Ventotene e il manifesto che divide

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“Non so se è questa la vostra Europa, certo non è la mia!” ha gridato, in Parlamento, Giorgia Meloni, riferendosi al Manifesto di Ventotene, scritto nel 1941 da tre intellettuali antifascisti confinati (diciamo incarcerati) in quella inaccessibile isoletta.

Verrebbe da chiedersi se, allora, fosse più di suo gradimento l’Europa che c’era di fatto in quell’anno 194: quasi per intero dominata dalla Germania nazista perché occupata militarmente o governata da regimi politicamente affini. E dove, appunto, chi stava all’opposizione veniva mandato a Ventotene, se non gli toccava di peggio. Ma lasciamo da parte le polemiche facili, e diciamo che il manifesto di Ventotene è solo uno dei documenti compilati clandestinamente da gruppi e movimenti che in quegli anni di guerra totale (dando prova di un ottimismo che fortunatamente si dimostrò azzeccato) si dotavano di una griglia di princìpi e linee guida per ricostruire un mondo migliore dopo il disastro.

Un altro è quello che fu chiamato il “codice di Camaldoli” redatto nel 1943 (pochi giorni prima della caduta di Mussolini) da un gruppo di intellettuali e politici cattolici. Quello di Ventotene si distingue però perché è il solo a mettere in programma, anzi al primo posto, la costruzione di una Europa federale; idea che poi fu rilanciata da quei tre grandi politici cattolici che erano De Gasperi, Schuman e Adenauer.

Altri punti del manifesto di Ventotene rispecchiavano solamente le idee politiche dei suoi autori e oggi nessuno ci si vuole ispirare anche perché sono molto datati. Comunque non è vero che ci fosse tutto quel sinistrismo eversivo che ha scatenato le ire di Giorgia Meloni. Per esempio, quello che Spinelli e compagni scrivevano sulla proprietà privata e sulla impresa è praticamente lo stesso che leggiamo anche nella nostra Costituzione. E quello che scrivevano riguardo alla statalizzazione dei servizi pubblici non era niente di bolscevico: per imprese come le poste e i trasporti ne parlavano già le dottrine politiche liberali di fine Ottocento e dei primi del Novecento.

In Italia i servizi locali furono municipalizzati con una legge del 1903, le ferrovie furono statalizzate con leggi del 1905 e del 1907; le partecipazioni statali nell’industria (dette da molti una forma di socialismo reale) furono inventate da Mussolini e per lui da un tecnico che si chiamava (guarda un po’) Beneduce. Contenta?

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