Siccità: usiamo il metodo ‘egizio’

Un po’ di pioggia interrompe la siccità in Umbria. Ma servono interventi strutturali per scongiurare altre annate del genere

È tornata, dopo oltre un mese di assoluta assenza, la pioggia sulla nostra regione. Il classico “break” di mezza estate, che interrompe le consuete condizioni di caldo e aridità, ha dunque offerto una breve tregua ad una stagione estiva che ha stentato molto a decollare (ricordiamo quante recriminazioni per una primavera troppo fredda!) ma che, una volta decollata, ha preso troppo velocemente quota. Non sono passati i tre anni di assoluta siccità, al termine dei quali il profeta Elia pronostica al re Acab: “Su, mangia e bevi e sii contento, perché sento il rumore di una pioggia torrenziale” (1Re 18). Ma, dopo le grandi quantità di acqua scese dal cielo in Umbria nel 2010 (l’anno più piovoso dell’ultimo ventennio), la situazione appare ora critica. Quanto? Be’, va subito detto che l’Italia non è nelle condizioni degli Stati Uniti d’America, alle prese con una delle peggiori siccità da almeno trent’anni, con oltre il 60% delle sue aree agricole in stato di calamità naturale e gravi rischi per il raccolto di mais e la produzione di carne bovina (e aumento dei prezzi a livello internazionale). In Italia e in altri Paesi del Mediterraneo, la quantità di pioggia caduta dall’inizio dell’anno è stata mediamente il 60% di quella normale, con punte minime del 20% in alcune zone del Sud Italia. In Umbria dove, nel primo semestre di ogni anno, statisticamente ci si dovrebbe attendere fra i 400 e i 600 mm di pioggia (con un minimo sull’Umbria occidentale ed un massimo su quella appenninica), sono effettivamente caduti fra i 200 ad ovest e 400-500 ad est. Ma non cadiamo in inganno: un po’ di pioggia è caduta, specie ad aprile, maggio e, in parte, giugno, è vero. Quello che ha causato l’emergenza idrica è stata anche la grave siccità dell’autunno 2011, con un mese di novembre del tutto privo di pioggia in non poche località della nostra regione. Figuriamoci che, solo in quel mese, in Umbria cadono fra i 100 e i 180 mm di pioggia: se aggiungiamo le scarse piogge del precedente ottobre, la siccità di gennaio e, soprattutto, di marzo 2012, e il fatto che le precipitazioni nevose di febbraio non hanno prodotto accumuli eccezionali (se non in limitate zone dell’Appennino), il gioco è fatto.

Ma perché tutto questo? A giudizio di non pochi fisici dell’atmosfera, la siccità del 2012 non è direttamente connessa ai cosiddetti “cambiamenti climatici” e, più ancora, al global warming, che sta conoscendo una fase di stallo da almeno un decennio. Si tratta, in effetti, di un corollario di quel fenomeno tipico che è l’Enso, meglio conosciuto come “El Niño” e “La Niña” (rispettivamente riscaldamento e raffreddamento delle acque del Pacifico sud-orientale). Solitamente, al termine di una fase molto intensa di “Niña”, come quella vissuta nel 2011-2012, quando l’oscillazione s’inverte bruscamente, si possono avere le condizioni per un forte irrobustimento della fascia di anticicloni sub-tropicali, che tendono così ad invadere le medie latitudini, provocando gran caldo e siccità. Non è, quindi, la prima volta che questo succede e non sarà l’ultima. Nel Mediterraneo, anzi – anche nella terra di Israele del profeta Elia – condizioni di siccità estiva sono consuete; in particolari anni, l’aridità può durare mesi. Meno consueto che accada nel Middle West statunitense, dove l’estate è di solito piovosa. In Umbria, annate siccitose sono state il 2003 e, in misura minore, il 2006 e il 2007 ma, statisticamente, ad anni aridi, seguono poi anni molto piovosi. Buona regola, dunque, sarebbe imparare a gestire l’abbondanza per affrontare la penuria. Gli antichi Egizi lo sapevano fare. Noi, non più?

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AUTORE: Pierluigi Gioia