Una terapia positive per la società italiana

I contenuti base del comunicato finale del Consiglio permanente della Cei. La questione di Dio e l'accoglienza dell'altro.

La ‘questione di Dio’, l’orientamento a ‘promuovere forme di aiuto a sostegno delle famiglie colpite dalla difficile congiuntura economica’, il tema dell’educazione come ‘linea portante’ degli Orientamenti della Cei per il prossimo decennio. Questi i principali argomenti oggetto di dibattito tra i Vescovi nel corso dell’ultimo Consiglio permanente della Cei (Roma, 26-28 gennaio). ‘Sarebbe assolutamente improprio – si legge nel comunicato finale diffuso il 3 febbraio (testo integrale su www.agensir.it, ‘Documenti’) – attribuire alla Chiesa ‘la volontà di alzare muri e scavare fossati’, mentre è a tutti evidente che il suo compito in mezzo alla gente è di offrire ragioni di vita e di speranza’. Nel corso del Consiglio episcopale permanente è stata autorizzata, inoltre, la ripresentazione alla prossima Assemblea generale del testo del Documento comune per una pastorale dei matrimoni fra cattolici e battisti in Italia.Tra le nomine del Consiglio permanente, quella a sottosegretario della Cei di don Domenico Pompili, che mantiene l’incarico di direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali. ‘L’indebolimento del senso di Dio produce un affievolimento del senso dell’uomo e di riflesso una ‘fibrillazione etica’ che non tarda a manifestare i suoi effetti negativi anche sul piano sociale ed economico, come la recente crisi finanziaria ha messo in drammatica evidenza’. È quanto fanno notare i Vescovi italiani, aggiungendo che tale scenario ‘esige non una disamina pessimistica o peggio rassegnata dei fatti, ma una terapia positiva, di cui proprio la recente Assemblea generale del Sinodo dei vescovi si è fatta interprete’. È questa, per la Cei, ‘la strada per ridimensionare quell’ateismo pratico, che è più insidioso dell’ateismo teoretico e che consiste precisamente nel vivere come se Dio non ci fosse’. La Chiesa italiana, insomma, non è una ‘Chiesa dei no’, attestata cioè ‘su posizioni di conservazione e sempre pregiudizialmente avversa al progresso e alle esigenze della persona’. Al contrario, la Chiesa ‘sperimenta, nel suo quotidiano essere popolo di Dio nella storia, di agire ed essere percepita come fattore di autentico sviluppo e concreto punto di riferimento sul territorio. Resta, spesso, l’unico presidio in contesti sociali frammentati, insidiati da un pericoloso individualismo, nei quali anche i soggetti istituzionali faticano a intervenire in maniera efficace’. In Italia non c’è alcuna ‘particolare crescita’ della xenofobia, piuttosto il rischio è un ‘vuoto culturale’, soprattutto del ‘senso di solidarietà’: questa l’analisi di mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, interpellato il 3 febbraio dai giornalisti durante la conferenza stampa per la presentazione del comunicato finale del Consiglio episcopale permanente, in merito ai fatti di cronaca di natura xenofoba che hanno caratterizzato questi ultimi giorni. ‘I fatti che si esprimono in questa forma, da condannare incondizionatamente, sono segno di un malessere più generale che attiene ad un vuoto culturale, ad un vuoto del senso di solidarietà e dei valori di riferimento per la società’.Quanto ad eventuali interventi legislativi sul fronte dell’immigrazione, per Crociata, ‘c’è assoluto bisogno di coniugare bene l’accoglienza e la legalità’. L’atteggiamento della Chiesa al riguardo ‘ è inequivocabile: non è un approccio politico, anche se valutiamo via via le misure che si presentano… Nostro dovere è richiamare l’esigenza dell’accoglienza, nel rispetto della legge e dell’ordinamento della vita sociale’. ‘Coniugare accoglienza e legalità’ è, infatti, da sempre la linea della Chiesa: ‘Bisogna cercare i modi adeguati per l’inserimento e la regolarizzazione degli immigrati. Nel momento in cui entrano nel nostro Paese, gli immigrati sono persone da accogliere, di cui riconoscere e difendere i diritti: il diritto alla famiglia e alla vita, alla salute, e a tutte quelle esigenze che permettono di dire che una persona è davvero rispettata’.