I misteriosi labirinti della storia. Di quella che sto per raccontare, possiamo prendere come punto di partenza l’ascesa di Giuseppe Ermini al Rettorato dell’Università di Perugia, alla fine della guerra; vi sarebbe rimasto fino al 1978. Ermini aveva idee grandiose e la capacità di realizzarle. Creò nuove facoltà, e le dotò di splendidi palazzi. Costruì accanto alla sede centrale, l’ex monastero degli Olivetani, una enorme Aula magna, inaugurata nel 1958. Fino a quel momento, era stata usata come Aula magna la ex chiesa del monastero. Ermini pensò di restituirla al culto, facendone la cappella dell’Università; e chiese al vescovo di nominarne il cappellano. Il vescovo scelse un pretino giovane, aperto, che – senza farne sfoggio – aveva una intelligenza e una cultura al livello dei più solenni professori.
Don Elio cappellano dell’Università
Così, nel 1958, don Elio Bromuri divenne cappellano dell’Università (affiancato poi per lungo tempo da don Fausto Sciurpa) e, naturalmente, guida spirituale della Fuci e della pastorale universitaria. Ma proprio allora la Chiesa attraversava la stagione di Papa Giovanni, di Paolo VI e del Concilio. Era la Chiesa che al linguaggio delle crociate e degli anatemi sostituiva quello dell’apertura e del dialogo; proclamava che la gioia e la speranza dell’umanità erano anche le sue; affermava che ciò che ci unisce vale più di ciò che ci divide.
L’ecumenismo
Questo nuovo spirito aderiva come un guanto alla personalità di don Elio. E lui ne divenne l’apostolo e il testimone. Le circostanze lo aiutavano. In quegli anni molti giovani greci venivano a laurearsi in Italia, quindi anche a Perugia; e per lo più erano cristiani ortodossi praticanti, con un loro sacerdote. Don Elio mise a disposizione la chiesa dell’Università per le loro liturgie, a volte prendendovi anche parte attiva. Era l’ecumenismo messo in pratica. Sul fronte dei protestanti delle diverse denominazioni le cose andarono diversamente: alcuni di loro furono invitati alle iniziative della pastorale universitaria e ben presto diventò abituale programmare incontri di carattere ecumenico, sempre nel gruppo che faceva capo a don Elio, fino a che l’attività ecumenica divenne sistematica affiancandosi – nella stessa sede e con lo stesso gruppo di persone – a quella propria della Fuci.
Il Centro ecumenico
Nasceva così il Centro Ecumenico, intitolato a san Martino dal nome della chiesetta di via del Verzaro – non più officiata come tale da tempo – affidata dal vescovo a don Elio per queste iniziative, mentre rimaneva sede del culto liturgico la chiesa dell’Università, poco distante. L’attività ecumenica divenne intensa, anche perché negli anni sessanta e settanta questa tematica era molto sentita in tutto il mondo cattolico.
La direzione del settimanale “La Voce”
Intanto però si aprivano per don Elio altre prospettive di impegno – senza contare la direzione del settimanale La Voce affidatagli nel 1983 (il primo numero sotto la sua direzione uscì il 1 gennaio 1984 ndr ) e tenuta fino alla morte. Di nuovo, a condurlo erano le circostanze. In ciò don Elio era coerente con uno dei temi caratteristici della sua predicazione. Diceva che Dio agisce nella storia attraverso gli uomini che fanno la Sua volontà, se la fanno e quando la fanno; e che Dio semina la strada di ciascuno di occasioni per fare il bene, sta a noi vederle e coglierle. Lui le vedeva e le coglieva.
Il Centro di accoglienza
Fu così che nella vita di don Elio – accanto alla pastorale universitaria e della cultura in genere, all’ecumenismo, al giornale – entrò un nuovo impegno: l’accoglienza. Verso il 1970 le due Università perugine registravano una certa affluenza di studenti africani; non solo quelli di etnia e lingua araba, che erano già numerosi e non avevano, in genere, certi problemi, ma quelli dell’Africa sub-sahariana, cioè delle ex colonie francofone e anglofone di recente indipendenza. Questi ultimi avevano, tutti o quasi, problemi economici, perché il costo della vita in Italia era troppo lontano da quello dei loro paesi; fermo restando che si trattava di studenti, non era ancora esploso il fenomeno, che poi sarebbe divenuto predominante, degli immigrati in cerca di lavoro, e tanto meno quello dei richiedenti asilo.
Questi studenti disorientati e al verde bussavano alla porta della cappella universitaria e del Centro San Martino per chiedere consiglio e aiuto nel trovare un alloggio a basso costo, e magari anche un aiuto economico. Don Elio, con le amiche e gli amici del suo gruppo, se ne fece carico; e pensò di farlo in forma strutturata. Si scoprì che la Curia diocesana era proprietaria, tramite un’antica Opera Pia ormai inattiva, di un bel palazzo in pieno centro; e don Elio pensò di ridargli vita istituendovi un “centro di accoglienza” (si chiamò proprio così) che comprendesse un ostello come alloggio temporaneo degli studenti stranieri in difficoltà, e anche una mensa autogestita dove ciascuno di loro potesse prepararsi i pasti; più una biblioteca, sale per le riunioni, lo studio, le lezioni di lingua italiana impartite da volontari.
La Cooperativa per l’Ostello
Si studiarono le formule giuridiche e organizzative di tutto questo, imperniate su una cooperativa (che don Elio volle chiamare Unitatis redintegratio dal titolo del documento del Concilio sull’ecumenismo). Entrato in funzione nel 1973, il centro di accoglienza – accanto alla cappella universitaria, al centro ecumenico, al giornale di cui era direttore – divenne così la quarta sede dell’apostolato di don Elio (e potrei aggiungerne altre), ma in un certo senso era la principale, perché don Elio, oltre a spendervi la sua vita e i suoi averi, ne fece la sua casa fino alla morte nel 2015.
Tante persone affiancarono don Elio
Certo, don Elio non fece tutto questo da solo. Bisognerebbe fare anche la storia delle persone che, alla sua ombra, affiancandolo e sostenendolo, hanno compiuto tratti più o meno lunghi di questo percorso, qualcuna in particolare per tutto il tempo e con dedizione totale, continuandone la missione anche dopo il suo passaggio alla vita eterna.Ma pure l’avere suscitato queste vocazioni è stato merito di don Elio, anche se lui non assumeva mai gli atteggiamenti e i toni di un capo, ma quelli della guida a cui tutti si affidano perché è colui che conosce la strada e vede la meta.
Pier Giorgio Lignani




