Più forte della morte

PAPA FRANCESCO. Catechesi familiare, stavolta a partire dalle letture del giorno
"Il figlio della vedova di Nain resuscitato da Cristo". Scena tratta dal film "La vita di Gesù Cristo"
“Il figlio della vedova di Nain resuscitato da Cristo”. Scena tratta dal film “La vita di Gesù Cristo”

La 19a udienza generale sul tema della famiglia, mercoledì, Papa Francesco l’ha incentrata sul tema del lutto, prendendo “direttamente ispirazione dall’episodio narrato dall’evangelista Luca che abbiamo appena ascoltato (Lc 7,11-15). È una scena molto commovente, che ci mostra la compassione di Gesù per chi soffre – in questo caso, una vedova che ha perso l’unico figlio – e ci mostra anche la potenza di Gesù sulla morte”.

La morte – ha proseguito – “fa parte della vita. Eppure, quando tocca gli affetti familiari, non riesce mai ad apparirci naturale. Per i genitori, sopravvivere ai propri figli è qualcosa di particolarmente straziante… La morte che porta via il figlio piccolo o giovane è uno schiaffo alle promesse, ai doni e sacrifici d’amore gioiosamente consegnati alla vita che abbiamo fatto nascere. Tante volte vengono a messa a Santa Marta genitori con la foto di un figlio, di una figlia, bambino, ragazzo, ragazza… e lo sguardo è tanto addolorato”.

“Tutta la famiglia – ha soggiunto – rimane come paralizzata, ammutolita. E qualcosa di simile patisce anche il bambino che rimane solo per la perdita di un genitore, o di entrambi. La domanda: ‘Dov’è il papà? Dov’è la mamma? – È in cielo – Ma perché non lo vedo?’, questa domanda copre d’angoscia il cuore del bambino che rimane solo… Cosa rispondere quando il bambino soffre? Così è la morte in famiglia.

In questi casi la morte è come un buco nero che si apre nella vita delle famiglie, e a cui non sappiamo dare alcuna spiegazione. A volte si giunge perfino a dare la colpa a Dio. Quanta gente – io li capisco – si arrabbia con Dio, bestemmia: ‘Perché mi hai tolto il figlio, la figlia? Ma Dio non c’è, Dio non esiste! Perché ha fatto questo?’”.

“Ma la morte fisica – ha commentato Francesco – ha dei ‘complici’ che sono anche peggiori di lei, e che si chiamano odio, invidia, superbia, avarizia. Insomma, il peccato del mondo che lavora per la morte, e la rende ancora più dolorosa e ingiusta. Gli affetti familiari appaiono come le vittime predestinate e inermi di queste potenze ausiliarie della morte, che accompagnano la storia dell’uomo”.

La fede tuttavia apre a un diverso orizzonte: “Nel popolo di Dio, con la grazia della Sua compassione donata in Gesù, tante famiglie dimostrano con i fatti che la morte non ha l’ultima parola: questo è un vero atto di fede. Tutte le volte che la famiglia nel lutto, anche terribile, trova la forza di custodire la fede e l’amore che ci uniscono a coloro che amiamo, essa impedisce già ora, alla morte di prendersi tutto. Il buio della morte va affrontato con un più intenso lavoro di amore. ‘Dio mio, rischiara le mie tenebre!’ è l’invocazione della liturgia della sera.

Nella luce della risurrezione del Signore, che non abbandona nessuno di coloro che il Padre gli ha affidato, noi possiamo togliere alla morte il suo pungiglione, come diceva l’apostolo Paolo ( 1 Cor 15,55); possiamo impedirle di avvelenarci la vita, di rendere vani i nostri affetti, di farci cadere nel vuoto più buio.

In questa fede possiamo consolarci l’un l’altro, sapendo che il Signore ha vinto la morte una volta per tutte. I nostri cari non sono scomparsi nel buio del Nulla: la speranza ci assicura che essi sono nelle mani buone e forti di Dio. L’amore è più forte della morte. Per questo la strada è far crescere l’amore, renderlo più solido, e l’amore ci custodirà fino al giorno in cui ogni lacrima sarà asciugata, quando ‘non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno’ (Apocalisse 21,4).

Se ci lasciamo sostenere da questa fede, l’esperienza del lutto può generare una più forte solidarietà dei legami familiari, una nuova apertura al dolore delle altre famiglie, una nuova fraternità con le famiglie che nascono e rinascono nella speranza. Nascere e rinascere nella speranza, questo ci dà la fede…

Questa fede ci protegge dalla visione nichilista della morte, come pure dalle false consolazioni del mondo, così che la verità cristiana ‘non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere, cedendo ai riti della superstizione, antica o moderna’” (Benedetto XVI, Angelus del 2 novembre 2008).

“Oggi – ha concluso – è necessario che i Pastori e tutti i cristiani esprimano in modo più concreto il senso della fede nei confronti dell’esperienza familiare del lutto. Non si deve negare il diritto al pianto… Possiamo piuttosto attingere dalla testimonianza semplice e forte di tante famiglie che hanno saputo cogliere, nel durissimo passaggio della morte, anche il sicuro passaggio del Signore, crocifisso e risorto, con la sua irrevocabile promessa di risurrezione dei morti. Il lavoro dell’amore di Dio è più forte del lavoro della morte.

È di quell’amore, è proprio di quell’amore, che dobbiamo farci complici operosi, con la nostra fede. Ricordiamo quel gesto di Gesù: ‘E Gesù lo restituì a sua madre’. Così farà con tutti i nostri cari e con noi quando ci incontreremo, quando la morte sarà definitivamente sconfitta in noi. Essa è sconfitta dalla croce di Gesù”.