Pena di morte: un crimine

Riflessioni giuridiche e morali sulla condanna a morte di Teresa Lewis in Virginia (Stati Uniti)

L’esecuzione di Teresa Lewis lascia attoniti: in un Paese che si proclama terra di libertà, di giustizia, oggi si può compiere un crimine legale? La legge è garanzia di giustizia, di un vivere comune ispirato a principi saldi che regolano gli spiriti, le ambizioni e anche le devianze dei cittadini. Non si è più soggetti al ghiribizzo di un monarca assoluto che poteva – o può ancora – decidere della vita e della morte di un suo suddito, impunemente e magari vantandosene. Non siamo cittadini minori dell’Impero romano, in cui la vita di uno schiavo poteva finire in bocca alle belve nello stadio. Panem et circenses, pane e giochi alla plebe per conservare il potere e vincere sempre, anche a torto secco. Oggi esistono i tribunali, le Corti, i giudici, un sistema giudiziario calibrato. Noi cittadini delle democrazie occidentali eleggiamo e ci fidiamo del corso della giustizia e dei processi, possiamo impugnare una sentenza. Quindi restare attoniti è ancora dir poco. Perché gli esecutori materiali degli omicidi perpetrati si sono visti condannare all’ergastolo, mentre la mandante è stata uccisa? Perché si abusa della legge e la si costringe a diventare il boia, mentre dovrebbe essere luce per vivere in una democrazia ordinata e saggia? Se la legge prevede la possibilità della richiesta della grazia e del commutare la pena, perché il Governatore è rimasto sordo agli appelli di tanti cittadini? Un’altra macchia si è depositata sul cammino dei nostri popoli. Da più di cent’anni la saggezza era riuscita a farsi ascoltare e nessun colpevole era stato ammazzato legalmente. Quale virus ha infettato le nostre menti e i nostri cuori? Non posso pensare che il Governatore abbia preso la sua decisione da despota, in solitudine assoluta. Avrà avuto consiglieri, amici, collaboratori… costoro si sono fatti sentire? Con quale parametro hanno giudicato diversamente? Se il Governatore, chiamato a far osservare la legge, si fosse preso una pausa, gravida di silenzio e solitudine, e dinanzi alla sua coscienza avesse lasciato transitare i fatti e gli interrogativi, se non si fosse arrogato il potere di troncare un’esistenza, ma avesse imboccato la strada della concessione della grazia, potrei pensare alla nostra società come ad una società di persone deboli e imperfette ma dal cuore retto e sospinte dal desiderio di promuovere tutti i cittadini ad una vita sana e corretta. Dinanzi invece al gesto assurdo e crudele dell’esecuzione, invade un tremito: noi persone umane non abbiamo smarrito, se non perso, il valore della vita? Possiamo piegare la legge all’ingiustizia? Perché giustizia non è stata fatta e mai lo sarà finché sulla faccia della Terra esisterà la possibilità, ammantata di legalità, di uccidere. È vero, Teresa Lewis è colpevole, senza dubbio porta sulla sua coscienza e nella sua storia una macchia gravissima, ma più grave della gravissima colpa è quella di chi ha deciso, a sangue freddo, da estraneo ai fatti, in pieno controllo dell’emotività, che in nome della legge la condanna a morte doveva essere eseguita. In nome di una legge che prevede lo scampo della possibilità della grazia. E chi nega la grazia, non ha bisogno di qualifiche, si qualifica da sé. Teresa Lewis, vittima dell’esecuzione, non per questo è una vittima improvvisamente divenuta innocente: rimane colpevole, ma la colpa è divenuta tutta nostra, ciascuno dovrebbe vergognarsi di non essere stato capace di far desistere uno Stato che si proclama civile e modello di accoglienza e libertà, dal compiere un assassinio asettico. L’intelligenza della condannata era minima, ma non è una ragione buona per aver programmato un omicidio; tuttavia la nostra intelligenza rischia di essere ancora inferiore se siamo stati capaci di programmarlo e pianificarlo legalmente. Si offre una cena, si fanno salutare i parenti, sono tutti gesti per esorcizzare le rimozioni che la decisione di pena capitale comporta. Freud era un genio, con molti limiti se si vuole, ma genio rimane e capace di smascherare le rimozioni che il senso di colpa crea. In un caso come questo la rimozione leviterà e aprirà ancora strade che non potranno che finire nel baratro del caos. Se non ci battiamo, fin da ora, per l’abolizione della pena di morte, tutti ci troviamo già in questo baratro. Questa riflessione, fino a questo punto, è stata del tutto laica, ma se ci chiedessimo che cosa significa il dono della vita dinanzi a Dio? Se riportassimo alla memoria che Egli è il datore della vita e che nessuno può alzare impunemente la mano contro il fratello o la sorella? Abbiamo di nuovo crocifisso il Signore Gesù e Dio piange su di noi. Il Sangue innocente possa trasfigurare la nostra rimozione in conversione di salvezza. Altrimenti resteremo nel baratro.

AUTORE: Cristiana Dobner