Sarà “Lui”

“Lui” è per tutti il card. Antonelli. Per noi umbri è don Ennio. Per adesso è solo uno dei magnifici 116 che in Vaticano pregano, passeggiano e ciacolano in vista di lunedì 18. Si conoscono per la prima volta, o approfondiscono una conoscenza sommaria, o passano il ferro da stiro su di una reciproca consuetudine raggrinzita dal tempo. Ciacolano: e così si delinea il profilo del nuovo Papa. Sarà lui, il nuovo Papa, don Ennio, non esistono ragionevoli dubbi. L’hanno detto i giornali: a Gubbio c’è un prete che dà per scontata l’elezione del card. Antonelli. È vero? Sì, è vero.

Festa del patrono sant’Ubaldo, 16 maggio 2004. Siamo a tavola con don Ennio, al Beniamino Ubaldi. Io gli volto le spalle. Davanti a me don Sergio, prete serio e astrologo per gioco. Gli chiedo: “Don Se’ e che dice Malachia del prossimo Papa?”. Il “Libro di Malachia” è un falso che individua ogni Papa con una breve frase, latina ovviamente. Lo scrisse nel 1590 un certo card. Simoncelli, che poi lo attribuì all’ecclesiastico omonimo, Irlanda, XII secolo, venerato anche come Santo. Don Sergio: “Dice: de gloria olivae“. Dal trionfo dell’ulivo. Mi giro di scatto e la croce d’argento che pende sul petto di don Ennio catalizza i miei occhi strabuzzati: su di essa spicca in bassorilievo un ulivo sormontato dal sole. Mi alzo in piedi e profetizzo: il prossimo Papa sarà lui.

Il giorno dopo mi contatta un artigiano nobile della Gubbio d’antan e mi dice: guarda che don Ennio, oltretutto, è nato nel cuore del cosiddetto “Triangolo dell’ulivo”. In realtà quella del 16 maggio 2004 è stata solo l’occasione per dare la stura ad una convinzione che ho sempre avuto e che è andata sempre crescendo da quando eravamo (lui un anno avanti a me) liceali ad Assisi, e poi studenti di filosofia e di teologia al Laterano, e poi compagni di studio alla facoltà di Lettere a Perugia, e poi colleghi al Liceo di Gubbio. E quando, dal 1982 al 1988 , don Ennio fu vescovo nella mia diocesi, quella convinzione divenne tetragona. Diventerà Papa. Lo accreditano a tanto l’acume dell’intelligenza, l’incondizionata dedizione alla Chiesa, la mite pietà personale sempre presente e mai esibita, la profonda conoscenza di quel pensiero moderno che oggi, alla Chiesa di Giovanni Paolo che con tanta forza ha ribadito la propria identità, chiede il servizio di nuove sintesi di fondo, che rilancino quel “riposizionarci sempre nuovo nei confronti del mistero di Dio e del Mondo” nel quale consiste, sul piano dell’antropologia, l’anima della fede.

Ma a me, come profeta, chi mi accredita? L’asina di Balaam, solo essa, l’animale che nel 22.mo capitolo del libro dei Numeri JHWH autorizzò per un attimo a dire la sua. A me, tanti anni fa, fu mio padre (scherzavo sulla sua calvizie) a darmi dell’asino: “Solo i somari non si pelano”, disse.

AUTORE: Angelo M. Fanucci