Testimoniare la verità del Vangelo nell’unità. La Giornata regionale del Clero umbro a Collevalenza

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Giornata regionale del Clero umbro. Lo scorso 5 giugno, presso il Santuario dell’Amore Misericordioso a Collevalenza di Todi, si è tenuta la Giornata di santificazione sacerdotale del Clero umbro promossa dalla CEU e dalla FAM (Famiglia dell’Amore Misericordioso) fondata dalla beata Madre Speranza di Gesù (1893-1983) nel dare vita alle due Congregazioni delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso.

La giornata, dedicata al tema “Il Sacramento della riconciliazione”, ha avuto come relatore il cardinale Angelo De Donatis, penitenziere maggiore della Penitenzieria Apostolica, il più antico Dicastero della Santa Sede, uno dei tre Tribunali della Curia Romana.

Il cardinale De Donatis ha rilasciato al nostro settimanale un’intervista in cui illustra anche l’opera della Penitenzieria nell’“amministrare la misericordia”, su incarico del Papa, dinanzi ai “peccati gravi” oggetto di censura e di scomunica.

Forte è stato il richiamo del porporato a “testimoniare la verità del Vangelo nell’unità della Chiesa, attraverso l’unità del Presbiterio e del Popolo di Dio; richiamo accolto dagli oltre duecento sacerdoti delle otto Diocesi umbre presenti con i loro Vescovi.

Di seguito il testo integrale dell’omelia del cardinale De Donatis della celebrazione eucaristica tenutasi a conclusione di questa significativa Giornata regionale del Clero. La prossima, più di carattere pastorale, è in calendario in autunno, presso il Pontificio Seminario Regionale “Pio XI” ad Assisi (qui la giornata del 2022).

L’omelia. Testimoniare la verità del Vangelo nell’unità

San Luca, come abbiamo ascoltato, ci narra negli Atti degli Apostoli come Paolo prigioniero venga condotto davanti agli anziani e al sinedrio di Gerusalemme. E Paolo testimonia la sua fede nella Resurrezione, ma sa anche fare abilmente leva proprio sulle divisioni dottrinali che su questo tema dividevano nel sinedrio Farisei e Sadducei.

E’ una tappa, una tappa impegnativa ma non l’ultima del lungo cammino che porterà Paolo a testimoniare la verità del Vangelo con il martirio a Roma. Il Vangelo ci offre delle parole veramente toccanti sull’unità: “Siano perfetti nell’unità”. È l’invocazione che Gesù ripete nel Vangelo di oggi.

Siamo ormai nell’ultimo movimento della grandiosa preghiera che sigilla il discorso di Gesù nell’ultima cena: “Non prego solo per questo”, dice Gesù. Quindi il suo sguardo si estende sull’immenso stuolo di coloro che crederanno in lui, ci siamo anche noi in questa preghiera. E per tutti domanda al Padre l’unità.

L’esigenza primaria dell’unità nel testimoniare la verità del Vangelo

L’unità che nasce dall’amore di Dio e si dilata nell’amore fraterno. Unità, una parola possiamo dire un po’ fuori dal vocabolario, si sta perdendo, un po’ fuori dalla cultura, dalla prassi, non sappiamo più che cosa davvero voglia dire unità, perché c’è tanta divisione, c’è tanto schieramento o in un gruppo o in un altro.

C’è, direi, qualcosa che divora l’unità, ed è il contrario di quello che Gesù ha vissuto. Allora Gesù ci consegna ancora oggi questa esigenza primaria, l’unità, la ricerca dell’altro, mai senza l’altro.

Questo è paradossalmente il bene più prezioso, anche se oggi come dicevo mal compreso, aggredito. Pensiamo alla situazione della guerra, pensiamo ai tanti nemici, all’offesa, alla diffidenza. L’unità è la volontà del Figlio e del Padre perché i discepoli abbiano la vita, e la sorgente di questa unità è nell’amore divino, quell’amore che si diffonde “li hai amati come hai amato me, l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro”.

E quest’amore diventa per il discepolo, per noi il segno e la forza della testimonianza davanti al mondo, perché il mondo creda che tu mi hai mandato e il mondo conosca che tu mi hai mandato. Quindi per il discepolo la meta finale è di essere sempre con il Signore nella gloria eterna, “Voglio che siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria”.

Vigilare per l’unità nei presbiteri davanti agli scandali

Miei cari fratelli, l’unità è anche la nostra grande responsabilità nell’essere a immagine del nostro Signore. Responsabilità che ciascuno deve sentire su di sé senza scaricarla sugli altri, perché la responsabilità è sempre in noi e non fuori di noi.

Quando l’unità si rompe, quando si raffredda la carità, la capacità di dare dell’insieme si affievolisce gradualmente e si sclerotizza, diventa una vita che non genera, diventa una non-vita, diventa qualcosa che non genera più vita, è come un veleno che penetra e lentamente uccide dal di dentro. E allora l’unità per cui Gesù ha pregato è una lotta, una lotta e anche una domanda: e voi che ne fate? Che ne fate dell’unità?

Visto che abbiamo parlato di misericordia, ed è un cammino anche di conversione quello che stiamo vivendo in questo Anno santo, vorrei invitarvi ad una vigilanza proprio per quanto riguarda l’unità nei nostri presbiteri. Il presbitero in questi ultimi anni ha subito i colpi degli scandali, scandali finanziari, scandali sessuali, e cosa è successo?

Il sospetto ha drasticamente reso i rapporti più freddi, più formali, quasi non si gode più dei doni degli altri. Sembra che sia una missione distruggere, minimizzare, far sospettare. E allora davanti agli scandali il maligno ci tenta spingendoci ad una divisione donatista della Chiesa, dentro gli impeccabili, fuori chi sbaglia.

Abbiamo false concezioni della Chiesa militante proprio in una sorta di puritanesimo ecclesiologico, la sposa di Cristo è e rimane il campo in cui crescono fino alla parusia grano e zizzania.

Chi non ha fatto sua questa visione evangelica della realtà si espone a delle amarezze tremende, a delle chiusure, a dei ripiegamenti su noi stessi.

Quindi i peccati pubblici e pubblicizzati del Clero hanno reso tutti più guardinghi, meno disposti a stringere legami significativi, soprattutto in ordine alla condivisione della fede che è qualcosa di bello fra di noi, che aumenta, dà vita all’unità. E allora possiamo anche moltiplicare gli appuntamenti, ma se il cuore non partecipa, se non è disposto non si fa l’esperienza dell’unità.

Non cadere nel tranello dell’isolamento

La domanda che ci facciamo a volte quando ci incontriamo, quando un nuovo confratello ci avvicina, a volte emerge silenziosamente chi ho veramente davanti? Posso fidarmi? Posso aprire il cuore? E guardate dobbiamo vigilare su questo perché l’unità è quello che abbiamo sentito nel Vangelo di oggi, è quello che sta a cuore a Cristo, che ci ha consegnato. Quindi bisogna fare veramente di tutto per non cadere nel tranello dell’isolamento, non della solitudine.

L’isolamento è qualcosa di brutto, la solitudine, quando è vissuta bene, non è un problema, perché la solitudine vera è alla sorgente della comunione.

La solitudine cristiana è una benedizione è la vera scaturigine dell’accoglienza amorevole dell’altro, quindi se non c’è solitudine non c’è amore gratuito, e gli altri diventano un surrogato dei miei vuoti. E allora in questo senso noi preti dobbiamo sempre reimparare a stare da soli evangelicamente, come Gesù di notte con il Padre.

Quindi, sottolineo, il problema non è la solitudine, è l’isolamento, è quello che mi porta a stare fuori, a non essere più nella comunione, a non vivere più l’unità. Un isolamento non tanto esteriore, perché poi esteriormente tutti noi siamo in mezzo alla gente, siamo chiamati a stare con gli altri, quanto un isolamento inerente all’anima.

È l’inizio dell’isolamento più profondo per toccarne poi la forma maggiormente visibile che può essere quella di essere isolati rispetto alla grazia, ne abbiamo già parlato, speriamo di no, di essere sempre dei graziati, che il mondo della grazia non ci diventi estraneo, però c’è il rischio di essere isolati rispetto alla grazia, c’è il rischio di essere isolati rispetto alla storia.

Tutto pare consumarsi nel qui e ora, ogni cosa si apre e si chiude con noi. E quindi tante volte questa nostra coscienza individualizzata ci fa credere che nulla ci sia stato prima di noi e nulla dopo di noi.

L’isolamento da evitare rispetto alla grazia, alla storia, ai confratelli

Per questo facciamo tanta fatica a prenderci cura e custodire quello che il nostro predecessore ha iniziato di buono. Tante volte si arriva in parrocchia ci sentiamo il dovere di fare tabula rasa pur di distinguerci e marcare la differenza.

Quanto è bello essere capaci continuare a far vivere il bene che non abbiamo partorito noi invece di iniziare da zero. È una grazia perché è un isolamento da evitare, isolamento rispetto alla storia e poi isolamento rispetto agli altri.

Quando non vogliamo più vedere nessun confratello e tagliamo i ponti. E speriamo che quando ci accorgiamo che un confratello sta vivendo così, ciascuno di noi sappia fare un primo passo per dire che è successo? Perché ti sei chiuso? Perché ti stai chiudendo? Possiamo parlarne?

Vedete, questa unità va custodita, va alimentata, va desiderata evitando qualsiasi forma di isolamento, vivendo bene la solitudine e soprattutto evitare queste tre forme di isolamento che vi dicevo rispetto alla grazia, rispetto alla storia e rispetto ai confratelli.

Maria, nostra Madre ci dia una mano e ci aiuti proprio a mantenere quella concordia e quella comunione che lei ha creato nel cenacolo con i discepoli, perché da quanto leggiamo qualche cosa non andava bene neanche tra di loro, c’era qualche screzio, e poi li troviamo concordi nella preghiera.

Quante volte ho detto chi è stato a fare quest’opera se non lei, la Madonna, che ha saputo tessere e ricucire quelle cose che magari creavano qualche divisione. Aiuti anche a noi. Amen

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