Un’opera durevole e prestigiosa

Il Museo diocesano così come si presenta oggi è frutto di mezzo secolo di lavori

Il Museo diocesano e cripta di san Rufino in Assisi ha dietro di sé una lunga ed interessante storia che inizia nel 1941 per volontà del vescovo mons. Nicolini. Con l’architetto Giulio De Giovanni, che ha progettato e diretto i lavori in collaborazione con l’arch. Piatti, ripercorriamo le diverse tappe di questo complesso. Da diversi anni è stato incaricato dall’allora vescovo, mons. Goretti, della sistemazione di questa struttura. Come nasce il progetto dell’attuale Museo? ‘Nasce agli inizi degli anni ’90, allorché offrendo il Comune di Assisi una prima quota di fondi ex legge ‘Bucalossi’ alla Chiesa cattolica, mons. Goretti ritenne opportuno destinarli ad un’opera durevole e di prestigio che arricchisse Assisi: un nuovo Museo diocesano. I locali che ospitano oggi il nuovo Museo erano parzialmente destinati a magazzino ed erano in situazione di grave degrado, anche strutturale. Nel 1993 ho presentato un primo progetto di massima. L’obiettivo era di risanare e ricucire gli spazi in modo da realizzare un percorso di visita che permettesse una lettura di quanto è passato attraverso queste mura, che raccontano otto secoli di storia. Erano tuttavia emersi problemi la cui soluzione era di gran lunga superiore alle disponibilità economiche effettive. Dopo il terremoto del 1997, lo Stato inizia ad occuparsi di questa struttura e finanzia una prima parte dei lavori, terminati nel giugno 2000, con la sua riapertura al culto. Durante questi lavori, costituiti non solo da riparazioni e rinforzi, ma anche da opere di pulizia, abbiamo ritrovato molti elementi che risalgono al periodo alto-medioevale, come i resti dello stampo di fusione delle prime campane e la necropoli annessa alla chiesa precedente, al Seicento, come le decorazioni auree dei marcapiani del presbiterio, e quelli ancora più antichi come i resti una fornace romana. Entro il dicembre 2005 gli interventi strutturali nei locali del nuovo Museo erano terminati, ma occorrevano alcuni completamenti interni. Tuttavia, un passo avanti era stato compiuto ed il lavoro effettuato poteva così essere percepito, vivendo la stupenda suggestione che si crea nel percorrere queste sale’. Quale valore personale ha per lei aver diretto questo progetto? ‘Non capita spesso ad un architetto di occuparsi di un progetto di questa portata. Abbiamo lavorato in tanti, secondo le competenze specifiche, per il recupero del complesso, mantenendo l’obiettivo di intervenire in maniera unitaria. Tutti i tasselli si sono ricomposti secondo l’idea originaria in un’unica grande opera’.

AUTORE: Ombretta Sonno