La nomina di un docente di economia (Luca Ferrucci) alla guida di Sviluppumbria, l’agenzia che si occupa del sostegno allo sviluppo della regione, è stata descritta da alcuni osservatori della politica locale come una sorta di “vittoria” della presidente della giunta di Palazzo Donini su chi, applicando criteri esclusivamente politici alle nomine da definire, avrebbe voluto altri a capo di questo importante braccio operativo dell’ente.
Si è sottolineato che in questo modo la presidente è riuscita a far prevalere il criterio della competenza. Sottolineatura che torna a mettere in contrapposizione il mondo della politica con quello delle competenze e delle professionalità. E che fa pensare che per i competenti, in politica, ci sia poco o niente spazio.
Non è da oggi che ha preso piede la convinzione che i cosiddetti “esperti” non siano altro che la longa manus di chissà quali poteri invisibili, e che dunque qualsiasi opinione di chiunque meriti maggior credito. In realtà, si possono delineare due tipi di competenza, altrettanto importanti: quella che la storia degli ultimi decenni ha conosciuto come “tecnici”, cioè esperti di varie materie che per certi periodi vengono chiamati ad occuparsi della cosa pubblica; e quella del politico che fa politica e che ne diventa competente facendola. In entrambi i casi, il valore politico della competenza si misura con la fiducia ed il rispetto che questa ispira. In sostanza, la reputazione di un tecnico o di un politico è la cartina di tornasole del loro livello di competenza.
Esemplare in Umbria il caso delle ultime quattro presidenti di Regione Lorenzetti, Marini, Tesei ed ora Proietti – che prima di arrivare al timone della giunta regionale sono state impegnate nel ruolo di sindaco rispettivamente di Foligno, Todi, Montefalco ed Assisi. A conferma del fatto che la selezione della classe dirigente deve saper estrarre dalla società le migliori energie partendo proprio da chi si forma operando nei livelli istituzionali dove più serrato è il contatto con i cittadini amministrati.
“Il politico propriamente detto – ha affermato lo scrittore Alessandro D’Avenia – è colui che può assumere incarichi di governo perché è capace di cura e possiede le tecniche necessarie a realizzarla”. Tecnica e cura, dunque, per studiare e risolvere le varie problematiche sociali.
Il problema degli ultimi tempi, oltre allo sfarinarsi delle idealità, è che non sempre si riesce a mettere “alla sommità dell’edificio sociale” – come dice il giurista Sabino Cassese – gli “uomini capaci”. Anche perché da qualche anno non si riesce più a distinguere il politico dall’influencer. Due figure che tendono a confondersi ma che invece sono diversissime: perché il politico ha l’obbligo di “fare” per avere consenso. Con questo costruisce la sua reputazione. E non deve dire quello che la gente vuole sentirsi dire, ma parlare di cose reali. A ciò lo obbliga la sua competenza. Forse anche la confusione tra i due ruoli è causa dello scollamento tra la società e la politica. Recuperare il valore della competenza potrebbe essere un modo per “ricucire” .
Daris Giancarlini