Vita condivisa con gli ultimi

DON ANGELO fanucciBene, partiamo. Quando (fine degli anni ’60 del XX secolo) gli osservatori più attenti del post-Concilio indicarono la Comunità di Sant’Egidio di Roma, il Gruppo Abele di Torino e la Comunità di Capodarco di Fermo come i frutti più maturi del Concilio nel settore della cura dei deboli, a motivarli fu soprattutto l’ideale della condivisione della vita con gli ultimi che quelle realtà proponevano, in tutta l’estensione possibile del forme, fino diventare condivisione degli elementi più immediatamente materiali della vita, fino a diventare convivenza totale ogni volta che fosse possibile.

Le motivazioni di questa scelta, proposta come eccellente antropologia anche a chi confondeva teologia e meteorologia, erano di natura prettamente teologica; sulla Montagna, Gesù ha confinato la logica degli illuministi, quella che tutti usiamo ogni giorno, a logica “della pianura”, buona solo per disincagliarci dalle difficoltà della vita di ogni giorno. Ma il succo della vita è altrove. La tua vita o si dimentica di se stessa perché accaparrata dai poveri, o non è se stessa fino in fondo. Non è oro vero, quello, è oro di Bologna che prima o poi diventa nero dalla vergogna.

Motivazioni teologiche. “La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo”. Se la Chiesa di suo Figlio, il Padre ha voluto che venisse fondata su Gesù non come Pantocrator (e ne aveva tutte le possibilità!), ma come “uomo che conosce il patire”, un uomo “ridotto a un verme”, noi che, ciascuno in un ruolo diverso, abbiano il mandato di edificarla oggi, la Chiesa, su cosa vogliamo costruirla, sui soci del Circolo canottieri?

Quei 10 undicesimi della sua vita terrena che Gesù ha trascorso… a che fare? A distruggersi nell’abnegazione? A conferire quarti di nobiltà alla prassi del nascondimento? No, li ha passati tutti a condividere la vita degli operai del suo tempo. Non però in Anatolia o in Grecia, ma nell’ibrida Galilea, a Nazareth, in quello che proverbialmente veniva citato come “il paese degli scemi”: è quello che buttò fuori, con un violento colpo di tosse, Natanaele / Bartolomeo quando l’amico Filippo voleva fargli credere d’aver trovato il Messia. A Nazareth, “il paese degli scemi”. Poche e spicce: prima, per trent’anni, ha condiviso; poi, per tre anni, ha spiegato perché la condivisione è l’anima della vita. Condivisone della vita, please!, non solo di quell’ignobile pompa importantissima che è il cuore.

E quando Lui li ebbe lasciati, i suoi come prima scelta di vita condivisero tra loro tutto, proprio tutto, dall’orciolo dell’olio alla riserva di foglie di fico da usare come carta igienica. Non solo il cuore e l’anima. Anche l’orciolo. Anche le foglie di fico. Motivazioni teologiche.

AUTORE: Angelo M. Fanucci