazionale, alcuni dei quali si sono esibiti per il Requiem di Verdi presso la basilica di San Francesco. Il Festival, che ha visto come patrocinatore il Comune di Assisi insieme ad altri enti ed istituzioni, è stato dedicato quest’anno al tema dell’ecologia, affrontato (in una situazione storica caratterizzata dalla minaccia ed in certi casi dalla rottura dell’equilibrio ambientale) attraverso una metodologia tanto variegata quanto efficace: concerti, mostre, spettacoli, seminari, occasioni di aggregazione, presentazioni di progetti multimediali… Esperti e cultori della materia hanno illustrato, durante incontri e dibattiti, argomenti specifici quali l’etica ambientale, l’agricoltura biologica, la sicurezza ambientale, l’alimentazione vegetariana, la medicina alternativa, l’aggressività e l’energia vitale, le religioni e la salvaguardia del creato… Né poteva mancare l’impegno delle associazioni pacifiste di Assisi. Padre Gianmaria Polidoro, presidente di “Assisi Pax International” ha intrattenuto l’uditorio con la relazione “Ecologia umana per il terzo millennio”, mentre il Centro Pace, diretto da Gianfranco Costa, si è adoperato per il convegno “Da Assisi le piazze per la pace” e per lo spettacolo teatrale “Ariele” animato da musiche e danze popolari. Il concerto inaugurale di venerdì 31 agosto “Ad Naturam” – opera di Federico Bonetti Amendola e testi di Zamperini, live elettronics di Carlo Tomassi, esecutori vocali dell’Ensemble Orlando di Lasso (Nicoletta Venturi mezzosoprano, Paola Faenzi contralto, Nicola Gerbi baritono, Gaetano Schipani basso) – ha meravigliato e avvinto per novità, originalità, evocazione, eterogeneità, finemente amalgamata (ne fanno fede i commenti raccolti) il pubblico presente per la prima assoluta presso la Sala della Conciliazione. Il compositore e direttore del concerto Bonetti Amendola, già approdato al Festival dei Due Mondi nel ’90 e ’91 e quindi successivamente nel ’98 al Festival di Brighton, autore peraltro dell’opera “Natura Mundi”, attualmente rappresentata a livello internazionale, in privato con gli altri protagonisti del concerto inaugurale, non ha potuto celare soddisfazione tra un sorriso ora bonaccione ora argento. L’assessore Emiliano Zibetti, che insieme al vicesindaco Claudio Ricci e ad altri amministratori ha seguito l’evento, in una dichiarazione ha esternato il suo iniziale smarrimento ed il subitaneo trascinamento in un contesto armonico di suoni e voci capaci di sollecitare suggestioni magiche in una dimensione atemporale.

Una grande fede strettamente legata alla vita della comunità

Parla di odore Francesca, un sentore forte e terrigno, quasi metallico, il profumo della terra rossa che macchia e si ritrova su gli abiti, le mani, i capelli, la pelle tutta; la terra calda dell’Africa, spinta fino alle erbe alte quanto inaccessibili e sterminate della savana. E’ tornata il 30 agosto la responsabile del settore giovanile della Caritas, dopo aver partecipato alla missione in favore della realizzazione di microprogetti a Kasumo, in Tanzania, consegnando personalmente le offerte raccolte nella parrocchia di Bastia e considerando con gli altri delegati diocesani i bisogni, le possibili modalità d’intervento, i fattibili lavori di sostegno e sviluppo auspicabili per la missione gemellata. E ci racconta le sensazioni incamerate.Francesca, qual è stato il primo impatto con il continente africano? “Sono immagini diverse; la realtà si imprime con una luce abbacinante, colori accostati insolitamente di un’intensità particolare, un odore pungente e penetrante, e tutto sembra spinto in avanti, orizzontalmente, ampliato. Una dimensione slargata, che investe lo spazio, ma anche il tempo: c’è qualcosa di rallentato in essa, una rilassata quiete che investe le cose, ma le persone e la vita quotidiana. La forte sensazione è stata questa: quasi un liberarsi dalla schiavitù del tempo, dalle nostre troppo schematiche e frenetiche imposizioni. Sembra che anche l’individualità, l’identità sia dilatata, aperta fino a investire totalmente la vita degli altri, con la quale si spende la propria, all’interno di una comunità necessaria, la quale viene a costituirsi a priori come un elemento naturale. E’ impossibile pensare l’Africa, Kasumo, senza queste forme di aggregazione, come è impossibile pensare l’Africa senza i bambini, a centinaia. Sono ovunque, ti seguono, dietro, a fianco, accompagnano il tuo cammino anche per chilometri, fino alla soglia di casa. Certo che lì c’è una sorta di curiosità per l’uomo bianco, il “mughera” e un forte senso del rispetto e dell’ammirazione nei suoi confronti, che è tradotto nella sacralità dell’ospitalità, ma è anche il modo tutto loro di vivere che favorisce lo stare insieme”. E i villaggi? “Le case servono per preservare le provviste alimentari, ripararsi dalla pioggia, dormire ( e solo i più ricchi possiedono letti). La vita si svolge nelle strade, spaziose e piene di gente e nelle corti, che le famiglie allargate costruiscono intorno ad un nucleo centrale, il quale rimane punto di aggregazione collettiva. La collaborazione si pone al centro di tutto: il poco messo insieme è pur sempre qualcosa, ma c’è anche, anzi soprattutto, semplicità nell’interessarsi al gruppo. Don Ezechiele, parroco di Kasumo, ci parlava di una fede vissuta strettamente nella comunità, contrapponendola per certi versi, ad una, nostra, a volte troppo individuale. E’ per molti aspetti vero, ed è anche vero come spesso alcune nostre tradizioni, fatte conoscere lì, diventino quasi sovrastrutture, inconciliabili con modi di fare così diversi”. Il tuo incontro con le missionarie?”Sono persone favolose. Così piene di vita e di dedizione per questo popolo. Impegnate nei lavori più diversi, dalla scuola, alla vaccinazione dei bambini, alla distribuzione delle risorse alimentari, alla cura degli animali e dei campi, come la nostra Luigia, che mi è sembrata un po’ “l’uomo della situazione”. Il sorriso, la serenità disponibile di Angela, Francesca e Luigia, le tre missionarie sorelle di Kasumo, è stata per me “la testimonianza di vita”. Non ho mai chiesto spiegazioni, perché la fisicità della loro presenza, il fatto che loro stessero lì e con quello sguardo, ha sempre detto tutto”. Possono essere di aiuto le offerte raccolte dalla parrocchia di Bastia? Certamente. Abbiamo raccolto quattordici milioni e mezzo, di cui un milione e mezzo sotto forma di borsa di studio, il resto in liquidi. Il loro impiego prevede anche il progetto di rete idrica per il villaggio e le zone circostanti; un utilizzo intelligente delle acque del lago Tanganica. Grazie ad un buon utilizzo di esse, la zona può essere coltivata. In questo luogo più che di denutrizione, si può parlare di mal nutrizione, in prevalenza per la carenza di proteine. In tal senso bisognerà rivedere gli aiuti alimentari pensati per il pacco dono di dicembre. Tutto questo quanto turba il nostro modo di vivere? L’Africa che ho visto io non sconvolge, ma non troverei dei paragoni. La povertà, evidente, rattrista e fa rabbia, perché potrebbe essere eliminata, ma non strappa dentro; mi commuove molto più profondamente la povertà spirituale che c’è qua, la nostra aridità, forse l’aver smarrito una semplicità, che pur nello stento della sua pochezza, si ‘accontenta’ della sua pace”.

In arrivo l’Ato: lieviteranno i costi?

Con il prossimo autunno farà i primi passi l’Ato ( Ambito territoriale ottimale ), la nuova sigla con cui dovremo presto fare i conti e di cui è presidente Giampiero Angelini, con il compito di gestire tutti gli acquedotti e quindi la distribuzione delle acque potabili, fino ad oggi di competenza dei comuni. In Umbria sono stati designati tre Enti. La Valnerina è stata unita al Folignate e allo Spoletino. Le quote di rappresentanza e di partecipazione sono direttamente proporzionali al numero degli abitanti di ciascun comune. Il nostro territorio con i suoi 10 comuni risulta fortemente minoritario, non riuscendo a raggiungere globalmente le 13.000 unità. A determinare, quindi, le scelte e tutta la gestione del nuovo Ente saranno quasi esclusivamente i rappresentanti delle città di Spoleto e di Foligno. In compenso saranno proprio i comuni della montagna a fornire acqua alla pianura. Non solo questo: la Valnerina consegnerà i suoi acquedotti, nuovi e tutti ‘ a pioggia’, e, per il momento, senza una grossa spesa di manutenzione. Questa verrà affidata ad una società, che almeno inizialmente dovrebbe assorbire parte del personale in esubero nei comuni. Si prevede che tale operazione comporterà una lievitazione dei costi. Ci sarà una tassa fissa, corrispondente al canone annuo, ed una variabile, legata alla lettura del contatore. Da parte della Valnerina ci si attende che almeno venga presa in considerazione una diversificazione nelle tariffe tra i Comuni montani, ora autonomi quanto a sorgenti e alla captazione delle stesse, e tra quelli che vengono riforniti. C’è, infine, un’importante constatazione da fare: a seguito della costituzione dell’Ato i bilanci comunali subiranno un drastico ridimensionamento. Basti pensare che la fetta più cospicua nelle entrate delle casse degli enti locali è rappresentata dal canone acqua; ora che questo non è più di loro competenza, molti di essi, soprattutto i più piccoli, dovranno fare i salti mortali per far quadrare i conti. Probabilmente ci stiamo avviando verso la fase di estinzione. Diciamolo sotto voce, ma diciamolo! I mugugni degli amministratori locali della Valnerina sono tanti e in parte giustificati. Si ha l’impressione che stia partendo l’ennesimo carrozzone ‘di imbrogli legalizzati’, difficile da gestire e capace di produrre più danni che utili sul tipo dell’Apt. La nuova Azienda regionale di Promozione turistica ha completamente svuotato le sedi periferiche, dove c’è rimasto solo il vecchio personale e non trovi più un depliant o una cartina, per far posto solo a nuovi burocrati centralizzati. Auguriamo ad Angelini un gran bene e perché riesca nell’impresa, ma sappiamo che per la Valnerina questa nuova ‘invenzione’ è come la disgrazia di una grandinata estiva.

Cento candeline per la Pro-loco di Spoleto “Antonio Busetti”

Una data veramente da ricordare quella di domenica scorsa, 2 settembre, con la “Pro Spoleto” che ha celebrato il suo centenario. Fu fondata infatti nel 1901, da Domenico Arcangeli. E’ oggi intitolata a Antonio Busetti, l’amico giornalista, purtroppo scomparso, che la rifondò nel 1981. Una “Pro loco” ha, nella generalità dei casi, un grande significato poiché rappresenta un “insieme” al di sopra di ogni possibile divisione e fazione. La Chiesa guarda con molto interesse a istituzioni del genere, perché qui, salvo inevitabili eccezioni, normalmente non è l’interesse del singolo o di una parte che conta, ma unicamente il bene della città. E’ proprio il caso della nostra Pro Spoleto. Così grazie anche al Consiglio direttivo e al suo Presidente, la giornata di domenica scorsa ne è stata la migliore riprova.A parte la sera precedente, alle ore 18.00, quando nella Pinacoteca comunale è stato presentato il libro di fotografie “Spoleto 100 anni”, dedicato alla memoria della compianta vice presidente prof. ssa Franca Allegra – la sede è stata quella della Pinacoteca comunale – le manifestazioni di domenica si sono tutte tenute in terreno, diremmo, neutrale, al Monteluco, nel perimetro della Colonia dell’Inpdap. Si è iniziato alle ore 10.30 con la “Messa al campo”, sotto il grande tendone della Colonia. Grande raccoglimento, viva partecipazione, sensibilità illuminata. L’Eucaristia è il sacramento dell’unità e della carità. Le letture del giorno insistevano particolarmente sull’umiltà come superamento di qualsiasi egocentrismo, contando unicamente la promozione della famiglia di Dio: nessuna ricerca di primi posti, attenzioni particolari unicamente per gli ultimi e più debilitati, poveri, zoppi, storpi. Adunanza festosa delle primizie dei figli, con tanta festa per chiunque si impegni per il bene comune. Proprio il nostro caso.Dalle ore 9.00 alle 18.00 è stato attivato anche lo sportello filatelico, provvisto di annullo e cartolina ricordo. Ugualmente, l’organizzazione per l’accreditamento soci, oggi oltre il migliaio. Intanto, vendita di biglietti per la Lotteria della sera, con bellissimi premi. Dopo la Messa, essendo mancata purtroppo, per forza maggiore, la Banda dei bersaglieri, il posto è stato occupato dagli sbandieratori di Sangemini e dall’esibizione del corpo musicale “Marco d’Oggiono”, venuto per noi dalla terra lombarda. Che dire? Sono stati veramente bravi, tutti, confermando una fama veramente meritata. Gli sbandieratori ci hanno veramente impressionato per il formidabile tempismo, la varietà del figurato e un acrobatismo degno dei maggiori circhi. Il Coro di Marco d’Oggiono si è prodotto in un programma molto vario, con largo spazio dato anche a brani di Giuseppe Verdi, nel Centenario della sua morte. Ed insieme, brani stupendi, specie dalle colonne sonore di Morricone e da canzoni di Frank Sinatra, la “Voice”. Il pranzo, con centinaia di ospiti, è stato consumato nella grande sala conviviale dell’Inpdap, subito dopo, sempre nella Colonia – al Teatrino – declamazione di poesie e di famosi brani di prosa, naturalmente in dialetto spoletino, a dire la vivacità della lingua del nostro popolo che può fare benissimo il paio con il romanesco di un Trilussa o un Belli. Sul palco si sono così avvicendati tre finissimi dicitori ormai consacrati da tutta una lunga stagione d’arte in una città di teatri come Spoleto. Intendiamo Gianfrancesco Marignoli, Ezio Valecchi e Mario Leone. A ognuno, nella successiva premiazione, è stata consegnata la Targa ricordo del Centenario. Il momento della premiazione è stato uno dei più frequentati e applauditi. Anzitutto le istituzioni, tanto militari – polizia di Stato, carabinieri, guardia di finanza – che religiose, l’arcidiocesi, poi associazioni come Auser e Avis, “Umbri-Marchigiani da Spoleto”, infine a singoli cittadini benemeriti della città, come al pittore Sergio Bizzarri, di cui la città di Milano ospiterà in ottobre un’importante Mostra, tra i quali segnaliamo soprattutto un rappresentante della famiglia Busetti, a ricordo dell’indimenticabile Antonio. Le targhe-premio sono state consegnate dal sindaco Brunini, come dal presidente Laurenti, i vicepresidenti Andreini e Alberti, il direttore Belli. I maggiori applausi per Leopoldina Arcangeli, 103 anni, figlia del fondatore Domenico Arcangeli. Non ci resta che esprimere ancora le nostre congratulazioni, con l’augurio di “Buon Millennio”, come già fatto coralmente al brindisi finale della “Torta del Centenario”.

Sette sedi per sette corsi di laurea: il via il 5 novembre

Il Polo universitario di Terni sta prendendo materialmente corpo. I lavori per le sedi dei vari corsi di laurea, che prenderanno il via il 5 novembre prossimo, stanno per essere ultimati. Il punto sulla situazione è stato fatto dall’assessore comunale Paolo Olivieri. E’ stato costituito un gruppo di lavoro composto dai soggetti pubblici e privati che prendono parte al progetto – Università di Perugia, Regione, Provincia, Comune, Fondazione Carit e Camera di commercio – in attesa di costituire il soggetto interistituzionale che gestirà tutte le problematiche dell’Università. I lavori per l’individuazione e la costituzione di questo soggetto – ha affermato l’assessore – saranno iniziati nei primi giorni di settembre. Sul versante pratico si stanno completando i lavori edili – per un importo di 190 milioni di lire – per rispondere alle esigenze dei presidi; si sta predisponendo l’acquisto degli arredi e delle attrezzature di primo impianto, importo un miliardo ed 800 milioni; è stato stipulato un contratto di collaborazione con la società Sistemi educativi per l’organizzazione di un servizio di accoglienza dello studente, nonché per l’attività di promozione dei corsi. Veniamo ai corsi di laurea e alle loro sedi. La facoltà di Scienze politiche, corso di laurea triennale in cooperazione internazionale per lo sviluppo e la pace, avrà sede al piano terra dell’ex Convento di San Valentino; Economia, corso di laurea triennale in economia ed amministrazione delle imprese con due orientamenti: gestione finanziaria d’impresa e gestione commerciale d’impresa, sarà a Palazzo Gelasi di Collescipoli (i lavori della struttura saranno completati a fine settembre, mentre gli arredi entro il 15 ottobre); corso interfacoltà ossia facoltà di Economia e scienze politiche, corso di laurea triennale in economia ed amministrazione del settore no-profit, sarà tenuto presso l’Istituto Federico Cesi; Lettere e filosofia, con corso di laurea di intermediazione linguistica per la traduzione e l’interpretariato, si terrà presso l’Istituto Leonino; Scienze della formazione, corso di laurea triennale in scienze e tecnologie della produzione artistica, avrà sede presso il Centro Servizi di Maratta che è in fase di completamento; Ingegneria, corsi di laurea triennali in ingegneria dei materiali e ingegneria gestionale, rimarrà a Pentima; così come Medicina e chirurgia, corso di laurea specialistica a ciclo unico, rimarrà presso l’azienda ospedaliera “Santa Maria”. Appena conclusa questa fase, ha affermato l’assessore Olivieri, inizierà la progettazione dei laboratori di Biotecnologie, per i quali sono stati stanziati sei miliardi di lire una tantum in tre anni di cofinanziamento. I laboratori dovranno essere pronti per l’avvio del corso di laurea nell’anno accademico 2002/2003. Per avere ogni tipo di informazione sui vari corsi è stato aperto un apposito Ufficio informazioni presso l’Assessorato all’Università, in Corso Tacito 146. Informazioni vengono anche fornite presso lo Sportello del cittadino, in piazza San Francesco e ovviamente, presso le segreterie universitarie di Ingeneria e Medicina.

Lo “spirito di Assisi” protagonista a Barcellona del dialogo tra le religioni

E’ vescovo della diocesi di Terni-Narni-Amelia ed anche leader spirituale della Comunità di Sant’Egidio che dal 1986 cura gli incontri di preghiera per la pace “Uomini e religioni”. Mons.Vincenzo Paglia spesso è fuori, per impegni che a volte sembrano distanti dalla realtà di cui è divenuto Pastore e per capire come possa tenere insieme queste due dimensioni, mondiale e locale, lo abbiamo cercato al suo ritorno dall’incontro svoltosi a Barcellona (si è concluso martedì sera e mercoledì mattina, presto, Paglia era già in piena attività nel suo ufficio della curia ternana!) nel corso del quale, tra l’altro, è intervenuto ad una tavola rotonda sul tema “Globalizzazione: laici e credenti a confronto”.Mons.Paglia, come riesce a fare sintesi tra la dimensione mondiale, che vive con la comunità di Sant’Egidio, e quella locale di pastore della diocesi ternana?”La stessa globalizzazione collega la realtà locale al mondo. Non possiamo dimenticare che nella nostra regione ed in Terni, in particolare, abbiamo la presenza delle multinazionali che, ad esempio, decidono in Germania le sorti delle famiglie della nostra città. Un secondo aspetto che rende le nostre città sempre di più simili a tante altre del mondo è la presenza di immigrati che portano culture diverse e fedi diverse. Per questo, parlare a Barcellona per me ha significato tenere presente la realtà di Terni”. Ritiene che tra la gente ci sia sufficiente consapevolezza di questa dimensione globale?”Non è facile comprenderla, ci sono alcuni che sono più attenti, ma occorre uno sforzo ed una attenzione maggiori. Dobbiamo ricordare anche che il meeting di Barcellona è legato all’Umbria perché qui è la sua fonte. Il rischio è che gli umbri non vadano ad abbeverarsi a questa fonte, a questa grande forza spirituale che Assisi, con san Francesco, e tutta la regione con la sua tradizione spirituale, rappresenta nel mondo. Pochi umbri e pochi ternani sanno, ad esempio, che i cinque protomartiri francescani che in Portogallo furono causa della conversione di sant’Antonio da Padova, sono originari di Terni e dintorni”. A Barcellona è stato ricordato lo “Spirito di Assisi”, il primo incontro voluto dal Papa nel 1986…”La Comunità di Sant’Egidio continua a celebrare l’origine degli incontri e lo ha fatto anche in questo XV anniversario. Per me, che sono umbro di adozione, significa essere rafforzato ed ancor più deciso nel sottolineare la assoluta ed imprescindibile necessità di continuare il dialogo. Se tutti gli umbri comprendessero quale grande tesoro hanno credo che potrebbero aiutare molto il dialogo tra i credenti di diverse religioni come anche con i non credenti”. Ritiene che la tradizione spirituale degli abitanti di questa terra possa contribuire a definire l’identità della regione, su cui si sta discutendo in vista della redazione del nuovo Statuto regionale?”Come Commissione pastorale regionale per i problemi sociali e il lavoro abbiamo istituito un gruppo di studio che si propone di dare contributi sul tema dello Statuto. Parlando di “identità” della regione vogliamo sottolineare con forza la dimensione universale che viene riconosciuta nel mondo all’Umbria per essere la terra di san Francesco e per la sua grande tradizione spirituale”. Una identità che occorre tradurre in termini “laici”, inteso in senso positivo del termine…”Certo, e si può fare. Ne è un esempio l’apertura, proprio a Terni, di un nuovo corso di laurea su cooperazione sviluppo e pace” “Ci siamo riuniti per invocare da Dio la pace”Si è svolto dal 2 al 4 settembre a Barcellona il XV meeting internazionale “Uomini e religioni”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio e quest’anno intitolato “Le frontiere del dialogo: religioni e civiltà nel nuovo secolo”. Erano presenti numerosi rappresentanti delle Chiese ortodosse e protestanti alla Messa di apertura, presieduta nella basilica di Santa Maria del Mar dal card. Ricardo Maria Carles Gordo , arcivescovo di Barcellona, che ha auspicato “un incontro presieduto dallo spirito di Pentecoste, cioè tra le diversità ma senza confusioni reciproche né tentativi di emulazione o superiorità”. Un richiamo all’umiltà è venuto anche da Sua Beatitudine Anastasio, arcivescovo di Tirana e primate ortodosso di Albania: “Negli ambienti ecclesiali si compiono molti sforzi, si organizzano congressi, si fanno dichiarazioni – ha detto – ma occorre ricordare sempre l’esempio di Cristo nei nostri contatti con gli altri, con lo straniero e con chi è diverso da noi”. Nella giornata conclusiva è giunto anche il messaggio di Giovanni Paolo II, che ha definito questi incontri interreligiosi “un segno opportuno per il terzo millennio, caratterizzato sempre più dal pluralismo culturale e religioso. Non si può più tollerare lo scandalo della divisione; riconosciamo che le differenze non ci spingono allo scontro ma al rispetto, alla collaborazione leale e all’edificazione della pace”. Il Papa ha anche richiamato lo “Spirito di Assisi” che in questi quindici anni ha coltivato il “sogno dell’unità della famiglia umana”. “Il dialogo continua, mentre cresce la nostra attenzione ai problemi dell’Africa e del Medio Oriente”, ha evidenziato Andrea Riccardi , fondatore della Comunità di Sant’Egidio, tracciando un primo bilancio dei temi al centro del meeting. Dal confronto reciproco è maturata “l’idea di una preghiera comune a Gerusalemme, fianco a fianco, tra cristiani, ebrei e musulmani, perché la guerra finisca e si possa uscire dalla strettoia che impedisce il dialogo”, ha auspicato Riccardi, preoccupato “per tutti i fondamentalismi, anche quelli etnici e nazionalisti”. Un’altra iniziativa in cantiere è promuovere un “nuovo patto per l’Africa a viso aperto: forse non esistono politiche europee per questo continente, con cui abbiamo un passato comune. In questo senso le Chiese hanno responsabilità e possono contribuire al dialogo con gli africani”. Le giornate del meeting sono state intense per gli incontri di preghiera, conferenze, tavole rotonde. Uno dei temi trattati è stato quello della celebrazione comune della Pasqua per le Chiese cristiane. “Se quest’anno una casualità del calendario ha permesso la celebrazione comune della festa della Pasqua, possiamo solo sperare che ciò che è stato possibile grazie a un caso divenga presto una regola”, ha auspicato il card. Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Le divisioni delle Chiese, ha osservato, “hanno spaccato l’Europa e noi europei abbiamo esportato la nostra mancanza di unità anche in altri continenti, come Africa e Asia, rendendo non credibile il cristianesimo agli occhi di molti”. Occorre puntare, quindi, “sull’ecumenismo della vita, rinunciando a tutte le forme di proselitismo aperto e nascosto, informandosi reciprocamente; in tutte le decisioni vanno considerate le conseguenze che possono avere per le altre Chiese”. Riguardo al ministero petrino, Kasper lo ha definito “tutt’altro che superato in un mondo divenuto villaggio globale, anzi, dona alla Chiesa un’unità interna ed esterna e allo stesso tempo un’indipendenza e libertà nei confronti degli Stati. Attendiamo la partecipazione delle Chiese ortodosse al dialogo su questo ministero: ci chiediamo come possa essere esercitato in futuro per lasciare alle altre tradizioni ecclesiali la rispettiva indipendenza e promuovere allo stesso tempo la loro coesione”. “Bisogna smettere di sparare, evitare ogni terrorismo, non usare il nome dell’Onnipotente per giustificare la guerra. E’ tempo di dialogo per una maggiore comprensione reciproca: dobbiamo stendere la mano uno verso l’altro perché abbiamo un solo Padre”. E’ l’appello dell’ebreo Israel Meir Lau, rabbino capo di Israele, originario di Cracovia e sopravvissuto al campo di sterminio di Buchenwald quando aveva 8 anni. Lo ha pronunciato il 2 settembre all’assemblea d’inaugurazione del meeting. All’augurio del rabbino è seguita una stretta di mano con Mohammed Amine Smaili, teologo musulmano e docente all’università di Rabbat, in Marocco, che ha citato il Papa che fin dal 1985 a Casablanca, davanti a 80 mila musulmani marocchini, “ha tracciato le linee di un dialogo per una civiltà della coabitazione, non di vincitori e vinti”. “Piangiamo le nostre illusioni perdute: la pace”, ha dichiarato René Samuel Sirat, della Conferenza dei rabbini d’Europa, intervenendo alla tavola rotonda del 3 settembre su “Dialogo interreligioso: 15 anni da Assisi”. “Oggi noi condanniamo la violenza, i propositi irresponsabili, l’assenza o comunque il colpevole silenzio degli uomini di religione, l’olio versato sul fuoco di un incendio che rischia di devastare tutto – ha proseguito -. Nonostante tutto questo, la preghiera abbatte i muri di odio, le barriere del sentimento di vendetta provato da una parte e dall’altra”. E’ la “determinazione disperata dei poveri, per i quali il benessere si trova sulla sponda opposta”, a determinare l’immigrazione clandestina, ha denunciato il presidente della Repubblica della Costa d’Avorio Laurent Gbagbo, convinto che le misure respressive di lotta al fenomeno si scontrano con alcuni dati oggettivi. “In Africa si stimano oltre 210 milioni di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno. Esiste un legame tra la povertà e la guerra e la lotta contro la miseria è una dimensione essenziale della lotta per la pace”.

Lo “spirito di Assisi” protagonista a Barcellona del dialogo tra le religioni

E’ vescovo della diocesi di Terni-Narni-Amelia ed anche leader spirituale della Comunità di Sant’Egidio che dal 1986 cura gli incontri di preghiera per la pace “Uomini e religioni”. Mons.Vincenzo Paglia spesso è fuori, per impegni che a volte sembrano distanti dalla realtà di cui è divenuto Pastore e per capire come possa tenere insieme queste due dimensioni, mondiale e locale, lo abbiamo cercato al suo ritorno dall’incontro svoltosi a Barcellona (si è concluso martedì sera e mercoledì mattina, presto, Paglia era già in piena attività nel suo ufficio della curia ternana!) nel corso del quale, tra l’altro, è intervenuto ad una tavola rotonda sul tema “Globalizzazione: laici e credenti a confronto”.Mons.Paglia, come riesce a fare sintesi tra la dimensione mondiale, che vive con la comunità di Sant’Egidio, e quella locale di pastore della diocesi ternana?”La stessa globalizzazione collega la realtà locale al mondo. Non possiamo dimenticare che nella nostra regione ed in Terni, in particolare, abbiamo la presenza delle multinazionali che, ad esempio, decidono in Germania le sorti delle famiglie della nostra città. Un secondo aspetto che rende le nostre città sempre di più simili a tante altre del mondo è la presenza di immigrati che portano culture diverse e fedi diverse. Per questo, parlare a Barcellona per me ha significato tenere presente la realtà di Terni”. Ritiene che tra la gente ci sia sufficiente consapevolezza di questa dimensione globale?”Non è facile comprenderla, ci sono alcuni che sono più attenti, ma occorre uno sforzo ed una attenzione maggiori. Dobbiamo ricordare anche che il meeting di Barcellona è legato all’Umbria perché qui è la sua fonte. Il rischio è che gli umbri non vadano ad abbeverarsi a questa fonte, a questa grande forza spirituale che Assisi, con san Francesco, e tutta la regione con la sua tradizione spirituale, rappresenta nel mondo. Pochi umbri e pochi ternani sanno, ad esempio, che i cinque protomartiri francescani che in Portogallo furono causa della conversione di sant’Antonio da Padova, sono originari di Terni e dintorni”. A Barcellona è stato ricordato lo “Spirito di Assisi”, il primo incontro voluto dal Papa nel 1986…”La Comunità di Sant’Egidio continua a celebrare l’origine degli incontri e lo ha fatto anche in questo XV anniversario. Per me, che sono umbro di adozione, significa essere rafforzato ed ancor più deciso nel sottolineare la assoluta ed imprescindibile necessità di continuare il dialogo. Se tutti gli umbri comprendessero quale grande tesoro hanno credo che potrebbero aiutare molto il dialogo tra i credenti di diverse religioni come anche con i non credenti”. Ritiene che la tradizione spirituale degli abitanti di questa terra possa contribuire a definire l’identità della regione, su cui si sta discutendo in vista della redazione del nuovo Statuto regionale?”Come Commissione pastorale regionale per i problemi sociali e il lavoro abbiamo istituito un gruppo di studio che si propone di dare contributi sul tema dello Statuto. Parlando di “identità” della regione vogliamo sottolineare con forza la dimensione universale che viene riconosciuta nel mondo all’Umbria per essere la terra di san Francesco e per la sua grande tradizione spirituale”. Una identità che occorre tradurre in termini “laici”, inteso in senso positivo del termine…”Certo, e si può fare. Ne è un esempio l’apertura, proprio a Terni, di un nuovo corso di laurea su cooperazione sviluppo e pace” “Ci siamo riuniti per invocare da Dio la pace”Si è svolto dal 2 al 4 settembre a Barcellona il XV meeting internazionale “Uomini e religioni”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio e quest’anno intitolato “Le frontiere del dialogo: religioni e civiltà nel nuovo secolo”. Erano presenti numerosi rappresentanti delle Chiese ortodosse e protestanti alla Messa di apertura, presieduta nella basilica di Santa Maria del Mar dal card. Ricardo Maria Carles Gordo , arcivescovo di Barcellona, che ha auspicato “un incontro presieduto dallo spirito di Pentecoste, cioè tra le diversità ma senza confusioni reciproche né tentativi di emulazione o superiorità”. Un richiamo all’umiltà è venuto anche da Sua Beatitudine Anastasio, arcivescovo di Tirana e primate ortodosso di Albania: “Negli ambienti ecclesiali si compiono molti sforzi, si organizzano congressi, si fanno dichiarazioni – ha detto – ma occorre ricordare sempre l’esempio di Cristo nei nostri contatti con gli altri, con lo straniero e con chi è diverso da noi”. Nella giornata conclusiva è giunto anche il messaggio di Giovanni Paolo II, che ha definito questi incontri interreligiosi “un segno opportuno per il terzo millennio, caratterizzato sempre più dal pluralismo culturale e religioso. Non si può più tollerare lo scandalo della divisione; riconosciamo che le differenze non ci spingono allo scontro ma al rispetto, alla collaborazione leale e all’edificazione della pace”. Il Papa ha anche richiamato lo “Spirito di Assisi” che in questi quindici anni ha coltivato il “sogno dell’unità della famiglia umana”. “Il dialogo continua, mentre cresce la nostra attenzione ai problemi dell’Africa e del Medio Oriente”, ha evidenziato Andrea Riccardi , fondatore della Comunità di Sant’Egidio, tracciando un primo bilancio dei temi al centro del meeting. Dal confronto reciproco è maturata “l’idea di una preghiera comune a Gerusalemme, fianco a fianco, tra cristiani, ebrei e musulmani, perché la guerra finisca e si possa uscire dalla strettoia che impedisce il dialogo”, ha auspicato Riccardi, preoccupato “per tutti i fondamentalismi, anche quelli etnici e nazionalisti”. Un’altra iniziativa in cantiere è promuovere un “nuovo patto per l’Africa a viso aperto: forse non esistono politiche europee per questo continente, con cui abbiamo un passato comune. In questo senso le Chiese hanno responsabilità e possono contribuire al dialogo con gli africani”. Le giornate del meeting sono state intense per gli incontri di preghiera, conferenze, tavole rotonde. Uno dei temi trattati è stato quello della celebrazione comune della Pasqua per le Chiese cristiane. “Se quest’anno una casualità del calendario ha permesso la celebrazione comune della festa della Pasqua, possiamo solo sperare che ciò che è stato possibile grazie a un caso divenga presto una regola”, ha auspicato il card. Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Le divisioni delle Chiese, ha osservato, “hanno spaccato l’Europa e noi europei abbiamo esportato la nostra mancanza di unità anche in altri continenti, come Africa e Asia, rendendo non credibile il cristianesimo agli occhi di molti”. Occorre puntare, quindi, “sull’ecumenismo della vita, rinunciando a tutte le forme di proselitismo aperto e nascosto, informandosi reciprocamente; in tutte le decisioni vanno considerate le conseguenze che possono avere per le altre Chiese”. Riguardo al ministero petrino, Kasper lo ha definito “tutt’altro che superato in un mondo divenuto villaggio globale, anzi, dona alla Chiesa un’unità interna ed esterna e allo stesso tempo un’indipendenza e libertà nei confronti degli Stati. Attendiamo la partecipazione delle Chiese ortodosse al dialogo su questo ministero: ci chiediamo come possa essere esercitato in futuro per lasciare alle altre tradizioni ecclesiali la rispettiva indipendenza e promuovere allo stesso tempo la loro coesione”. “Bisogna smettere di sparare, evitare ogni terrorismo, non usare il nome dell’Onnipotente per giustificare la guerra. E’ tempo di dialogo per una maggiore comprensione reciproca: dobbiamo stendere la mano uno verso l’altro perché abbiamo un solo Padre”. E’ l’appello dell’ebreo Israel Meir Lau, rabbino capo di Israele, originario di Cracovia e sopravvissuto al campo di sterminio di Buchenwald quando aveva 8 anni. Lo ha pronunciato il 2 settembre all’assemblea d’inaugurazione del meeting. All’augurio del rabbino è seguita una stretta di mano con Mohammed Amine Smaili, teologo musulmano e docente all’università di Rabbat, in Marocco, che ha citato il Papa che fin dal 1985 a Casablanca, davanti a 80 mila musulmani marocchini, “ha tracciato le linee di un dialogo per una civiltà della coabitazione, non di vincitori e vinti”. “Piangiamo le nostre illusioni perdute: la pace”, ha dichiarato René Samuel Sirat, della Conferenza dei rabbini d’Europa, intervenendo alla tavola rotonda del 3 settembre su “Dialogo interreligioso: 15 anni da Assisi”. “Oggi noi condanniamo la violenza, i propositi irresponsabili, l’assenza o comunque il colpevole silenzio degli uomini di religione, l’olio versato sul fuoco di un incendio che rischia di devastare tutto – ha proseguito -. Nonostante tutto questo, la preghiera abbatte i muri di odio, le barriere del sentimento di vendetta provato da una parte e dall’altra”. E’ la “determinazione disperata dei poveri, per i quali il benessere si trova sulla sponda opposta”, a determinare l’immigrazione clandestina, ha denunciato il presidente della Repubblica della Costa d’Avorio Laurent Gbagbo, convinto che le misure respressive di lotta al fenomeno si scontrano con alcuni dati oggettivi. “In Africa si stimano oltre 210 milioni di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno. Esiste un legame tra la povertà e la guerra e la lotta contro la miseria è una dimensione essenziale della lotta per la pace”.

Nella basilica di Canoscio la celebrazione dell’Assunta

Come è tradizione, il giorno di ferragosto migliaia di pellegrini hanno fatto visita alla Basilica della “Madonna del Transito” di Canoscio dove ogni anno viene celebrata con particolare solennità l’Assunzione in cielo della Vergine Maria. Momento culminante dell’intensa giornata è stata la celebrazione Eucaristica delle ore 11.00, presieduta dal Vescovo di Città di Castello. Durante l’omelia mons. Pellegrino Tomaso Ronchi si è chiesto se l’antichissima festa dell’Assunta, che coincide con il ferragosto, appartenga ancora al calendario religioso oppure sia passata a quello civile. I telegiornali documentano ogni anno i modi più diversi con cui la gente ha vissuto il giorno dell’Assunta. C’è di tutto, ma quasi mai niente viene detto dell’Assunzione di Maria. “Per troppi cristiani la festa liturgica è diventata soltanto un pretesto per qualcos’altro!”. Mons. Ronchi ha sottolineato che “in questo contesto di superficialità desta grave preoccupazione anche la disinvoltura con cui persone, che non si confessano da lungo tempo, vanno a fare la comunione, soprattutto in occasione di feste solenni, di matrimoni e di funerali”. Il Vescovo ha ricordato, con le parole del Papa, la necessità che ogni cristiano recuperi il senso morale e quello del peccato per poter così apprezzare il sacramento della conciliazione. Commentando il brano dell’Apocalisse proposto dalla liturgia – testo che pone l’accento sulla lotta tra il bene e il male, tra la vita e la morte nella storia dell’umanità e di ciascuno di noi – mons. Ronchi ha sottolineato la forza e la tragica attualità racchiusa nell’immagine del diavolo, il “serpente antico”, che lotta con la “donna vestita di sole” – figura della Chiesa ideale, madre feconda malgrado le prove, le sofferenze e le persecuzioni – e vuole trascinare giù le stelle di cui era coronato il capo della donna. “Il drago terrificante, il diavolo ha ricordato il Vescovo – continua a spegnere le stelle in cielo, anzi ad eliminare ogni vista sul cielo, per imprigionare la vita dell’uomo solo nell’orizzonte terrestre. Le luci del progresso, della tecnologia, pretendono di sostituire quella delle stelle. Ma, scomparendo le stelle del cielo, specialmente la ‘stella polare’ che è Cristo, l’uomo perde ‘la bussola’ e finisce per smarrire l’orientamento e il senso del proprio cammino esistenziale. La dissipazione, il frastuono, la superficialità, la confusione lo stringono d’assedio e la sua vita diventa tanto più vuota quanto più è rumorosa”. Sembra che la forza del diavolo, portatore di morte, debba sconfiggere la vita. In realtà la stirpe della donna è destinata a schiacciare la testa del serpente; mons. Ronchi ha ricordato con vigore che la risurrezione di Cristo ha determinato la “morte della morte”. Questa è la certezza della fede cristiana che ognuno deve proclamare a tutto il mondo. “La Madonna – ha proseguito il Vescovo -, con la festa odierna, ci ricorda che anche noi, con il nostro corpo, parteciperemo al corteo trionfale del Cristo. Oggi è l’occasione favorevole per proclamare con maggiore entusiasmo: “Credo la resurrezione dei morti. Credo la comunione dei santi. Credo la vita eterna”. Per noi, cristianamente consapevoli che la nostra patria è nei cieli e che sulla terra siamo solo dei pellegrini verso il paradiso, “la festa dell’Assunta costituisce un’occasione privilegiata per recuperare nella vita di ogni giorno la dimensione del silenzio e della meditazione e così riscoprire i valori essenziali dell’esistenza, liberandoci dalla vernice dell’apparenza e dalla maschera dell’ipocrisia”.

L’impegno di Grazia Paoleri per i bambini di Chernobyl

Tanti ad Orvieto ricordano l’estate come il periodo di arrivo di “turisti” speciali. Come dimenticare i bambini ucraini, che parlano una lingua tanto diversa dalla nostra ma con gli occhi del colore del cielo ed i capelli biondi che incorniciano piccoli visi illuminati da un triste sorriso? Le loro giovani vite, come quelle di altre seicentomila persone sono state sconvolte per sempre da una catastrofe nucleare, determinata dall’incuria e dall’incapacità umana, chiamata in modo eufemistico “incidente”. Dal 1986 un’area con un raggio di trenta chilometri quadrati è terra di nessuno, mentre ben sessanta insediamenti abitativi sono città fantasma. Gli sfollati sono stati trasferiti in quartieri dormitorio alla periferia di Kiev. Tra questi c’è anche Leningradsky, dove vivono in condizioni disumane moltissime persone, stipate in cinque o sei appartamenti di circa trenta metri quadrati. In questo ambiente degradato un’associazione, l’Ai.Bi., umanitaria, internazionale (sede italiana: Mezzano, San Giuliano Milanese, 20098, (MI), tel. 02/29.88.221) porta avanti insieme ad un partner locale “Children of Chernobyl for Surviving” un utile progetto a favore dei minori in difficoltà. I bambini esposti alle radiazioni ed alimentati con cibi locali altamente ancora contaminati, presentano un pericoloso abbassamento delle difese immunitarie oltre all’ipotiroidismo. Per tentare di arginare una situazione, a prima vista senza via di uscita, sono state organizzate vacanze terapeutiche in località idonee, molte in Italia. Tuttavia questo impegno temporaneo non basta, come ha ben capito Valentina Rogava, ingegnere nucleare della centrale di Chernobyl, fondatrice dell’organizzazione locale che collabora con la Ai.Bi. Per questo è stato approvato un progetto globale volto alla difesa dei minori all’interno della società in cui vivono, con una coordinatrice orvietana: Grazia Paoleri, laureatasi in Sociologia e specializzatasi in Diritto internazionale. Questa ragazza, così giovane ma già molto decisa sul come impegnare la sua vita, si trova a Kiev dal giugno di quest’anno per dirigere il lavoro insieme ad un altro italiano, Alessandro Terzi, che ha inviato le due storie di vita vissuta che vengono qui pubblicate. L’impegno continuo di Grazia, attiva ad Orvieto nel volontariato vincenziano insieme alla sua carica vitale ed alla capacità innata di coinvolgere chiunque incontri sul suo cammino, non possono lasciare indifferenti. Per questo si è convinti che gli orvietani, così come hanno aperto generosamente le loro case per accogliere alcuni bambini ucraini in vacanza, daranno un loro contributo per assistere i tantissimi che sono rimasti nel loro paese, dove cercano di sopravvivere ogni giorno insieme ai loro genitori.

Volontari in giro per la città per la raccolta dei rifiuti differenziati

Tra il Comune di Gubbio e l’associazione “Cordillera Blanca”, dell’organizzazione Mato Grosso, è stata sottoscritta una convenzione, in vigore da settembre, per la raccolta differenziata di ferro, vetro, carta, plastica, stoffe e stracci, legno, pile e batterie usate, rifiuti che oggi finiscono in discarica. I cittadini hanno a disposizione due soluzioni. Consegna diretta presso l’area circostante il magazzino comunale (loc. Venata) nei giorni di martedì, giovedì (dalle 18 alle 21) e sabato (9-13). Agli “utenti” abituali andrà un riconoscimento del Comune non solo morale. Sono previsti infatti buoni di vario genere, compresi quelli per eventuali acquisti. E’ prevista anche la raccolta a domicilio (con un contributo spese di 5 o 10 mila lire a seconda che i rifiuti superino o meno i 50 chili) richiedendola al numero verde 800.532.525, attivo presso i Vigili urbani dal 10 settembre. “Cordillera Blanca”, che opera in regime di puro e totale volontariato, destinerà il ricavato per le missioni dell’Organizzazione Mato Grosso che operano in favore delle più diseredate popolazione del Perù. La convenzione rientra nel “Regolamento di buon vicinato”, elaborato dal Comune per valorizzare tutto il settore del volontariato coinvolgendolo, ove possibile, nella gestione della cosa pubblica (ambiente, solidarietà, servizi ai cittadini). La convenzione con la “Cordillera Blanca” è stata firmata dal sindaco Orfeo Goracci e da Giorgio Ragni per conto dell’ Omg, presenti la vice sindaco Palmira Barchetta, membri della Giunta ed i dirigenti che hanno partecipato alla sua stesura ed a quella del “Regolamento”. E’ la premessa di un servizio significativo in un settore importante come quello della raccolta dei rifiuti che sconta una organizzazione ormai da aggiornare ed una “rete” di contenitori insufficienti (saranno potenziati nei prossimi mesi hanno assicurato Sindaco e Vice sindaco) per agevolare una “differenziazione” dall’origine. “Cordillera Blanca” sarà a disposizione dei cittadini e non già delle industrie.

Inaugurato il centro pastorale a Santa Maria degli Angeli

Come si trova specificato in una monografia di Francesco Santucci, l’8 novembre 1850 il vescovo Luigi Landi Vittori istituì, distaccando dalla chiesa benedettina di S. Pietro in Assisi 1.032 anime, la parrocchia distinta di S. Maria degli Angeli. Una analisi oggettiva induce a constatare che tale realtà parrocchiale ha sempre offerto i suoi benefici per oltre un secolo e mezzo all’ombra del “cupolone”, ovvero immersa in seno al convento della Porziuncola: senza dubbio operosa, ma tuttavia quasi priva di visibilità, nonostante la libertà di azione concessa dalla comunità francescana. Il terremoto del ’97, che provocò lesioni al complesso basilicale e conventuale, impose alla parrocchia una sistemazione precaria presso alcuni containers sistemati nell’area della Domus Pacis. Ma venne presto il tempo del riscatto grazie alla costruzione nella zona attigua di un complesso progettato dall’ing. Claudio Menichelli come Centro pastorale; oggi arredato e predisposto all’uso, inaugurato domenica 26 agosto con una festa contrassegnata da inni, rintocchi di campane, sventolio di bandiere, dalla lettura del telegramma augurale del Provinciale dei Frati minori padre Massimo Reschiglian, da un intrecciarsi di commenti e giudizi, parole e dichiarazioni espresse prima, durante e dopo la Messa da rappresentanti religiosi e civili: al massimo grado di soddisfazione padre Francesco De Lazzari nominato parroco il 24 giugno 1999. Sta a cuore notare qui come la presenza del Centro pastorale muti la tradizionale situazione. E infatti la parrocchia (pur restando in affidamento al convento della Porziuncola) acquista una sua autonomia strutturale, una più marcata potenzialità ed una presenza più evidente. La parrocchia non avrà più una sede provvisoria, ammette il vescovo mons. Goretti, fatto che deve indurre i fedeli ad assumere iniziative e a garantire una partecipazione costante. Il Vescovo esprime la sua gioia venata da una preoccupazione, in quanto i costi del Centro pastorale risultano superiori alle aspettative. La Conferenza episcopale italiana (Cei) ha elargito un miliardo, ma le spese vanno ben oltre. La parrocchia resta legata al convento della Porziuncola, afferma il parroco padre Francesco De Lazzari, ma ora può sviluppare un più incisivo attivismo pastorale e diventare un coagulo di animazione, gestito da laici con l’apporto dei frati e la dedizione delle suore. L’entusiasmo è palese anche in Dino Siculi, indicato come “zio” della parrocchia: “Siamo orgogliosi e fieri di disporre di una nostra casa alla quale dobbiamo affezionarci restando fedeli alla famiglia francescana che ci ha sempre aiutato”. Anche il sindaco Giorgio Bartolini ha espresso il suo pieno consenso: “La nascita di questa struttura rappresenta l’indice della crescita e delle modificazioni della comunità angelana. Era un villaggio S. Maria degli Angeli quando sorse la parrocchia che svolse funzione religiosa, educativa e sociale. Oggi il villaggio è diventato un centro intraprendente da annoverare tra i fulcri più splendidi del francescanesimo. Di fronte a tale rivoluzione gli angelani si stringono ancora intorno alla parrocchia animati da una forte religiosità improntata dal culto della Madonna: questi in sintesi i concetti espressi. Ampiezza e funzionalità si evidenziano come caratteri del Centro pastorale. Nel seminterrato trovano posto una sala per incontri formativi e una vasta sala-giochi, ed inoltre uno spazio polifunzionale disponibile per oltre 400 posti circa; al primo piano gli uffici ed una cappellina; al secondo piano l’appartamento riservato al parroco e ai religiosi addetti al servizio parrocchiale, l’archivio ed inoltre otto luminose aule destinate alla catechesi. Non meravigli la dimensione del complesso: questo è tenuto a costituire un punto di riferimento per le 3 confraternite, per le 3 comunità neo-catecumenali, per gli aderenti al Rinnovamento nello Spirito, per l’Ordine francescano secolare (Ofs), per l’Azione cattolica, per i ministri straordinari dell’eucarestia, per accoliti e lettori, per la Caritas e per il Patronato Acli, per i gruppi di pastorale familiare e giovanili, per i volontari che garantiscono il servizio mensa e accoglienza spirituale alla Casa di Betania. Un’ala è poi riservata agli organismi parrocchiali e alla redazione del periodico “Cristiani Duemila con la Madre di Gesù” fondato dalla stesso parroco De Lazzari.

Verrà restaurato un importante polittico nella chiesa di S. Croce

Il Polittico di S. Angelo, il quadro di Niccolò di Liberatore, di Giacomo di Mariano, detto l’Alunno, (Foligno, 1430-1502) sarà al più presto restaurato. Collocato sulla parete destra dell’altare maggiore della Chiesa di S. Croce, a Bastia Umbra, il dipinto, una tempera su tavola, presenta: fessurazioni, tarlature e varie perdite di colore. La parrocchia di Bastia Umbra, dopo aver ottenuto il finanziamento per il restauro dalla fondazione Cassa di risparmio di Perugia, ai primi di gennaio, ha iniziato subito le pratiche burocratiche. Seguite da Teresa Morettoni, sia come delegata della Commissione diocesana dei Beni culturali, sia per conto della stessa parrocchia; dopo alcune difficoltà iniziali – spiega la Morettoni – l’iter delle pratiche si è concluso in tempi brevi. Alla metà d’agosto è arrivata l’autorizzazione per il restauro da parte della Soprintendenza ai Beni artistici dell’Umbria, presieduta dall’ingegnere Luciano Marchetti. La Morettoni continua: “E’ il quadro più importante della nostra città, è il segno più tangibile di un risveglio culturale”. La tavola che raffigura la “Madonna con Gesù Bambino in trono con S. Sebastiano e S. Michele Arcangelo” risale al 1499. E’ stato l’ultimo lavoro dell’Alunno, sembra in ogni modo che l’abbia concluso suo figlio Lattanzio. L’opera, inizialmente, era la pala d’altare della chiesa di S. Angelo, dal 1872 era già stata trasportata nell’Oratorio della Buona Morte, come riporta lo storico A. Cristofani, fino al 1955 (anno della sua demolizione). In seguito fu portata nella chiesa di S. Croce, dove è rimasta fino ad oggi. Nei primi decenni del ‘900 in alcune parti il dipinto fu restaurato utilizzando della soda; che se da una parte ripuliva, dall’altra ne corrodeva il colore. E’ stato definito un quadro di scuola umbra, anche se l’Alunno negli ultimi anni della sua vita, rimase estraneo al movimento artistico dell’Umbria dell’ultimo quarto del XV secolo. Solo in quest’ultima opera, il Polittico di S. Angelo, vi è un accenno alle forme del Pinturicchio, specialmente nell’Annunciazione, ma suo figlio Lattanzio ha eseguito quelle figure e non il vecchio maestro. Il dipinto una volta restaurato, si spera entro la fine dell’anno, verrà collocato provvisoriamente sulla controfacciata della chiesa di S. Michele Arcangelo, finché quella di S. Croce non sarà ripristinata e trasformata in sala espositiva. La parrocchia ha intenzione di pubblicare un volume sui restauri cui parteciperanno importanti nomi della storia dell’arte italiana, a cura della stessa Morettoni che lo seguirà per conto della Commissione diocesana dei Beni culturali.

Una calda estate, tra feste e sagre, con l’assalto dei motorini

La Valnerina come madre premurosa ha accolto tutti. Tanta, tantissima gente, proveniente da ogni parte d’Italia e dall’Estero, ha scelto di trascorrere almeno tre giorni in questo piccolo angolo dell’Umbria, riposante e fresco per il suo verde, affascinante per le tante sorprese che svela ad ogni passo. A questi si è aggiunto il massiccio rientro degli oriundi, che per 15/20 giorni hanno rivitalizzato anche i paesi più sperduti del Comprensorio. Una vera festa di gente. E’ stata un’estate calda, caldissima, e la Valnerina ha rappresentato un luogo di refrigerio, un’oasi di tranquillità; per questo sono usciti in massa dalle grandi città e si sono riversati in montagna, che risulta una vacanza più accessibile alle tasche di tanti e più serena rispetto ai posti di mare. Tutti i centri, anche i più piccoli, hanno usufruito di tanta abbondanza di presenze. Una stagione, quindi, decisamente positiva per albergatori, ristoratori ed anche per le attività commerciali, quasi tutte a conduzione familiare. Feste e sagre a non finire in ogni frazione. Religiosamente c’è stato un riavvicinamento al culto, specialmente domenicale. Dobbiamo constatare che il più delle volte si è trattato di un fatto religioso quasi sentimentale più che di un atto di fede. Si vedono in giro tanta banalità, indifferenza e poca profondità spirituale: molte persone sono prese dal soddisfacimento di esigenze spesso esclusivamente materiali, rincorrono beni effimeri, mentre i segnali di una grande spiritualità si affievoliscono se non addirittura sembrano regredire. Tra le cose negative in senso assoluto ci sono senza dubbio la negligenza e la noncuranza di tanti che buttano dai finestrini delle macchine di tutto, senza alcun ritegno per l’ambiente e la natura. Lungo le strade c’è un ristagno di cartacce, bicchieri, buste di plastica. Quando impareremo ad essere più civili e rispettosi dell’ambiente che ci circonda! Non vogliamo restare sommersi come capita in certe città italiane tristemente famose sotto montagne di rifiuti, frutto di una società dei consumi che usa indiscriminatamente di un eccesso di beni e getta scarti in ogni parte. C’è stato, poi, l’assalto dei motorini. Se da una parte sostituiscono le macchine,rendendo più facile lo scorrimento del traffico, dall’altra assistiamo a rumori sempre più insopportabili di giorno e di notte, a scorribande di giovani che usano lo scooter come innocuo giocattolo. Riposare in estate non è sempre facile. I complessini nelle piazze o presso i bar diffondono note a tutto volume ben oltre la mezzanotte. Il tempo. La continuità di giorni di sole senza gli abituali scrosci di pioggia determinati dai temporali ha ‘lessato’ le foglie dei boschi, che hanno iniziato ad imbrunire precocemente. Ora in tanti attendono il refrigerio di una pioggia tonificante per le persone e per la campagna. Sempre per la salvaguardia dei boschi ( e la Valnerina fino ad oggi si è salvata dagli incendi ), ci giunge notizia che il Corpo delle Guardie Forestali ha emesso contravvenzioni sonore nei confronti di persone che hanno acceso fuochi o semplicemente fornelletti da campo vicino ai boschi. E’ uscita in questi giorni una normativa che proibisce anche di fumare dentro il bosco. Tra le cose dette e sentite in questa estate c’è una presa di posizione del Sindaco di Poggiodomo. Di fronte alla solitudine angosciante di alcuni paesi, il prof. Egildo Spada, interpellato da una mozione della minoranza circa gli eccessivi punti luce dell’illuminazione pubblica, così ha risposto: ” Quando non ci saranno più le luci pubbliche e il suono delle campane vuol dire che i nostri paesi sono completamente morti. Fino a quando brillerà una lampada c’è il segno della vita”. Di buono abbiamo constatato che i vigili urbani non hanno usato la mano pesante nei confronti dei turisti. Ci sono stati sufficiente tolleranza, buon senso, discrezionalità, modi accoglienti: il che ha creato un’immagine gradevole di città ospitali, a vera dimensione umana. A questa benevola comprensione dei veri vigili ha contrabilanciato l’inflessibilità di alcuni ausiliari del traffico. Certi atteggiamenti forzatamente inibitori hanno suscitato situazioni grattesche e talvolta provocatorie. Belle anche tutte le serate di agosto, allorquando un salutare fresco ha soppiantato la grande calura del giorno: ciò ha permesso alle persone di incontrarsi e di dialogare. Magiche e coinvolgenti sono apparse le ore della notte. Ben presto con le prime piogge ci si avvierà rapidamente verso l’autunno e sarà sempre più difficile vedere gente all’aperto. Tra i fatti culturali più importanti c’è da annoverare il concorso letterario “Il racconto del nonno” a Vallo di Nera, che ha visto nella data del 10 agosto la partecipazione alla premiazione di oltre cento autori. Sono risultati vincitori: per la sezione a tema libero, Enrico Passani di Carrara con il’Putto barocco ( I premio), Maurizio Melani di Roma con Briganti e Tito Vezio Viola di Chieti con Il bosco dei tanti nomi ( II premio ex-aequo), Francesca Trusso di Lamezia Terme con A scapillata ( III premio); per la sezione a tema obbligato con un’erba a protagonista del racconto, Claudia Palombi di Bologna con Artemisia e il tesoro delle fate (I premio), Luigi Beccafichi di Spoleto con L’arme del conte di Roccafosca ( II premio ), Rossana Figna di Parma con la Pervinca (III premio). Sezione riservata alle scuole: I premio all’Istituto Comprensivo statale di Montalto di Castro; il II alla Scuola Media statale di Vallo di Nera; il III premio a Daniele Filippucci dell’Itis di Foligno. Hanno ricevuto menzioni speciali Marcello Marini di Norcia, il giovane Emanuele Pilati di Vallo di Nera e la Casa di reclusione di Spoleto. Quest’ultima ha proposto due pubblicazioni, cariche di contenuto letterario e grande senso di umanità. Altro aspetto positivo di questa estate è l’ottimo lavoro portato avanti dai dodici ragazzi (‘Guardie ecologiche di Legambiente’) del Campo di Volontariato Internazionale. In un mese hanno ripulito di tutte le sue sporcizie ( cartoni, buste, bottiglie, gomme di macchine, ferri ) il tratto dell’antico percorso della ferrovia Spoleto-Norcia e della strada statale da Sant’Anatolia di Narco a Cerreto. Un vero capolavoro di serietà, di impegno e di ..pulizia ed anche un buon esempio per tutti! Questa è stata la nostra estate in Valnerina: bella, riposante, a contatto immediato con la natura. I tanti, tantissimi sportivi che l’hanno frequentata testimoniano che questo territorio è davvero eccezionale.

Conclusa la Peregrinatio della santissima Icone di Spoleto

“Peregrinatio”: una parola che potrà suonare strana, con quei due termini: l’uno, latino, che si ricollega a “per” e “ager” (“attraverso gli spazi fuori della città”), l’altro, greco e cioè “Eikon”, o “Immagine”: nel nostro caso è l’Icone spoletina per antonomasia, che fin dall’inizio fu detta Santissima, donata alla nostra Chiesa da Federico Barbarossa, a garanzia della “Pace e Riconciliazione” del 1185. Per quasi cinque secoli fu conservata nella “Cappella delle Reliquie” (allora “Cappella delle Cona”) della nostra Cattedrale, poi, nel ‘600, ebbe una nuova cappella tutta sua, offerta da Andrea Mauri. Nel 1800, il nuovo papa Pio VII, scendendo da Venezia a Roma, in tempi difficilissimi per la Chiesa, volle farle l’omaggio del diadema prezioso, con cui l’incoronò egli stesso.E’ l’Icona nella quale si riassume tutta la nostra storia e si annunzia il futuro non solo della città di Spoleto, ma dell’intera nostra Chiesa locale di Spoleto-Norcia. Era giusto dunque che in quest’anno 2001, all’inizio del Terzo Millennio, essa “uscisse di città” e si ponesse quasi in cammino attraverso tutto il territorio della diocesi, particolarmente nelle località che anticamente avevano un vescovo proprio e poi confluirono nell’attuale arcidiocesi: sette diversità per una sola comune unità. Si è rinnovato così l’accorrere delle popolazioni che fu già del 1985, VIII centenario del dono, ma questa volta con una maggiore completezza e più approfondita coscienza, nel secondo anno del Sinodo, la grande consultazione diocesana che tutti chiama a raccolta per la strada dei nuovissimi tempi: un solo Corpo, un solo Spirito, un solo Padre, sotto il manto dell’unica Madre. Abbiamo già accennato al percorso dell’Icone, da Carsulae (3 agosto) risalendo per la Valnerina (S. Pietro in Valle – 4 agosto) e i monti del Coscerno (5 agosto) è salita a Cascia e quindi a Norcia (6 agosto) proseguendo poi per i monti che furono già di Benedetto e dei suoi: S. Eutizio – 7 agosto – e il Sellanese (Villamagina 8 agosto). Ridiscendendo poi nella Valle spoletana, la SS.ma Icone ha toccato gli antichi vescovadi di Trevi (9 agosto) e Bevagna (10 agosto). Risalendo poi l’antica via Flaminia ha sostato nell’antica sede vescovile di Martana (S. Felice di Giano 11 agosto). Di lì, ancora per la via dei monti, il Santuario mariano di Panico (12 agosto), ridiscendendo poi a Spoleto il 13 agosto. Tutte le parrocchie della città le hanno fatto festa, nel suo arrivo a S. Gregorio Maggiore, con la grande Liturgia dell’Akathistos, nella tarda sera, con la presenza delle autorità civili e militari e l’intervento, graditissimo, anche di mons. Vincenzo Apicella, vescovo ausiliare di Roma. La giornata del 14 è stata tutto un affluire di popolo nell’antica Basilica, fino ai Vespri solenni delle 21.00 e subito dopo la Processione notturna, come gli altri anni. I comuni dell’arcidiocesi erano presenti con i sindaci e i gonfaloni, ugualmente le Unità pastorali con le loro rappresentanze. Arrivati così in piazza del Duomo, non potremo mai dimenticare lo spettacolo altamente suggestivo delle centinaia di flambeaux che punteggiavano l’immensa area. Ed è lì che si è conclusa la grande “Novena”, con il discorso dell’arcivescovo mons. Riccardo Fontana, dall’ambone del portico, su questa piazza che fu già arengo del nostro libero Comune. Il 15 poi, la grande Solennità: come gli scorsi anni: dopo il solenne pontificale del giorno, con servizio musicale della Cappella del Duomo, mons. Arcivescovo ha benedetto la folla e l’intera diocesi con la SS.ma Icone, dalla terrazza del Duomo. Per la circostanza, l’Arcivescovo ha impartito la Benedizione papale, per singolare concessione del Papa, come già giorno per giorno nelle località visitate. Ringraziamo il Papa anche per le centinaia di corone del Rosario inviate in ricordo. Per altri particolari rinviamo alla rivista della diocesi “Chiesa in cammino”. Fummo, nell’Alto Medioevo la Terra di S. Maria, vogliamo esserlo ancora.

L’Università a Terni e il nuovo liceo linguistico “A. Moro”

Con l’impegno di un gruppo di lavoro, coadiuvato da don Gianni Colasanti, e la preziosa collaborazione delle suore dell’Istituto Leonino sta per partire un progetto scolastico di alto profilo. Per capirci dovremmo riassumere le tappe di un cammino che si sta rivelando sempre più interessante. Al primo posto c’è ovviamente l’annuncio dell’arrivo a Terni di nuove facoltà universitarie. La cosa non poteva non interessare anche la Chiesa diocesana. Terni aveva bisogno di un balzo in avanti del suo apparato culturale. L’approdo in città di una serie così variegata di facoltà era l’evento provvidenziale che si attendeva. L’università dà un più ampio respiro culturale alla città, ma porta anche nuove opportunità di lavoro. Senza dimenticare quanto utile sia per i nostri giovani poter vivere la propria esperienza di studio poco lontano da casa. Questo è stato il momento di partenza di una riflessione approfondita e della costituzione di un gruppo di lavoro che proponesse iniziative. Parallelamente veniva offerta o richiesta una possibilità di collaborazione da parte della Coop Aidas che intanto aveva avviato le procedure per l’acquisto del Liceo linguistico “A. Moro”. Il dialogo e la collaborazione porteranno a questi risultati: la costituzione di una società non profit “Sistemi educativi europei” per l’acquisizione e la gestione del Liceo linguistico “A. Moro” per farne una scuola libera, privata di alto profilo, di ispirazione cristiana; l’offerta all’Università di Perugia di ospitare la nuova facoltà di lingue (“mediazione linguistica”) nello stesso Istituto Leonino. L’Università ha accolto con entusiasmo l’indicazione; l’individuazione nell’Istituto Leonino della concreta sistemazione del Liceo “A. Moro” e della facoltà universitaria senza turbare la normale vita delle religiose e la vita scolastica della Media “De Filis” già presso l’Istituto Leonino. A dire il vero con la Media “De Filis” qualche problema c’è stato e si spera di risolverlo al più presto. Siamo a questo punto. Ciò che abbiamo raccontato è frutto di un impegno, condiviso dal nostro Vescovo, ma anche di serie convinzioni a cui si vorrebbe accennare. La prima è la necessità di porci al servizio del cammino culturale di questa nostra città. La comunità cristiana, le varie istituzioni e le singole persone non possono essere indifferenti o tirarsi indietro in occasioni come queste. Il forte impulso dato alla presenza universitaria a Terni e l’opportunità di dare vita a una scuola privata di ispirazione cristiana sono state occasioni di impegno per la diocesi. La seconda è l’idea che la creazione di una scuola libera e di forte e alto impegno culturale sia anch’esso un reale servizio alla nostra città. Una scuola di ispirazione cristiana oltre a dare un servizio culturale trasmette quei valori di autentica promozione umana che trovano le radici nella millenaria storia italiana. La terza è che la testimonianza di servizio alla città passa anche attraverso concreti impegni culturali come quelli che si stanno prendendo in questi giorni. Ci auguriamo che la storia che ne seguirà abbia, insieme con i risultati concreti, quel fascino che chi la sta attuando sembra intravedere. Conosciamo tutti don Gianni Colasanti che è come il timoniere del progetto. Con lui ci sono altre persone della diocesi e della Coop Aidas, impegnata nello stesso cammino. Attraverso queste pagine saranno raccontati gli sviluppi di questo che abbiamo chiamato il polo di cultura linguistica “dalla materna all’università”.

Braccio di ferro tra Regione e Governo sull’elettrosmog

La legge regionale sull’elettrosmog non passa l’esame governativo. Per la seconda volta il commissario di Governo non ha accolto la versione del Consiglio regionale che sembrerebbe prevaricare le competenze nazionali. E’ partito il ricorso davanti alla Corte costituzionale per la dichiarazione di illegittimità del provvedimento approvato dall’assemblea, in seconda istanza, il 30 luglio scorso. Torniamo indietro per un momento. L’Umbria è una delle prime regioni italiane a legiferare sulla materia – tanto delicata per i suoi effetti sulla salute dei cittadini – dopo l’applicazione della legge quadro nazionale del febbraio 2001. Il testo normativo approvato il 21 maggio scorso dal Consiglio umbro è stato rinviato dal commissario di governo. Con qualche modifica la legge era stata poi di nuovo votata a maggioranza alla fine di luglio. Ora c’è l’ultimo atto. Se la Corte costituzionale boccia la legge bisogna ricominciare daccapo. E’ in atto un attacco all’autonomia delle regioni oppure si vuole “esagerare” nel non prendere in considerazione i rilievi governativi? Nel ricorso alla suprema corte dall’Avvocato dello stato si contesta l’articolo 2 che “richiede ai gestori e ai concessionari la dimostrazione delle ragioni obiettive della indispensabilità degli impianti ai fini della operatività del servizio” perché si osserva che “gli operatori sono imprese che operano con criteri economici e, quindi, per definizione non interessate ad eseguire opere, tra l’altro molto costose, se queste non sono necessarie per i propri fini produttivi”. Questo articolo “avrebbe potuto avere una sua funzione se poi la regione avesse potuto giudicare la indispensabilità degli impianti e il loro carattere obiettivo” ma la Regione – secondo il Commissario di governo – “non ha questi poteri”. L’Ente regionale – per l’organo di controllo – “è competente ad esprimersi sulla compatibilità ambientale e sulla tutela della salute dei cittadini, ma non ha nessuna possibilità di verificare la economicità dell’iniziativa”. Quindi non si può discutere sulle scelte dei gestori che investono. Sotto accusa anche l’articolo 5 che attribuisce alla Giunta regionale “il potere di fissare con regolamento i criteri per l’elaborazione e l’attuazione dei piani di risanamento degli impianti radioelettrici, di telefonia mobile e di radiodiffusione”. Il Governo ritiene che i piani di risanamento non siano di competenza delle regioni e che, quindi, c’è un contrasto con la legge nazionale. Secondo il Commissario di governo “la Regione non può intervenire sui pericoli da inquinamento elettromagnetico prima che lo Stato abbia fissato i livelli consentiti di emissione”. Ci vuole dunque un criterio uniforme in tutto lo Stato. Altrimenti – si rileva nel ricorso – “si arriverebbe alla conclusione che ogni regione potrebbe prevedere criteri propri, non uniformi, dando per presupposto che la struttura biologica dei propri abitanti e la loro capacità di resistenza siano diversi”. Secco “no” anche sull’articolo 21 che impone la procedura di Valutazione dell’impatto ambientale (Via). “Non è prerogativa delle regioni prevedere la Via – ha sottolineato l’avvocato dello Stato – non solo manca la base normativa per le attribuzioni regionali, ma per queste c’è un’espressa smentita normativa. Gli impianti radioelettrici e di radiodiffusione non sono tra quelli che un decreto del 1996 e la direttiva Cee del 1997 sottopongono a Via”. Le attribuzioni in materia sono dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni che può fissare la localizzazione degli impianti con un piano articolato sul quale le regioni possono esprimere “un loro punto di vista anche per quanto riguarda gli effetti ambientali”. Resta escluso, secondo il Governo, che ogni regione possa valutare autonomamente le determinazioni del piano “con la possibilità che ne possa provenire un danno anche ad altre regioni”. Le motivazioni appaiono durissime, quasi sarcastiche. La decisione del Governo di ricorrere alla Corte costituzionale ha provocato una serie di reazioni di diverso tenore. Secondo Angelo Velatta dei Verdi ecologisti, si tratta di “un atto grave e infondato” ed è in forte contraddizione con i principi del federalismo. Pietro Laffranco ha ricordato “l’eccessiva fretta dimostrata dalla Giunta regionale e dalla maggioranza di sinistra nell’accorciare i tempi di approvazione” della normativa. Per il vicepresidente e assessore all’Ambiente della Giunta regionale dell’Umbria, Danilo Monelli, “nella riapprovazione da parte del Consiglio regionale si era tenuto conto delle osservazioni mosse dal governo, alle quali si è specificatamente dato seguito. Non è interesse di questa regione – ha precisato Monelli – fare leggi capestro o vessatorie, bensì esercitare un proprio diritto a favore della collettività”.

Dalle politiche per l’immigrazione alle polemiche sui clandestini

La Giunta era in ferie ma la polemica c’è stata lo stesso sui 900 milioni previsti già nel Documento annuale di programmazione pubblicato nel Bur a febbraio 2001, destinati alle “politiche per l’immigrazione”. E’ bastata una nota dell’Ufficio stampa della Giunta regionale che dava notizia della approvazione del programma di interventi in materia di immigrazione per provocare la reazione di Pietro Laffranco (An) e la replica di Stefano Vinti (Rc). Più che le cose concrete decise nel piano regionale, accennate “di striscio”, la polemica ha riproposto il confronto aperto all’interno dello stesso governo Berlusconi sulla proposta di legge sull’immigrazione, di cui abbiamo riportato la valutazione della Caritas Italiana nel numero 29 del 3 agosto. Per Laffranco “l’immigrazione deve essere ridotta numericamente per crescere qualitativamente” mentre la Giunta regionale starebbe procedendo in modo “illogico, incongruente ed assolutamente non condivisibile” perché preparerebbe aumenti di tributi per gli umbri “già pesantemente tartassati mentre si danno contributi per le politiche per l’immigrazione”. Laffranco contesta anche la validità dei programmi finanziati sottolineando che ve n’è uno per la prevenzione del disagio psichico. Meglio sarebbe, per l’esponente di An, “se la Giunta regionale si facesse carico del disagio – quello sì autentico – dei tanti cittadini che subiscono l’assalto della così detta microcriminalità, soprattutto extracomunitaria. E, meglio ancora, se con quei 900 milioni venissero coperte parte delle spese sostenute dalle imprese, in particolare artigiane e commerciali per l’installazione di sistemi di sicurezza; oppure ripartendo contributi ai cittadini che si stanno attrezzando con sistemi di allarme per le loro abitazioni”. “Riempire la città di sbarre, telecamere e sirene” ha replicato Stefano Vinti, “non risolve il problema della sicurezza e non migliora le condizioni di vita degli immigrati”. Il capogruppo di Rifondazione Comunista a palazzo Cesaroni si è schierato a difesa degli “irregolari”, degli immigrati senza permesso di soggiorno e quindi clandestini per la legge italiana. Vinti ha detto di condividere le tesi della Cgil, dell’Unione inquilini e dell’Unione immigrati di Perugia circa “la necessità di riconoscere agli immigrati i diritti fondamentali alla famiglia, alla casa, al lavoro, all’istruzione alla sanità e al voto”, sostenendo che “i così detti irregolari si trovano spesso in situazioni di emarginazione totale, senza residenza, senza la possibilità di avere un alloggio registrato, senza alcuna tutela per la salute e nell’impossibilità di compiere qualsiasi atto ufficiale”. Una decisa presa di posizione è giunta dall’Associazione regionale Cisl per l’immigrazione, per bocca del presidente Francesco Ferroni. “Chiedere solamente la regolarizzazione dei clandestini – sostiene Ferroni – è solo uno slogan. La Cisl presta da sempre la propria assistenza ai clandestini quando questi si rivolgono ai suoi uffici. Li tuteliamo anche nelle vertenze di lavoro irregolare dove spesso sono pesantemente sfruttati proprio per la loro condizione di clandestinità”. L’esponente sindacale pone anche l’accento sulla necessità di “rivedere le norme sui rinnovi del permesso di soggiorno per chi non ha lavorato negli ultimi periodi. Se così non fosse – dice Ferroni – si punirebbe chi le regole le ha sempre rispettate e questo non è giusto. Va anche detto che regolarizzare i clandestini non significa avere solo braccia da lavoro, come pensano molti, ma avere anche persone cui garantire gli stessi diritti di tutti, rispetto della loro cultura, casa e servizi”. I progetti per gli immigrati approvati in GiuntaIl Programma 2001 degli interventi in materia di immigrazione (previsto dalla L.R. n. 18/90) proposto dall’assessore alle politiche sociali Gaia Grossi, è stato approvato dalla Giunta regionale dell’Umbria. 900 milioni di lire sono destinati al sostegno di circa 100 progetti che vanno dall’educazione interculturale, alla tutela dei diritti (salute, studio, identità culturale), all’informazione, ricerca e documentazione, ad iniziative sociali e ricreative, utili a favorire interrelazioni positive con la società regionale ed a prevenire fenomeni di emarginazione e disagio. Gli interventi finanziati sono proposti da enti locali, soggetti pubblici, e, in maggioranza, dal “terzo settore”. Numerose le scuole impegnate ad ospitare corsi di lingua, laboratori didattici con mediatori culturali stranieri, a potenziare le proprie biblioteche, a dotarsi di nuovi sussidi audiovisivi. Tra le novità vi è l’alfabetizzazione informatica per immigrati, le iniziative nel campo della prevenzione del disagio psichico e quelle in ambito carcerario e nei consultori. La maggior parte delle proposte ha l’obiettivo di sostenere percorsi d’integrazione degli immigrati e delle loro famiglie da un punto di vista culturale, sociale ed economico e sono interessati 23 comuni umbri di diverse dimensioni: S. Giustino, Città di Castello, Umbertide, Montone, Gubbio, Gualdo Tadino, Valfabbrica, Foligno, Corciano, Perugia, Marsciano, Deruta, Bastia Umbra, Assisi, Spoleto, Terni, Narni, Amelia, Acquasparta, Arrone, Stroncone, Parrano, Porano.

Un Vescovo con i “campesinos” nelle missioni in Perù e in Bolivia

IL VESCOVO VISITAI SACERDOTI E LE VOLONTARIE DI GUBBIO IN MISSIONEIN BOLIVIA E IN PERÙ

Dall’8 al 24 agosto percorrendo migliaia di chilometri, in trentasei ore di aereo e una sessantina di jeep, ho affrontato il rapido giro che mi ha portato a visitare i nostri sacerdoti e le volontarie in missione in Bolivia e in Perù. Innanzitutto in Bolivia, per incontrare don Leonardo che vi si trova dallo scorso marzo. E’ venuto ad accogliermi all’aeroporto di Cochabamba, dove ero arrivato dopo l’nterminabile volo Roma-Buenos Aires-Asuncion- Cochabamba. Dopo aver sorvolato per centinaia e centinaia di chilometri zone rocciose e aride, finalmente la città di circa mezzo milione di abitanti era apparsa al centro di un’ampia valle sul versante orientale delle Ande a un’altitudine di 2.558 metri, con clima mite: la chiamano “l’eterna primavera”.

La tappa a Cochabamba l’aveva scelta don Leonardo come sosta da cui salire lentamente, per la necessaria acclimatazione, ai quattromila metri circa di La Paz, percorsi l’indomani con la “flotta”, uno dei tanti pullman che fanno quotidianamente la spola tra le due città. La Paz, sede del governo, con oltre un milione di abitanti, situata in discesa da circa quattromila a meno di tremila metri in un canyon scavato nell’altipiano dal fiumeLa Paz, sintesi della contraddizione tra la più grande povertà e la più ostentata ricchezza: le piccole baracche degradanti attorno che si reggono per scommessa su terreno franoso fanno da cornice ai grattacieli del centro allineati sulla parte bassa.Pernottiamo in una casa dell’Omg per salire 1’11 agosto sull’altipiano, a quattromila metri, per la doverosa visita a mons. Jesus Suarez, vescovo di El Alto, la nuova diocesi creata sette anni fa con uno stralcio da La Paz.

OTTOCENTOMILA ABITANTI, APPENA TRENTA SACERDOTI

La diocesi, che è quella dove don Leonardo svolge il suo ministero, conta ottocentomila abitanti e appena trenta sacerdoti.Il Vescovo, che è pure vicepresidente della Conferenza episcopale boliviana aveva già da tempo messo gli occhi sul nostro don Leo per affidargli settori di grande responsabilità. Percorriamo in jeep i duecento chilometri che ci separano da Escoma, uno dei centri situati sulla sponda del lago di Titicaca e arriviamo di notte alla casa Omg, una delle prime fondazioni, cui è legato il piccolo ospedale, il taller per la lavorazione del legno, la Cooperativa e il grande lavoro degli oratori nei vari “pueblo” (villaggi) dell’esteso territorio parrocchiale. E’ il mondo di don Leonardo il quale lo percorre per ore e ore a piedi o in bicicletta accolto con amore da quella povera gente e soprattutto dai ragazzi e dai giovani verso i quali soprattutto è rivolto il suo ministero. Nella casa di Escoma ci accolgono affettuosamente Fabrizio e Cinzia, che attende un bambino, i due giovani coniugi venuti quassù dalla Brianza e, insieme a loro, il giovane e intraprendente Michele, brianzolo anche lui, e le due famiglie dei maestri peruani della scuola tecnologica.

L’Altipiano peraltro non è così tranquillo come il suo stupendo e unico panorama dagli orizzonti interminabili cui fanno da meravigliosa cornice 1’immenso lago Titicaca ( 8.300 Km ) e gli alti monti innevati della Cordigliera Bianca: è abitato dalla fiera popolazione degli Aymara che, particolarmente agitata da “Malco” (Philipe Quispe), famoso per i recenti blocchi stradali severamente controllati dalla popolazione locale nonostante che il danno si riversi su se stessa, rivendica la sua autonomia. Ho avuto l’ impressione che quassù lo Stato sia assente. Con don Leonardo ho potuto girare per tutto l’ampio territorio parrocchiale dove sono sparsi ventimila abitanti particolarmente insidiati dalle “sette” che tentano di contrastare l’azione della Chiesa.

Con commozione, peraltro, ho celebrato domenica 12 agosto nella chiesa parrocchiale gremita di ragazze (sono mille gli oratoriani: una domenica vengono dai villaggi lontani i maschi e una domenica le femmine), che vi partecipavano attivamente e con ammirevole devozione. Nei villaggi sono i catechisti che celebrano la Liturgia della Parola e fanno oratorio. Dopo la Messa momento di incontro e di festa nei locali della casa Omg e poi pranzo comunitario: una ciotola di pasta e una pagnottella, confezionata dal bravo Michele. Commozione anche alla Messa all’ospedale la vigilia dell’Assunta. Il 15 agosto in Bolivia non è festa civile e così l’ultima Messa ad Escoma l’ho celebrata con don Leonardo nell’intimità della cappella della casa con i famigliari e i giovani della cooperativa. C’è stato anche il tempo per godere della bellezza del paesaggio e conversare a lungo fraternamente con don Leonardo così come la vigilia dell’Assunta sulla rive del lago Titicaca di un azzurro intenso che fa tutt’uno con l’intenso azzurro del cielo all’orizzonte.

DA LA PAZ A LIMACON I SUOI VENTI MILIONIDI ABITANTI COSTANTEMENTE SEPOLTI SOTTO UNA DENSA COLTRE DI NEBBIA

Due episodi accadutici a Lima, dove erano scesi dalle Ande don Antonio (Topio), don Giorgio e Antonella per accogliermi, mi sembra possano essere emblema della babilonica metropoli: subito la prima sera, a Nana, la casa dei bambini abbandonati gestita dall’Omg. Ho battezzato Stefania di due mesi, frutto di un incesto tra il nonno materno e la mamma. L’indomani, nel viaggio di salita alle montagne, nonostante non ci fossimo mai fermati, c’è stato chi è riuscito a salire dietro sul carro, a tagliare la rete e a rubare due valige: una di don Giorgio e una di Antonella. Sulla strada verso Shilla, a Jangas, un commosso segno di croce e una preghiera davanti al monumento che ricorda l’assassinio da parte dei terroristi del giovane Giulio Rocca avvenuto il 1 ottobre 1992 e ricordato come martire della carità insieme a padre Daniele Badiali assassinato a S. Luis il 18 marzo 1997. L

a sera del 17 agosto arriviamo a Shilla, la parrocchia di don Antonio, accolti calorosamente dai coniugi Antonio e Laura con i loro cinque bambini. Qui è anche il “regno” di Antonella, che però ha voluto accompagnarmi per tutti i giorni della visita ai vari luoghi del Perù: la sera è subito festa iniziata con la Messa nella nuova, bella chiesa costruita da don Antonio insieme al funzionale complesso parrocchiale. Chiesa gremita, unanime partecipazione ai canti, alle preghiere, alla Comunione. Poi immancabile saluto dell’Alcalde (il Sindaco) e di un assessore, una brava signora che si impegna in parrocchia. Infine cena per tutti (non è questo un fatto eccezionale, perché nella casa parrocchiale c’è sempre un gran giro di gente, particolarmente di poveri sempre accolti con generosa bontà).

Don Antonio, oltre che alla parrocchia, attende alla costruzione di un rifugio a 4.700 metri sul grande Hascaran (m. 6.768) i cui proventi amplieranno la possibilità di aiutare i poveri campesinos. Subito il giorno seguente di nuovo in viaggio in jeep verso Piscobamba attraverso il Passo “del Cielo”, un’ardimentosa salita fin quasi a cinquemila metri: fortunatamente la sicurezza con cui don Giorgio guida la jeep ci lascia tranquilli. Sosta per il pranzo nell’ospitale casa Omg delle ragazze a Yanama, accolti dalla madre Flavia, la grande collaboratrice di padre Hugo. A sera arriviamo a Piscobamba dove ci accolgono i coniugi Giovanni e Cristina Torre di Città di Castello con i loro quattro bambini e la nostra cara Tiziana che da mesi lavora con loro in quell’importante centro di missione Omg. Già il nostro don Mauro Salciarini aveva lavorato nella parrocchia insieme a don Ivo Baldi, attualmente vescovo di Huaras, per sette anni ed è ancora affettuosamente ricordato da tante persone. A Piscobamba ci ha raggiunto il gruppo dei nostri ragazzi e ragazze di Gubbio e di Umbertide che in due villaggi lontani ore di cammino hanno lavorato dalla scorso luglio per i più poveri condividendo la loro povertà. Della loro meravigliosa avventura daranno loro stessi relazione al loro ritorno in settembre. Domenica 19 agosto grande festa per l’accoglienza del Vescovo: messa, concelebrata con don Giorgio, nuovo parroco, nella bella chiesa costruita da don Ivo, gremita di giovani e tanta manifestazione di gioia all’oratorio. La sera ancora Messa per gli adulti venuti in buon numero.

IL SEMINARIO DIOCESANOACCANTO AL SANTUARIO DEL “SENOR DE PUMALLUCAYN”: UNA GRANDE SPERANZA

La mattina del lunedì partenza per il Seminario di Pumallucay: un luogo ideale a 2.900 metri per il raccoglimento, accanto al nuovo, magnifico Santuario in cui si conserva l’antico Crocifisso molto venerato dalle popolazioni andine. Il Seminario fu eretto nel 1942 e già raccoglie quaranta seminaristi la cui vocazione è nata attraverso la ricca serie di opere formative dell’Omg: oratori, talleres, scuole, cooperative. Il curricolo seminaristico comprende un periodo propedeutico di due anni, un corso teologico di quattro anni, un’esperienza pastorale condotta per due anni. Particolarmente sono sottolineate alcune caratteristiche fondamentali: il curricolo più che un semplice corso scolastico è innanzitutto un cammino di sequela di Gesù; uno stile di vita povero e austero in cui oltre la preghiera e lo studio sono contemplate due ore quotidiane di lavoro manuale; un impegno responsabile a animare oratori ogni domenica nei vari villaggi distanti ore di cammino a piedi. Qui a Pumallucay ho vissuto una serena giornata di distensione: mi sono incontrato fraternamente con padre Hugo De Censi, fondatore dell’Omg, mi sono confrontato positivamente con il bravo rettore, il salesiano don Gaetano Sirani, ho parlato ai seminaristi e ho celebrato con loro martedì 21 agosto prima di ripartire per Shilla per riavvicinarmi a Lima.

PUNTA OLIMPICAA 5.000 METRI VEROCOLLAUDO DELLA SALUTE

Da Pumallucay a Chacas, passando per S. Luis dove padre Daniele fu assassinato. Chacas è da anni la parrocchia di padre Hugo e il suo quartier generale con il taller maschile, con la cooperativa Artesanal don Bosco, con l’oratorio, il grande ospedale, l’Istituto Tecnologico di infermeria. Molto del lavoro padre Hugo l’ha lasciato all’esuberante nipote don Lorenzo che ci accoglie con calorosa ospitalità: Lorenzo è legato da affettuosa riconoscenza alla nostra diocesi che l’ha fatto preparare al sacerdozio nel Seminario regionale di Assisi. Mentre pranziamo con lui, siamo don Giorgio, Carlo Carosati e Paolo Pierini che mi hanno voluto accompagnare da Piscobamba ed io, mi gira la testa a seguire il gran traffico nella grande casa, ma don Lorenzo ha forze da vendere e nervi saldi: che il Signore gli doni tanta salute e abbondanza di grazia. Dopo pranzo si parte senza indugio: tanta e con tratti pericolosi è la strada che per arrivare a Shilla sale fino a cinquemila metri: una salita interminabile. A una certa altezza ci sorprende la neve e la nebbia. Eppure sulla “Punta” non abbiamo resistito alla tentazione di scendere dalla jeep per una fotografia ricordo: qui davvero ho potuto collaudare il mio stato di salute, di cui ringrazio il Signore: a quelle altezze e con la fatica quotidiana di interminabili viaggi nemmeno il minimo malore di testa, di respirazione, di stomaco, di intestino… Da Shilla via per Lima mercoledì 22 agosto: arriviamo in serata con don Antonio, don Giorgio e l’amico fedele Carlo Carosati. Bisogna essere all’aeroporto per le 23.00. Alle ore 1.35 (ora locale, 18.30 ora italiana) di giovedì 23 inizia il lungo volo di ritorno con scalo a Santiago del Cile, a Buenos Aires, a Milano Malpensa e arrivo all’aeroporto di S. Egidio alle ore 11.30 di venerdì 25 agosto: Deo gratias, non solo per essere a casa ma per tutte le cose belle che ho vissuto negli intensi quindici giorni.

La nuova ricostruzione della Decima sinfonia di Mahler

La Sagra è oggi considerata uno dei Festival più conosciuti e apprezzati in Italia e all’estero, oltre che una vera e propria Istituzione della nostra regione. In oltre mezzo secolo, con le sue produzioni, ha dato uno straordinario contributo alla diffusione della cultura musicale di ispirazione sacra e spirituale. Direttori di fama mondiale hanno onorato, con la loro presenza, il cartellone della Sagra musicale umbra: da Karajan e Celibidache a Mitropulos, fino ad Abbado, Gavazzeni, Giulini, Jochum, Maazel, Muti, Pretre, Sawallisch, Sinopoli,… Ma soprattutto la Sagra musicale umbra si è segnalata all’attenzione della cultura internazionale per la riscoperta di capolavori del passato e per avere tenuto a battesimo importanti lavori dei più grandi autori viventi. Fra le innumerevoli pagine proposte per la prima volta nel nostro Paese ricordiamo le prime esecuzioni italiane de L’Infanzia di Cristo di Berlioz (1937), della Messa in do min. di Mozart (1948), della Passione secondo Giovanni, dell’Oratorio di Natale di Bach (1948 e 49), di Israele in Egitto di Héndel, del Requiem di Schumann (1956), la prima esecuzione moderna del Vespro della Beata Vergine di Monteverdi (1950).E ancora le prime esecuzioni italiane o assolute di capolavori moderni e contemporanei come l’Ottava Sinfonia di Mahler (1951), Palestrina di Pfitzner (1953), le Messe in fa min. e in mi min. di Bruckner (1955 e 1958), i Gurre Lieder di Schònberg, il War Requiem, il Curlew River, The Prodigal Son e The Burning Fiery Furnace di Britten (1963, 65 e 68), la Messa di Hindemith (1964), Stimmung di Stockhausen (1969) il Dies Irae, Utrenija, lo Stabat Mater e il Te Deum di Penderecki (1967, 70, 80) A-ronne di Berio (1979), il Beatus Vir di Gorecki (1980)…Questo percorso si è virtualmente concluso il 16 agosto 2000 quando la Sagra Musicale Umbra ha presentato a Roma, nella Piazza del Campidoglio in occasione della XV Giornata mondiale della gioventù, la prima esecuzione assoluta della Missa Solemnis Resurrectionis, alla cui stesura hanno collaborato, a più mani, Marco Betta, Fabrizio De Rossi Re, Carlo Galante, Giovanni Sollima, Gianpaolo Testoni, Marco Tutino e Paolo Ugoletti: partitura che è stata ufficialmente consegnata nelle mani del Santo Padre nel gennaio scorso e con la quale la Sagra ha inteso celebrare nel modo migliore il Giubileo del 2000. Anche oggi, all’alba del nuovo secolo, l’impegno rimane lo stesso: quello di contribuire alla promozione, sviluppo e diffusione musicale, stimolando la ricerca di capolavori dimenticati del passato e la nuova produzione sacra, senza per questo rinunciare a progetti nuovi e originali, in grado di arricchire il panorama musicale contemporaneo. L’edizione 2001 si presenta nel segno del legame, oggi sempre più praticato, fra musica e teatro, e si apre (sabato 8 settembre, al teatro Morlacchi di Perugia, alle ore 21.15) con Giuseppina – La buona stella di Verdi, un lavoro di teatro, musica e immagini, ispirato al legame tra Giuseppina Strepponi con Giuseppe Verdi di cui ricorre quest’anno il centenario della morte. Lo spettacolo è prodotto in collaborazione con il Teatro Stabile dell’Umbria e il Centro Karajan di Vienna che, nel corso della prima settimana, proporrà anche tre video-ascolti di lavori verdiani diretti dal grande direttore austriaco. Sempre nel campo dell’interdisciplinarietà fra musica e teatro si inseriscono anche i due spettacoli Qoelèt, la voce che trapassa composto da Fernando Grillo (domenica 9 settembre al teatro “Caporali” di Panicale, alle ore 21 e lunedì 10 a Perugia alle ore 21, a Santa Teresa degli Scalzi) e La crociata dei bambini (giovedì 20 settembre, al teatro Morlacchi di Perugia, alle ore 21), mentre la serata dedicata al ricordo del compositore Franco Donatoni, propone un concerto multimediale (martedì 18 settembre alle ore 21 nell’Oratorio di Santa Cecilia a Perugia) con interazione fra immagini elaborate al computer e musica dal vivo. Nel 2001, oltre quello verdiano, ricorrono il centenario della morte del compositore tedesco Joseph Rheinberger e quello della nascita del compositore perugino Gian Luca Tocchi. Di Rheinberger vengono eseguiti, in due distinti concerti (mercoledì 19 settembre, alle ore 21, nella Cattedrale di Perugia), lo Stabat Mater e due Sonate per organo; a Tocchi viene invece dedicato un concerto monografico a Solomeo (domenica 16 settembre, al castello di Solomeo di Corciano alle ore 21), località dove il musicista era solito trascorrere i mesi estivi durante gli ultimi anni della sua vita. Musiche di Mendelssohn, Schumann, Brahms e Rheinberger saranno proposte martedì 11 settembre alle ore 21, nella cattedrale di Perugia, dall’organista Winijand van De Pol. Il concerto di chiusura (domenica 23 settembre, alle ore 21, nell’auditorium San Domenico a Foligno) è realizzato in collaborazione con Segni Barocchi di Foligno: il soprano Cecilia Gasdia e Mario Ancillotti, flautista e direttore, sono i protagonisti di una serata dedicata ai due maggiori autori del settecento, Bach e Vivaldi. E per concludere un cenno a quello che rappresenta l’evento culturale di questa 56a edizione: la prima esecuzione assoluta della nuova ricostruzione della Decima Sinfonia di Gustav Mahler, commissionata dalla Sagra musicale umbra in occasione del 90’anno della morte del compositore. Questa nuova ricostruzione della Decima viene presentata (sabato 22 settembre al teatro Morlacchi di Perugia alle ore 21) dai Wiener Symphonyker, la prestigiosa orchestra che già nel 1950, guidata da Herbert von Karajan, fu ospite della Sagra musicale umbra.

A Foligno la situazione è buona ma c’è molto da fare ancora ovunque

Su La Voce di venerdì 10 agosto 2001 è apparso un articolo a firma di don Remo Serafini dal titolo Dall’incuria il maggior danno ad archivi e biblioteche ecclesiastici. Don Remo, prendendo lo spunto dal furto verificatosi ai danni della biblioteca ecclesiastica di Narni, denuncia lo stato pietoso e di abbandono in cui ha trovato gli archivi e le biblioteche diocesane e parrocchiali di Città della Pieve. Don Remo non parla per sentito dire. Egli, che si firma Archivista della ex diocesi di Città della Pieve, parla per esperienza diretta. Sono d’accordo con quanto scrive mons. Gino Reali. Leggendo l’articolo mi è venuta in mente la mia esperienza ventennale in cui ho anche riordinato l’Archivio diocesano di Città della Pieve. E’ vero che è grave lo scempio operato dai ladri, ma credo che sia più grave lo scempio subito dagli archivi e dai beni culturali in genere per l’incuria e la noncuranza dei parroci. Non tutti certo, ma purtroppo la maggioranza. E, se permettete, ora parto dagli esempi vissuti per esperienza diretta. La descrizione che don Remo fa è lacrimevole, in alcuni casi tragica. Più lacrimevole è la conclusione dell’articolo. Sono convinto che molti beni culturali sono andati deteriorando e scomparendo per l’incuria e la scarsa sensibilità dei preti. Quante volte mi sono sentito dire, tra lo scherzo e il serio “Hai tempo da perdere?” “Ma chi te lo fa fare?” “Ma lo devi fare proprio te?”; sono i ritornelli che sento ronzare nelle orecchie di tanto in tanto. Il che significa che c’è il pericolo, tutt’altro che ipotetico che, venendo a mancare don Remo, si ricada nella trascuratezza e nell’incuria che hanno dominato fino a ieri. La situazione descritta e denunciata da don Remo è generale o solo eccezionale per Città della Pieve? Per quanto attiene alla mia esperienza diretta, cioè la diocesi di Foligno, posso dire che la situazione non si presenta nelle condizioni disastrose descritte da don Remo per Città della Pieve. Abbiamo una biblioteca diocesana (la Jacobilli) e un archivio capitolare bene ordinati, dotati di uno schedario per autori (la biblioteca) e di un inventario (l’archivio) e aperti al pubblico. L’archivio storico diocesano, ancora non è risorto dalle condizioni pietose nelle quali fu ridotto dal bombardamento aereo del 1944; comunque ha una sede dignitosa che lo tiene al riparo dalle manomissioni e dalle intemperie e infine, da qualche anno, con la collaborazione della Soprintendenza dell’Umbria, è iniziata l’opera di riordinamento del medesimo, che si spera di portare a termine tra non molto. Quanto agli archivi parrocchiali non mi risulta che ce ne siano alcuni devastati dalla polvere, dall’umidità, dai topi e dalle scorribande di ragazzi indisciplinati che fanno a calci con malcapitate filze di documenti. E pensare che Foligno fu colpita da ripetuti bombardamenti durante l’ultima guerra e fu visitata dal terremoto del 1997. Non conosco in quale stato si trovino gli archivi e le biblioteche delle altre diocesi umbre; per quel poco che ne so, più o meno vanno come a Foligno. Dunque nel migliore dei modi? Questo non lo direi. La Chiesa italiana – quella umbra non fa eccezione – ha prodotto nel corso dei secoli una mole enorme di beni culturali. Nonostante le gravi perdite prodotte dal tempo e dall’incuria, nonostante le manomissioni e le ruberie operate negli ultimi due secoli dai governi anticlericali, la Chiesa possiede ancora e gestisce un grande patrimonio di beni culturali: libri, documenti e opere d’arte. E’ una ricchezza gloriosa, ma è anche una grave responsabilità. Una gestione saggia ed oculata dei beni culturali richiede la difesa e la salvaguardia da tutti i fattori che incidono sulla loro esistenza ed integrità quali sono la polvere, l’umidità, le muffe e soprattutto i ladri che possono essere anche in guanti bianchi; richiede una inventariazione esatta ed esaustiva dei singoli beni; richiede un’opera di restauro nel caso che questi beni si trovino in uno stato di incipiente o avanzato deterioramento. Infine i beni culturali vanno messi, possibilmente, a disposizione del pubblico. Il discorso si allarga e diventa molto impegnativo. Si tratta di creare archivi, biblioteche e musei; non è una cosa semplice. Esaminiamo il caso degli archivi e delle biblioteche, giacché di esse tratta l’articolo di don Remo. Una diocesi ha un ricco patrimonio archivistico e bibliografico; l’uno e l’altro è ben custodito ed ordinato. Vuole aprirlo al pubblico, renderlo fruibile agli studiosi? L’intenzione è ottima; bisogna vedere se essa è realizzabile, quali sono gli impedimenti e gli ostacoli che si frappongono e come superarli. Aprire al pubblico un archivio e una biblioteca richiede anzitutto un locale dignitoso, facilmente accessibile, bene illuminato e riscaldato d’inverno, fornito di tavoli e seggiole per leggere e scrivere: è la sala di lettura. Nella sala di lettura ci devono essere gli strumenti indispensabili per rendersi conto rapidamente se nell’archivio e nella biblioteca esiste una certa documentazione o un certo libro e averlo a disposizione con sollecitudine. E’ poi indispensabile per il retto funzionamento di un archivio e di una biblioteca la presenza di un direttore (archivista e bibliotecario) coadiuvato da qualche inserviente che provveda al servizio dei lettori. Archivista e bibliotecario devono essere professionalmente preparati, quindi che abbiano seguito – o quanto prima seguiranno – un corso di biblioteconomia (il bibliotecario) e un corso di paleografia, diplomatica e archivistica (l’archivista). Stiamo parlando di biblioteche e di archivi aperti al pubblico. E’ indispensabile stabilire un orario di apertura, il quale deve essere rigorosamente rispettato, e un minimo di norme alle quali i lettori devono attenersi. Il personale addetto alla biblioteca e all’archivio devono essere presenti nelle ore di apertura sia per prestare ai lettori l’aiuto, la guida, i consigli dei quali eventualmente abbisognassero, sia per controllare il comportamento dei frequentatori. Abbiamo tracciato le linee essenziali, il minimo necessario perché un patrimonio documentario e bibliografico sia conservato, arricchito, tenuto in ordine ed offerto alla pubblica fruizione. Tutto questo comporta un costo e i costi oggi, quando si tratta di usare un personale specializzato con un orario di lavoro determinato e da osservarsi scrupolosamente; quando bisogna avere a disposizione degli spazi non solo sufficienti, ma dignitosi e accoglienti; quando è necessario dotare un archivio e una biblioteca di strumenti di lavoro sempre più indispensabili: tutto questo ha un costo non indifferente ed è un costo permanente che si ripresenta ogni anno. Qui si vede se c’è la volontà sincera di rendere accessibile un archivio e una biblioteca o se è solo velleitarismo più o meno innocente. Nel bilancio di una diocesi bisogna aprire un nuovo capitolo: archivi e biblioteche. Ma, si dirà, la diocesi è piccola, i mezzi a disposizione sono scarsi; se non si può e non si vuole destinare alla biblioteca e all’archivio le somme necessarie, essi non si aprono. Tuttavia prima di venire a questa decisione il mio consiglio è di pensarci bene e di essere coraggiosi. Don Remo nel suo articolo per due volte punta il dito contro i parroci e contro i preti e ha ragione. Ma al di sopra dei preti e dei parroci c’è l’autorità diocesana, l’ordinario diocesano e la sua curia. Da qui devono venire le direttive e gli impulsi, qui devono essere prese le decisioni e controllarne l’attuazione. A questo livello mi sembra di notare nelle diocesi umbre una buona dose di carenza. Più che una vera volontà mi sembra di notare molto velleitarismo. Manca una volontà politica a riguardo della gestione dei beni culturali, nel caso specifico degli archivi e delle biblioteche ecclesiastiche. Mons. Reali e don Remo hanno aperto la discussione su un argomento che ritengo importante; il sottoscritto ha aggiunto la sua esperienza e i suoi punti di vista. Vorrei che anche altri facessero sentire la loro voce e apportassero il contributo della loro esperienza.

Il colesterolo e gli effetti negativi della cerivastatina

La recente vicenda che è stata forse eccessivamente enfatizzata dai mezzi di comunicazione e che ha messo in evidenza gli effetti dannosi della “cerivastatina”, mi induce a proporre alcune riflessioni. Il farmaco ha causato importanti effetti dannosi e talora anche la morte, in un numero elevato di pazienti che ne hanno fatto uso negli ultimi anni. La cerivastatina appartiene ad una categoria di farmaci, denominati con il termine generico di “statine”, che hanno rappresentato una importante conquista della farmacologia moderna per la prevenzione e la cura della malattia arteriosclerotica, per la loro capacità di ridurre i livelli di colesterolo nel sangue. Il colesterolo è una sostanza importante per il nostro organismo essendo costituente essenziale delle nostre cellule, in particolare del sistema nervoso, e precursore di vari ormoni. Esso viene sintetizzato nel nostro organismo ed in parte introdotto, già costituito, con l’alimentazione. Il colesterolo viene veicolato nel sangue da composti denominati lipoproteine. Quando esso supera determinati livelli nel sangue può depositarsi in maniera eccessiva nelle pareti delle arterie e favorire lo sviluppo dell’arteriosclerosi. L’ipercolesterolemia infatti è uno dei principali fattori di rischio della malattia degenerativa arteriosclerotica e quindi può rendersi responsabile di episodi di infarto cardiaco, di ictus cerebrale, ecc. Pertanto l’uso delle “statine” attualmente è molto diffuso fra la popolazione, naturalmente su prescrizione del medico. La cerivastatina si è dimostrata avere una maggiore capacità di effetti avversi rispetto alle altre molecole della stessa categoria attualmente disponibili in farmacia. Di questo si è presa consapevolezza soltanto adesso, direi incomprensibilmente, dal momento che ogni farmaco prima di essere posto in commercio subisce un rigoroso filtro di sperimentazioni sull’animale prima e sull’uomo poi, al fine di garantire che gli effetti nocivi siano minimi e certamente insignificanti rispetto ai vantaggi prodotti. Al di là delle responsabilità, che andranno verificate dagli organi istituzionali, vorrei precisare che in Italia la situazione è più favorevole che in altri paesi, sia perché la cerivastatina viene impiegata a dosaggi relativamente più bassi, sia perché in genere non viene associata ad altri farmaci che possono potenziarne gli effetti dannosi. Di qui viene l’invito per quelle persone che fanno uso di questo farmaco a sospenderlo e a consultare il proprio medico. Non c’è motivo di preoccupazione perché gli effetti collaterali, riconosciuti tempestivamente con semplici esami del sangue, regrediscono con la sospensione del farmaco. L’episodio della cerivastatina d’altro canto ci suggerisce un’altra riflessione. Con i farmaci in genere bisogna essere cauti, assumendoli quando siano effettivamente necessari, su consiglio del proprio medico e con i dovuti controlli. Oggi siamo fortemente sollecitati, anche da interessi commerciali, a risolvere i nostri problemi di salute con le pillole, senza considerare che tutti i farmaci hanno potenzialità per effetti avversi in quanto in qualche modo essi interferiscono con l’equilibrio fisiologico di un organismo. In molti casi i problemi della salute prima ancora che con i farmaci, si affrontano e si prevengono con un regime di vita sano. Ad esempio, le concentrazioni plasmatiche di colesterolo possono abbassarsi, sia pure parzialmente, con un adeguato regime di alimentazione e con una vita meno sedentaria. In tal modo è possibile, almeno in un discreto numero di soggetti, evitare di assumere il farmaco per normalizzare la colesterolemia. Naturalmente il farmaco mantiene la sua funzione terapeutica quando sia realmente necessario, cioè secondo le indicazioni fornite dal proprio medico.

Mamma li turchi

Ho seguito anche io con grande interesse il dibattito su Chiesa e Marxismo acceso dalle bordate che Angelo Panebianco ha sparato dagli spalti de Il Corriere della Sera, sotto Ferragosto. Imperversava la Milingo story, serie Non ci resta che piangere, i giornali grondavano chiacchiere col sadismo di chi si vede servire a tavola, gratis, un arcivescovo a tocchetti, come el jamon in Spagna, guarnito di salsa piccante. Ma Panebianco aveva ben altro cui pensare, reduce com’era dalla lettura dell’ultimo libro di Gianni Baget Bozzo a proposito dei marxisti che rientrano in Chiesa.Baget Bozzo l’ha gasato, un articolo di Ornaghi su Avvenire gli ha offerto il destro, e Panebianco ha aperto il fuoco. Gianni Baget Bozzo: come dire il Vittorio Sgarbi del clero, gente che fa rumore anche quando tace, e guadagna la prima pagina anche quando dice le ovvietà più irredimibili. Gianni Baget Bozzo e sui suoi passi Angelo Panebianco hanno espresso il timore che nella chiesa rientrino i marxisti, o che magari ci siamo già rientrati, portando con sé una triste scia di “antioccidentalismo” e di “cascami della teologia della liberazione”. Rientrano i marxisti. Mamma li Turchi. Le repliche di Ornaghi e Morero su Avvenire hanno detto tutto – o quasi – quello che c’era da replicare, anche se – ahimé! – in forma tutt’altro che icastica. Tutto o quasi. Un che di amarognolo mi indugiava in bocca. Tutto o quasi. Ci ho pensato a lungo, poi ho capito (credo di aver capito) quel “quasi”. La notizia che “rientrano i marxisti” non è una notizia, perché… rientrano sempre tutti. Nel 1998 non era una notizia che Pantani vinceva in salita. Oggi è una notizia che Pantani sa ancora andare in bicicletta. Che volete strillare per strada “Rientrano in chiesa i marxisti!”, quando da che mondo è mondo in chiesa rientrano tutti, ma proprio tutti. “Mamma li turchi” non mette paura a nessuno, se è vero che un Turco di stazza sontuosa siede sulla panchina del Milan. Rientrano tutti. Cioè? Riparto da qui.

Il santuario della Madonna di Fatima diventa anche santuario dei fanciulli

A città della Pieve il santuario della Madonna di Fatima è stato ufficialmente dedicato ai fanciulli dal vescovo mons.Giuseppe Chiaretti già nel 1996, in occasione della celebrazione del 50’e prima che il terremoto lo colpisse. Con la riapertura della chiesa restaurata, il 15 agosto scorso, l’attenzione ai fanciulli si è fatta, per così dire, visibile, con la collocazione delle statue dei bambini veggenti di Fatima, Francesco e Giacinta, beatificati lo scorso anno dal Papa e con la nuova denominazione del santuario “della Madonna di Fatima e dei beati Francesco e Giacinta”. Al segno materiale, ha annunciato il Vescovo, si cercherà di affiancare una realizzazione a favore dei fanciulli che dia seguito anche al desiderio, dei fondatori, di legare al santuario iniziative a favore dell’infanzia umiliata ed offesa. La cerimonia ufficiale di inaugurazione del santuario ha preceduto la messa solenne presieduta dall’arcivescovo mons. Giuseppe Chiaretti. In serata si è svolta la processione con l’effigie della Madonna per le vie della cittadina pievese. Il santuario è stato riaperto ai fedeli dopo le lesioni subite nel 1997 a causa del terremoto che danneggiò tetto e pareti. I lavori di consolidamento hanno riguardato non solo la parte strutturale, ma anche l’aspetto estetico e il ripristino della facciata, per una spesa totale di oltre mezzo miliardo di lire finanziata in gran parte dalla Regione dell’Umbria. L’Arcivescovo, a nome della comunità cristiana, ha ringraziato quanti “si sono fatti mano della Provvidenza: sacerdoti, il Soprintendente ai Beni culturali, gli architetti progettisti, la ditta esecutrice, gli operai, la fondazione Carlo Caetani della Fargna che si è assunta una parte cospicua della spesa, e tutti coloro che hanno dato il loro obolo”. Il Santuario, ha ricordato ancora mons.Chiaretti nell’omelia (di cui riportiamo ampio stralcio qui a fianco) è nato per l’intraprendenza di un prete, don Luigi Perriccioli, che ebbe come motto per la sua infaticabile attività “tutto a disposizione di tutti”. Negli anni ’30 rese gli ambienti fatiscenti del convento sede dell’Azione cattolica , della scuola di catechismo, dell’oratorio, della scuola “Divina Provvidenza” per l’insegnamento di arti e mestieri e durante la guerra vi aprì il Piccolo rifugio “Maria Immacolata” accogliendovi tre fratellini orfani. Chiesa e convento furono requisiti per farne sede di comando militare e furono danneggiati. Si era ancora in guerra quando don Luigi commissionò una statua della Madonna di Fatima che giunse in città il 2 ottobre del 1943. Pochi anni dopo, nel 1946, curate le ferite degli eventi bellici, la statua della Madonna benedetta dal papa Pio XII a Castel Gandolfo, fu intronizzata e venne letto il decreto di erezione del santuario dedicato alla Madonna di Fatima. Era il 13 ottobre, anniversario dell’ultima apparizione di Maria ai tre fanciulli portoghesi. Da allora il santuario è stato continua meta di pellegrinaggi di devoti e nell’anno del Giubileo 2000 era tra le chiese giubilari della Diocesi.

Nella basilica di Canoscio la celebrazione dell’Assunta

Come è tradizione, il giorno di ferragosto migliaia di pellegrini hanno fatto visita alla Basilica della “Madonna del Transito” di Canoscio dove ogni anno viene celebrata con particolare solennità l’Assunzione in cielo della Vergine Maria. Momento culminante dell’intensa giornata è stata la celebrazione Eucaristica delle ore 11.00, presieduta dal Vescovo di Città di Castello. Durante l’omelia mons. Pellegrino Tomaso Ronchi si è chiesto se l’antichissima festa dell’Assunta, che coincide con il ferragosto, appartenga ancora al calendario religioso oppure sia passata a quello civile. I telegiornali documentano ogni anno i modi più diversi con cui la gente ha vissuto il giorno dell’Assunta. C’è di tutto, ma quasi mai niente viene detto dell’Assunzione di Maria. “Per troppi cristiani la festa liturgica è diventata soltanto un pretesto per qualcos’altro!”. Mons. Ronchi ha sottolineato che “in questo contesto di superficialità desta grave preoccupazione anche la disinvoltura con cui persone, che non si confessano da lungo tempo, vanno a fare la comunione, soprattutto in occasione di feste solenni, di matrimoni e di funerali”. Il Vescovo ha ricordato, con le parole del Papa, la necessità che ogni cristiano recuperi il senso morale e quello del peccato per poter così apprezzare il sacramento della conciliazione. Commentando il brano dell’Apocalisse proposto dalla liturgia – testo che pone l’accento sulla lotta tra il bene e il male, tra la vita e la morte nella storia dell’umanità e di ciascuno di noi – mons. Ronchi ha sottolineato la forza e la tragica attualità racchiusa nell’immagine del diavolo, il “serpente antico”, che lotta con la “donna vestita di sole” – figura della Chiesa ideale, madre feconda malgrado le prove, le sofferenze e le persecuzioni – e vuole trascinare giù le stelle di cui era coronato il capo della donna. “Il drago terrificante, il diavolo ha ricordato il Vescovo – continua a spegnere le stelle in cielo, anzi ad eliminare ogni vista sul cielo, per imprigionare la vita dell’uomo solo nell’orizzonte terrestre. Le luci del progresso, della tecnologia, pretendono di sostituire quella delle stelle. Ma, scomparendo le stelle del cielo, specialmente la ‘stella polare’ che è Cristo, l’uomo perde ‘la bussola’ e finisce per smarrire l’orientamento e il senso del proprio cammino esistenziale. La dissipazione, il frastuono, la superficialità, la confusione lo stringono d’assedio e la sua vita diventa tanto più vuota quanto più è rumorosa”. Sembra che la forza del diavolo, portatore di morte, debba sconfiggere la vita. In realtà la stirpe della donna è destinata a schiacciare la testa del serpente; mons. Ronchi ha ricordato con vigore che la risurrezione di Cristo ha determinato la “morte della morte”. Questa è la certezza della fede cristiana che ognuno deve proclamare a tutto il mondo. “La Madonna – ha proseguito il Vescovo -, con la festa odierna, ci ricorda che anche noi, con il nostro corpo, parteciperemo al corteo trionfale del Cristo. Oggi è l’occasione favorevole per proclamare con maggiore entusiasmo: “Credo la resurrezione dei morti. Credo la comunione dei santi. Credo la vita eterna”. Per noi, cristianamente consapevoli che la nostra patria è nei cieli e che sulla terra siamo solo dei pellegrini verso il paradiso, “la festa dell’Assunta costituisce un’occasione privilegiata per recuperare nella vita di ogni giorno la dimensione del silenzio e della meditazione e così riscoprire i valori essenziali dell’esistenza, liberandoci dalla vernice dell’apparenza e dalla maschera dell’ipocrisia”.

L’impegno di Grazia Paoleri per i bambini di Chernobyl

Tanti ad Orvieto ricordano l’estate come il periodo di arrivo di “turisti” speciali. Come dimenticare i bambini ucraini, che parlano una lingua tanto diversa dalla nostra ma con gli occhi del colore del cielo ed i capelli biondi che incorniciano piccoli visi illuminati da un triste sorriso? Le loro giovani vite, come quelle di altre seicentomila persone sono state sconvolte per sempre da una catastrofe nucleare, determinata dall’incuria e dall’incapacità umana, chiamata in modo eufemistico “incidente”. Dal 1986 un’area con un raggio di trenta chilometri quadrati è terra di nessuno, mentre ben sessanta insediamenti abitativi sono città fantasma. Gli sfollati sono stati trasferiti in quartieri dormitorio alla periferia di Kiev. Tra questi c’è anche Leningradsky, dove vivono in condizioni disumane moltissime persone, stipate in cinque o sei appartamenti di circa trenta metri quadrati. In questo ambiente degradato un’associazione, l’Ai.Bi., umanitaria, internazionale (sede italiana: Mezzano, San Giuliano Milanese, 20098, (MI), tel. 02/29.88.221) porta avanti insieme ad un partner locale “Children of Chernobyl for Surviving” un utile progetto a favore dei minori in difficoltà. I bambini esposti alle radiazioni ed alimentati con cibi locali altamente ancora contaminati, presentano un pericoloso abbassamento delle difese immunitarie oltre all’ipotiroidismo. Per tentare di arginare una situazione, a prima vista senza via di uscita, sono state organizzate vacanze terapeutiche in località idonee, molte in Italia. Tuttavia questo impegno temporaneo non basta, come ha ben capito Valentina Rogava, ingegnere nucleare della centrale di Chernobyl, fondatrice dell’organizzazione locale che collabora con la Ai.Bi. Per questo è stato approvato un progetto globale volto alla difesa dei minori all’interno della società in cui vivono, con una coordinatrice orvietana: Grazia Paoleri, laureatasi in Sociologia e specializzatasi in Diritto internazionale. Questa ragazza, così giovane ma già molto decisa sul come impegnare la sua vita, si trova a Kiev dal giugno di quest’anno per dirigere il lavoro insieme ad un altro italiano, Alessandro Terzi, che ha inviato le due storie di vita vissuta che vengono qui pubblicate. L’impegno continuo di Grazia, attiva ad Orvieto nel volontariato vincenziano insieme alla sua carica vitale ed alla capacità innata di coinvolgere chiunque incontri sul suo cammino, non possono lasciare indifferenti. Per questo si è convinti che gli orvietani, così come hanno aperto generosamente le loro case per accogliere alcuni bambini ucraini in vacanza, daranno un loro contributo per assistere i tantissimi che sono rimasti nel loro paese, dove cercano di sopravvivere ogni giorno insieme ai loro genitori.

Volontari in giro per la città per la raccolta dei rifiuti differenziati

Tra il Comune di Gubbio e l’associazione “Cordillera Blanca”, dell’organizzazione Mato Grosso, è stata sottoscritta una convenzione, in vigore da settembre, per la raccolta differenziata di ferro, vetro, carta, plastica, stoffe e stracci, legno, pile e batterie usate, rifiuti che oggi finiscono in discarica. I cittadini hanno a disposizione due soluzioni. Consegna diretta presso l’area circostante il magazzino comunale (loc. Venata) nei giorni di martedì, giovedì (dalle 18 alle 21) e sabato (9-13). Agli “utenti” abituali andrà un riconoscimento del Comune non solo morale. Sono previsti infatti buoni di vario genere, compresi quelli per eventuali acquisti. E’ prevista anche la raccolta a domicilio (con un contributo spese di 5 o 10 mila lire a seconda che i rifiuti superino o meno i 50 chili) richiedendola al numero verde 800.532.525, attivo presso i Vigili urbani dal 10 settembre. “Cordillera Blanca”, che opera in regime di puro e totale volontariato, destinerà il ricavato per le missioni dell’Organizzazione Mato Grosso che operano in favore delle più diseredate popolazione del Perù. La convenzione rientra nel “Regolamento di buon vicinato”, elaborato dal Comune per valorizzare tutto il settore del volontariato coinvolgendolo, ove possibile, nella gestione della cosa pubblica (ambiente, solidarietà, servizi ai cittadini). La convenzione con la “Cordillera Blanca” è stata firmata dal sindaco Orfeo Goracci e da Giorgio Ragni per conto dell’ Omg, presenti la vice sindaco Palmira Barchetta, membri della Giunta ed i dirigenti che hanno partecipato alla sua stesura ed a quella del “Regolamento”. E’ la premessa di un servizio significativo in un settore importante come quello della raccolta dei rifiuti che sconta una organizzazione ormai da aggiornare ed una “rete” di contenitori insufficienti (saranno potenziati nei prossimi mesi hanno assicurato Sindaco e Vice sindaco) per agevolare una “differenziazione” dall’origine. “Cordillera Blanca” sarà a disposizione dei cittadini e non già delle industrie.

Inaugurato il centro pastorale a Santa Maria degli Angeli

Come si trova specificato in una monografia di Francesco Santucci, l’8 novembre 1850 il vescovo Luigi Landi Vittori istituì, distaccando dalla chiesa benedettina di S. Pietro in Assisi 1.032 anime, la parrocchia distinta di S. Maria degli Angeli. Una analisi oggettiva induce a constatare che tale realtà parrocchiale ha sempre offerto i suoi benefici per oltre un secolo e mezzo all’ombra del “cupolone”, ovvero immersa in seno al convento della Porziuncola: senza dubbio operosa, ma tuttavia quasi priva di visibilità, nonostante la libertà di azione concessa dalla comunità francescana. Il terremoto del ’97, che provocò lesioni al complesso basilicale e conventuale, impose alla parrocchia una sistemazione precaria presso alcuni containers sistemati nell’area della Domus Pacis. Ma venne presto il tempo del riscatto grazie alla costruzione nella zona attigua di un complesso progettato dall’ing. Claudio Menichelli come Centro pastorale; oggi arredato e predisposto all’uso, inaugurato domenica 26 agosto con una festa contrassegnata da inni, rintocchi di campane, sventolio di bandiere, dalla lettura del telegramma augurale del Provinciale dei Frati minori padre Massimo Reschiglian, da un intrecciarsi di commenti e giudizi, parole e dichiarazioni espresse prima, durante e dopo la Messa da rappresentanti religiosi e civili: al massimo grado di soddisfazione padre Francesco De Lazzari nominato parroco il 24 giugno 1999. Sta a cuore notare qui come la presenza del Centro pastorale muti la tradizionale situazione. E infatti la parrocchia (pur restando in affidamento al convento della Porziuncola) acquista una sua autonomia strutturale, una più marcata potenzialità ed una presenza più evidente. La parrocchia non avrà più una sede provvisoria, ammette il vescovo mons. Goretti, fatto che deve indurre i fedeli ad assumere iniziative e a garantire una partecipazione costante. Il Vescovo esprime la sua gioia venata da una preoccupazione, in quanto i costi del Centro pastorale risultano superiori alle aspettative. La Conferenza episcopale italiana (Cei) ha elargito un miliardo, ma le spese vanno ben oltre. La parrocchia resta legata al convento della Porziuncola, afferma il parroco padre Francesco De Lazzari, ma ora può sviluppare un più incisivo attivismo pastorale e diventare un coagulo di animazione, gestito da laici con l’apporto dei frati e la dedizione delle suore. L’entusiasmo è palese anche in Dino Siculi, indicato come “zio” della parrocchia: “Siamo orgogliosi e fieri di disporre di una nostra casa alla quale dobbiamo affezionarci restando fedeli alla famiglia francescana che ci ha sempre aiutato”. Anche il sindaco Giorgio Bartolini ha espresso il suo pieno consenso: “La nascita di questa struttura rappresenta l’indice della crescita e delle modificazioni della comunità angelana. Era un villaggio S. Maria degli Angeli quando sorse la parrocchia che svolse funzione religiosa, educativa e sociale. Oggi il villaggio è diventato un centro intraprendente da annoverare tra i fulcri più splendidi del francescanesimo. Di fronte a tale rivoluzione gli angelani si stringono ancora intorno alla parrocchia animati da una forte religiosità improntata dal culto della Madonna: questi in sintesi i concetti espressi. Ampiezza e funzionalità si evidenziano come caratteri del Centro pastorale. Nel seminterrato trovano posto una sala per incontri formativi e una vasta sala-giochi, ed inoltre uno spazio polifunzionale disponibile per oltre 400 posti circa; al primo piano gli uffici ed una cappellina; al secondo piano l’appartamento riservato al parroco e ai religiosi addetti al servizio parrocchiale, l’archivio ed inoltre otto luminose aule destinate alla catechesi. Non meravigli la dimensione del complesso: questo è tenuto a costituire un punto di riferimento per le 3 confraternite, per le 3 comunità neo-catecumenali, per gli aderenti al Rinnovamento nello Spirito, per l’Ordine francescano secolare (Ofs), per l’Azione cattolica, per i ministri straordinari dell’eucarestia, per accoliti e lettori, per la Caritas e per il Patronato Acli, per i gruppi di pastorale familiare e giovanili, per i volontari che garantiscono il servizio mensa e accoglienza spirituale alla Casa di Betania. Un’ala è poi riservata agli organismi parrocchiali e alla redazione del periodico “Cristiani Duemila con la Madre di Gesù” fondato dalla stesso parroco De Lazzari.

Verrà restaurato un importante polittico nella chiesa di S. Croce

Il Polittico di S. Angelo, il quadro di Niccolò di Liberatore, di Giacomo di Mariano, detto l’Alunno, (Foligno, 1430-1502) sarà al più presto restaurato. Collocato sulla parete destra dell’altare maggiore della Chiesa di S. Croce, a Bastia Umbra, il dipinto, una tempera su tavola, presenta: fessurazioni, tarlature e varie perdite di colore. La parrocchia di Bastia Umbra, dopo aver ottenuto il finanziamento per il restauro dalla fondazione Cassa di risparmio di Perugia, ai primi di gennaio, ha iniziato subito le pratiche burocratiche. Seguite da Teresa Morettoni, sia come delegata della Commissione diocesana dei Beni culturali, sia per conto della stessa parrocchia; dopo alcune difficoltà iniziali – spiega la Morettoni – l’iter delle pratiche si è concluso in tempi brevi. Alla metà d’agosto è arrivata l’autorizzazione per il restauro da parte della Soprintendenza ai Beni artistici dell’Umbria, presieduta dall’ingegnere Luciano Marchetti. La Morettoni continua: “E’ il quadro più importante della nostra città, è il segno più tangibile di un risveglio culturale”. La tavola che raffigura la “Madonna con Gesù Bambino in trono con S. Sebastiano e S. Michele Arcangelo” risale al 1499. E’ stato l’ultimo lavoro dell’Alunno, sembra in ogni modo che l’abbia concluso suo figlio Lattanzio. L’opera, inizialmente, era la pala d’altare della chiesa di S. Angelo, dal 1872 era già stata trasportata nell’Oratorio della Buona Morte, come riporta lo storico A. Cristofani, fino al 1955 (anno della sua demolizione). In seguito fu portata nella chiesa di S. Croce, dove è rimasta fino ad oggi. Nei primi decenni del ‘900 in alcune parti il dipinto fu restaurato utilizzando della soda; che se da una parte ripuliva, dall’altra ne corrodeva il colore. E’ stato definito un quadro di scuola umbra, anche se l’Alunno negli ultimi anni della sua vita, rimase estraneo al movimento artistico dell’Umbria dell’ultimo quarto del XV secolo. Solo in quest’ultima opera, il Polittico di S. Angelo, vi è un accenno alle forme del Pinturicchio, specialmente nell’Annunciazione, ma suo figlio Lattanzio ha eseguito quelle figure e non il vecchio maestro. Il dipinto una volta restaurato, si spera entro la fine dell’anno, verrà collocato provvisoriamente sulla controfacciata della chiesa di S. Michele Arcangelo, finché quella di S. Croce non sarà ripristinata e trasformata in sala espositiva. La parrocchia ha intenzione di pubblicare un volume sui restauri cui parteciperanno importanti nomi della storia dell’arte italiana, a cura della stessa Morettoni che lo seguirà per conto della Commissione diocesana dei Beni culturali.

Una calda estate, tra feste e sagre, con l’assalto dei motorini

La Valnerina come madre premurosa ha accolto tutti. Tanta, tantissima gente, proveniente da ogni parte d’Italia e dall’Estero, ha scelto di trascorrere almeno tre giorni in questo piccolo angolo dell’Umbria, riposante e fresco per il suo verde, affascinante per le tante sorprese che svela ad ogni passo. A questi si è aggiunto il massiccio rientro degli oriundi, che per 15/20 giorni hanno rivitalizzato anche i paesi più sperduti del Comprensorio. Una vera festa di gente. E’ stata un’estate calda, caldissima, e la Valnerina ha rappresentato un luogo di refrigerio, un’oasi di tranquillità; per questo sono usciti in massa dalle grandi città e si sono riversati in montagna, che risulta una vacanza più accessibile alle tasche di tanti e più serena rispetto ai posti di mare. Tutti i centri, anche i più piccoli, hanno usufruito di tanta abbondanza di presenze. Una stagione, quindi, decisamente positiva per albergatori, ristoratori ed anche per le attività commerciali, quasi tutte a conduzione familiare. Feste e sagre a non finire in ogni frazione. Religiosamente c’è stato un riavvicinamento al culto, specialmente domenicale. Dobbiamo constatare che il più delle volte si è trattato di un fatto religioso quasi sentimentale più che di un atto di fede. Si vedono in giro tanta banalità, indifferenza e poca profondità spirituale: molte persone sono prese dal soddisfacimento di esigenze spesso esclusivamente materiali, rincorrono beni effimeri, mentre i segnali di una grande spiritualità si affievoliscono se non addirittura sembrano regredire. Tra le cose negative in senso assoluto ci sono senza dubbio la negligenza e la noncuranza di tanti che buttano dai finestrini delle macchine di tutto, senza alcun ritegno per l’ambiente e la natura. Lungo le strade c’è un ristagno di cartacce, bicchieri, buste di plastica. Quando impareremo ad essere più civili e rispettosi dell’ambiente che ci circonda! Non vogliamo restare sommersi come capita in certe città italiane tristemente famose sotto montagne di rifiuti, frutto di una società dei consumi che usa indiscriminatamente di un eccesso di beni e getta scarti in ogni parte. C’è stato, poi, l’assalto dei motorini. Se da una parte sostituiscono le macchine,rendendo più facile lo scorrimento del traffico, dall’altra assistiamo a rumori sempre più insopportabili di giorno e di notte, a scorribande di giovani che usano lo scooter come innocuo giocattolo. Riposare in estate non è sempre facile. I complessini nelle piazze o presso i bar diffondono note a tutto volume ben oltre la mezzanotte. Il tempo. La continuità di giorni di sole senza gli abituali scrosci di pioggia determinati dai temporali ha ‘lessato’ le foglie dei boschi, che hanno iniziato ad imbrunire precocemente. Ora in tanti attendono il refrigerio di una pioggia tonificante per le persone e per la campagna. Sempre per la salvaguardia dei boschi ( e la Valnerina fino ad oggi si è salvata dagli incendi ), ci giunge notizia che il Corpo delle Guardie Forestali ha emesso contravvenzioni sonore nei confronti di persone che hanno acceso fuochi o semplicemente fornelletti da campo vicino ai boschi. E’ uscita in questi giorni una normativa che proibisce anche di fumare dentro il bosco. Tra le cose dette e sentite in questa estate c’è una presa di posizione del Sindaco di Poggiodomo. Di fronte alla solitudine angosciante di alcuni paesi, il prof. Egildo Spada, interpellato da una mozione della minoranza circa gli eccessivi punti luce dell’illuminazione pubblica, così ha risposto: ” Quando non ci saranno più le luci pubbliche e il suono delle campane vuol dire che i nostri paesi sono completamente morti. Fino a quando brillerà una lampada c’è il segno della vita”. Di buono abbiamo constatato che i vigili urbani non hanno usato la mano pesante nei confronti dei turisti. Ci sono stati sufficiente tolleranza, buon senso, discrezionalità, modi accoglienti: il che ha creato un’immagine gradevole di città ospitali, a vera dimensione umana. A questa benevola comprensione dei veri vigili ha contrabilanciato l’inflessibilità di alcuni ausiliari del traffico. Certi atteggiamenti forzatamente inibitori hanno suscitato situazioni grattesche e talvolta provocatorie. Belle anche tutte le serate di agosto, allorquando un salutare fresco ha soppiantato la grande calura del giorno: ciò ha permesso alle persone di incontrarsi e di dialogare. Magiche e coinvolgenti sono apparse le ore della notte. Ben presto con le prime piogge ci si avvierà rapidamente verso l’autunno e sarà sempre più difficile vedere gente all’aperto. Tra i fatti culturali più importanti c’è da annoverare il concorso letterario “Il racconto del nonno” a Vallo di Nera, che ha visto nella data del 10 agosto la partecipazione alla premiazione di oltre cento autori. Sono risultati vincitori: per la sezione a tema libero, Enrico Passani di Carrara con il’Putto barocco ( I premio), Maurizio Melani di Roma con Briganti e Tito Vezio Viola di Chieti con Il bosco dei tanti nomi ( II premio ex-aequo), Francesca Trusso di Lamezia Terme con A scapillata ( III premio); per la sezione a tema obbligato con un’erba a protagonista del racconto, Claudia Palombi di Bologna con Artemisia e il tesoro delle fate (I premio), Luigi Beccafichi di Spoleto con L’arme del conte di Roccafosca ( II premio ), Rossana Figna di Parma con la Pervinca (III premio). Sezione riservata alle scuole: I premio all’Istituto Comprensivo statale di Montalto di Castro; il II alla Scuola Media statale di Vallo di Nera; il III premio a Daniele Filippucci dell’Itis di Foligno. Hanno ricevuto menzioni speciali Marcello Marini di Norcia, il giovane Emanuele Pilati di Vallo di Nera e la Casa di reclusione di Spoleto. Quest’ultima ha proposto due pubblicazioni, cariche di contenuto letterario e grande senso di umanità. Altro aspetto positivo di questa estate è l’ottimo lavoro portato avanti dai dodici ragazzi (‘Guardie ecologiche di Legambiente’) del Campo di Volontariato Internazionale. In un mese hanno ripulito di tutte le sue sporcizie ( cartoni, buste, bottiglie, gomme di macchine, ferri ) il tratto dell’antico percorso della ferrovia Spoleto-Norcia e della strada statale da Sant’Anatolia di Narco a Cerreto. Un vero capolavoro di serietà, di impegno e di ..pulizia ed anche un buon esempio per tutti! Questa è stata la nostra estate in Valnerina: bella, riposante, a contatto immediato con la natura. I tanti, tantissimi sportivi che l’hanno frequentata testimoniano che questo territorio è davvero eccezionale.

Conclusa la Peregrinatio della santissima Icone di Spoleto

“Peregrinatio”: una parola che potrà suonare strana, con quei due termini: l’uno, latino, che si ricollega a “per” e “ager” (“attraverso gli spazi fuori della città”), l’altro, greco e cioè “Eikon”, o “Immagine”: nel nostro caso è l’Icone spoletina per antonomasia, che fin dall’inizio fu detta Santissima, donata alla nostra Chiesa da Federico Barbarossa, a garanzia della “Pace e Riconciliazione” del 1185. Per quasi cinque secoli fu conservata nella “Cappella delle Reliquie” (allora “Cappella delle Cona”) della nostra Cattedrale, poi, nel ‘600, ebbe una nuova cappella tutta sua, offerta da Andrea Mauri. Nel 1800, il nuovo papa Pio VII, scendendo da Venezia a Roma, in tempi difficilissimi per la Chiesa, volle farle l’omaggio del diadema prezioso, con cui l’incoronò egli stesso.E’ l’Icona nella quale si riassume tutta la nostra storia e si annunzia il futuro non solo della città di Spoleto, ma dell’intera nostra Chiesa locale di Spoleto-Norcia. Era giusto dunque che in quest’anno 2001, all’inizio del Terzo Millennio, essa “uscisse di città” e si ponesse quasi in cammino attraverso tutto il territorio della diocesi, particolarmente nelle località che anticamente avevano un vescovo proprio e poi confluirono nell’attuale arcidiocesi: sette diversità per una sola comune unità. Si è rinnovato così l’accorrere delle popolazioni che fu già del 1985, VIII centenario del dono, ma questa volta con una maggiore completezza e più approfondita coscienza, nel secondo anno del Sinodo, la grande consultazione diocesana che tutti chiama a raccolta per la strada dei nuovissimi tempi: un solo Corpo, un solo Spirito, un solo Padre, sotto il manto dell’unica Madre. Abbiamo già accennato al percorso dell’Icone, da Carsulae (3 agosto) risalendo per la Valnerina (S. Pietro in Valle – 4 agosto) e i monti del Coscerno (5 agosto) è salita a Cascia e quindi a Norcia (6 agosto) proseguendo poi per i monti che furono già di Benedetto e dei suoi: S. Eutizio – 7 agosto – e il Sellanese (Villamagina 8 agosto). Ridiscendendo poi nella Valle spoletana, la SS.ma Icone ha toccato gli antichi vescovadi di Trevi (9 agosto) e Bevagna (10 agosto). Risalendo poi l’antica via Flaminia ha sostato nell’antica sede vescovile di Martana (S. Felice di Giano 11 agosto). Di lì, ancora per la via dei monti, il Santuario mariano di Panico (12 agosto), ridiscendendo poi a Spoleto il 13 agosto. Tutte le parrocchie della città le hanno fatto festa, nel suo arrivo a S. Gregorio Maggiore, con la grande Liturgia dell’Akathistos, nella tarda sera, con la presenza delle autorità civili e militari e l’intervento, graditissimo, anche di mons. Vincenzo Apicella, vescovo ausiliare di Roma. La giornata del 14 è stata tutto un affluire di popolo nell’antica Basilica, fino ai Vespri solenni delle 21.00 e subito dopo la Processione notturna, come gli altri anni. I comuni dell’arcidiocesi erano presenti con i sindaci e i gonfaloni, ugualmente le Unità pastorali con le loro rappresentanze. Arrivati così in piazza del Duomo, non potremo mai dimenticare lo spettacolo altamente suggestivo delle centinaia di flambeaux che punteggiavano l’immensa area. Ed è lì che si è conclusa la grande “Novena”, con il discorso dell’arcivescovo mons. Riccardo Fontana, dall’ambone del portico, su questa piazza che fu già arengo del nostro libero Comune. Il 15 poi, la grande Solennità: come gli scorsi anni: dopo il solenne pontificale del giorno, con servizio musicale della Cappella del Duomo, mons. Arcivescovo ha benedetto la folla e l’intera diocesi con la SS.ma Icone, dalla terrazza del Duomo. Per la circostanza, l’Arcivescovo ha impartito la Benedizione papale, per singolare concessione del Papa, come già giorno per giorno nelle località visitate. Ringraziamo il Papa anche per le centinaia di corone del Rosario inviate in ricordo. Per altri particolari rinviamo alla rivista della diocesi “Chiesa in cammino”. Fummo, nell’Alto Medioevo la Terra di S. Maria, vogliamo esserlo ancora.