Un pellegrinaggio per toccare le pietre sante e vive

Un gruppo di pellegrini della diocesi guidati da mons. Paglia si è recato in Terra Santa

Intraprendere un pellegrinaggio in Terra Santa è un po’ come sfogliare i petali del proprio essere, della propria fede, confrontarsi con quello che inevitabilmente sospinge verso nuovi orizzonti come quello della preghiera, solidarietà, pace e testimonianza non per un semplice pellegrinaggio ma per essere pellegrini di pace, portatori di dialogo tra i popoli, di un segno di speranza e vicinanza a chi pensava di essere stato dimenticato. Un viaggio promosso, dopo quello del novembre scorso, dalla diocesi di Terni Narni Amelia e dall’Unitalsi, guidato dal vescovo mons. Paglia, che ha unito religione, impegno sociale, promozione umana. Un pellegrinaggio per toccare e sentire le pietre sante, dove Gesù ha camminato, fatto miracoli, predicato e annunciato la salvezza per ogni uomo, ma anche per toccare e sentire le pietre vive, gli uomini e le donne che ogni giorno fanno la storia attuale, provati dalla violenza, dalla guerra e dall’odio, di un paese in trasformazione e ricco di contraddizioni. La gente, le emozioni, la storia di diverse etnie costrette a convivere nella stessa città, oggi più che mai costretti a convivere con la stessa paura. Storie e problemi che toccano il cuore, volti di ebrei e palestinesi che esprimono il loro disagio per una situazione economica e sociale difficile, per una quotidianità drammatica. E le storie raccontate dai responsabili istituzionali religiosi e civili incontrati che evidenziano spesso una sottile impotenza. Il rabbino capo di Gerusalemme David Rosen, il vescovo di Nazareth Marcuzzo, i frati della custodia di Terra Santa, Hanna Nasser sindaco di Betlemme, padre Ibrahim Faltas hanno evidenziato la necessità di educare alla pace, di un riconoscimento reciproco dei due popoli, del dialogo che nasce dall’amore e dal rispetto. I colori, i suoni, i volti, le parole, le città, i mercati attraverso cui si è anche snodata la Via Crucis dei pellegrini, sono caotici e variegati, lo specchio di una realtà socio politica e religiosa altrettanto complessa che colpisce per la sua irrisolta conflittualità. I dati che hanno fornito i rappresentanti istituzionali, in primis quelli della custodia francescana di Terra Santa, hanno evidenziato una situazione critica anche per i cristiani, costretti ad andarsene perché ormai senza risorse primarie a causa della crisi economica, politica e sociale del paese. La disoccupazione raggiunge il 12 % e per i cristiani addirittura oltre il 30%, le risorse sono limitate e la situazione è resa ancora più critica dalla presenza di questo odio fratricida che si percepisce apertamente. Una calma apparente, trasformabile all’improvviso in quelle scene di violenza che da tempo vediamo alla tv. E poi il buio del futuro, umanamente senza soluzione. Lì proprio dove Dio è passato, dove si radunano i seguaci di Maometto e del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, insieme ai numerosi e sbriciolati gruppi cristiani. La speranza, soprattutto in questa terra, è messa a dura prova. Elisabetta LomoroTerra santa: cosa fare?Dove c’è lotta, violenza e morte, c’è sofferenza, ci sono situazioni critiche, povertà, abbandono e disperazione. Dove c’è lotta deve esserci però sempre la speranza. Per ridare speranza ad una terra martoriata dove l’odio è il sentimento più forte che si percepisce, dove la disperazione porta ad atteggiamenti insofferenti, sono anche piccoli gesti che possono far molto. Ricordare che circa 2000 cristiani hanno lasciato Betlemme nello scorso anno a fronte di 12000 cristiani presenti in città è indice di una situazione davvero critica quando poi si vive ancora sotto assedio, occupazione e coprifuoco. E’ a partire allora da iniziative alla portata di tutti che si può riuscire a dare aiuto e speranza a tanti. E in questo senso la mobilitazione di molte persone, istituzioni religiose e civili è encomiabile. I bambini palestinesi di Betlemme sono sorridenti nonostante tutto, la loro speranza è quella di tanti amici che da lontano li sostengono e fanno loro coraggio. Sono oltre 1500 i bambini della scuola di Betlemme che possono essere aiutati con le adozioni a distanza e consentire loro anche di portare a termine gli studi. E questo è un primo gesto concreto che tutti possono attuare. Sono altrettante le famiglie cristiane a Betlemme che vivono nella povertà più assoluta e che possono essere aiutate, attraverso la solidarietà portata avanti dai francescani di Terra Santa e dalle organizzazioni umanitarie, per quanto è consentito loro dal governo israeliano. Oltre a questo c’è una particolare iniziativa della diocesi di Terni Narni Amelia, una proposta che è nata qualche giorno fa in terra umbra – ha ricordato mons. Paglia -. Con un amico che produce olio, abbiamo deciso di vendere il prodotto con un’etichetta con la scritta “per la Palestina” per consentire di insediare a Betlemme, con il ricavato, un frantoio tecnicamente avanzato e nuovo, per fare l’olio, perché l’ulivo, pianta mediterranea, possa ancora una volta ricordare a tutti che il mediterraneo è un’unica grande famiglia anche se molte cose ci dividono ma anche che l’olio riesce a guarire e a rendere saporosa la vita. Altro aiuto è quello dei pellegrinaggi perchè la presenza sostiene la gente che vede e si sente incoraggiata dalla presenza dei pellegrini – ha detto mons. Pietro Sambi nunzio apostolico in Israele – La mancanza di pellegrini fa sentire i cristiani locali isolati e abbandonati, la presenza li fa parte di una grande famiglia, quella dei cristiani del mondo che si ricordano della loro esistenza e fanno loro visita. Viviamo in un momento difficile. In questi giorni si sta realizzando una specie di strangolamento con barriere e muri alti che provocheranno la morte economica della zona di Betlemme. I cristiani non devono subire questo momento ma viverlo con fede nonostante tutto, con amore e con speranza e gettare così il seme della resurrezione. Amore, solidarietà e pace che è possibile seminare tra individui e popoli, piccoli semi che vanno fatti crescere per raccogliere i frutti dell’amore della solidarietà e della pace. Tutti siamo chiamati a comprare i semi e piantarli per costruire la pace – ha concluso mons. Sambi

AUTORE: E.L.