Rosario Livatino, il “giudice giusto” esempio per i giovani

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Il tavolo dei relatori alla sala dei Notari sullo sfondo il maxischermo con la locandina dell'evento, e l'immagine di Livatino di spalle alcune persone del pubblico sedute
La presentazione del libro su Rosario Livatino alla sala dei Notari di Perugia

“Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma quanto siamo stati credibili”. Con queste parole del giudice Rosario Livatino, don Luigi Ciotti fondatore del Gruppo Abele e Presidente di Libera, ha introdotto la presentazione del libro di Barbara Baffetti Un giusto chiamato Livatino, giovedì 27 marzo alla Sala dei Notari di Perugia.

Chi era Rosario Livatino

La storia del giovane magistrato ucciso nel 1990 a 37 anni dalla mafia e beatificato da Papa Francesco nel 2021, è stata ascoltata in attento silenzio dai tanti giovani che riempivano la sala, studenti e studentesse dell’ultimo anno di liceo accompagnati dai loro insegnanti. Rosario Livatino, giovane magistrato siciliano era noto per il suo stile di vita sobrio e per la sua fede cristiana; era profondamente convinto che la giustizia dovesse prevalere, anche di fronte a minacce e intimidazioni. Il 21 settembre 1990, fu tragicamente assassinato da un commando mafioso mentre si recava al lavoro.

Il libro, edito da Edizioni Francescane Italiane, con l’introduzione di Gero Manganello e la postfazione di don Luigi Ciotti, intreccia la memoria della vita del magistrato alle vicende di quattro adolescenti che vivono un’estate particolare nei luoghi dove Livatino è nato e vissuto.

L’autrice Barbara Baffetti

Attraverso l’esempio del giovane giudice la storia si propone di illuminare i percorsi che gli adolescenti fanno quando si trovano di fronte a domande e scelte, dove bene e male si fronteggiano. L’autrice Barbara Baffetti, è moglie, e madre di quattro figli, laureata in filosofia, con formazione specifica in pedagogia, ha pubblicato numerosi testi per l’editoria rivolta a bambini e ragazzi. Promuove da molti anni un progetto sull’Affettività e il Rispetto nelle scuole. L’abbiamo incontrata dopo la conferenza.

Com’è nata l’idea di questo libro?

“Portavo da tanto nel cuore l’idea di un libro sul giovane giudice Livatino, un personaggio, la cui grandezza morale è evidente, dove il Vangelo diventa vita e la vita diventa Vangelo. Però, non volevo una biografia; penso che le biografie le debba scrivere chi ha vissuto vicino a certi personaggi. Quindi al di là della ricerca sulla figura, volevo che Livatino intrecciasse le vite dei giovani. Dalle domande che raccolgo negli sportelli d’ascolto e nei lavori in gruppo che faccio nelle scuole, emerge con forza l’incapacità dei giovani di progettare, di lavorare sui loro desideri perché a volte noi adulti nascondiamo la loro bellezza, evidenziando più le mancanze che le capacità”.

“Credibili più che credenti”; qual è, secondo lei, il senso profondo di questa affermazione?

“Io credo che sia proprio l’idea di un Vangelo che si incarna. Ai ragazzi viene proposta spesso una fede che è un po’ quella dei “santini, polverosi” come ha ribadito don Luigi Ciotti; Livatino non avrebbe mai voluto essere un “santino”. Penso che sia questa la grande scommessa: il Vangelo o diventa vita oppure possiamo anche dire che ci crediamo, ma non saremo credibili in quello che diciamo. Livatino da questo punto di vista è un grande esempio per i ragazzi. I giovani che erano alla presentazione per me sono stati un dono; quel silenzio, era il silenzio di chi stava veramente ascoltando”.

In che modo la vita del giudice Livatino può essere di esempio in un mondo dove si cerca il proprio interesse, spesso a scapito della giustizia e della legalità?

“Io credo con la possibilità e la capacità di perseguire il proprio sogno, con l’idea che la vita vada spesa fino in fondo per qualcosa di alto, pur custodendola, come ha detto Tony Mira alla presentazione del libro. Livatino ha custodito la sua vita e la vita degli altri; ha avuto sempre a cuore che i genitori e chi gli era vicino potessero stare al sicuro, quindi mi pare che sia un esempio di ricerca della verità non aggressivo, in un contesto violento. Penso sia una testimonianza fortissima oggi, dove l’aggressività sembra l’unico modo per affermare la giustizia e la verità. Livatino è stato un uomo che ha saputo rimuovere alcuni silenzi in una cultura mafiosa, ma soprattutto ha saputo ricercare la verità con la consapevolezza di un sogno che era per il bene comune, non solo per il proprio bene. In un mondo che rimuove la sofferenza, è come se si vivessero delle vite anestetizzate, dove l’esperienza del progettare con impegno anche per il bene comune, diventa sempre più difficile”.

Valentina Baldoni

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