Il viaggio di papa Francesco in Egitto

Il problema è la violenza, non la radicalizzazione. San Francesco era radicale ma non era violento. Ognuno è libero di andare ai fondamenti della sua religione e di applicarli in modo anche rigoroso. Il punto non è la religione o la sua radicalità, ma è credere di risolvere le questioni attraverso la violenza e il terrorismo”. A dirlo è Pasquale Ferrara, ambasciatore italiano in Algeria, docente di Diplomazia alla Luiss di Roma e all’istituto universitario “Sophia” di Loppiano, autore del libro Il mondo di Francesco. Bergoglio e la politica internazionale. Lo abbiamo intervistato.

Il viaggio del Papa al Cairo, riaprendo i rapporti con l’università coranica di Al Azhar dopo anni di gelo, che valore ha?

“Un valore enorme innanzitutto dal punto di vista simbolico. In gran parte del mondo arabo e islamico si guarda ad Al-Azhar come a un punto di riferimento anche di carattere dottrinale. È vero che l’islam non ha un’organizzazione gerarchica né tantomeno una struttura piramidale per quanto riguarda i precetti religiosi. Però l’autorità di Al-Azhar è riconosciuta in tutto il mondo islamico sunnita. Mostrare che il Papa cattolico si reca nel più autorevole centro della teologia islamica sunnita ha un valore enorme. Il cristianesimo viene percepito in questi Paesi come il volto religioso del liberismo economico. Francesco però è un Papa che allarga gli orizzonti. Intanto perché è un Papa non europeo, e poi dà un messaggio di universalità al cristianesimo, e indica alle religioni il compito di diffondere questa universalità con una identità collettiva”.

In che senso?

“Nel momento in cui cerchiamo di proteggerci e di rintanarci nelle nostre nazioni e piccole patrie, le religioni possono fare molto per aprire porte e finestre e dire che la risposta non è la chiusura. La risposta è metterci insieme, perché le questioni che dobbiamo affrontare sono immense e comuni”.

Qual è lo snodo più importante?

“C’è una questione aperta in tutto il mondo arabo ed è quella della preparazione e formazione degli imam. Proprio perché non c’è un centro da cui promana una dottrina, è importante per l’islam evitare che nascano moschee fai-da-te. C’è una realtà di frammentazione che si vede molto in Europa e si vede molto di più nei Paesi islamici. E poi c’è l’altra grande questione dell’interpretazione dell’islam perché, se l’interpretazione dei testi viene fatta in maniera del tutto decontestualizzata dalla storia e dall’identità dei vari Paesi, rischia di innescare un integrismo violento”.

Quali passi si stanno cercando di fare sia da parte di Papa Francesco sia da parte di Al-Azhar?

“Le religioni devono fare le religioni e la politica deve fare la politica. Non è che possiamo aspettarci che le religioni possano risolvere la crisi siriana o il problema della fame nel mondo. Ma va anche detto che le religioni fanno due cose fondamentali. Ribadiscono – se sono autentiche – la dimensione della famiglia umana universale, e mettono in testa all’agenda mondiale le questioni che riguardano le società nei vari Paesi. Il tema delle diseguaglianze, dell’esclusione, del lavoro. Combattere l’estremismo violento richiede un impegno ad assicurare a tutti una prospettiva di vita degna, e alle giovani generazioni una speranza per il futuro”.

Quali speranze nutre come ambasciatore italiano in Algeria circa il viaggio del Papa in Egitto?

“La speranza di uscire dalla mitologia. Sia nel mondo arabo rispetto all’Occidente, sia in Occidente rispetto al mondo arabo, viviamo di miti. Quando parliamo di islam, è come se ci riferissimo a una sorta di entità astratta potenzialmente pericolosa. E lo stesso vale per l’islam, che vede nell’Occidente una forza economica e militare, un volto neo-imperialista e minaccioso con cui è impossibile dialogare. Dovremmo invece abituarci a vedere nelle diversità religiose una normalità, e riconoscerci persone che devono affrontare le stesse questioni per risolverle”.

Come ha detto Papa Francesco al Grande imam di al-Azhar, quando lo ha ricevuto in Vaticano: “L’incontro è il messaggio”.

“Attenzione a non aspettarsi però cambiamenti strutturali, repentini e improvvisi. È un processo che bisognerà poi mantenere vivo, alimentandolo anche con questo tipo di eventi”.