Un’immensa finestra sul mondo immenso

di Angelo M. Fanucci

Il ricordo di Aldo Moro che la Rai ha mandato in onda l’8 maggio scorso, alla vigilia del 40° anniversario del suo assassinio, ha fatto vibrare con forza, a volte con violenza, le fibre più intime della mia sensibilità. Io sono uno che da sempre crede in quello che Paolo VI disse della politica, che cioè la politica è una delle più alte forme di carità cristiana. Perché la gran parte dei problemi della nostra società o hanno una risposta politica, corale, condivisa, oppure rimangono senza risposta. Ma in me quella trasmissione tv ha fatto riaffiorare un ricordo triste e bellissimo.

Quando ormai la vicenda s’era chiusa da tempo, volli visitare la tomba di Moro. Dovevo recarmi a Roma per una seduta del Consiglio nazionale della Comunità di Capodarco: lo feci percorrendo la vecchia Flaminia con la mia Morini 350, a velocità contenuta e con un gran magone dentro, il peso di quella storia.

Al cartello “Torrita Tiberina” voltai vero l’interno e mi diressi al cimitero di quel paesino dell’Alto Lazio. Fermai la moto sul cavalletto. Entrai in punta di piedi.

Nemini parco : un qualche cristiano a mezzo servizio, un nostalgico della santa Inquisizione, aveva apposto quella scritta sopra l’ingresso del luogo santo. Lettere in ferro battuto, come ad Auschwitz… Nemini parco, “Non faccio sconti a nessuno”: all’ingresso di un luogo nel quale Gesù di Nazareth ha detto che la gente “non è morta, ma dorme”; e “cimitero” vuol dire proprio “dormitorio”. Il mio magone si tinse di rabbia.

Nella cappellina dov’è la tomba di famiglia di Moro, qualche lacrima. Più di qualche lacrima, ricordando quel giorno lontano nel quale Aldo Moro fu invitato alla “tavola bona” del giorno dei Ceri, e alcuni di noi (forse anch’io) lo fischiarono, subito zittiti dalla reazione delle folla presente. Quel giorno. E tutto il resto. Ho sfiorato il suo volto. Ho pregato a lungo, inginocchiato in una penombra che tale non era, perché le tombe disposte lateralmente formavano un corridoio che terminava con una grande lastra di vetro. La cappella poggiava – credo – su uno sperone di roccia, sopraelevato sulla pianura del Tevere. E dalla lastra di vetro si vedeva… il mondo, vasto, vivo, quello degli uomini che camminano e inciampano e ripartono. Il magone si sciolse. Difficile trovare un luogo più adatto a vedere il mondo per quello che è, nel profondo: quello al cui servizio Aldo Moro ha dato la vita.