Non guariva ‘per metafora’

Gesù annunciava il vangelo del Regno e guariva ogni sorta di infermità nel popolo: è quanto ascolteremo in questa 23a domenica del Tempo ordinario dal versetto allelujatico che anticipa il messaggio della pagina del Vangelo in cui Gesù provvede alle necessità delle persone che a lui si rivolgono liberandole dai mali fisici e spirituali.

Prima lettura

Incontriamo il tema dell’intervento divino a vantaggio delle persone sofferenti già nella prima lettura tratta dal profeta Isaia. Il popolo ebreo si trova esiliato in Babilonia e non riesce più a scorgere il bene e la salvezza.

Allora il profeta rivolge un coraggioso appello alla fiducia in Dio e si serve di belle, audaci e concrete parole che sono garanzia e speranza: “Si apriranno gli occhi dei ciechi, si schiuderanno gli orecchi dei sordi… griderà di gioia la lingua del muto”. Così il Salmo 145 (o 146; è il primo dei Salmi del ‘terzo hallel’, solitamente pregato al mattino dagli ebrei), proclama il Signore che rovescia la situazione di chi è nell’indigenza fisica o morale: dà il pane agli affamati, ridona la vista ai ciechi, protegge i forestieri…

Seconda lettura

Anche san Giacomo nella sua Lettera annuncia la predilezione del Signore per i poveri e quindi provoca i destinatari con una serie di domande finalizzate ad imitare l’agire divino e a rendere ai bisognosi il rispetto e l’attenzione dovuti.

Vangelo

Quanto viene annunciato e raccomandato dalle prime due letture, nel brano del Vangelo si compie. Ecco la situazione. Gesù è di ritorno da Tiro dove ha guarito la figlia di una donna siro-fenicia e sta percorrendo altre zone non israelite ai confini con la Galilea in pieno territorio della Decapoli. È la seconda volta che Gesù si reca presso popolazioni straniere (Mc 5,1) e in questo secondo viaggio, dalle precisazioni che fa l’autore, si evince che nei riguardi della persona di Gesù si è già sviluppata una grande fede (7,24.29.36). Senza specificare dove, in che contesto e da parte di chi, ci viene subito detto che a Gesù portano un “sordo (letteralmente) malparlante”, forse riferito al fatto che una persona non udente presenta di conseguenza difficoltà ad esprimersi. A questo punto, segue tutta una ritualità particolare: Gesù conduce in disparte il malato, gli mette le dita nelle orecchie e (letteralmente) ‘sputandogli’, gli tocca la lingua con la sua saliva.

(Nel Vicino Oriente antico si riteneva infatti che la saliva avesse proprietà benefiche e curative). Seguono poi tre azioni di Gesù: guarda il cielo, sospira e parla. Il guardare al cielo è la richiesta di un intervento soprannaturale; il sospiro sta ad indicare la fase preparatoria come di chi deve affrontare uno sforzo intenso; l’imperativo del verbo ‘aprire’ vuole ottenere dal malato l’‘uscita’ dal blocco che non gli permette di esprimersi adeguatamente come gli altri esseri umani. E la conseguenza è infatti l’apertura delle orecchie e quindi lo sciogliersi del nodo della lingua. Gesù ha quindi operato sia la guarigione fisica che spirituale perché è usato il verbo ‘sciogliere’ lo stesso come in altre circostanze di liberazione dal maligno (Lc 13,12), per cui il guarito parlava correttamente.

LA PAROLA della Domenica

PRIMA LETTURA
Dal libro del profeta Isaia 35,4-7

SALMO RESPONSORIALE
Salmo 145

SECONDA LETTURA
Dalla Lettera di Giacomo 2,1-5

VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco 7,31-37

La conclusione è la stessa di altre guarigioni e cioè l’intimazione del silenzio da parte di Gesù, silenzio che non ottiene perché la gente è pervasa da gioia incontenibile tanto che più egli lo proibiva più essi lo proclamavano. I presenti, inoltre, citano e attualizzano la sacra Scrittura: “Ha fatto bene ogni cosa, fa udire i sordi e fa parlare i muti” (Is 35,5-6).

Quest’ultimo dato è piuttosto interessante perché potrebbe testimoniare la conversione dei pagani che è cominciata già nel corso di questi due viaggi di Gesù in terra non israelita.

Quanto i profeti annunciavano, ora si è realizzato: Gesù, e solo lui, cambia la vita di coloro che a lui si presentano, di coloro che si riconoscono bisognosi e con umiltà e audacia espongono le necessità (7,25.32). E Gesù il rovesciamento di situazione l’ha compiuto concretamente!

Consideriamo la povertà morale oltre che fisica di chi è sordo e ‘malparlante’: è isolato, non può esprimere ciò che pensa, benché in grado di intendere e di volere non sempre può prendere parte attiva e libera alle iniziative comunitarie, soprattutto non può lodare Dio! A Gesù piace la fede di questi innominati che gli portano il malato, e li esaudisce.

Non ricorriamo sempre e solo all’aspetto metaforico – che a volte serve a celare la nostra incredulità, come se Gesù oggi non potesse guarirci dai mali!

Gesù opera un vero miracolo utilizzando gestualità (dita), strumenti (saliva) e parole (effatà) per donare una condizione di normalità al poveretto. Ciò significa che l’attenzione concreta per i sofferenti (dita) e il contributo della scienza (saliva) possono guarire l’uomo, ma chi lo salva definitivamente è la Parola di Gesù (effatà). La volontà salvifica di Gesù viene proposta già al momento del battesimo attraverso l’imperativo che rivolge il sacerdote: Effatà (apriti!). Osiamo, dunque, come hanno fatto i protagonisti della pagina del Vangelo, e conduciamo al Signore i malati perché tocchi, sani e liberi i loro corpi e le loro anime, e le loro lingue lo lodino pubblicamente.

Giuseppina Bruscolotti