‘Verrò ad ascoltare, conoscere, amare’

Il nuovo vescovo tifernate, padre Cancian, racconta la sua preparazione ai compiti che lo attendono

Padre Domenico Cancian è il nuovo vescovo della diocesi di Città di Castello. Lascia l’incarico di superiore generale della congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso a Collevalenza, che ha ricoperto per tre anni. Padre Cancian è nato a Mareno di Piave (Treviso) il 6 aprile 1947 ma, in pratica, è umbro da sempre perché dall’età di 11 anni ha frequentato le scuole a Collevalenza-Todi presso il seminario fondato da Madre Speranza. Ha seguito gli studi superiori teologici a Fermo e successivamente a Roma; presso l’Università gregoriana ha conseguito la laurea in Teologia biblica. Ha svolto attività pastorale collaborando con la parrocchia di Collevalenza e di Spinaceto di Roma. Ha insegnato Teologia biblica e pastorale all’Istituto teologico di Assisi. Nel 1987 è stato nominato superiore della comunità dei Fam del santuario di Collevalenza e nel 1992 vicario generale della congregazione; successivamente rettore del santuario e dal 15 luglio del 2004 superiore generale dei Figli dell’Amore Misericordioso. Sull’esempio della fondatrice Madre Speranza, i Figli dell’Amore Misericordioso sono impegnati a testimoniare la misericordia di Dio nei confronti di ogni uomo, specialmente dei poveri e degli infelici; ad offrire la speranza a chi non ce l’ha; ad essere vicino ai sacerdoti, ai giovani, alle famiglie. Padre Domenico Cancian passa dalla guida di una congregazione religiosa alla guida di una diocesi. E il passaggio sarà definitivo con l’ordinazione episcopale che riceverà sabato 15 settembre. Da superiore generale della congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso di Collevalenza a pastore della diocesi di Città di Castello: come vive questa nuova responsabilità ecclesiale il futuro vescovo? ‘Per tre anni ho sperimentato cosa vuol dire guidare una congregazione religiosa, mentre non ho esperienza di cosa significhi guidare una diocesi. Si tratta sempre di un servizio ecclesiale, ma la diocesi richiede una particolare pastoralità, un magistero ecclesiale che io devo umilmente imparare. Sicuramente mi serviranno le esperienze fatte per quanto attiene al rapporto con le singole persone, alle attività formative, al discernimento, alla spiritualità, ma dovrò imparare ad organizzare il rapporto con i sacerdoti in attività pastorale, il rapporto con i diaconi, religiosi, religiose, laici, famiglie, giovani. Dovrò curare meglio possibile i tre compiti del vescovo: munus docendi (magistero), munus sanctificandi (liturgia), munus regendi (governo pastorale)’. La congregazione ha un’attenzione alla Chiesa locale, ai sacerdoti. Possiamo dire che questa esperienza, rispetto ad altri ordini religiosi, in qualche misura l’avvicina di più alla spiritualità diocesana? ‘Devo dire di sì, perché lo scopo principale della nostra Famiglia religiosa è di stare insieme ai sacerdoti, creare comunione con loro, aiutare spiritualmente ed anche pastoralmente, e questo, grazie a Dio, l’ho potuto fare in tante maniere, anche collaborando, fino a qualche anno fa, nella diocesi di Orvieto-Todi, attraverso ritiri, incontri, catechesi, ma soprattutto il Sinodo diocesano, nel quale ho partecipato come teologo. In questo senso mi ritengo anche fortunato, perché questo aspetto della relazione con i sacerdoti è nel cuore della missione della nostra congregazione e io stesso mi ci sono dedicato’. Su cosa porrà l’accento quando sarà vescovo di Città di Castello? ‘Vivrò i primi mesi in atteggiamento di ascolto. Conosco molto poco la Chiesa di Città di Castello. Conosco alcune persone con le quali ho degli ottimi rapporti, ma non la realtà ecclesiale nel suo insieme e nelle sue componenti. Quindi la prima cosa che mi impegno a fare è ascoltare, capire, conoscere, amare questa Chiesa particolare che mi è affidata come Sposa. Ci sarà un secondo momento in cui, insieme al Consiglio presbiterale e pastorale, cercherò di stilare un progetto pastorale nel quale entreranno sicuramente i temi dell’evangelizzazione, della comunione ecclesiale, della missione, e altre indicazioni che verranno dall’ascolto del magistero del Papa e dei vescovi, nonché della realtà socio-culturale’. A Collevalenza c’è la tradizione delle giornate di spiritualità per il clero umbro, e la Conferenza episcopale umbra ha una tradizione di collaborazione su diversi settori, tra cui i giovani e i mass media, di cui è frutto concreto questo giornale. Sente un po’ anche la responsabilità delle ‘Chiese sorelle’? ‘Da sempre Collevalenza ha avuto legami a livello regionale attraverso queste giornate di spiritualità presbiterale, esercizi, ritiri, incontri, assemblee di vescovi (compresa la Cei), che avevano anche un respiro regionale, nazionale ed internazionale. Il santuario dell’Amore Misericordioso accoglie pellegrini da tutto il mondo. In questo senso ho potuto vivere esperienze dagli orizzonti abbastanza ampi. Da vescovo darò la mia disponibilità e il mio piccolo contributo per la crescita della comunione ecclesiale, come mi sarà richiesto in Conferenza episcopale’. Le era mai capitato di pensare: ‘Se fossi vescovo, farei”? ‘Non pensavo di diventare vescovo! Sono rimasto sorpreso anche perché ero a metà del mio mandato come superiore generale. Ora devo pensare sul serio a questa nuova missione. Riflettendo attentamente sul Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi, mi sto rendendo conto che le responsabilità non sono poche, né leggere. Ma vorrei viverle in modo semplice, con fiducia, in comunione con tutti’.C’è una ‘scuola’ per i neo vescovi?’La Congregazione per i vescovi organizza ogni anno un convegno per i neo-eletti e neo-ordinati. Il prossimo avrà luogo dal 17 al 25 settembre. Offrirà riflessioni sui vari compiti del vescovo a livello teologico, pastorale, amministrativo. Vi parteciperò con molta attenzione. Personalmente trovo interessante chiedere aiuto e consiglio ai vescovi che hanno già molta esperienza. Possiamo considerare ‘scuola’ anche la partecipazione alla Cei e alla Ceu’. Se dovesse dare un messaggio in poche parole alla sua nuova comunità, cosa direbbe? ‘Il messaggio potrebbe essere il motto che ho scelto: Sicut dilexi vos (Come io ho amato voi). Auguro, a me e alla diletta Chiesa che è in Città di Castello, di vivere pienamente questa parola di Gesù. Auguro che la nostra vita, e soprattutto il mio servizio, siano riflesso dell’amore con cui Cristo ci ha amato e ci ama. ‘Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui’ (1 Gv 4,16)’.Maria Rita Valli