
L’allarme antiaereo inizia a suonare in tutta la città di Zaporizhzhia. “Siamo salvi”, mi dice con una battuta padre Oleksandr Bogomaz, prete greco-cattolico di 36 anni. Dal mio sguardo si rende conto che non ho compreso il senso delle sue parole. E subito spiega: “Sai, i missili russi che vengono lanciati fin qui partono appena al di là della linea del fronte che dista cinquanta chilometri. Impiegano meno di un minuto ad arrivare a bersaglio. Perciò, quando scattano le sirene, significa che il razzo ha già colpito. Ma non noi… E, ogni volta che accade, dico alla mia gente che dobbiamo ringraziare il cielo perché siamo stati protetti”.
Padre Oleksandr Bogomaz era parroco a Melitopol
È una continua lotta fra la vita e la morte quella che affronta da oltre tre anni l’Ucraina. Con la Chiesa cattolica a fianco di un popolo che prima papa Francesco e adesso Leone XIV hanno definito con lungimiranza “martoriato”. Come testimonia padre Oleksandr. Il giovane prete è uno sfollato fra gli sfollati di guerra. A cominciare da quelli di Melitopol, la città occupata dall’esercito russo, dove lui era parroco e che non avrebbe mai voluto lasciare nonostante il clima di terrore, i blitz nelle chiese, gli interrogatori in caserma. Ma è stato costretto. Espulso con una sentenza costruita a tavolino.
Padre Oleksandr penultimo prete in comunione con Roma a essere cacciato
La sua colpa? Essere un sacerdote cattolico in una terra che Putin ritiene annessa. È stato il penultimo prete in comunione con Roma a essere cacciato. “E adesso non ci sono più sacerdoti greco-cattolici nelle quattro regioni occupate dai russi”. Si sente un pastore orfano, ma vuole restare parroco oltre la lontananza. “Ogni giorno, attraverso Telegram, invio una videomeditazione sulla Parola a chi resta nelle terre sotto Mosca. Però di volta in volta il numero degli iscritti al canale si assottiglia. Perché gli occupanti sequestrano i telefoni e li passano al setaccio”.
Il 20% del territorio ucraino è in mano alla Russia
Ad oggi la Russia ha in mano il 20% del territorio ucraino, pari a circa il nostro Nord Italia, compresa l’Emilia-Romagna. Dall’inverno fra il 2022 e il 2023 siamo davanti a una guerra di trincea che richiede uomini e che si traduce in un bagno di sangue. Si combatte nei mille chilometri che separato l’Ucraina libera da quella occupata. Ma i soldati si scontrano anche lungo il confine fra Ucraina e Russia che corre per altri mille chilometri. Un infinito campo di battaglia dove nell’ultimo periodo la pressione russa si fa sempre più forte per conquistare più territori. L’obiettivo di Putin è finire di occupare il Donbass: gli manca circa un quinto.
I combattimenti nella regione di Zaporizhzhia
Ma l’intensità dei combattimenti cresce anche nella regione di Zaporizhzhia. E poi la Russia sta cercando di allargare le aree delle ostilità: nelle regioni di Kharkiv e Sumy si hanno tentativi di incursione in più punti. L’ipotesi è che Putin intenda impadronirsi di zone sparse per scambiarle, durante i negoziati, con ciò che non ha nelle regioni che vuole completamente annettere: Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Lugansk. Accanto all’escalation militare della Russia, si registra un’intensificazione dei bombardamenti su tutto il Paese per terrorizzare la popolazione e destabilizzare l’intero Stato in vista delle trattative. Trattative che per adesso non hanno portato a nulla: soltanto a due “pacchetti” di prigionieri di guerra scambiare.
L’Ucraina vuole la pace
In Ucraina tutti sognano la pace: il Paese è esausto, in profonda crisi economica, sociale umanitaria, stravolto dagli attacchi e da ciò che succede lungo il fronte. Lo stesso Volodymyr Zelensky, considerato il presidente-eroe della guerra, ha più volte chiesto un cessate il fuoco duraturo, ma la Russia non lo ha accettato.
La pace “in un giorno” o “in un mese” annunciata più volte dal presidente americano Donald Trump non è mai arrivata. Per una ragione soprattutto: Putin è in una posizione di forza sui terreni di combattimento. Finché non avrà ottenuto ciò che vuole, non si fermerà. E cosa è ciò che vuole? Nessuno lo ha chiaro: sicuramente le quattro regioni che in parte occupa; poi la neutralità del Paese. Si accontenterà o continuerà in un conflitto a oltranza a bassa intensità? È la domanda che l’Ucraina si pone.
Papa Leone XIV si sta “spendendo” per far incontrare i nemici
Papa Leone XIV è consapevole di questa situazione di stallo. E, da Pontefice della pace come si è presentato fin dal giorno della sua elezione, si sta spendendo in prima persona per far “incontrare i nemici”, ha detto. Ha messo a disposizione la Santa Sede come crocevia di dialogo fra Kiev e Mosca. Ha incontrato subito il presidente Zelensky. Ha telefonato a Putin. Ha parlato con il vice-presidente Usa J.D. Vance per favorire i negoziati. E ha indicato tre verbi: incontrarsi, dialogare, negoziare. È l’unica via possibile. Anche se all’orizzonte non si vedono ancora spiragli.
Giacomo Gambassi
inviato di Avvenire



