“Sto alla porta e busso”

Nei capitoli 2-3 dell’Apocalisse sono raccolte sette lettere indirizzate alle Chiese d’Asia. L’ultima, diretta alla Chiesa di Laodicea, termina così: “Io, tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convértiti. Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me… Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 3,19-22). Ho scelto questo testo perché motiva nel modo più impellente il nostro lasciarci educare e convertire al Vangelo di Gesù. È stupenda e commovente l’immagine del Signore che con amore s’avvicina personalmente a ciascuno dei suoi discepoli e ad ogni comunità cristiana e svolge un’azione educativa davvero originale. Sta alla porta, con rispettosa pazienza, e bussa. Anzitutto ci fa il servizio della verità: rimprovera in modo chiaro e diretto: “Conosco le tue opere: tu non sei nè freddo né caldo… sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap 3,15-16). Qualcuno ha giustamente osservato che la vera malattia del nostro tempo è l’indifferenza, il grigiore, la superficialità, la banalità, la mediocrità, l’apatia. Proprio come dice una canzone dei Beatles: “La vita si svolge sotto i nostri occhi, ma spesso siamo occupati, purtroppo, a guardare altrove, nel vuoto” (John Lennon). Non siamo cattivi, ma distratti e occupati in e da un’infinità di parole e di immagini che ci rubano il tempo di riflettere, contemplare, decidere, amare. In modo ancora più netto la Lettera alla comunità di Laodicea scrive: “Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo” (Ap 3,17). Il Signore rimprovera non per umiliare e condannare, ma per svegliare la coscienza addormentata, e per poter sollecitare l’accoglienza dei suoi doni che arricchiscono davvero l’uomo e lo rendono buono e felice. “Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista” (Ap 3,18).
Il Signore ci offre gratuitamente i suoi doni e ci pone due secchi imperativi: “Sii zelante e convertiti”. È questo il modo per superare il grigiore della mediocrità che blocca, secondo l’esperienza dei santi, la “seconda conversione” (la prima è quella dal male voluto in modo esplicito). Papa Benedetto chiama ad “una rinnovata conversione al Signore e a una riscoperta della fede viva che superi l’evidente stanchezza”. È questa la dimensione profetica della vita cristiana, lo stile di Gesù venuto “a portare il fuoco sulla terra” (Lc 12,49) per accenderla dal suo amore ardente. Lo zelo che “divora” Gesù e i santi ha qualche riverbero in noi e nelle nostre comunità? Parliamo dello zelo che è l’azione “potente” dello Spirito santo in noi, non l’entusiasmo recitato e perfino ipocrita. “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,19). È interpellata in modo decisivo la nostra libertà e la nostra responsabilità. Purtroppo l’uomo, che “non sa quel che fa”, rischia di lasciar cadere l’invito alla festa di nozze del Figlio del Re. Oltre che orgoglioso disprezzo per Chi vuole solo il suo bene, non accettare l’invito significa voler rimanere rinchiusi nella prigione del proprio egoismo. “Entra, Signore, nel nostro cuore. Lo Spirito ci dia di accogliere con fervente zelo la tua Parola, nostro cibo e di accogliere te stesso nell’eucaristia. Ceneremo con te. Ci nutriremo di te. E la gioia sarà piena”.

AUTORE: † Domenico Cancian, fam Vescovo di Città di Castello