Quanto vale la vita

Pare proprio che nonostante tutti i pericoli, chiari e dimostrati, causati dalle varie pratiche, spesso sofisticate, con cui il doping viene realizzato, il fenomeno sia diventato talmente diffuso che alcuni lo ritengono generalizzato nel ciclismo e praticato più o meno anche in altri sport. Nel recente blitz fatto per controllare i corridori del giro d’Italia, le Forze dell’ordine hanno trovato di tutto, scatole vuote di farmaci, siringhe sporche di sangue, flaconi di non so che cosa. Un ripensamento generale di tutto il quadro della situazione sportiva sembra ormai non rinviabile, anche sul versante degli interessi che vi sono legati e che non sono estranei alla esasperazione delle prestazioni, come in passato non erano estranei interessi politici. Tutti sanno che nel periodo del comunismo imperante, quando i regimi dell’est europeo facevano dello sport una vetrina per mascherare la tirannia e la miseria, il doping pesante e senza alcuno scrupolo era gestito direttamente dai governi, con conseguenze disastrose per centinaia di atleti, oggi abbondantemente documentate. Da queste esperienze si vede che possono esserci molteplici motivazioni per cercare ad ogni costo la vittoria sportiva ed inoltre, secondo la mentalità dominante, in cui il valore della vita è continuamente umiliato, non è escluso che vi siano persone che rischiano la salute e la vita per riuscire in un’impresa sportiva, per un interesse economico o per semplice piacere. Vi sono, infatti, quelli che si drogano senza un fine prefissato, ma per puro desiderio di sballo. Altri che rischiano per assaporare l’ebbrezza della velocità in macchina o in moto. Il valore della vita è posto in secondo piano rispetto ad altri supposti valori, in primo luogo quello della libera gestione di se stessi, del proprio corpo e delle proprie scelte. Si devono riposizionare al centro della società concetti quali la responsabilità, il rispetto, le regole (le tre “r” citate in un recente dibattito sullo sport da Gaetano Mollo), e diritti, doveri e dignità (le tre “d” proposte da mons. Chiaretti nel convegno dei Lyons su “i diritti negati”). Su ognuna di queste parole si possono sviluppare riflessioni personali che potrebbero servire da guida dei propri comportamenti e impostare una “politica culturale” che tenda a risanare i mali del tempo presente. In questa direzione deve andare lo sport, che non è piccola cosa e dovrebbe essere trattato con grande attenzione da educatori, amministratori e politici, spesso troppo coinvolti nel tifo e infettati da questa malattia che fa velo agli occhi. Le scene di violenza e di esasperazione nel calcio rappresentano l’altro verso dello stesso problema e inducono a richiedere, anche per questo, una pausa di riflessione e l’avvio di comportamenti più responsabili, rispettosi e regolati, dove i diritti vengano commisurati ai doveri e alla dignità delle persone. In una civiltà che abbia rispetto per se stessa, non solo non dovrebbe esistere che si metta a repentaglio la vita e la salute fisica e mentale per una vittoria sportiva, ma che non si debba neppure attentare la tranquillità di una città, la genuinità e lealtà delle gare, la nobiltà dell’esercizio atletico, la gioia di un divertimento che rallegri la vita e sia una palestra di allenamento fisico e morale per la gioventù.

AUTORE: Elio Bromuri