Qualche giorno fa, il presidente americano Trump, e quello ucraino Zelensky, hanno detto che accettavano l’offerta del Vaticano di ospitare i negoziati per la pace in Ucraina. Ne siamo stati lieti, perché era, o sembrava, un passo avanti verso la pace. Ma il presidente russo Putin ci ha raggelati, facendo intendere che se a chiedere di trattare sono gli altri, le trattative si faranno se, quando e dove deciderà lui. Dovevamo aspettarcelo. Chi accetta di sedersi ad un tavolo nel luogo scelto dai suoi avversari ammette tacitamente la propria subordinazione.
Il 22 giugno 1940 – quando i tedeschi erano già a Parigi – la Francia firmò l’armistizio con la Germania in una sede apparentemente bizzarra, voluta personalmente da Hitler: un vecchio vagone ferroviario, appositamente tirato fuori da un museo e parcheggiato in un binario dismesso nel cuore della foresta di Compiègne.
Perché proprio lì? Perché in quel punto preciso e a bordo di quel vagone, l’11 novembre 1918, i tedeschi sconfitti avevano firmato l’armistizio alle durissime condizioni imposte dalla Francia. Ora i tedeschi si prendevano la rivalsa con gli interessi (anche se la Seconda guerra mondiale era ancora solo agli inizi; ma allora nessuno lo sapeva): e per aggiungere al danno le beffe vollero che i francesi sconfitti si sedessero allo stesso tavolo nello stesso luogo.
La storia delle relazioni internazionali è fatta dai rapporti di forza, ma i dettagli cerimoniali e simbolici hanno il loro peso. Sto dicendo che Putin è in grado, oggi, di dettare le sue condizioni quanto lo era Hitler nel giugno 1940? Non siamo a questo punto; ma Putin vuol far vedere al mondo intero che si sente forte, che lui non va a Canossa (per rifarci ad un altro episodio storico e ad un altro papa); e che insomma la guerra finirà quando vorrà lui.
Lo dico con dolore, ma è questo lo scoglio contro il quale si infrangono tutte le sacrosante esortazioni e i sacrosanti appelli per la pace: se un prepotente vuol fare la guerra, e ha la forza per farla, si potrà fermarlo solo con una forza contraria, messa in campo o, quanto meno, minacciata; oppure offrendogli in cambio una contropartita che qualcun altro dovrà comunque pagare. La leggenda di papa Leone (primo, si capisce) che ferma Attila in marcia verso Roma è, appunto, una leggenda; forse ha una base di verità ma come siano andate veramente le cose non si sa.