Alberto Trentini, il cooperante veneziano arrestato in Venezuela, sembra essere stato ingoiato dalla “diplomazia degli ostaggi”. È questa la formula che gli analisti delle vicende politiche internazionali hanno coniato per definire il fenomeno sempre più diffuso dell’arresto di cittadini stranieri senza alcuna accusa seria e reale ma semplicemente per costringere lo Stato di cui è cittadino, ad accettare condizioni specifiche in cambio della sua liberazione.
Noi conosciamo il caso di Cecilia Sala e pochi altri, ma si tratta di molte persone che, in giro per il mondo, vivono questa paradossale quanto drammatica condizione. Il Venezuela, ad esempio, trattiene nelle sue patrie galere anche diversi cittadini statunitensi e colombiani. A Trentini non è stato permesso di parlare con un avvocato, né di mettersi in contatto coi suoi familiari, non è stata emessa un’accusa specifica e nemmeno si conosce con precisione il luogo della sua detenzione.
Insomma la scala delle violazioni dei diritti umani operate sulla pelle di quest’uomo sono tante. Per queste ragioni il governo italiano farebbe bene a far sentire la propria voce sul piano diplomatico – quello vero – e in sede internazionale. Farebbe bene anche a tenere vivo il contatto coi familiari che hanno chiesto una posizione più determinata e decisa da parte dei rappresentanti delle massime istituzioni. Il governo venezuelano per parte sua sarebbe più credibile internazionalmente se seguisse semplicemente le regole.