Per educare alla vita buona del Vangelo

Parola di vescovo

È quello che, dinanzi alla inquietante emergenza educativa, i Vescovi italiani hanno proposto alla Chiesa con i loro Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020. Tocca poi alla Chiese locali elaborare iniziative concrete, attivando laici e movimenti, associazioni, gruppi. Ma come educare a questa “vita buona” del Vangelo? Ovviamente facendo diventare più consapevoli e praticanti, e veramente formati, i battezzati; ma in particolare facendo cristiane le famiglie, chiamate in prima battuta e per loro diritto-dovere ad educare i figli che da quelle famiglie sono nati. È così elementare! Tutti gli altri collaboratori nei processi educativi vengono dopo, in subordine. Ma se le famiglie, come dicono ormai le statistiche e l’esperienza quotidiana, stanno facendo sempre più frequentemente bancarotta, come educare i figli alla vita buona delineata dal Vangelo di Gesù Cristo? Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI hanno detto e stanno dicendo all’unisono: “Urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana. Ma la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali” (cfr. Christifideles laici, del 1988, n. 34). C’è quindi da chiedere alle diocesi, alle parrocchie, alle associazioni, ai gruppi: cosa facciamo, di nuovo, per rifare i cristiani oggi, specialmente i giovani, in questo contesto sociale e culturale così complesso? Da questo interrogativo non si scappa: è ormai un interrogativo fisso, lacerante, esigente. Non che non si possa nel frattempo operare con i ragazzi stessi: gli oratori, ad esempio, lo stanno dimostrando, sorprendendo la stessa opinione pubblica. Ed ugualmente si dica del volontariato assistenziale e caritativo: accorgersi dei poveri e impegnarsi per dar loro un aiuto, magari già solo con una presenza disinteressata e socialmente significativa, è già esso stesso un indizio della maturazione del senso di responsabilità. Oratori e volontariato sono spazi educativi. Occorrerebbe chiedersi se altre agenzie che influiscono nei processi educativi fanno anch’esse qualcosa di veramente nuovo e coinvolgente secondo principi, laici quanto si voglia, ma razionali e di buon senso, come i grandi maestri di vita hanno sempre insegnato, educando a verità e responsabilità. È in questa ottica che m’è capitato più volte di dire: “Torniamo almeno a Pinocchio!”, che non significa affatto auto-sviluppo, e nemmeno assenza di valori e di etica. Ai Vescovi italiani Benedetto XVI ha ripetuto: “I giovani (ragazzi compresi) portano una sete nel loro cuore, e questa sete è una domanda di significato e di rapporti umani autentici, che aiutino a non sentirsi soli davanti alle sfide della vita”. La società-caleidoscopio, peraltro, o la società mercatone, sempre in svendita con le varie offerte di vita in contenitori sempre più luccicanti e suggestivi, ha una terribile forza attrattiva e confusionaria su ragazzi e giovani, non sempre provveduti di adeguato spirito critico e selettivo. E si corre sempre il rischio della grande abbuffata, che può forse soddisfare le emozioni del momento, ma non la vita con le sue responsabilità. Ritengo anche molto significativa la sottolineatura che, concludendo il loro documento, dinanzi al dilagare dell’universo mediatico, i Vescovi fanno della “educazione alla comunicazione, mediante la conoscenza, la fruizione critica e la gestione dei media”. È questa una “nuova frontiera” per i tanti navigatori cross-mediali, che, come dice proprio un vescovo (mons. Ernesto Vecchi), deve “consentire di intercettare la complessità dei flussi relazionali virtuali per coinvolgerli in un metodo pedagogico integrato, ma concreto”. Anche la comunicazione, come il volontariato e l’oratorio, è quindi uno spazio educativo che crea relazioni e codici di vita, e ha bisogno di solide motivazioni.

AUTORE: † Giuseppe Chiaretti