Siam pronti alla morte!!

Ho visto alla Tv il film Il patriota. Bravo Mel Gibson! Un bel fumettone. Ce ne vuole per tirarlo dentro la guerra d’Indipendenza americana, ma quando c’entra, col suo faccione monsignorile, sono sfracelli in serie. La moglie gli è morta dopo il settimo parto, un paio di figli li perde tra il primo e il secondo tempo, ma cinque gliene restano e poi la cognatina si rivela per tempo disponibile a ricostruire una famiglia, con lui e i cinque frugoletti residuali, presumibilmente incrementabili ulteriormente. Paro paro e dispari in mano. Un bel film. Solo una domanda m’è rimasta sospesa a metà gola: ma davvero gli eserciti di allora, nel Secolo dei Lumi, combattevano in quel modo? Quale modo? Quello che più volte si vede nel film. Ho chiesto conferma ad un amico, colonnello esperto di storia militare: sì (perbacco!!), combattevano proprio in quel modo. Quale modo? Si disponevano in file larghe quanto il campo di battaglia, forse 10 file, forse 20 o 40, una dopo l’altra, fronte al nemico. Al rullo marziale dei tamburi e dei pifferi, piri piri pirì, turu turu turù, le Giubbe Rosse si mettevano in marcia, ritmiche e insensate, contro le Giubbe Azzurre, che facevano altrettanto, altrettanto ritmiche, altrettanto insensate. Pirì pirì pirì, turu turu turù. Ad un certo punto dal parruccone sotto il quale aduggiava il Comandante veniva l’alt!! I fantaccini si fermavano, la prima fila si metteva in ginocchio, la prima e la seconda fila prima caricavano gli schioppi, poi puntavano i nemici che continuavano ad avanzare, piri piri pirì, turu turu turù, poi sparavano. Poco dopo la stessa, identica cerimonia aveva luogo a cura dei resti dell’opposto schieramento. Alt, in ginocchio, puntate, fuoco! Pifferi e tamburi. Piri piri pirì, turu turu turù. Pochi fortunati ne uscivano illesi, diversi mezzo/fortunati ci rimettevano solo una gamba, diversi sfortunati prendevano a tossire come tubercolotici per via di un polmone che aveva cominciato a sfiatare, diversi sfortunatissimi si ritrovavano riversi a terra, con un buco nella croce degli occhi, lindo, preciso come se fosse stato praticato da un artigiano di classe. Dio mio! Ho capito cosa vuol dire “offrire impavido il petto al fuoco nemico”. Una volta pensavo che fosse una metafora. Ho gioito come tanti, quando ho visto i nostri calciatori, finalmente ligi alle esortazioni di Carlo Azelio Ciampi e di Aldo Biscardi, cantare l’Inno nazionale, o solo biascicarne le parole, prima delle partite della nostra squadra di calcio. Oggi gioisco un po’ di meno. Se proprio non si vuol sostituire “Fratelli d’Italia” con “Va’ pensiero”, non si potrebbe per lo meno cambiare quel “Siam pronti alla morte” con qualcosa di diverso? Sia perché credo che oggi i nostri ragazzotti miliardari, più che alla morte, siano pronti al massimo a un modesto raffreddore, sia perché i ragazzotti che stazionavano allora dentro le giubbe, vuoi rosse vuoi azzurre, ci hanno lasciato davvero le penne. Pifferi e tamburi. La vita. Piri piri pirì, turu turu turù. La vita. L’unica che avevano.