Silenzi che gridano

Quando i silenzi gridano: è stata un bella esperienza, a Cefalù, il convegno delle Comunità missionarie del Vangelo di Nino Trentacoste. Una bella esperienza davvero. Il momento più intenso, l’intervento del prof. Vittorino Andreoli. L’avete presente? In TV in genere Andreoli non figura, sprofondato com’è in una soffice poltrona fagocitante. Alla tribuna congressuale è tutt’altro: altissimo e appena ricurvo, calvo al centro della testa, con due folti grumi di capelli ricci e neri striati di bianco, su ambo i lati, a sezione triangolare; le sopracciglia rigogliose e sporgenti, nere, folte; gli occhi dolci e acuti. Una riedizione, oblunga e con un tocco di estro postmoderno, della testa di don Abbondio rischiarata dalla lucerna, un attimo prima che si scateni la sarabanda del “matrimonio clandestino”. Il prof. ci ha fatto toccare con mano come tutto, ma proprio tutto nelle relazioni interumane sia linguaggio. E’ sciocco impegnarsi a cogliere i segreti di linguaggi elaborati come quelli artistici, che vengono dal fondo dei secoli, e poi non saper decodificare i muti messaggi eloquenti che ti vengono ogni giorno da chi ti vive vicino. Il prof. ha affondato il colpo quando ha affrontato il tema della comunicazione non verbale da parte degli adolescenti che non tollerano più la casa e la famiglia, di quel loro silenzio che grida, e accusa apparentemente senza pietà genitori smarriti e angosciati. E’ stato il clou della sua relazione. Non tollerano più la casa, puntano il dito, accusano, pronunciano parole grosse tre volte più di loro. Quando con la pubertà arriva il momento di prendere il largo verso la vita, verso il mondo vasto e ignoto, lasciando il piccolo golfo calmo della famiglia, tanto più deve essere forte e doloroso lo strappo al quale l’adolescente è chiamato, quanto più è stato gratificante il rapporto con papà e mamma. Se accusa forte vuol dire che in famiglia è stato troppo bene. Allora è il momento di stargli vicino in silenzio. E di prendergli la mano mentre dalla TV continua ad uscire, lutulenta e finalmente inutile, l’alluvione consueta di parole e di immagini. Prendergli la mano e tenergliela a lungo, più a lungo possibile. In silenzio, il massimo silenzio possibile. Che bello! – ha concluso Andreoli – quel figlio che non parla e dice tutto, e ignora Bruno Vespa che dal cubo di tutte le confusioni straparla di tutto e non dice nulla.