Perugia? Il grosso punto interrogativo sembra ormai fare parte integrante del nome della città capoluogo dell’Umbria. Nel senso che non si capisce bene che fase stia vivendo, o forse si capisce benissimo. I quotidiani locali continuano a descrivere ogni giorno uno stillicidio di fatti e avvenimenti che, se non si possono ancora inquadrare nella categoria del degrado e del declino, quanto meno danno il senso di un tessuto sociale, economico e politico in cui la frammentazione, lo sfilacciamento e la precarietà delle prospettive la fanno da padroni. Si legge di continuo di negozi del centro storico che chiudono a pacchi di dozzine, di vie cittadine in condizioni di abbandono, di piccole, medie e grandi imprese (vedi Perugina) in difficoltà. Di raccolta dei rifiuti problematica, di progetti urbanistici (“Arconi”) dal percorso contrastato, di parchi cittadini da cui anziani e bambini vengono sfrattati per fare posto a soggetti meno ‘affabili’. Insomma, Perugia non brilla. Il guaio? Che non si può, anche volendo, indicare un solo responsabile, inteso in senso politico: perché il processo di peggioramento del livello di vita in questa città non è di oggi, ha radici abbastanza lontane nel tempo. E motivazioni di vario genere, a partire dall’incrocio tra politica ed economia. Un incrocio visibile prima di tutto nella cemintificazione delle periferie perugine, dove si sarebbe voluto travasare il sangue vivo che alimentava la quotidianità del suo ‘cuore battente’, il centro storico. Un’operazione di ‘travaso’ che, valutando i risultati, si è tramutata in una sorta di ‘svuotamento’ progressivo dell’anima socio-politica della città. Un quotidiano locale ha riportato un’indiscrezione secondo cui un precedente sindaco di Perugia, commentando l’operato di quello attuale, avrebbe chiosato dicendo che “gestisce l’assenza”. Ma i tra i danni dell’assenza, vera o presunta, e i danni causati dalla ‘presenza’, non si sa davvero cosa scegliere.
Perugia e gli interrogativi sul futuro della città
AUTORE:
Daris Giancarlini