Ricercatori sul piede di guerra

UNIVERSITÈ. Anche nell'ateneo perugino manifestazioni di protesta contro la riforma Moratti

Come in tutta Italia, anche nell’Ateneo perugino, nelle scorse settimane, si è assistito alla sospensione di alcune attività didattiche, promossa da un nutrito numero di sindacati e di associazioni della docenza in segno di protesta contro la legge Moratti di riforma dell’Università. In particolare sono sul piede di guerra i ricercatori, che risulterebbero la categoria più colpita, visto che, con l’abolizione dell’articolo 12 della legge 341 proposta nel ddl, verrebbe loro tolta la possibilità di ricoprire incarichi di docenza. Anche gli studenti si sono uniti a questa protesta, in particolare quelli della facoltà di Letter, che con la riforma ritengono di venir privati di alcuni insegnamenti, condotti per la maggior parte da ricercatori. Così da venerdì scorso, dopo una manifestazione promossa dai precari che si è articolata passando da facoltà a facoltà interrompendo le lezioni in segno di protesta, si è sviluppata una breve occupazione, protrattasi fino a sabato, che ha visto coinvolti circa un centinaio studenti e si è concentrata nei locali dell’Aula magna di palazzo Manzoni. Terminata l’occupazione la protesta degli studenti è culminata con la partecipazione dei ragazzi alla manifestazione di martedì 25 a Roma. Sentiamo allora che aria si respira all’interno dell’ambiente accademico e interpelliamo in merito il prof. Antonio Pieretti, decano dell’Ateneo; professore ordinario da oltre trent’anni, per 24 è stato anche preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, attualmente insegna Filosofia teoretica. ‘Il problema di fondo – osserva Pieretti – non è tanto quello relativo al taglio dei fondi perché, pur essendo un dato oggettivo, le università sono chiamate a rivedere tutta la loro programmazione, forse anche con criteri di maggior equilibrio e di maggior buon senso, dato che molto spesso sono state create strutture, corsi, indirizzi che non forniscono una vera e propria offerta didattica nuova. Allora è bene che l’università, dopo una prima fase in cui è stato attivato l’impossibile, adesso ripensi alla suo organizzazione e, soprattutto, alla luce del primo triennio di corsi di tre più due che ormai si è concluso, ora si è in grado di valutare che cosa sia stato rispondente alla richiesta degli studenti. Forse è giunto il momento in cui l’università ripensi veramente a quello che vuole fare, a come si vuole procedere, quale obiettivo si vuole raggiungere, e in modo particolare si forniscano dei curricula che siano più credibili e meglio spendibili nel mercato del lavoro’. Il professor Pieretti non si esime da una valutazione personale della legge Moratti: ‘Personalmente non do un giudizio positivo, ci sono una serie di elementi che non possono essere condivisi. In primo luogo la crescente precarizzazione del mondo accademico. In secondo luogo non vengono indicati meccanismi chiari e precisi che garantiscano un ricambio abbastanza rapido. Infine credo che un progetto di riforma dovrebbe anche contenere linee ideali di quella che dovrebbe essere l’università in vista di una società diversa’. Passando alle proteste dei ricercatori delle ultime settimane, vengono chiariti alcuni punti decisivi: ‘I problemi sollevati da parte di alcune categorie, in particolare dai ricercatori, credo che siano condivisibili perché si trovano in una situazione abbastanza disagevole, soprattutto dopo che gli è stata richiesta l’attività didattica. Bisogna arrivare ad un chiarimento definitivo e cioè bisogna chiedersi – prosegue Pieretti – se un ricercatore debba fare il ricercatore per un certo periodo di tempo e senza obblighi didattici, oppure si richiede l’obbligo didattico. Bisogna stabilire dei criteri anche per quanto riguarda il reclutamento. Non è che ho soluzioni ottimali da offrire, ma un po’ d’esperienza mi conduce a ritenere che quello che noi dovremmo avere come garantito in primo luogo sono effettivi finanziamenti per la ricerca, non distribuiti a pioggia, ma distribuiti su progetti veri, efficienti e soprattutto tali che poi siano suscettibili di controlli. In secondo luogo si rende necessaria una revisione totale di tutti i curricula. Occorre poi il rispetto totale dei requisiti previsti dalla normativa ministeriale. Per fare un esempio: la normativa ministeriale prevede che per un corso di laurea ci vogliano nove docenti incardinati; allora queste cose vanno rispettate e questo è una garanzia anche per gli studenti. Bisogna stabilire criteri ben precisi per un avvicendamento sufficientemente rapido, in modo da garantire prospettive a chi esce, chi si laurea, e contemporaneamente in modo che ci sia il ricambio adeguato. Per i ricercatori ci vuole una fase di apprendistato, nell’arco di un numero di anni pari a 5, non di più. Ovviamente occorre poi garantire reali opportunità di concorsi che permettano l’inquadramento definitivo. La precarizzazione non giova a nessuno, è controproducente, perché crea una situazione di disagio con molte conseguenze negative. Infine, servono verifiche serie della produttività scientifica, sia dei ricercatori che dei docenti con ricadute sulla progressione in carriera e sugli stipendi’. Un’ultima riflessione su un’eventuale disparità di trattamento tra corsi di laurea umanistici e scientifici, a favore di questi ultimi: ‘Direi che una differenza c’è, ma è una differenza giustificata dai costi maggiori che le facoltà scientifiche affrontano. Credo però che nel nostro Ateneo non si tratti di una notevole differenza, anzi c’è stata sempre la volontà di mantenere per le facoltà umanistiche un ruolo ed un certo peso’.

AUTORE: Martino Bozza