San Luigi

21 giugno, san Luigi Gonzaga. 55 anni fa, quando avevo 10 anni e mezzo, pronunciai la mia prima predica. Imparata a memoria. Fu un trionfo. Ero piccoletto (diversamente da adesso), presuntuoso (quanto adesso), mi mettevo regolarmente le dita nel naso (adesso… solo irregolarmente). La predica su san Luigi. Non ne ricordo nemmeno una parola. Mi ricordo invece quello che cantavamo in quel giorno. “O vago giglio in ciel aulente // simbol fulgente // sei di candor. – Luigi Santo,// noi t’invochiamo,// te veneriamo sui nostri altar”. E poi: “Odi la voce // nostra festante,// a te inneggiante // in questo dì;// tra i puri effluvi// di incenso e fiori// dono dei cuori noi ti facciam”. Ogni tanto mi ritrovo, da solo, a cantare questa ed altre canzoni della mia infanzia. Ne ricordo tutte le parole. Poi magari mi scordo quelle della canzone che ho intonato stasera a Messa. “Signore sei tu il mio…”: il mio… che cosa? L’altra sono incappato in una tautologia: ho detto “il mio Signor”. Sto terminando la lettura di una bella vita di S. Luigi, moderna, giornalistico, scandalistica anche. Il lato che in Luigi Gonzaga esalta quella vita è la carità, la dedizione eroica al prossimo. Durante la peste del 1591 il principino ventitreenne, divenuto a Roma seguace generoso del grande Capitano Ignazio, per oltre quattro mesi di fila si dedicò anima a corpo agli appestati, senza un attimo di tregua, silenzioso, infaticabile: “Se non fosse morto di peste, sarebbe sicuramente stato stroncato dalla fatica disumana”. E puntualmente i due fattori incrociati lo uccisero. Che bello! Ma delle sua purezza si parla molto di meno. Quando io ero un “giovane virgulto del sacro efebeo” (così, durante gli Esercizi Spirituali ci soprannominò un predicatore d’antan) se ne parlava anche troppo, e troppo male: in un contesto fumoso, dai contorni equivoci, quasi di mistero iniziatico. Al punto che uno di noi, nell’impossibilità di sapere da fonti ufficiali cosa volesse dire “Desiderare la donna d’altri”, decise di darne una sua personale interpretazione, e nella sua settimanale confessione cominciò ad accusarsi regolarmente di quel “peccato”, visto che la sua donna (di servizio), al contrario di quella dei suoi pochi amici che ne avevano una, era claudicante, mentre le donne d’altri erano prosperose. E delle “amicizie particolari”, che ne dite delle “amicizie particolari”? Io ne sentii parlare per la prima volta a dieci anni, impubere, e capii cosa erano solo 13 anni dopo, quando al Laterano affrontammo la morale speciale (sesto + nono), e il mistero non poté più monopolizzare il discorso. Detto questo, è saggio dimenticare in un giovane Santo come lui il rigore con cui dominò i suoi istinti e li convogliò verso l’acquisizione del tesoro nascosto nel campo, che aveva individuato per tempo tra i poveri tesori della corte principesca nella quale era nato? No, non è saggio.