Il tristissimo caso dello studente che si è ucciso a Perugia seguendo le istruzioni che un coetaneo a lui sconosciuto gli impartiva con messaggi sulla rete ci provoca dolore (anche perché aveva soggiornato all’ostello di via Bontempi fondato nel 1973 da don Elio Bromuri) e ci induce a riflettere ancora sul reato di aiuto al suicidio e sulla sua controversa depenalizzazione.
Attualmente la cosa è regolata da una sentenza della Corte costituzionale (numero 242 del 2019) venuta all’esito di un dibattito nel corso del quale si erano delineate diverse correnti. La corrente massimalista si poteva riassumere nello slogan “la vita è mia e solo io ho il diritto di decidere se continuare a vivere o no”: l’autodeterminazione come valore assoluto e criterio supremo di giudizio. Se ne traeva la conseguenza che se qualcuno ti confida che vuole morire, e tu lo aiuti a farlo, sei un benemerito e la società ti deve ringraziare, non punire.
Come sappiamo, la Corte costituzionale non è stata di questo parere. Certo ha detto (semplifico con parole mie) che lo Stato laico non può rendere obbligatorio per legge l’eroismo che ci vuole per accettare una patologia irreversibile che provoca sofferenze senza rimedio e senza speranza. Ma ha anche chiarito che questa materia non può essere lasciata alla autodeterminazione dei singoli, perché si deve proteggere anche la vita di tutti coloro che sono confusi, depressi, sfiduciati, e che hanno bisogno semmai di qualcuno che li aiuti a vivere, non a morire.
Quindi ha precisato – in termini molto ristretti – quali sono le condizioni nelle quali si può giudicare lecito l’aiuto al suicidio; e infine ha aggiunto che a valutare, caso per caso, se quelle condizioni ci sono oppure no deve essere un organismo pubblico qualificato. E l’autodeterminazione del paziente? Direi che, in ogni caso, l’autodeterminazione rimane, perché, anche quando quelle condizioni estreme sussistono e sono riconosciute, sarà comunque il paziente, alla fine, a decidere. Ma è stato messo in chiaro che l’autodeterminazione, da sola, non può essere un criterio sufficiente.
Aggiungo ora una opinione personale, per quello che conta (cioè pochissimo): è un bene che materie così difficili e delicate siano affidate ad una Corte composta da persone altamente professionali, capaci di valutare e regolare tutte le sfumature di questioni complesse.